Fin dall’antichità gli uomini hanno
impiegato gran parte del loro tempo e delle loro risorse
intellettuali per escogitare mezzi con i quali sopraffare gli
avversari.
L’importanza che nel corso della storia tutti gli eserciti hanno
attribuito ai fattori psicologici nel determinare il successo o la
sconfitta in guerra rende assai interessante lo studio dei mezzi
mediante i quali gli eserciti hanno cercato di porsi nella migliore
condizione possibile per vincere.
L’uso di droghe in guerra può essere ricondotto a due intenti
fondamentali:
1) Permettere alle proprie truppe di commettere atti non
accettabili dalle consuete regole morali, vincere la fatica e
consentire un miglioramento della performance del combattente (qui
c’è una profonda analogia con il doping degli sportivi).
2) Ridurre l’efficienza del nemico
mediante l’uso di sostanze in grado di provocare alterazioni dello
stato di coscienza tali da menomare la capacità combattiva; ottenere
informazioni durante gli interrogatori di prigionieri, mediante l’uso
di cosiddetti “sieri della verità”.
Questo uso delle
droghe è diffuso non solo negli ambienti militari. Nel 1993, un
quotidiano di Lima, riportava la notizia che nella selva peruviana
alcune bande di narcotrafficanti addestravano i loro membri
iniziandoli all’uso delle piante allucinogene in modo da renderli
incuranti negli scontri con la polizia o con le bande rivali.
Tutto ciò non è un caso. Nel continente
latino americano, l’utilizzo degli allucinogeni e delle sostanze
psicomimetiche, che resta pur sempre un fenomeno parziale nel
generale contesto dello sciamanesimo, è sempre avvenuto in un ambito
guerriero.
Nell’età antica
Il coraggio in
battaglia e la coesione dei reparti di fronte all’avanzata del
nemico sono sempre stati un elemento fondamentale per il buon esito
di uno scontro. Il morale delle truppe ha sempre costituito una
variante essenziale e imprevedibile e ha fatto fiorire una vera e
propria agiografia dell’eroismo individuale o di particolari
reparti. La storia delle guerre è costellata non soltanto di
vittorie ottenute in condizioni d’inferiorità, rese possibili da
una non comune volontà di vincere, ma anche di disfatte provocate
dall’improvviso cedimento della tenuta delle truppe di fronte al
nemico.
Due soli esempi bastano per tutti.
I trecento opliti, guidati dal re spartano Leonida, che nel 480 a.C.
resistettero fino all’ultimo uomo alle Termopili combattendo contro
l’esercito persiano, sono una testimonianza classica in merito
all’importanza del coraggio individuale e della coesione di gruppo
dei soldati. Per contro la sconfitta avvenuta a Canne nel 216 a.C. di
110.000 soldati romani guidati dai consoli Terenzio Varrone e Lucio
Emilio Paolo, sbaragliati da poco più di 50.000 Cartaginesi
comandati da Annibale, dimostra come il panico sia un’emozione
rovinosa anche per un combattente tecnicamente preparato e in
condizioni di superiorità numerica.
Quando
nelle antiche civiltà cominciarono a formarsi le classi sociali, si
creò una casta di guerrieri professionisti della guerra, addestrati
sia dal punto di vista fisico che quello psicologico.
Se l’addestramento rappresenta
indubbiamente la via più sicura per ottenere il successo in
battaglia, esso ha tuttavia dei limiti molto gravi sia in termini di
costi sia di tempi di attuazione. La formazione di un buon soldato
richiede, infatti, molti soldi e uno spazio di tempo sufficiente, non
sempre disponibile.
Nel corso della storia sono stati adottati
molteplici metodi per la preparazione di combattenti d’élite,
mediante sofisticati addestramenti, discipline marziali esoteriche e
metodi scientifici assai rigorosi.
Data l’estrema importanza dei fattori
psicologici individuali nel combattimento, in ogni epoca molti uomini
alle armi hanno deciso di queste variabili utilizzando, come
scorciatoia, sostanze psicotrope al fine di aumentare la propria
capacità combattiva.
Le prime notizie in merito risalgono all’antichità classica
Presso gli antichi la guerra e i combattimenti avevano
frequentemente una connotazione sacra: si svolgevano prevalentemente
per necessità concrete di sopravvivenza dei gruppi contrapposti.
Manca ancora quell’idealizzazione della guerra che emergerà nei
secoli successivi.
Tutti gli individui validi di sesso maschile della comunità,
partecipavano al combattimento; l’ingresso di un giovane nel mondo
degli adulti è segnato da un rito d’iniziazione che prevede anche
la consegna delle armi e il valore in guerra è considerato una sorte
di patente di virilità all’interno della comunità di
appartenenza. È comprensibile come i guerrieri fossero motivati a
dare il meglio di sé per salvare il proprio gruppo e accrescere il
proprio valore.
Gli opliti greci prima delle battaglie in cui si trovavano a
combattere corpo a corpo con gli avversari, ricorrevano spesso al
vino per controllare la paura della morte. Certo, l’immagine dei
soldati che si lanciano all’assalto contro il nemico sotto gli
effetti dell’alcool sembra inconciliabile con l’ordine e la
disciplina che di solito si attribuisce a questo tipo di soldati, ma
sembra che quest’uso fosse molto diffuso.
Già dai tempi di Omero era nozione comune che l’alcool potesse
essere usato come analgesico contro il dolore delle ferite. E'
probabile che molti opliti ne assumessero prima della battaglia per
rendersi meno sensibili al dolore. Di certo il vino era largamente
presente nella vita militare e faceva parte della normale dotazione
degli opliti quando erano in marcia, tranne particolare occasioni.
Spesso le battaglie erano precedute da particolari danze rituali
che per il grande potere di stordimento della coscienza erano in
grado di produrre una sorta di stato di estasi e quindi di comunione
mistica con la divinità.
Le antiche cronache riferiscono che Alessandro Magno prima
d’intraprendere la conquista della Persia danzò la pirrica a
Faselide, intorno alla tomba di Teodette.
In Medio Oriente, nell’XI secolo dopo Cristo, presso la setta
sciita ismailita fondata dal persiano Hasan-i Sabah sarebbe stato
diffuso, secondo la leggenda, l’uso dell’hashish (termine arabo
che indica le erbe medicinali essiccate, non specificamente la
Cannabis) per infondere il coraggio agli adepti incaricati di
pericolose missioni. Per questo motivo gli appartenenti a questa
setta, le cui azioni particolarmente efferate, secondo le leggende
contemplavano spesso l’assassinio degli avversari politici, prese
il nome di Hashishin, da cui derivò il moderno termine di assassini.
La setta maomettana dei Dervisci praticava invece un insieme di
rituali e di tecniche diverse (detti dhikr) per ottenere un ideale
annullamento dell’individuo in Dio e raggiungere uno stato di
estasi che li rendeva particolarmente coraggiosi in battaglia. Sono
ancor oggi i famosi balli da loro praticati, consistenti in rotazioni
su se stessi ripetute fino quasi alla perdita dei sensi.
Le arti marziali orientali
Le origini di queste discipline sono molto remote. La consuetudine
di yogi dediti all’addestramento marziale si perde nella più
antica tradizione della religione induista. Durante la dominazione
britannica queste pratiche furono represse, anche se tuttora nel
Kerala sopravvivono delle forme di lotta tradizionale, praticate nel
corso di riti religiosi. Questa tradizione è tuttora ben salda in
Cina, in Giappone e in Vietnam, dove arrivarono con la diffusione del
buddismo.
Il pugilato cinese consiste in un sistema di tecniche sovrapposte
a una forma di lotta ancora in un sistema più antica, detta wu gong.
Le tecniche fisiche si fondono con l’ideologia perfettamente cinese
di continuo flusso, tra atteggiamenti “aperti” e “chiusi”,
rigidi e rilassati e movimenti lenti o rapidissimi. Tipico e il kung
fu wushu in cui lo stimolo e caratterizzato dal controllo della mente
sul respiro e sui movimenti. La concentrazione, l’allenamento e il
controllo della respirazione portano alla capacità di utilizzare la
forza in modo esplosivo. Le prove di rottura di mattoni e tavolette
di legno sono l’esempio più conosciuto di queste tecniche. I vari
stili di kung fu dal punto di vista formale imitano i movimenti degli
animali: l’oca selvatica, il drago, la tigre, il leopardo, il
serpente e la gru.
L’energia viene presa tramite la respirazione dall’aria (e qui
riecheggia il “prana” degli yogi indiani), attraverso i piedi
dalla terra e viene concentrata nello stomaco in un punto tre dita
sotto l’ombelico, “hara”, contemporaneamente baricentro e
centro energetico del corpo. Poi, attraverso le linee energetiche,
utilizzate anche nell’agopuntura, fluisce verso gli arti e viene
emessa in forma esplosiva tramite colpi velocissimi e assolutamente
precisi. Contemporaneamente vi è l’emissione del respiro e l’urlo,
“kiai”.
Queste tecniche di rottura furono perfezionate nell’isola di
Okinawa durante il periodo dell’occupazione giapponese, quando gli
isolani legati alla Cina furono sottoposti al divieto di portare
armi. Per reazione si sviluppò il karatè, tecnica di combattimento
a mani nude e il kobudo, che si avvale dell’uso molto virtuoso di
armi, ricavate da attrezzi agricoli comuni in quelle zone: dal
nunchaku (due corti bastoni uniti da una catena, in origine usati per
la pulizia del riso), al kama (un falcetto), al kusari (una catena di
una sessantina di centimetri con due pesi all’estremità).
Le arti marziali, fanno parte della tradizione dell’India e
dell’Estremo Oriente e nei giorni nostri si manifesta come attività
sportiva, come forma di meditazione all’interno del buddismo zen,
ma sono utilizzate anche nell’addestramento di reparti speciali
d’élite. Oltre all’esercito coreano in cui è usato il tae kwon
do e il vietnamita che impiega il viet vo dao, anche gli eserciti
degli imperialisti occidentali hanno riscoperto queste antiche
tradizioni. Pionieri in questo senso furono i capitani Fairbairn e
Sykes che negli anni ’30 erano in servizio nella polizia di
Shanghai. Essi codificarono le tecniche di combattimento corpo a
corpo dei commandos inglesi, voluti da Churchill agli inizi del
secondo conflitto mondiale. I nomi di Fairbairn e Sykes sono poi
legati ancora allo speciale pugnale da loro creato, che era destinato
in particolare per il combattimento ravvicinato e all’eliminazione
delle sentinelle.
Analoghe procedure di addestramento furono
utilizzate per la formazione dei primi reparti di paracadutisti e
ranger americani. L’evolversi della strategia militare nel
dopoguerra con i molti conflitti locali e con lo sviluppo dei
movimenti rivoluzionari nel Tricontinente (spacciati come movimenti
terroristi) e nelle stesse metropoli imperialiste, portò il
proliferare in tutti gli eserciti di reparti speciali, e dopo
l’azione di Settembre a Monaco nel 1972, all’istituzione di
reparti speciali presso tutte le forze di polizia. Nel programma di
addestramento è dato largo spazio all’insegnamento delle arti
marziali, sia nelle loro forme tradizionali, come la savate nella
Legione Straniera, sia in forme moderne che mettono insieme elementi
presi dalle varie scuole e li combinano con l’utilizzo di armi da
fuoco dell’ultima generazione. Ad esempio gli spetstnaz i corpi
speciali russi dedicano molto tempo al sambot. L’addestramento
prevede scontri molto violenti e realistici in cui sono utilizzati,
come armi, gli stessi stivali da paracadutista e il fucile d’assalto
regolamentare AK 47 con la baionetta innestata. Sono anche praticate
tecniche volte allo sviluppo delle capacità individuali come la
rottura a mani nude di mattoni infuocati. Il krav maga,
“combattimento con contatto” in ebraico, esso è il combattimento
corpo a corpo praticato dall’esercito e dalle forze di polizia
israeliane. Si tratta di tecniche di difesa da qualsiasi tipo di
aggressione con pugni, calci, strangolamenti e uso di armi varie.
L’allievo viene abituato a usare le varie tecniche anche in
situazioni del tutto particolari, come nell’oscurità, da seduto o
coricato e in spazi ristretti come i mezzi di trasporto.
C’è una continua osmosi con scambi d’informazioni a livello
ufficioso tra molti corpi speciali di molte nazioni diverse; ad
esempio il GIGN, gruppo d’intervento della Gendarmeria francese,
utilizza il krav maga. Viceversa i Seal della marina americana hanno
per tradizione rapporti molto stretti con i marines di Taiwan e della
Corea del Sud. Anche i berretti verdi, forze speciali dell’esercito
statunitense, hanno programmi di scambio con reparti analoghi di
altre nazioni NATO e più volte hanno assunto dei maestri di arti
marziali per i programmi di addestramento. Ad esempio negli anni ’80
venne svolto l’esperimento di addestramento all’Aikido tenuto da
Richard Strozzi Heckler, a sua volta allievo del grande maestro
Ueshiba, inventore dell’Aikido o via dell’armonia. L’Aikido è
basato, in completo contrasto con una tradizionale strategia bellica,
sulle virtù taoiste della non resistenza, dello sforzo senza sforzo
e del continuo mutamento. Le tecniche si basano su movimenti
impercettibili del corpo che permettono di scansare millimetricamente
i colpi dell’avversario e di ritorcere su di lui la sua stessa
forza e aggressività col fine ultimo di arrivare alla comprensione e
alla comunione con l’avversario stesso. In questo programma dopo
alcuni mesi di addestramento un gruppo di 25 berretti verdi, tutti
sottufficiali o ufficiali, selezionati e di provato mestiere,
riuscirono con un controllo scientifico dei risultati a elevare le
proprie capacità nel tiro, nella resistenza in mare e nello stress
prolungato.
Esiste un lato oscuro delle arti marziali che solo recentemente e
in maniera molto distorta si è manifestato. È il ninjitsu che
comprende tecniche di combattimento non convenzionale e assassinio
politico, spionaggio, rituali magici e tradizioni religiose del
buddismo zen. I ninja traggono le loro origini dal medioevo
giapponese ma l’importanza della guerra non convenzionale era ben
nota nell’antica Cina.
L’arte della guerra di
Sun Tzu, scritto al 500 d.C. è il primo grande classico di strategia
militare in cui molta importanza è data al concetto che un esercito
dovrebbe attaccare solo quando il nemico è stato indebolito
all’interno. A questo fine erano consigliati lo spionaggio, la
disinformazione, l’intrigo e la congiura.
Nel tredicesimo
capitolo Sun Tzu espone la sua teoria secondo la quale il saggio
condottiero si distingue dagli uomini comuni per una superiore
visione globale degli eventi che non deriva dalla divinazione o dagli
spiriti ma da una rete di abili informatori.
Vengono distinti cinque tipi di agenti:
1) Gli In-kan. Sono gli informatori reclutati tra gli abitanti del
territorio nemico.
2) I Nai-kan. Sono i funzionari del governo nemico che tradiscono,
essi sono pagati per fornire informazioni.
3) Gli Yu-kan. Sono le spie nemiche scoperte che cambiano
bandiera.
4) Gli Shi-kan. Sono gli agenti spendibili che vengono infiltrati
tra il nemico con false informazioni e fatti scoprire.
5) Gli Sho-kan. Sono le spie classiche, usate per ricognizioni nel
territorio nemico.
Le informazioni dovevano essere costantemente raccolte e
contemporaneamente venivano disseminate false voci per demoralizzare
il nemico. È interessante notare che l’ideogramma usato per
indicare la spia è il carattere kan che significa anche “lo spazio
tra due oggetti” e “discordia”.
Molti secoli prima di Macchiavelli la strategia di Sun Tzu è
profondamente basata sull’inganno del nemico. Questa filosofia
orientale è esattamente l’opposto del concetto europeo di guerra
totale, dalla falange macedone alle trincee della prima guerra
mondiale.
Secondo la tradizione le arti marziali nacquero in India. La più
antica arte di combattimento di cui ancora si conservi memoria è,
infatti, il Kalari Payat indiano, la disciplina di lotta a mani nude
e con armi da taglio. Si dice che il suo fondatore fosse il monaco
Bodhidarma che fece un viaggio verso la Cina dove fondò il monastero
fortezza di Shao-Lin. A loro volta la tradizione delle arti marziali
passò dalla Cina al Giappone attorno al 700 d.c. Il primo ninja
sarebbe stato in principio Yamato, secondo quanto tramandato dal più
antico testo scritto giapponese del 714 d.c., che contiene tra
l’altro il racconto di un assassinio politico in pieno stile ninja.
L’evoluzione delle scuole di arti marziali fu poi molto simile in
Cina e in Giappone.
L’insegnamento avveniva all’interno di scuole in cui i segreti
erano gelosamente conservati e trasmessi dai maestri agli allievi,
all’interno di un rigido sistema gerarchico. Gli allievi iniziavano
il loro apprendistato in giovanissima età e per lo più provenivano
da famiglie di guerrieri. L’addestramento era continuo e durissimo,
con una serie di barriere e di esami che costituivano degli
importanti riti di passaggio, con un contemporaneo condizionamento
fisico e mentale.
Il fine di questi lunghi anni di pratica era il
controllo fisico della mente, delle emozioni e del corpo. Ogni
scuola si specializzava in alcune tecniche, ad esempio l’uso di
armi da fuoco e di esplosivi, le tecniche di mimetismo, travestimento
e infiltrazione,
l’uso dell’ipnosi, di erbe medicinali e
di veleni. È interessante questo sovrapporsi, su livelli diversi, di
tecniche di combattimento, maneggio delle armi, pratiche di
meditazione, tecniche di meditazione, tecniche di Yoga e alchimia. Il
denominatore comune era la ricerca chiamata Chi in Cina e Ki in
Giappone, con l’obiettivo antico della ricerca del proprio io
attraverso le pratiche marziali e lo studio della tradizione mistica.
Sui ninja fiorirono diverse leggende, nelle
quali insistevano in particolare sulla loro capacità di apparire e
scomparire a loro piacimento. Questi effetti d’invisibilità
venivano raggiunti in molti modi.
Evidentemente sapevano che
l’occhio umano è particolarmente sensibile al movimento, poi ai
contorni di un oggetto e infine ai colori; dunque l’invisibilità
può essere ottenuta restando immobili, alterando la propria sagoma o
utilizzando abiti con colori scuri o mimetici che si armonizzano con
il territorio circostante. L’arte del celarsi dava indicazioni
molto precise, suddivise secondo nomi di animali. La tecnica della
quaglia consisteva nello sfruttare i piccoli spazi che ci sono tra
gli oggetti molto grandi, che distraggono con la loro massa imponente
un osservatore. Il metodo del procione consisteva invece nell’uso
di luoghi sopraelevati: tronchi, travi, tetti, partendo dal principio
che raramente gli uomini sollevano lo sguardo durante la ricerca. Il
sistema della volpe prevedeva l’uso dell’acqua anche per far
perdere le tracce o per attirare il nemico in un elemento ostile. La
scomparsa, per mezzo del fuoco prevedeva l’uso di granate
abbaglianti, incendiarie e fumogene che oltretutto rendevano
“magiche” le apparizioni e le scomparse dei ninja agli occhi
degli osservatori ingenui. Accanto a questi metodi veniva anche
impiegato il controllo della respirazione, efficace nel disciplinare
le emozioni e il battito cardiaco degli operatori allenati.
Molta importanza veniva attribuita all’uso di droghe, veleni e
medicinali. La medicina tradizionale cinese passò in Giappone
attorno al settecento dopo Cristo, dove prese il nome di Kampo, con
tutto il suo grande bagaglio di medicinali ricavati dalle erbe. I
veleni erano ricavati dalle piante oppure dagli escrementi di
animali, quali i serpenti di terra e di mare. Anche se possono
apparire dei mezzi bellici arcaici, i veleni sono stati ad esempio
utilizzati ampiamente, con grande efficacia, dai vietcong nella
preparazione di trappole durante la guerra di liberazione del
Vietnam.
Anche in questo caso oltre all’effetto diretto sul
nemico è importante l’effetto psicologico: per un americano che
finiva sulle punte avvelenate ce n’erano centomila che si
spaventavano a morte.
La figura dei ninja è stato spessa confusa con quella dei monaci
Yamabushi, letteralmente “coloro che vivevano nelle montagne”
seguaci di una religione con elementi di buddismo e dello shintoismo
e componenti della magia Tantra.
Questi monaci si sottopongo a
lunghi pellegrinaggi in alta montagna, accompagnati da pratiche di
digiuno e di deprivazione sensoriale per raggiungere poteri come la
chiaroveggenza, la telepatia e la telecinesi. In questo ci sono
forti somiglianze con i monaci guerrieri cinesi, tibetani, gli
sciamani siberiani e sudamericani. Da un punto di vista pratico la
figura del monaco errante era una copertura ideale per agenti dello
spionaggio impegnati in operazioni d’infiltrazione e ricognizione.
L’età contemporanea
Le guerre del periodo medioevale in Europa erano condotte da
mercenari, professionisti della guerra che raramente desideravano
sterminare gli avversari, colleghi di mestiere. Combattere bene era
più importante che uccidere il nemico e riscattare i prigionieri.
Con la rivoluzione francese si ebbe però una svolta decisiva nel
modo di far la guerra.
Il periodo storico della rivoluzione francese è la parte
culminante dell’ascesa e del predominio della borghesia come
classe. Essa era già stata anticipata dalle guerre franco-spagnole
per il predominio in Italia nel XVI secolo. Fu la Spagna, la quale
possedeva un impero coloniale e che viveva dei proventi delle
attività commerciali con cui sfruttava le terre e i popoli d’Africa,
Asia e America, che pretese di dominare l’Europa alla stessa
maniera. La potenza militare spagnola era certamente maggiore di
quella francese, tuttavia la Francia costituiva già uno stato più
omogeneo e più accentrato, dove la borghesia appoggiava apertamente
la monarchia contro gli interessi della nobiltà. Senza contare che
la Francia, nella sua lotta contro la Spagna, poté avere l’appoggio
dei nobili tedeschi, che, ha loro volta contro l’impero spagnolo,
volevano consolidare l’autonomia di certe regioni tedesche,
utilizzando a tale scopo non solo l’alleanza con la Francia, ma
anche le contemporanee guerre di religione.
Le guerre condotte contro la monarchia spagnola annunciavano il
nuovo modo di produzione, in quanto erano caratterizzate da un
postulato di fondo: la formazione di stati nazionali. Che era
all’epoca un fatto rivoluzionario, poiché tendeva alla distruzione
dei rapporti economici preborghesi e alla loro sostituzione con il
mercato capitalistico.
È durante il periodo della rivoluzione francese che comincia a
essere introdotta in molte nazioni la coscrizione obbligatoria. La
maggior parte dei cittadini maschi validi si trovò a prestare il
servizio militare senza avere una vocazione guerriera e tantomeno un
interesse economico diretto.
Nacque così la guerra totale, che interessava tutto il popolo,
mobilitato in nome di concetti come Nazione, Libertà e Rivoluzione.
La nuova guerra di popolo iniziò a dettare le sue regole.
La
guerra non subiva più interruzioni stagionali e non riguardava più
soltanto una ristretta cerchia di professionisti (come i mercenari)
ma tutto il popolo si trovò per la prima volta a esserne coinvolto.
Sorse il problema di armare un numero ingentissimo di soldati.
L’intera economia delle nazioni si organizzò per sostenere gli
sforzi bellici. Furono istituiti i razionamenti dei cibi e la
nazionalizzazione delle manifatture d’interesse bellico.
Anche le risorse intellettuali, di scienziati e tecnici, furono
convogliate a contribuire allo sforzo bellico, nella costruzione di
armi, fortificazioni e nuovi espedienti per ottenere un vantaggio
sull’avversario. A questo punto sorse il problema di motivare e
addestrare grandi masse di soldati.
E' in questo periodo che cominciano a svilupparsi dei codici di
disciplina militare e a perfezionarsi le tecniche di addestramento
dei combattenti.
Il perfezionamento delle armi da fuoco, che richiedevano un
addestramento più semplice rispetto alle armi bianche, influenzò
anche le tecniche di combattimento. Per alcuni secoli furono
impiegate formazioni di soldati in ordine chiuso che si sparavano a
breve distanza. Questo rendeva possibile la rimozione dei freni
psicologici del combattente, poiché quello che doveva uccidere era
un uomo sconosciuto. La distanza, seppure breve, era sufficiente per
impedire alla vittima di suscitare compassione nell’aggressore e
rimandare il corpo a corpo solo a una fase successiva: a questo punto
subentrava la carica alla baionetta dove la compagine più motivata e
solida psicologicamente travolgeva l’avversario.
Se fino ad allora le milizie mercenarie potevano cambiare bandiera
vendendosi al miglior offerente, con la coscrizione di massa divenne
evidente il fenomeno della diserzione, da parte di quanti costretti a
combattere, desideravano salvarsi la vita fuggendo. Il problema era
enorme; soltanto nella guerra civile americana, nel 1863, fra i
confederati vi furono centomila disertori.
In quest’epoca di carneficine fra i fanti in formazioni a
ranghi serrati, con l’andare del tempo per sostenere e dare
coraggio al soldato in guerra si affiancano all’alcool nuove
sostanze.
In Europa alla fine dell’Ottocento venne presa in considerazione
la cocaina alla quale persino Sigmund Freud dedicò in quel periodo
attenti studi.
L’uso di masticare le foglie di coca era diffuso da molti secoli
fra gli abitanti delle regioni andine, per alleviare le fatiche del
lavoro in montagna, ma la coca fu importata in Europa solo nel 1580.
Nel 1860 fu scoperta la cocaina, e nel 1883 il medico tedesco Theodor
Aschenbrandt sperimentò questa sostanza su alcuni militari in vista
di un eventuale impiego in guerra,
riscontrando che i soldati
trattati mostravano una maggior energia e un’accresciuta capacità
di resistere. Si trattò probabilmente del primo caso di doping.
Queste rudimentali tecniche di doping cominciarono a essere usate in
campo veterinario. Gli stessi stimolanti impiegati per ottenere
prestazioni migliori dai cavalli erano a disposizione di alcuni
reparti della cavalleria francese per essere utilizzati durante
azioni di combattimento particolarmente impegnative.
Gli entusiasmi per la cocaina si raffreddarono però quando si
scoprì che questa sostanza era in grado di creare una forte
dipendenza nei soggetti che l’assumevano. Era di quegli anni che si
scoprì la “malattia del soldato”, ossia la tossicodipendenza da
morfina che colpì più di 45.000 persone al termine della guerra
civile americana.
Nello stesso periodo, la paura, questo che era considerato il
“sentimento dei deboli”, cominciava essere oggetto di attenzioni
scientifiche. Amedeo Latour descrive su di sé gli effetti del
bombardamento di Chatillon: “
Durante i primi giorni io tremavo
ad ogni colpo di cannone con forti e frequenti palpitazioni di cuore
e tremore delle mani. La mia lingua era presa da una specie di
insopportabile core, che certamente io ho provato spesso
nell’occorrenza di vive emozioni, di cui ebbi, durante la vita, di
cui ebbi, durante la vita, la mia parte. È uno strano fenomeno, che
io non ho trovato in alcun luogo descritto. I muscoli della lingua
sono presi da convulsioni, le quali fa sì che l’organo eseguisce
movimenti irregolari a destra e sinistra, si fissa contro il palato,
o si rovescia sul frenulo, mantenendosi in costante e dando luogo ad
una spiacevolissima ed irritante sensazione, il parlare è impedito,
è l’articolazione dolorosa, così che è impossibile di leggere ad
alta voce, e il conversare è cosa molto difficile. Questi movimenti
linguali sono interamente indipendenti dalla volontà, che non può
arrestarli né modificarli per qualunque sforzo essa faccia. Il sonno
li sospende; ma ricomparirono tosto nello stato di veglia. Questo
disordine durò la prima settimana, ma dopo questo tempo, come io
divenni abituato al rumore, i muscoli linguali e cardiaci ripresero
la loro azione normale”.
Tra la metà dell’800 e il primo decennio del ‘900 si formano
imperi coloniali, i paesi imperialisti che erano impegnati nelle
campagne coloniali, dovettero confrontarsi a volte in conflitti
contro gruppi tribali che combattevano con strategie e armi meno
raffinate, la tenacia e l’audacia di questi combattenti che
difendevano la loro terra faceva ritenere ai militari colonialisti,
che questi combattenti erano sotto l’effetto di sostanze
psicoattive. Uno dei casi più famosi, è stato nel 1898 nelle
Filippine è lo scontro che avvenne tra le truppe statunitensi e i
Moros Juramentados, mussulmani che avevano già combattuto contro gli
spagnoli. Numerosi soldati statunitensi furono uccisi sotto i colpi
delle armi bianche di questi indigeni, che sembravano insensibili al
dolore riuscivano a continuare i loro attacchi anche se feriti da
numerosi colpi di revolver. Non riuscivano a capire (e non potevano
capirlo per via del loro razzismo), i colonialisti la volontà di
lotta dei popoli che non si vogliono sottomettere.
Brevi note sul sacrificio
Il sacrifico è considerato l’antibisogno per eccellenza (perché
c’è rinuncia, privazione), è caratterizzato e si distingue per
l’autorepressione dei bisogni dovuto a una scelta soggettiva di
coscienza.
Il sacrificio è una forza molto potente della Storia: le
stupide teorie clericali e borghesi sul “naturale” egoismo umano
hanno sempre dimenticato, rimosso gli immensi sacrifici sopportati
coscientemente, nel corso dello sviluppo del genere umano, da masse
enormi per il soddisfacimento dei loro bisogni ed ideali:
rivoluzioni, guerre di liberazione nazionale, guerre civili, le
guerre giuste come quella condotta dall’URSS nella lotta mortale
contro il nazifascismo. Altre forme di sacrificio si trova nel
sacrificio quotidiano, grigio ma non per questo meno eroico dello
schiavo cristiano che andavano incontro al martirio della croce
inflittogli dai suoi padroni e dallo Stato Romano schiavista; nel
sacrificio quotidiano del militante comunista durante il fascismo e
il nazismo in Italia e in Germania. Le tendenze verso l’egoismo,
l’autoconservazione propria e dei suoi discendenti, verso
l’indifferenza si sono sempre scontrate in ogni uomo con la
tendenza (che è reale) all’altruismo, al sacrificio per gli altri.
Di esempi concreti di sacrifici sofferti sono innumerevoli:
pensiamo all’eroico comunista torinese Dante Di Nanni. Ferito in un
azione dei GAP è circondato dai nazifascisti dove muore combattendo
infliggendo pesanti perdite al nemico. Ma Dante era un ragazzo di 17
anni, che indubbiamente come tutti i ragazzi della sua età voleva
vivere, ma che era costretto a lottare “
soprattutto perché, se
oggi non facessimo nulla non ci sarebbe mai un domani da cui
cominciare a cambiare veramente le cose”.
Voglio adesso esporre una tesi che potrebbe essere presa per
assurda: che nella stragrande maggior parte degli esseri l’altruismo
è più forte delle tendenze egoistiche. Che questo altruismo può a
volte assumere forme corporative, ma sempre altruismo è.
L’esperienza pratica offre miliardi di esempi: la priorità data ai
figli, ai discendenti dalla grande maggioranza dei genitori. Se si
trattasse di scegliere nei casi tra la propria vita e quella dei
figli la maggioranza dei genitori (specie se madri, ma non solo)
saprebbero cosa scegliere. L’imprenditore avarissimo ma che nella
vita privata cede ad ogni pretesa dei rapitori del figlio/a.
La guerra industriale nei due conflitti mondiali
Il lungo periodo di Pace in Europa durante la Belle Époque, in
realtà fu caratterizzato da una crescente e generalizzata
preparazione alla guerra. Il capitalismo era entrato nella sua fase
imperialista, che divise tutti i paesi imperialisti in due gruppi
fondamentali: gli sfruttatori e gli sfruttati, ma anche dalle più
svariate forme di paesi asserviti, che formalmente erano indipendenti
dal punto di vista politico, ma che in realtà sono assoggettati da
un punto di vista finanziario e diplomatico. La tendenza
dell’imperialismo è non solo quello dell’assoggettamento di
territori agrari da parte dei paesi più industrializzati – questa
era la caratteristica dell’epoca coloniale – ma anche
all’assoggettamento di stati più deboli sul piano
politico-militare e su quello economico-finanziario da parte degli
stati più forti. Si tratta quindi di una lotta per l’egemonia
mondiale, che si svolge su ogni piano e su scala mondiale.
Protagonista principale di tale lotta è lo Stato. Esso,
nell’epoca imperialista, non è più soltanto depositario della
forza della classe dominante, che all’occorrenza saprà usarla in
maniera diretta, ma è diventato anche l’istituzione finanziaria
più importante, attraverso i mille legami che ha con le centrali
finanziarie private e attraverso il controllo sulla concentrazione
bancaria.
Prima del 1914 l’eventualità di una guerra tra gli stati
imperialisti non era presa sul serio. I teorici della borghesia
sostenevano la concezione della cosiddetta “pace armata”, secondo
la quale la nostra “civiltà” si sarebbe progressivamente estesa
a tutto il pianeta, nella certezza che governati e governanti non si
sarebbero ma fatti prendere dalla follia di una conflagrazione
europea, dati i moderni mezzi di distruzione. Anche da parte
socialista si finì per credere che le classi dominanti e i governi
avrebbero evitato ad ogni costo lo scontro diretto.
La tesi principale dei revisionisti e degli opportunisti, circa i
caratteri dell’epoca imperialista, è che la base economica e
quella politica sarebbero separabili e che, dunque, l’imperialismo
non sarebbe che una particolare tendenza politica, alla quale sarebbe
opponibile, gli stessi rapporti economici, una politica pacifica di
almeno alcune potenze imperialiste.
Questa tesi, non tiene conto che l’imperialismo non è uno
specifico modo di produzione, ma il risultato inevitabile dello
sviluppo delle categorie capitalistiche.
Dunque tra base economica
e politica imperialista c’è un nesso indicibile: lo sviluppo della
concentrazione capitalistica ha come conseguenza la caduta
tendenziale del saggio di profitto, da cui nasce la ricerca
spasmodica di spazi economici in cui possibile realizzare tassi di
profitto maggiori e, di conseguenza è ineliminabile la tendenza da
parte dei maggiori stati imperialisti, alla continua spartizione e
ripartizione del mondo in zone d’influenza.
La natura aggressiva dei rapporti tra gli stati è sempre stata
una loro caratteristica fondamentale,
che assurge a legge assoluta
nel periodo dell’imperialismo.
Lo studio della legge della caduta del
saggio di profitto di Marx ci aiuta a capire le dinamiche del Modo di
Produzione Capitalista e della motivazione perché alla fine è
destinato a cadere. Infatti, il saggio di profitto è espresso con la
frazione p/c+v, dove al numeratore c’è la massa del plusvalore e
al denominatore l’ammontare del capitale costante e del capitale
variabile. Si tratta ormai non più di grandezze nazionali ma
internazionali, poiché le relazioni economiche e commerciali
internazionali, che già Marx indicava come controtendenza, hanno
definitivamente trasformato il capitalismo in un unico mercato
mondiale. Ebbene, se trasformiamo con una semplice operazione
matematica, la suddetta frazione nell’altra (p/v fratto c/v + 1),
scopriamo che il saggio medio del profitto è direttamente
proporzionale al saggio di plusvalore e inversamente proporzionale
alla composizione organica del capitale. Ecco così scoperta la
tendenza fondamentale e le eventuali controtendenze possono solo
ritardare e aggravare la crisi del capitalismo, ma non evitarla. Ciò
che condanna il capitalismo è là la tendenza sempre più marcata
alla crescita del capitale costante, all’impiego sempre più che
proporzionale del lavoro morto rispetto al lavoro vivo. Tendenza
ineliminabile perché ogni capitalista, ogni gruppo industriale, ogni
centrale finanziaria, privata o pubblica sa che solo così potrà
appropriarsi di una proporzione sempre maggiore di plusvalore
prodotto socialmente attraverso il “miracolo” della
trasformazione dei valori in prezzi di produzione, prima, e di
mercato poi. Ma alla fine la socialità della produzione non tollera
alla fine l’appropriazione privata. Per quanto dolorose
controtendenze che l’umanità deve sopportare per il mantenimento
del Modo di Produzione Capitalistico, dalle più brutali tecniche di
sfruttamento del lavoro vivo per far innalzare il numeratore di
quella frazione (p/v), al più brutale sfruttamento dei popoli del
Tricontinente e alla più brutale distruzione delle risorse
energetiche della terra, per accaparrarsi materie prime a buon
mercato e ottenere così una provvidenziale diminuzione di (c/v),
intorno al secondo decennio di questo secolo, gli stati imperialisti
hanno dovuto trovare di meglio: una guerra generalizzata tra gli
stessi stati imperialisti, che, come e più delle altre
controtendenze, funzioni in modo tale da diminuire drasticamente la
composizione organica media. Come tutte le altre controtendenze, la
guerra funziona come antitossina, che come ogni organismo malato
produce, e pertanto sono tutte accompagnate da giustificazioni morali
e ideologiche. Il ricorso alla guerra è giustificato facendo appello
all’amor di patria, all’orgoglio nazionale, alla difesa dei
“sacri” principi di libertà e del diritto internazionale. Dal
1914 il mondo è entrato nell’epoca della guerra imperialista e
della rivoluzione proletaria. Si tratta di una lotta mondiale, che
con l’Ottobre 1917 l’esito storico era stato anticipato.
Le
guerre imperialiste non rappresentano per niente una soluzione della
crisi storica del capitalismo, bensì il suo aggravamento in ogni
caso e, nella migliore delle ipotesi per il capitalismo, solo il suo
rinvio.
In Italia a preparare questo clima di guerra contribuì il
movimento futurista guidato da Filippo Tommaso Marinetti e il “vate
guerriero” Gabriele D’Annunzio.
Nel 1909 Marinetti pubblicando il Manifesto del futurismo che
enunciava il programma non solo artistico, ma anche politico del
movimento, proclamava “
Noi vogliamo glorificare la guerra, sola
igiene del mondo, il militarismo, il patriottismo, il gesto
distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore”.
Quando poi scoppiò il conflitto oltre all’esaltazione futurista
dell’atto eroico individuale e della “bella morte” di
D’Annunzio troviamo degli esempi di propaganda e di guerra
psicologica.
Episodi come il “volo di Vienna” e la “beffa di Bucari”
ebbero grande risonanza a livello mondiale. La novità non consisteva
nelle azioni eroiche presunte o reali ma nel confezionare un vero e
proprio prodotto pubblicitario destinato alle masse. Tutto ciò fu
utilizzato per ottenere il maggior eco possibile sugli organi di
comunicazione.
Espressivo l’utilizzo dei mezzi più moderni, come l’aereo, il
motoscafo veloce, ma anche il lancio di volantini per demoralizzare
la popolazione del campo avverso direttamente nelle città.
Nell’età moderna, l’espansione dei sistemi di
comunicazione contribuì a rendere ancora più totali le guerre. La
popolazione, grazie alle notizie inviate in breve tempo da luoghi
lontani tramite il telegrafo, poté partecipare direttamente agli
eventi della guerra. E fu coinvolta nello sforzo della produzione
industriale degli enormi quantitativi di materiali bellici necessari
al fronte.
Grazie alle colorite corrispondenze degli inviati dei giornali, la
guerra cessò di essere per i civili un evento lontano, com’erano
state invece le guerre coloniali del secolo precedente.
Iniziò così l’abolizione della differenza fra combattenti
impegnati al fronte e civili al sicuro nella vita civile, che poi
scomparirà del tutto nella seconda guerra mondiale, quando le parti
s’invertirono; dove le perdite fra i civili superarono quelle dei
combattenti nelle prime linee.
In tutte le nazioni belligeranti, gli organi di stampa dopo i
primi scontri e la stabilizzazione del fronte nella guerra di trincea
ci fu la mitizzazione di figure combattenti individuali come gli assi
della caccia o in Germania i comandanti dei sottomarini. Viceversa si
preferì censurare spesso l’orrore quotidiano della guerra di
trincea caratterizzata da condizioni di vista disumane, con centinaia
di migliaia di uomini costretti a vivere in ripari di fortuna,
esposti alle intemperie e ai continui bombardamenti dell’artiglieria
nemica e con la prospettiva di essere lanciati all’improvviso in
attacchi suicidi contro le linee nemiche difese da filo spinato, mine
e mitragliatrici.
Questa predominanza della difesa sull’offesa grazie all’uso
delle armi moderne si era già manifestata nella guerra russo
giapponese (1904-1905). Ma questo fatto era sfuggito agli Stati
Maggiori europei. In particolare l’esercito francese nel 1914 si
lanciò contro le linee tedesche in attacchi frontali e il Regio
Esercito italiano si trovò a dover affrontare le munitissime linee
permanenti austro-ungariche lungo il confine orientale senza
un’artiglieria adeguata per qualità e quantità. Non è un caso
che negli eserciti si svilupparono ammutinamenti come in quello nel
1917 in Francia e in Russia e nel 1918 nella marina militare tedesca
(negli ultimi due casi, gli ammutinamenti erano dentro un processo
rivoluzionario in atto).
I comandi per mantenere la disciplina, come strumento di
controllo, oltre alla disciplina severa dei tempi di guerra, e
all’uso di ampi contingenti di polizia militare, delle fucilazioni
di massa e dei reparti punitivi, furono utilizzati mesi di propaganda
e di persuasione.
Tutto questo nasce dal fatto che la borghesia è cosciente che per
mantenere l’ordine pubblico non è sufficiente reprimere,
neutralizzare o prevenire i comportamenti considerati “asociali”
dei singoli individui. Tra l’altro questo non sarebbe neanche una
novità, si faceva anche nelle società primitive. Il salto di
qualità sta nel fatto, di fare in modo che la massa della
popolazione obbedisca alle leggi e segua le abitudini che la classe
dominante ha stabilito e che comunque tutela tramite lo Stato, benché
in esse siano in contrasto con gli interessi e le aspirazioni o i
bisogni di una grande parte della popolazione.
Per questo la borghesia per motivare le truppe e la popolazione
civile, grazie allo sviluppo della psicologia sociale e dei mass
media, puntò su alcuni temi fondamentali quali: il nazionalismo
esasperato, il culto della sacralità della patria, il disprezzo
disertori. In quest’attività fu coadiuvata dalle autorità
religiose. Man mano che gli ideali di patria andavano, perdendo il
loro mordente sotto la drammatica esperienza della guerra, la
propaganda iniziò a toccare altri tasti come le atrocità compiute
dal nemico. Se sui giornali popolari l’immagine frequente dei
soldati che balzavano all’assalto gridando il loro amore di patria
era sempre più lontano dalla realtà, le canzoni spontanee dei
soldati parlavano degli orrori della guerra, degli affetti rimasti a
casa, del paese lontano.
Non è un caso che al fronte dilagò l’uso di alcool etilico,
sotto forma di vino e liquori, unico conforto ai disagi della vita di
trincea.
Agostino Gemelli, fondatore dell’Università Cattolica, in quel
periodo illustrava come l’abbrutimento dei soldati in trincea
garantisse il loro adattamento alle sofferenze e ai combattimenti che
richiedevano soprattutto obbedienza e rassegnazione.
Anche Paolo Caccia Dominioni annotava il 4 novembre 1916 nel suo
diario come “…
il fiasco infonde ardore al goliardo nervoso
che comanda il plotone e deve uscire in pattuglia con una
ventina di giannizzeri e non gli permettono neppure di aspettare il
buio. Il vino dà la rassegnazione al poveraccio che non
comanda un cavolo, che è appena uscito dalla settima azione e già
vede delinearsi l’ottava”.
L’alcool è però una droga imperfetta; se da un lato induce
euforia e permette di superare l’ansia, dall’altro diminuisce la
vigilanza e la coordinazione motoria del soldato, riducendone la
performance nel combattimento; e di certo non erano migliori gli
effetti dell’etere che, secondo alcune fonti, aveva una diffusione
fra le truppe tedesche, per vincere la paura prima degli assalti alla
baionetta.
Per superare la staticità della guerra di posizione gli
austro-ungarici misero in campo reparti d’assalto (Sturmtruppen),
unità speciali costituite per compiere operazioni di sorpresa contro
le linee nemiche, per catturare prigionieri, creare un continuo stato
di allarme e aprire dei varchi nelle linee avversarie per le truppe
convenzionali. Il reclutamento avveniva per lo più su base
volontaria, fra gli uomini che avevano le caratteristiche
psicofisiche più idonee per le operazioni speciali.
Il grosso dell’esercito ordinario restava composto di un gran
numero di elementi con un profilo psicofisico meno brillante, dotati
di armamenti convenzionali (fucile e baionetta) e addestrati in modo
più sommario.
Le Sturmtruppen rimasero una componente integrata nelle unità di
fanteria, con il compito spesso di trascinare negli assalti la massa.
Proprio questi reparti servivano a modello per la creazione in
Italia dei reparti di arditi. Questi nacquero nell’estate del 1917
in seno alla Seconda Armata, comandata dal generale Capello. La
formazione del personale fu particolarmente accurata, con
l’istituzione di poligoni appositamente predisposti, un’accurata
preparazione fisica, e al combattimento corpo a corpo con l’uso del
pugnale e delle bombe a mano.
Una differenza rilevante alle Sturmtruppen fu l’impiego come
vere e proprie unità autonome per operazioni speciali, svincolate
dal sostegno della fanteria.
Queste truppe d’élite nel 1919 in Germania originarono i
Freikorps, unità volontarie che soffocarono nel sangue la
rivoluzione tedesca e furono in seguito i primi quadri del partito
nazista. In Italia molti arditi seguirono D’annunzio nell’impresa
di Fiume e aderirono ai primi Fasci di Combattimento.
Ma l’uno si divide in due. L’influenza della rivoluzione di
Ottobre non poteva non influenzare anche queste truppe di élite. In
Italia nel 1921 si costituirono gli Arditi de Popolo: loro fondatore
fu Argo Secondari pluridecorato tenente delle fiamme nere (Arditi che
provenivano dalla fanteria). La nascita degli Arditi del Popolo fu
annunciata da Lenin sulla
Pravda. In Germania abbiamo persino
il passaggio dai Freikorps alla lotta all’interno del movimento
comunista. Josef “Beppo” Römer uno dei fondatori dei Freikorps
(che aveva contribuito tra l’altro a reprimere la rivolta operaia
della Ruhr nel 1920), nel 1921 entra in contatto con il Partito
Comunista di Germania (KPD) diventandone membro effettivo nel 1932.
Fu un combattete antinazista, fonda il Sozialistiche Front, gruppo di
ex combattenti dei corpi scelti Freikorps formato sia da nazionalisti
che da militanti di sinistra. A seguito dell’infiltrazione di
queste cellule da parte della Gestapo, è arrestato nel febbraio
1942. Condannato a morte il 16 giugno 1944, venne ucciso il 25
settembre di quello stesso anno.
Come si diceva prima, l’alcool è una droga da guerra
imperfetta.
Per questo motivo durante la seconda guerra mondiale
raggiunse una grande diffusione dei nuovi e più efficaci stimolanti
chimici, le anfetamine. Militari americani, inglesi, tedeschi e
giapponesi utilizzarono con larghezza queste sostanze che,
sintetizzate alla fine degli anni ’20, erano state introdotte nella
pratica nel 1936.
Se lo sviluppo delle artiglierie e degli aerei da bombardamento
nei primi decenni del secolo sembrava aver ridotto il ruolo del
singolo combattente, l’impiego, durante la seconda guerra mondiale,
di truppe addestrate per operazioni speciali portò nuovamente alla
ribalta l’importanza del fattore umano.
Il reparto di paracadutisti tedesco della settima divisione
aviotrasportata che nel maggio 1940 sbarcò con gli alianti sopra al
poderoso forte belga di Eben Emael e riuscì a espugnarlo,
poteva
contare fra l’equipaggiamento anche su compresse di Pervitin,
anfetamine utili per sostenere un impegno fisico così intenso. Più
tardi nel corso della seconda guerra mondiale i servizi
d’informazioni alleati ipotizzarono l’impiego, da parte degli
aviatori tedeschi della Luftwaffe, di un derivato surrenalico, detto
Composto E che avrebbe consentito loro una maggiore resistenza fisica
ai voli ad alte quote. Fu condotto un intenso programma di ricerche,
sotto la guida dell’endocrinologo Kendall (premiato con il Nobel
nel 1950), fino a quando non fu scoperto che i piloti tedeschi
usavano anfetamine; gli studi alleati portarono alla scoperta del
cortisone.
Durante il conflitto sarebbero stati forniti alle sole truppe
britanniche più di settanta milioni di compresse di anfetamina e non
è un caso che in Giappone, nell’immediato dopoguerra, furono
immessi sul mercato civile gli enormi stock di questa sostanza,
prodotti per uso militare. Questo surplus di farmaci diede luogo
in quel paese a una vasta diffusione della tossicodipendenza da
anfetamine, “ice che ”, smerciate dalla yakusa, che ebbe il suo
culmine di propagazione negli anni ’50, con circa 600.000
tossicomani, quando si tentò di stroncarlo con drastiche , misure
repressive. Le gang giapponesi, tra cui le maggiori erano Yamaguchi
Gumi e Sumiyoshi Renco arrivarono a gestire le grosse fabbriche
clandestine di anfetamine anche nella Corea del Sud, con l’appoggio
o per la benevola indifferenza del servizio segreto sudcoreano.
Nella seconda guerra mondiale, dal 1944 alla fine del conflitto
migliaia di aviatori giapponesi si sacrificarono in attacchi suicidi
di massa contro la marina americana. Il fenomeno dei Kamikaze fu una
caratteristica del Giappone e non ebbe equivalenti negli altri
esercitici partecipanti al conflitto. Non che non ce ne siano stati:
per esaltazione, perché non c’erano vie di scampo, per scelte
morali (per salvare altre persone per esempio). Ma nella cultura e
nella morale occidentale il suicidio è un male, di cui è al massimo
ammessa una scusante in casi eccezionali. Nella cultura giapponese
invece il sacrificio della propria vita ha riscosso l’approvazione
sociale e ciò affonda le sue radici fin dall’antichità. Secondo
lo shintoismo, l’imperatore era un Dio vivente e il meno che gli si
poteva offrirgli era la propria vita. Lo shintoismo, che dal 1868 era
diventato religione di stato, vi sono le più antiche religioni
orientali come il confucianesimo e il buddismo, caratterizzate da
alcuni elementi comuni come il disprezzo della vita terrena e della
morte, l’esaltazione della pura spiritualità e del misticismo. Se
per Confucio il suicidio come nella antichità classica greca e
latina era una possibilità accettabile, per i giapponesi divenne
addirittura un fine, il coronamento di un’esistenza dedicata al
Bushido, “la via del guerriero”. Anche nel buddismo Zen e nel
Mikko esoterico dei monaci Yamaguchi il ripudio dell’Io materiale,
l’indifferenza per qualsiasi dolore fisico e la ricerca della morte
sono considerati i mezzi più idonei per raggiungere il nirvana, il
nulla e il tutto.
Gli antichi samurai erano la quintessenza vivente dei principi
etici ed estetici della società giapponese tradizionali. Militarismo
e religiosità sono due entità inseparabili e complementari per la
cultura “dell’impero flottante” e il Bushido.
Negli anni ’30 l’ideologia ultranazionalista propagandata da
innumerevoli sette segrete come i Draghi Neri, la Società del
Ciliegio, appoggiati dalle potenti lobbies industriali Zaibatsu,
contagiò tutti gli strati della società e in particolare le forze
armate. Dopo le facili vittorie ottenute in Manciuria e nel Kwantug
contro l’esercito cinese, l’alto comando nipponico impose a un
governo indebolito il piano strategico di espansione in tutto
l’Estremo Oriente, provocando alla fine lo scontro con
l’imperialismo statunitense. Da questi presupposti storici,
un’analisi psicologica che l’estremo autocontrollo, su cui era
basata tutta la società nipponica, nei rapporti interpersonali,
nelle arti e nella cultura, era destinata a far sì che tutti i
soldati carichi di questo fanatismo mistico, abituati a una
disciplina durissima e molto motivati, si dimostrarono in guerra dei
combattenti spietati e insensibili sia verso il nemico sia nei loro
stessi confronti.
Da questi presupposti risulta più comprensibile il fenomeno dei
kamikaze. Già nei primi anni della guerra nel Pacifico numerosi
aviatori giapponesi si erano sacrificati lanciandosi contro i mezzi
nemici ma si trattava di fatti individuali e non codificati. Dalla
fine del 1943 le sorti del conflitto erano mutate e le forze
imperiali giapponesi, dapprima credute invincibili, erano state
costrette alla difensiva.
Il 15 ottobre 1944 il contrammiraglio Masabumi Arima, comandante
della prima flotta aerea della marina imperiale, attaccò con il suo
reparto la Task Group 38/4 dell’U.S. Navy e, tra lo sgomento dei
suoi ufficiali, si lanciò deliberatamente contro la nuova grande
portaerei Franklin che subì danni gravissimi e oltre 900 morti.
L’esempio di Arima ebbe un peso determinante per la costituzione di
reparti speciali denominati kamikaze, Vento divino, in ricordo
dell’uragano che nel 1281 distrusse la flotta d’invasione mongola
di Kublai Khan che si apprestava di invadere il Giappone.
Tattiche suicide furono applicate anche in campo navale, con
l’utilizzo di minisommergibili e motoscafi esplosivi. In campo
terrestre furono poi adottati armi anticarro come cariche cave
montate su aste di legno, così pericolose da provocare di solito la
morte dell’utilizzatore.
In Europa nel campo nazista anche se non furono costituiti
specifici reparti suicidi, è interessante considerare che alcuni
reparti delle Waffen SS, come la Panzer Divisionen Hitlerjugend,
riuscirono a mantenere intatta la coesione e la catena di comando
dopo aver subito la perdita oltre il 60% degli effettivi in lunghi
periodi di operazioni continuate.
Analogamente ci furono reparti costituiti da anziani
ultracinquantenni e da adolescenti che resistettero fino all’ultimo
durante la battaglia di Berlino, nel maggio 1945.
Nel campo degli eserciti anglosassoni furono sviluppati reparti
d’élite, come i paracadutisti e i commandos. Nell’estate del
1940, dopo la caduta della Francia, nell’ambito del commando
inglese si sviluppò con l’appoggio dello stesso primo ministro
Churchill l’idea di costituire piccoli reparti speciali con cui
condurre incursioni sulle coste nord dell’Europa per mostrare al
nemico la volontà del Regno Unito di continuare la lotta. Tali
operazioni avevano più che altro un valore simbolico ma costituirono
l’inizio della tradizione dei corpi speciali che vennero ad avere
un’importanza sempre maggiore negli anni del dopoguerra.
Ai commandos inglesi ben presto si affiancarono da parte USA, i
reggimenti dello Special Air service, i rangers.
Anche i tedeschi e gli italiani costituirono unità di commandos.
L’Ufficio Tedesco per lo Spionaggio e Controspionaggio (OKW Amt
Ausland/Abwehr) formò i Brandenburger nel dicembre 1939. Essi
condussero un misto di azioni allo scoperto e sotto copertura, ma
divennero sempre più coinvolti in azioni di fanteria e alla fine
divennero una divisione di Panzer-Grenadier, che soffrì pesanti
perdite in Russia. Otto Skorzeny (noto principalmente per la
liberazione di Benito Mussolini) condusse diverse operazioni speciali
per conto di Adolf Hitler. In Italia l’unità speciale più famosa
fu la Xª Flottiglia MAS, che fu responsabile dell’affondamento e
del danneggiamento di un considerevole numero di unità Alleate nel
Mediterraneo, grazie al coraggio, alla determinazione e
all’addestramento dei suoi uomini. Dopo l’8 settembre 1943,
quelli di loro che continuarono a combattere con la Germania
mantennero il nome originale, mentre quelli che si schierarono con
gli Alleati cambiarono il nome in Mariassalto.
Negli anni della cosiddetta “guerra fredda” tutte le nazioni
della NATO costituirono reparti analoghi, mentre i paesi del campo
socialista si organizzavano sul modello russo, paracadutisti o
spetstnaz. Questa tendenza fu imitata dalle cosiddette “nazioni non
allineate” e i reparti speciali sono stati impiegati con successo
in tutti in conflitti dal secondo dopoguerra fino a oggi. L’emergenza
rappresentata dalla “minaccia terroristica” (in realtà sviluppo
delle opzioni rivoluzionarie all’interno dei paesi imperialisti)
dagli anni ’70 portò un’ulteriore specializzazione, con
l’istituzione di “gruppi antiterrorismo” come i GSG-9 della
Germania Ovest, la Delta amerikana e il GIGN francese.
Il crollo del revisionismo moderno ha portato infine a un generale
ridimensionamento di tutti i maggiori eserciti con la rinuncia alla
leva di massa e la tendenza a impiegare quasi esclusivamente reparti
costituiti da professionisti. In un certo senso sembra che il ciclo
degli eserciti di massa che si era aperto con la Rivoluzione francese
si stia chiudendo. Resta il problema della motivazione e
dell’addestramento.
Nel caso dei corpi speciali caratteristiche
comuni sono l’esasperato orgoglio di appartenenza e lo spirito di
corpo, simboleggiato anche da particolari dell’uniforme (ad
esempio il berretto rosso dei parà o la maglia a strisce blu delle
forze speciali russe), dell’equipaggiamento e dell’armamento. Le
durissime prove fisiche e psichiche che i candidati volontari devono
superare per essere integrati in questi reparti e l’elevata
percentuale di scartati rappresentano un vero e proprio rituale
iniziatico molto simile in tutti gli eserciti.
Tecniche d’interrogatorio, armi psicochimiche, controllo mentale
e guerra psicologica
L’origine della narcoanalisi (tecnica nata per fini
psicoterapeutici e parallelamente anche giudiziari) trae le sue
origini dal motto latino “in vino veritas”.
Secondo alcune fonti risulta che presso le sette di guerrieri
ninja, nel Giappone del XV secolo, era applicata una tecnica definita
del “ricordo totale” cui erano sottoposti gli agenti specialisti
che compivano le ricognizioni in profondità dentro il territorio
nemico. Questa tecnica avrebbe dovuto consentire di estrarre dalle
loro menti, nel più breve tempo possibile, ogni informazione
immagazzinata anche a livello subconscio durante le missioni.
Sarebbero esistite due varianti di questa tecnica
d’interrogatorio. Nella prima l’agente era posto in una “stanza
della memoria” completamente dipinta di bianco, dove eseguiva
esercizi di meditazione per ottenere uno stato di trance. Di fronte a
lui si trovava un basso tavolo bianco, su cui erano posati dei fogli
di carta nera, pennello e inchiostro. Il ninja scriveva rapidamente
tutti i dettagli sulla carta ed essendo questa nera, come
l’inchiostro usato, nulla poteva disturbare il suo stato di trance.
Non c’era nessuna ragione per alcun personale attaccamento alle
esperienze vissute, semplicemente un freddo ricordo totale. Più
tardi il rapporto poteva essere reso leggibile, bagnandolo con un
acido che faceva virare verso il rosso il colore dell’inchiostro.
Dopo la scrittura l’agente era fatto riposare mentre i suoi
superiori analizzavano gli scritti; poi era svegliato e interrogato a
voce. Terminato l’interrogatorio, l’agente era lasciato solo e in
stato di meditazione compiva uno speciale rituale per cancellare
dalla sua memoria ogni ricordo di ciò che aveva visto, contemplando
due ideogrammi cinesi il cui significato era in concetto di
cancellazione dei ricordi.
Il foglio era poi bruciato sulla fiamma di una candela e
contemporaneamente ogni memoria della missione era cancellata dalla
sua mente. Tutto il processo richiedeva circa dieci ore; esisteva un
metodo rapido per il ricordo totale in meno di un’ora che metteva
tuttavia in pericolo la salute psichica dell’agente e che per
questo motivo era impiegato soltanto nei casi di grave urgenza.
In Cina, negli alti gradi delle Triadi, erano praticate delle
tecniche di ascesi basate sull’uso delle droghe estatiche e sullo
yoga con controllo della respirazione. La magia, estremamente diffusa
in tutti gli strati sociali, era utilizzata per ottenere il controllo
della psicologia individuale e collettiva. In particolare all’interno
di queste società segrete avevano un ruolo molto importante i Tai
Feu Ciu, esperti di medicina tradizionale e in tossicologia e
responsabili anche dell’uso di veri e propri “sieri della
verità”.
In Occidente i primi esperimenti scientifici d’interrogatorio
con l’uso di sostanze psicoattive risalgono alla metà del XIX
secolo, quando Moreau de Tours impiegò nel 1845 la Cannabis. Sauver
nel 1847 praticò la somministrazione di etere, Mantegazza usò nel
1866 la cocaina, Obernier nel 1873 l’alcool, Kallitsch la
scopolamina e Longre infine una miscela di oppio e morfina.
Nel 1936 Horsley utilizzò per la prima volta il termine
“narcoanalisi” in occasione degli esperimenti su soggetti
trattati con pentotal sodico per fini psicoterapeutici. Il termine
“siero della verità” era stato usato per la prima volta nel 1931
da House che interrogò un individuo sospettato di furto, con
l’impiego di una miscela di morfina e scopolamina. Ma fu il
Pentotal a meritarsi l’appellativo di siero della verità. Il
Pentotal e in generale i Sali dell’acido tiobarbiturico trovarono,
infatti, il loro impiego per indurre narcosi se iniettati endovena in
soluzione (5-10 milligrammi per chilo di peso). La perdita di
coscienza interviene dopo 10-20 secondi, il tempo richiesto perché
il farmaco arrivi al cervello. La profondità dell’anestesia è
raggiunta quasi instantemente e quindi scema progressivamente fino al
risveglio, che si manifesta nel giro di 5-20 minuti. L’anestesia
generale da tiopentale deriva dalla soppressione del sistema
reticolare attivato del tronco dell’encefalo. Tuttavia nella
pratica anestesiologica si possono osservare risposte eccitatorie
disinibitorie con dosi insufficienti (1-2 mg/kg) o durante la fase
d’induzione e risveglio. È quasi certo che tali risposte siano
dovute principalmente alla depressione di circuiti inibitori
(probabilmente di tipo GABA energetico) che permette la
manifestazione cosciente di ricordi, espressioni verbali o
comportamentali fino a quel momento represse. È proprio questa
potenzialità della sostanza che la rende interessante come “siero
della verità”.
La tecnica differiva leggermente a seconda che si volesse
utilizzare per l’interrogatorio del soggetto il periodo
pre-narcotico o quello post-narcotico.
Volendo utilizzare il primo si somministrava lentamente una dose
molto ridotta di farmaco (1-2 mg per chilogrammo di peso del
soggetto) fino a ottenere il grado di sub narcosi necessario. Se si
voleva utilizzare il periodo pre-narcotico s’iniettava una dose
adatta a ottenere un breve sonno (5-10 mg/kg) e poi dopo un’attesa
di qualche minuto s’iniziava a porre domande al soggetto.
Il periodo pre-narcotico si dimostrava in genere più utile;
durante questa fase il soggetto presentava ipermnesia (95% dei casi),
euforia (90%) e crisi psico-affettive (60%). Soltanto il 10% dei
soggetti presentava mutismo e non poteva quindi offrire risposte
utili all’esaminatore.
Durante la seconda guerra mondiale fu sperimentato nel campo di
Dachau anche l’impiego di mescalina come nuovo “siero della
verità” per la polizia politica tedesca. I campi di concentramento
istituiti a partire dal 1933 in tutti Lander del territorio tedesco
richiesero un personale di oltre 40.000 uomini, costituito oltre che
dai sorveglianti, anche da un largo numero di inquisitori della
Gestapo specificamente addestrati.
Le teorie sviluppate dal colonnello delle SS Theodor Eicke, primo
comandante del campo di Dachau, circa l’addestramento delle
guardie, furono adottate da Himmler, comandante supremo delle SS, per
tutta l’organizzazione. Lo stato di totale degradazione in cui
erano tenuti i prigionieri aveva lo scopo di soggiogare
completamente, umiliandole, le vittime che dal loro punto di vista
rappresentavano la “feccia della società”, la “razza
inferiore” da cui doveva difendersi il popolo tedesco. La base del
potere assoluto esercitato dalla Gestapo in tutti i paesi occupati
era data dal decreto che prendeva il nome di “Notte e nebbia”,
promulgato da Hitler il 07.12.1941, secondo il quale chiunque, di
qualsiasi nazionalità, fosse sospettato di attentare alla sicurezza
del Reich, poteva essere internato senza processo. In seguito, il 19
marzo 1942, la commissione del Reich per l’Olanda aveva stabilito
anche la possibilità per le SS di agire al di fuori di qualsiasi
legge esistente e di prendere provvedimenti a carico degli imputati
per limitare il crescente numero di prigionieri.
Le forze di polizia delle SS erano state ricostituite nel
settembre del 1939 sotto la suprema giurisdizione dell’ufficio di
sicurezza del Reich, RSHA. In questo modo era stata annullata ogni
distinzione tra esecutivo del partito e l’esecutivo dello Stato.
L’RSHA era divisa in vari dipartimenti: servizio segreto interno,
Gestapo e servizio esterno. Tutto il personale portava le insegne
delle SS sulle uniformi, con una predilezione per stivali, guanti,
cappotti e occhiali neri. Questa messinscena serviva a incutere
terrore. È questo un tratto caratteristico, seppure secondario, che
si ritrova in molte polizie segrete, dai Tonton Macoutes di Haiti
agli squadroni della morte sudamericani.
Tutti i membri di questi gruppi di azione dovevano essere
trasformati in assassini insensibili, e, sebbene subissero un
continuo indottrinamento teso della necessità di eliminare le razze
inferiori, spesso come si ricava dalle testimonianze al processo di
Norimberga di alcuni ufficiali superiori, dovevano essere “aiutati”
con l’alcool o con altri sedativi e molti di loro finiscono per
soffrire di gravi disturbi psichici.
Per estorcere confessioni accanto all’impiego di “sieri della
verità” furono sviluppate, soprattutto da parte di molte polizie
politiche tecniche speciali d’interrogatorio. Nell’URSS di
frequente gli interrogatori erano condotti di notte, per approfittare
della minore resistenza provocata dal sonno. Un’altra tecnica
consisteva nella persuasione della “sincerità” con cui era
interrogato il prigioniero convincendolo a firmare la confessione.
Molto vicino alle torture fisiche era l’impiego di altri mezzi la
continua stimolazione sonora e luminosa, che impediva il sonno al
prigioniero e ne ostacolava i pensieri.
Una tecnica particolare impiegata spesso in passato dai militari
inglesi nell’Irlanda del Nord per ottenere informazioni dai
prigionieri, senza utilizzare sostanze psicoattive, si basava sulla
deprivazione sensoriale. I militanti dell’IRA catturati erano
tenuti con la testa costantemente coperta da un pesante cappuccio
nero, tranne che durante gli interrogatori, e assordati da un suono.
Privati di cibo e acqua per periodi prolungati erano costretti a
rimanere per molte ore in una scomoda posizione in punta di piedi,
con la faccia al muro, a gambe divaricate.
Questa tecnica produceva una forte riduzione di tutte le capacità
sensitive, creando uno stato di grande ansia e a volte alterazioni
profonde della coscienza dei prigionieri (molti giunsero ad avere
delle allucinazioni).
L’impiego di sostanze psicoattive su larga scala per ridurre la
capacità combattiva dell’avversario è una tecnica applicata, come
tale, soltanto in anni relativamente recenti.
Nel XVIII secolo le tribù dei nativi del Nord America subirono
gli effetti degli alcolici introdotti dai coloni in arrivo
dall’Europa; l’ebbrezza causata dall’”acqua di fuoco” ebbe
effetti sconvolgenti sulle abitudini e sui rituali di queste
popolazioni, indebolendone la capacità di combattere.
I giapponesi condussero un’azione d’intossicazione in grande
stile ai danni della Cina, quando, a partire dai primi anni del XX
secolo, alimentarono un attivissimo commercio clandestino di morfina
e di eroina.
Dalle iniziali cinque tonnellate introdotte in Cina dal 1900 al
1907, si giunse nel solo 1917 ad esportare clandestinamente più di
diciassette tonnellate. La droga era fatta penetrare in enormi
quantitativi, nel territorio del Kwangtung, attraverso la concessione
di T’ien-tsin e la regione di Chingking (dove nel 1931 esistevano
un centinaio di fabbriche di morfina).
Nel 1937, quando l’esercito nipponico invase la Cina, la
diffusione dell’uso della droga in ampie fasce della popolazione
aveva diminuito considerevolmente la capacità difensiva del paese.
In Occidente, durante il primo conflitto mondiale, la chimica
militare, che già nel secolo precedente aveva rivoluzionato l’arte
della guerra con l’invenzione delle polveri infumi per le armi a
retrocarica, ritornò alla ribalta con lo sviluppo degli aggressivi
chimici. Il primo impiego bellico si ebbe il 22 aprile 1915 a Ypres
dove i tedeschi lanciarono un violento attacco contro le linee
francesi usando il cloro.
Negli anni del primo dopoguerra le principali nazioni imperialiste
continuarono a perfezionare gli agenti chimici e le loro tecniche
d’impiego.
L’arma chimica ebbe un progresso fondamentale negli anni ’30
quando furono preparati in Germania nuovi aggressivi ad azione
selettiva. Non si trattava più di agenti con una grossolana azione
sulla cute o le vie respiratorie ma di sostanze con una potente
interferenza specifica sulla neurotrasmissione; era iniziata l’era
dei gas nervini. Nel 1936 fu preparato il Tabun e nel 1938 il Sarin,
che sono degli aggressivi estremamente letali, ancora in dotazione
negli arsenali degli Stati Uniti e dell’ex Unione Sovietica.
Durante il secondo conflitto mondiale nessun esercito utilizzò
gli aggressivi chimici, tuttavia entrambe le parti avevano
consistenti riserve di gas e avvenne anche qualche incidente come
quello di Bari nel dicembre 1943 dove la nave alleata John Harvey,
carica della “vecchia”, ma sempre efficace iprite, fu colpita da
bombardieri tedeschi; nel disastro perì un centinaio di persone e
tutto rimase segreto per parecchi anni dopo la guerra.
Fin qui si è descritta in breve storia degli aggressivi chimici
convenzionali, vediamo adesso quelli “non convenzionali”.
Negli anni ’50 l’attenzione dei ricercatori militari si
concentrò sullo sviluppo degli agenti psicochimici, in grado di
neutralizzare il nemico senza ucciderlo, risparmiando ogni danno ai
materiali. In questi anni le armi chimiche riacquistavano quel ruolo
di primo piano che avevano avuto durante il primo conflitto mondiale.
Furono studiati nuovi agenti chimici in grado di alterare
temporaneamente e reversibilmente la coscienza senza danneggiare il
corpo.
La storia degli aggressivi chimici inabilitanti psichici ha
origine il 19 aprile 1943, per opera del chimico svizzero Albert
Hoffman. Presso il laboratorio della Sandoz di Basilea erano in corso
già da cinque anni esperimenti sugli alcaloidi contenuti nella
segala cornuta, quando decise di sperimentare su di sé gli effetti
della dietilamide dell’acido lisergico aprendo così la porta a
quello che sarebbe stato chiamato il periodo della “rivoluzione
psichedelica”. La sostanza nota come LSD è un derivato
semisintetico, completamente inodore, insapore e incolore, della
segala cornuta, prodotta dalla Clavicep purpurea, un fungo che
infetta i cereali. Già da molti secoli erano noti gli effetti
dell’ingestione del fungo, che davano luogo a epidemie
d’intossicazione (ergotismo); uno dei sintomi più caratteristici
nei soggetti colpiti era un grave disturbo della coscienza con
allucinazioni.
Gli effetti principali dell’LSD consistono in vertigini,
astenia, offuscamento della vista, distorsione della prospettiva,
illusioni e allucinazioni; hanno un inizio rapido e la durata è
dipendente dalla dose (la dose media necessaria per indurre
modificazioni della coscienza è assai ridotta, nell’ordine di un
microgrammo per ogni chilogrammo di peso, e ciò ne fa uno degli
agenti farmacologici più potenti).
Da qui allo studio di possibili applicazioni militari di una
sostanza così potente il passo fu breve, il padre dell’LSD,
Hoffman, dichiarò di non essersene mai voluto occupare. A queste
ricerche lavorarono però i ricercatori militari statunitensi. I
primi progetti si proponevano di usare l’LSD per smascherare le
spie.
La CIA utilizzò l’LSD nel famigerato progetto MKULTRA .
Sin dalla seconda guerra mondiale, i nazisti iniziarono a svolgere
le ricerche coadiuvate dall’Istituto Medico Kaiser Wilhelm di
Berlino sul controllo mentale indotto da trauma.
Grazie al Progetto Paperclip, con il quale il governo statunitense
promosse la risistemazione di circa 2000 nazisti d’alto livello
negli U.S.A., gli studi sulla tecnologia di programmazione del
controllo mentale avanzarono rapidamente.
A partire nel secondo
dopoguerra, industrie private, strutture militari, e gli apparati
politici degli U.S.A. e dell’ex URSS, anno finanziato e gestito
esperimenti occulti sul controllo delle masse.
Il 1° giugno 1951,
alti ufficiali dell’esercito e dei servizi segreti degli Stati
Uniti, Canada e Gran Bretagna, convocarono un piccolo gruppo di
psicologi a un meeting segreto all’Hotel Ritz-Carlon di Montreal,
per discutere le “tecniche comuniste di controllo del pensiero”.
I ricercatori occidentali erano convinti che il successo comunista
dovesse essere il frutto di alcune misteriose e sensazionali scoperte
scientifiche. Fu così che nel successivo mese di settembre, gli
scienziati americani, pianificarono un programma top segret sulla
modificazione del comportamento umano: MKULTRA.
Il progetto MKULTRA si trattava di tutta una serie d’attività
svolte dalla CIA che avevano come scopo quello influenzare e
controllare il comportamento delle persone (controllo mentale).
Uno
degli scopi del progetto fu di modificare il livello di percezione
della realtà di alcune persone, costringendole a compiere atti senza
rendersene conto; un altro degli scopi del progetto era di creare
degli assassini inconsapevoli (candidati Manciuriani).
Nel 1977,
grazie alla legge sulla libertà d’informazione, furono derubricati
alcuni documenti che testimoniavano la partecipazione della CIA al
programma.
Il progetto fu portato all’attenzione dell’opinione
pubblica per la prima volta dal Congresso degli Stati Uniti e da una
commissione chiamata Rockefeller Commission.
Tale commissione pubblicò un documento che diceva: “
Il
direttore della CIA ha rilevato che oltre 30 tra università sono
coinvolte in un programma intensivo di test che prevede l’uso di
droghe su cittadini non consenzienti appartenenti a tutti i livelli
sociali, alti e bassi, nativi americani e stranieri. Molti di questi
test prevedono la somministrazione di LSD. Almeno una morte, quella
del Dr. Olson, è attribuibile a queste attività”.
Il
progetto MKULTRA fu ordinato dal direttore della CIA Allen Dulles il
13 aprile 1953, nel 1964 fu rinominato MKSEARCH poiché stava
specializzando nella creazione del cosiddetto siero della verità,
sostanza che sarebbe poi usata per interrogare gli appartenenti del
KGB. Dato che quasi tutti i documenti riguardanti l’MKULTRA sono
stati distrutti è in pratica impossibile poter ricostruire tutte le
attività svolte nell’ambito di questo progetto.
I documenti
recuperati fanno presupporre, con sufficiente margine di certezza,
che la CIA abbia usato radiazioni e LSD al fine di controllare le
menti delle cavie. Le vittime erano dipendenti della CIA, personale
militare, agenti governativi, prostitute, pazienti con disturbi
mentali e gente comune; in tutto con lo scopo di verificare che tipo
di reazione avessero queste persone sotto l’influsso di droghe e
altre sostanze.
Il Dottor Sydney Gotlieb, l’ideatore di tutti
gli esperimenti, era solito anche torturare le vittime aggiungendo
alla normale dose di droga anche rumore molesti o costringendoli ad
ascoltare frasi offensive.
Ormai è noto che dalla fine della seconda guerra mondiale negli
U.S.A., la Commissione per l’Energia Atomica, il Dipartimento della
Difesa, le Forze Armate, la CIA e le altre agenzie si sono serviti di
detenuti, tossicodipendenti, pazienti psichiatrici, studenti di
college, militari e gente comune, in una serie impressionante di
esperimenti per valutare gli effetti delle radiazioni, dell’LSD e
del gas nervino, fino a l’applicazione di violenti shock elettrici
e prolungati “stati di deprivazione sensoriale”. Solo poche, di
queste persone, sapevano a cosa andavano incontro; la maggioranza ne
era totalmente inconsapevole e non immaginava neppure di far parte di
un esperimento.
In seguito il programma MKULTRA diventerà noto,
per i suoi studi pionieristici sull’LSD, spesso condotti su
detenuti o frequentatori di bordelli organizzati e gestiti dalla CIA.
Gli esperimenti nei bordelli, noti come Operation Midnight Climax,
prevedevano l’uso di specchi semitrasparente che permettevano agli
agenti di osservare gli effetti dell’LSD sul comportamento
sessuale. Ironia della sorte, nell’ambito del programma di tanto in
tanto i funzionari governativi aggiungevano LSD ai drink dei colleghi
e uno dei risultati sarà il suicidio per psicosi del dottor Frank
Olson.
In udienza del 1977, l’allora direttore della CIA
Stanfield Turner disse di aver constatato l’uso di sperimentazioni
deprecabili e promise che la CIA stessa avrebbe fatto tutto il
possibile per rintracciare e informare le persone, una ad una,
utilizzate negli esperimenti. La verità è che memorandum interni e
deposizioni rese da agenti della CIA in un processo contro l’agenzia
hanno rilevato che delle centinaia di “soggetti da esperimento”
usati nel programma CIA di controllo della mente, solo 14 furono
informate e solo uno fu risarcito. A queste 14 persone, a loro
insaputa, era stato somministrato LSD dagli agenti della CIA, nel
novero di test sugli effetti di questa droga in uno scenario
“realisticamente operativo”.
Negli anni ’50 Cameron, aveva
sviluppato un metodo per trattare gli psicotici utilizzando quello
che chiamava “rimodellamento” e “ricondizionamento psichico”.
Cameron richiese alla Society for the investigation of Human Ecology
(un ente di copertura della CIA creato per supportare la ricerca sul
controllo del comportamento) l’approvazione di una procedura
consistente nella distruzione di modelli continuativi del
comportamento dei pazienti per mezzo di elettrochock particolarmente
intensi (rimodellamento) e, in alcuni casi, con massicce dosi di LSD.
Il trattamento prevedeva sedute consistenti nell’ascolto forzato
(16 ore al giorno per sei o sette giorni) di messaggi registrati,
mentre il paziente era tenuto in parziale isolamento sensoriale.
Nella sua petizione, Cameron, proponeva di provare una varietà di
droghe, incluso il curaro da paralisi, come parte di una nuova
tecnica di “disattivazione del paziente”.
La CIA attraverso
l’Human Ecology Society fornì una sovvenzione di 60.000 dollari.
Nove pazienti ricoverati per cure antidepressive, alcolismo e altri
problemi c/o Memorial Institute intentarono una causa contro la CIA
nel 1979. Una paziente, Rita Zimmerman, fu “rimodellata” con 30
sedute di elettroshock, seguite da 56 giorni di sonno indotto da
droghe, il che sfociò in una sindrome da incontinenza. Altri
soggetti invece, subirono danni permanenti al cervello, persero il
lavoro o in ogni caso la loro salute peggiorò.
Indicativo è il caso di L. Gamble ufficiale dell’aeronautica
statunitense, nel 1957 volontariamente prese parte a un test
dell’Army Chemical Warfare Laboratories (i lavoratori militari).
Era stato informato che avrebbe provato maschere antigas e
dispositivi di protezione. Invece, come poi apprese nel 1975, a lui e
ad altri 1000 soldati era stato somministrato l’LSD. Gamble
cominciò ad accusare perdite di memoria, periodi di grande
depressione, ansia e comportamento violento. Tentò il suicidio nel
1960, perse il suo nullaosta di sicurezza top-secret e si congedò
anticipatamente nel 1968.
Quando poi venne a sapere che aveva
ingerito LSD, chiese di essere risarcito. Il Dipartimento della
Giustizia rifiutò la sua richiesta perché non pervenuta in tempo
utile, l’Amministrazione dei Veterani gli negò i contributi
d’invalidità, perché l’uomo non presentava segni d’invalidità
permanente.
Il governo USA addusse diverse motivazioni per
giustificare gli esperimenti, da progetti tesi al discredito di
politici stranieri, all’addestramento di speciale personale
militare. Le forze armate hanno esposto 3000 soldati al BZ, un
potente allucinogeno allora sviluppato come arma chimica, una droga
che attacca il sistema nervoso, causa vertigini vomito e paralisi.
I
primi esperimenti sul controllo del comportamento facevano parte di
un progetto della Marina del 1947, chiamato Operation Chatter per
individuare e testare “i sieri della verità”, simili a quelli
usati nell’U.R.S.S. per interrogare le spie. Tra i farmaci provati
su soggetti umani, la mescalina e la scopolamina, un depressore del
sistema nervoso centrale. Nel 1951 questo progetto fu rinominato
Artichoke con l’avvio di esperimenti medici su soggetti umani per
provare su soggetti umani l’efficacia di LSD, il pentotal e
l’ipnosi negli interrogatori.
In uno studio realizzato nel 1952
dalla commissione governativa Psychological Strategy Board. Si
predispose un programma di ricerca sul controllo del comportamento.
Gli esperti, dopo avere definito il lavaggio del cervello adoperato
dai comunisti “una serie minaccia alla specie umana”,
sollecitarono l’impiego di droghe e shock elettrici negli studi
clinici da condurre in condizioni di segretezza. Nello studio si
discuteva persino il potenziale di lobotomia arguendo che “
se
fosse stato possibile sperimentarla sui membri del Politburo,
la Russia non sarebbe stata più un problema”,
nonostante vi si sottolineasse che le cicatrici chirurgiche
rendessero il suo impiego proibitivo.
Nel 1955, le Forze Armate
promossero una ricerca alla Tulane Aniversity attraverso la quale nel
cervello di individui affetti da turbe psichiche furono introdotti
elettrodi per misurare gli effetti di droghe psichedeliche. In altri
esperimenti, dei volontari furono tenuti in camere di deprivazione
sensoriale per almeno 130 ore, bombardati con rumori di fondo e
messaggi subliminali fino all’insorgere in loro dei primi sintomi
allucinatori. Tutto questo aveva l’obiettivo di “riconvertire”
gli individui sottoposti a questo trattamento.
In un libro di Franco Fracassi
L’INTERNAZIONALE NERA si
parla della Colonia Dignidad, una località che si trova va 340 Km a
sud di Santiago del Cile, che era un centro di smistamento logistico
dei nazisti in fuga nel secondo dopoguerra, ma soprattutto un centro
di addestramento di forze militari e paramilitari anticomuniste.
Ebbene si afferma in questa colonia “
si tennero anche
esperimenti di uno dei programmi più tristemente famosi portati
avanti dalla Cia fino all’inizio degli anni Settanta: MKULTRA.
Lavaggio del cervello, controllo dell’essere umano attraverso
l’ipnosi e le droghe. In questo pezzo di Baviera ai piedi
delle Ande persero la vita, o la ragione, centinaia di soldati
statunitensi usati come cavie per MKULTRA”.
Tutto questo nasce dalla collaborazione che si creò dalla fine
della seconda guerra mondiale tra nazisti e potenze imperialiste
occidentali contro quello che il comune nemico: il comunismo. Gehlen
uno dei sei capi dei servizi segreti nazisti ha raccontato nelle sue
memorie, come Allen Dulles cercò di agganciarlo in tutti i modi:
“
Alla fine di dicembre 1944 i colloqui arrivarono a buon fine.
Ricordo bene i termini dell’accordo con l’Oss. Che un servizio
segreto clandestino tedesco potesse continuare ad esistere e
raccogliere informazioni nell’Est, come aveva fatto fino ad allora.
La base dei nostri comuni interessi era la difesa contro il
comunismo. Che questa organizzazione non avrebbe lavorato
per o sotto gli americani, ma insieme agli americani. Che
l’organizzazione sarebbe stata finanziata dagli Stati Uniti. Che i
servizi americani si sarebbero impegnati ad aiutare chiunque fosse
stato proposto dall’organizzazione come un soggetto in pericolo”.
Si è venuto a saper agli inizi degli anni ’90 che anche
l’esercito britannico negli anni ’70 condusse esperimenti sui
propri militari.
Secondo la celebre e abusata definizione di Karl von Clausewitz la
guerra non sarebbe che “
il proseguimento della politica con
altri mezzi”.
Nell’ambito dei mezzi di controllo politico dell’avversario e
degli oppositori interni si distinguono fra le attività di guerra
psicologica quelle di propaganda, destinate al tempo di pace e quelle
di guerra psicologica propriamente detta, tipica del tempo di guerra.
Le operazioni psicologiche o manovre psicologiche (in inglese
PSYOPS Psychological operations) sono un metodo utilizzato dalle
istituzioni militari definibile come un complesso di attività
psicologiche messe in atto mediante l’uso programmato delle
comunicazioni, pianificate in tempo di pace, di crisi e di guerra,
dirette verso gruppi o obiettivi “amici”, neutrali o nemici
(governi, organizzazioni, gruppi o individui) al fine di influenzarne
i comportamenti che incidono sul conseguimento di obiettivi politici
e militari.
C’è una versione che afferma che
L’arte della guerra,
sarebbe il frutto di un lavoro collettivo di un gruppo di generali
che circa 2300 anni fa sintetizzarono per iscritto l’esperienza
collettiva, ereditata da antiche tradizioni orali. Sun Tzu mostra che
la guerra è uno degli strumenti a disposizione del potere politico
per conseguire i suoi fini, ma è anche un mezzo politico-militare
particolarmente delicato poiché dal suo uso dipende la salvezza o
meno dello Stato: risulta chiaro la subordinazione della guerra alla
sfera politica e la preoccupazione per la conservazione –
riproduzione del potere, Sun Tzu anticipa a più di due millenni la
famosa definizione di Clausewitz sulla guerra come prosecuzione della
politica con altri mezzi. Perciò nel quadro della centralità
dell’obiettivo politico rispetto al mezzo bellico che Sun Tzu dice:
“
Perciò,
combattere e vincere cento battaglie non è
prova di suprema eccellenza:
la suprema abilità consiste
nel piegare la resistenza (volontà) del nemico senza combattere”
il principio noto come strategia indiretta: la suprema abilità
consiste nel giungere nelle migliori condizioni possibili,
costringendo l’avversario nelle peggiori condizioni.
E in quest’ambito che si muove la guerra psicologica.
Le scienze delle comunicazioni, il cui sviluppo è stato pilotato
dalla CIA a partire dagli anni ’50, hanno costituito uno strumento
essenziale della guerra psicologica condotta contro il movimento
comunista, i paesi socialisti e tutti quei paesi che resistevano al
dominio U.S.A.
Gli specialisti del comportamento hanno contribuito a raccogliere
informazioni sugli avversari dell’imperialismo U.S.A., a elaborare
la propaganda, a prevenire i movimenti di liberazione fino a
consigliare gli esperti della tortura.
Quest’alleanza fra mondo scientifico e quello politico è
tuttora operante in tutti i paesi imperialisti.
In un documento dell’esercito degli Stati Uniti redatto nel
1948, riprendendo Sun Tzu definisce così la guerra psicologica:
“
Questa impiega mezzi fisici o etici, oltre alle tecniche
militari ortodosse, tendenti a:
A – Distruggere la volontà e la capacità di combattere del
nemico.
B - Privarlo del sostegno dei suoi alleati.
C - Accrescere in seno alle nostre truppe e in quello dei
nostri alleati la volontà di vincere.
La guerra psicologica impiega qualsiasi arma in grado di
influenzare la volontà del nemico. Le armi sono psicologiche
solamente per l’effetto che producono e non in ragione della natura
delle armi stesse. Quindi, in un quadro di guerra psicologica, la
propaganda palese (bianca), segreta (nera), o grigia – sovversione,
sabotaggio, operazioni speciali, guerriglia spionaggio, pressioni
politiche, culturali, economiche e razziali – sono considerate armi
utilizzabili
Per realizzare questo programma che i servizi segreti reclutano
nelle università gli specialisti di scienze del comportamento”.
Il progetto Troy consisteva nel mobilitare ricercatori per
definire i differenti mezzi disponibili per diffondere la propaganda
statunitense dietro la Cortina di Ferro. L’obiettivo era di
rinforzare il dispositivo Voce dell’America, una rete di
radiodiffusioni creata dal Servizio Informazioni Internazionale un
organismo messo in piedi da Truman. La Voce dell’America era
un’operazione di propaganda bianca, palese; il suo ruolo era di
fare promozione dell’imperialismo U.S.A., mentre il progetto Troy
era propaganda nera.
Inizialmente il progetto Troy doveva essere centrato sulle
radiodiffusioni e su lanci di volantini con palloni sonda.
Nell’ambito di questo progetto, s’istituì lo Psychological
Strategy Board (Commissione per le Strategie Psicologiche), che aveva
lo scopo di studiare la società sovietica con un programma di
colloqui e relazioni con i dissidenti e si creò nel MIT
(Massachusetts Institute of Technology) il dipartimento CENIS (Centro
per gli studi internazionali). Il progetto Camelot consisteva, negli
anni sessanta, nel produrre modelli di contrasto dei processi
nazionali rivoluzionari nei paesi del Terzo Mondo. Camelot
rappresentava l’intensificazione delle relazioni delle relazioni
tra i comportamentisti e i servizi segreti. Lanciato nel 1963, il
piano era destinato a facilitare gli interventi nello Yemen, a Cuba e
nel Congo belga. In Cile il piano Camelot fu messo in atto attraverso
l’intermediazione dell’Organizzazione per la Ricerca sulle
Operazioni Speciali (SORO).
Nel 1937, De Witt, dell’Università di Princeton, crea la
rivista Pubblic Opinion Quarterly (POQ), pubblicò articoli sulla
guerra psicologica. Il consiglio di amministrazione della rivista si
compose dopo la seconda guerra mondiale di specialisti che
partecipano al progetto psicologico della CIA.
Lo studio dei sistemi di comunicazione dei paesi del campo
socialista o che potrebbero essere conquistati dai comunisti permette
di raccogliere informazioni che gli strateghi delle forze terrestri
possono utilizzare lo stesso, valgono per le indicazioni sulle
modalità di diffusione della propaganda bianca e i metodi neri di
diffusione del terrore. Le scienze della comunicazione di massa,
concepite come strumenti di vigilanza e di coercizione, hanno di
conseguenza una vocazione puramente manipolatrice. Molti degli
specialisti della “manipolazione di massa” sono frequentemente
dei marxisti pentiti.
I media occidentali (seguiti dalla varia forza politica di destra,
centro, sinistra ed estrema sinistra) hanno spacciato i colpi di
Stato in Serbia (2000), Georgia (2003), Ucraina (2004) come
rivoluzioni. Lo fanno per ingannare la gente. Il problema è che
questa interpretazione si è associata molto all'estrema sinistra che
si considera “rivoluzionaria”.
Per chiarirsi, questi cosiddetti “rivoluzionari” col parlare
di masse e apparati in modo astratto nascondono la natura della
rivoluzione se democratica borghese o socialista, non dicono quale
classe sta dirigendo rivoluzione.
Una delle caratteristiche di queste cosiddette “rivoluzioni” è
l’uso dei media.
Il controllo dei media è importante per il capovolgimento di un
regime. I media costruiscono una realtà virtuale, il controllo di
questa realtà è uno strumento di potere, perciò non è un caso che
dopo un colpo di Stato classico, la prima cosa che s’impadroniscono
i golpisti è la radio.
C’è una ripugnanza da parte di molte persone affiorare l’idea
che gli avvenimenti politici siano deliberatamente manipolati.
L’ideologia di questi manipolatori ha origine da una certa
impostazione di Freud sugli impulsi istintuali. Freud riteneva che
giacché l’organizzazione sociale per esistere debba piegare e
utilizzare gli istinti erotici (e distruttori) del singolo, il prezzo
della civiltà è la repressione e il suo disagio è la nevrosi.
Questa tesi fu esposta nella prima forma in
Totem e Tabù,
strettamente legata alla difesa dell’autorità come
personificazione dell’esigenza repressiva. Un decennio più tardi,
in
Psicologia delle masse e analisi dell’Io, Freud insisteva
nuovamente sull’importanza dei moventi irrazionali che legano le
masse all’autorità “paterna” dei capi e riprendeva il tema
della derivazione delle forme societarie più vaste dal nucleo
patricentrico naturale della famiglia. (Con questo libro era
teorizzata in forma compiuta la riduzione della politica a inganni
dell’inconscio e nasceva una concezione scettica, psicologizzante e
antipolitica dei rapporti sociali che avrà in seguito, fertili
risultati: si pensi come, con una coscienza ben maggiore dei propri
fini, la scienza psico-sociale americana ha riscoperto che voltando
la politica in psicologia si riesce a far sì che tutte le vacche
diventino nere).
Le diversificazioni delle informazioni derivata dai media, è pura
apparenza, nasconde un’estrema povertà delle fonti originali. Le
informazioni sugli avvenimenti provengono spesso da un’unica fonte,
di solito da un’agenzia di stampa, e anche coloro deputati alla
diffusione delle informazioni come la BBC, si accontentano di
riciclare le informazioni ricevute da queste agenzie, presentandole
come farina del loro sacco.
I corrispondenti della BBC spesso stanno nelle loro camere di
albergo quando spediscono i loro dispacci, leggendo per gli studi di
Londra le informazioni che sono state loro trasmesse da colleghi in
Inghilterra, che a loro volta le hanno ricevute da agenzie di stampa.
Un altro aspetto che spiega la ripugnanza a credere alla
manipolazione dei media è legato al sentimento di onniscienza che la
nostra epoca di mezzi di comunicazione di massa ama assecondare:
criticare le informazioni della stampa è come dire alle persone che
sono credulone, e questo messaggio non è gradevole da ricevere.
Il primo teorico importante in questa materia è stato il nipote
di Freud, Edward Bernays, che scriveva nella sua opera
Propaganda,
apparsa nel 1928, come fosse del tutto naturale e giustificato che i
governi plasmassero l’opinione pubblica per fini politici.
Il primo capitolo porta il titolo rivelatore:
Organizzare il
caos.
Per Bernays, la manipolazione consapevole e intelligente delle
opinioni e delle abitudini delle masse è un elemento importante
delle società democratiche. Coloro che manipolano i meccanismi
segreti della società costituiscono un governo invisibile, che
rappresenta il potere effettivo. Noi siamo etereodiretti, i nostri
pensieri sono condizionati, i nostri gusti sono costruiti ad arte, le
nostre idee sono suggerite essenzialmente da uomini di cui non
abbiamo mai inteso parlare. È la conseguenza logica della maniera in
cui la nostra società “democratica” è strutturata.
Un gran numero di esseri umani deve cooperare per vivere insieme
in una società che funzioni bene. In quasi tutti gli atti della
nostra vita quotidiana, che si tratti della sfera politica, di
affari, dei nostri comportamenti sociali o delle nostre concezioni
etiche, noi siamo dominati da un numero relativamente ridotto da
persone che conoscono i processi mentali e le caratteristiche sociali
delle masse. Sono queste persone che controllano l’opinione
pubblica.
Per Bernays, molto spesso questi membri del governo invisibile non
conoscono essi stessi chi sono gli altri membri. La propaganda è il
solo mezzo per impedire all’opinione pubblica di sprofondare nel
caos.
Bernays ha continuato a lavorare su quest’argomento dopo la
guerra e nel 1947 ha pubblicato
La costruzione del consenso,
titolo al quale Edward Herman e Noam Chomsky hanno fatto riferimento
quando pubblicato la loro opera
La fabbrica del consenso.
Il rapporto con Freud è decisivo perché la psicologia è uno
strumento capitale per influenzare l’opinione pubblica.
Secondo Fleischmann e Howard Cutler (che avevano collaborato con
la
La fabbrica del consenso), ogni leader politico deve
fare appello alle emozioni umane primarie al fine di manipolare le
opinioni.
L’istinto di conservazione, l’ambizione, l’orgoglio, la
bramosia, l’amore per la famiglia e per i bambini, il patriottismo,
lo spirito di imitazione, il desiderio di comando, il gusto
dell’azione, così come per altri bisogni, sono le materie
psicologiche che ciascun leader deve prendere in considerazione nei
suoi tentativi per conquistare l’opinione pubblica alle sue idee.
La rapidissima evoluzione tecnologica degli ultimi anni del
secondo millennio ha sviluppato ulteriormente le tecniche di guerra
psicologica che viene definita anche guerra incruenta. Lo sviluppo
delle tecnologie di comunicazione e d’informazione, assieme alla
nascita del cyberspazio, pone come centrale da parte degli Stati e
degli altri organismi politici, economici e militari, per raggiungere
gli obiettivi politici, economici, militari e culturali che si
prefiggono, il possesso delle informazioni, come nel passato era il
controllo del traffico commerciale e quello delle risorse materiali e
prima ancora era quello delle capacità produttive agricole. In
sostanza si passa da un mondo nel quale uno dei compiti delle forze
armate era la capacità di annientare l'avversario attraverso la
forza fisica (caratteristica che tuttora rimane) attraverso
un’adeguata forza fisica, con la spada o con le bombe nucleari, a
uno dove la forza è data dalla creatività, dalla spregiudicatezza
intellettuale.
Cambia il modo di fare la guerra. La
prospettiva è che le battaglie saranno combattute anche nei campi di
battaglia virtuali. Perciò, in questo, si tratta di ridefinire anche
il concetto di spazio vitale per la battaglia che non corrisponde più
solamente a uno spazio fisico, come non è più identificabile con
una disponibilità di risorse naturali quali le fonti d’energia, le
miniere di ferro e carbone o i campi di grano.
Oggi lo spazio vitale è quello in cui un Paese o meglio i suoi
capitalisti riesce ad agire e competere con successo. Una delle
conseguenze della crisi attuale è lo scatenamento di una lotta senza
quartiere fra i capitalisti per decidere quale porzione di capitale
debba fare le spese della crisi e sparire dal mercato. Tutto ciò
accentua i contrasti tra i vari gruppi imperialisti e di conseguenza
fra gli Stati. Questa competizione diventa un terreno per costruire
l’identità nazionale (della serie “siamo tutti nella stessa
barca”, “bisogna essere competitivi per salvare la ‘nostra
economia” ecc.). Questo comporta un riesame sia delle dottrine
militari sia delle istituzioni dello Stato (non è un caso che una
delle tendenze di fondo in tutti i paesi imperialisti è il
rafforzamento degli esecutivi e lo svuotamento delle assemblee
legislative).
L’ambito attuale è che spesso gli interventi militari si
trovano ad agire sotto l’occhio attento delle telecamere di tutto
il mondo (pensiamo a cosa vuol dire la repressione in Birmania o le
proteste per il Tibet), in operazioni che vedono la presenza
contemporanea oltre che di militari, dei civili delle ONG e degli
agenti che operano nei servizi segreti. Perciò si tratta da parte
dei vari paesi imperialisti di coordinare efficacemente tutti questi
soggetti. Già gli U.S.A. hanno già da alcuni anni previsto la
possibilità d’avere azioni militari incruente nell’ambito delle
operazioni definite con la sigla OOTW (Operations Other Than War)
operazioni diverse dalla guerra. In sostanza le nuove guerre saranno
combattute prima dell’avvio d’eventuali azioni militari
tradizionali,
in stretto coordinamento con tutte le varie branche
della Pubblica Amministrazione e di varie organizzazioni civili (ONG,
Protezione Civile ecc.). In questo quadro, è importante la
creazione di un centro unico di comando in grado di operare
velocemente in un vasto ventaglio di situazioni che possono andare
dalle cosiddette operazioni “umanitarie” ai confronti con armi
nucleari.
Poiché l’attuale sistema a rete è tremendamente complesso e in
esso circolano i flussi economici, politici e militari che regolano
il mondo. Se s’interviene su un elemento una componente s’innesta
un ciclo di azioni e reazioni, con feedback positivi e negativi che è
molto difficile valutare quantitativamente.
In sostanza la guerra del futuro come si diceva prima non
consisterà più solamente nell’utilizzo di mezzi che coinvolgono
la forza degli armamenti per costringere il nemico ad accettare la
propria volontà ma consisterà nell’usare tutti i mezzi possibili
per obbligare il nemico a servire i propri interessi.
Da tempo la
tendenza per arrivare alla vittoria nelle guerre attuali (e future) è
la combinazione dei metodi operativi che si usano e che possono
variare, a seconda degli scopi che si vogliono raggiungere. I metodi
da combinare possono essere militari, trans-militari (guerra
diplomatica, guerra di network, guerra di intelligence, guerra
psicologica, guerra tattica, guerra di contrabbando, guerra di droga,
guerra virtuale di deterrenza), oppure non militari (guerra
finanziaria, guerra commerciale, guerra di risorse, guerra di aiuto
economico, guerra di sanzioni, guerra mediatica, guerra ideologica).
Ad esempio la cosiddetta “guerra al terrorismo” lanciata da Bush
dopo l’11 settembre è una combinazione di guerra d’intelligence
+ guerra finanziaria + guerra di network + guerra ideologica + altri
tipi di conflitti.
I conflitti contemporanei sono dei grandi contenitori e la
vittoria è tutto ciò che si può mettere in questo contenitore.
Nel libro
La CIA e la Guerra fredda culturale si spiega in
maniera molto dettagliata come, all‘inizio della cosiddetta Guerra
fredda, gli statunitensi e i britannici dettero inizio a
un‘importante operazione clandestina destinata a finanziare
intellettuali anticomunisti.
L‘elemento fondamentale è che la CIA concentrò la sua
attenzione su alcune personalità della sinistra soprattutto su
trotzkisti. Un gran numero di queste persone divennero in seguito
neoconservatori di primo piano: Irving Kristol, Sidney Hook e Lionel
Trilling.
Le origini di sinistra, e specificamente trotskiste, mantengono
una relazione particolare con le operazioni clandestine, poiché le
operazioni della CIA erano di influenzare gli oppositori di sinistra
al comunismo, vale a dire i trotskisti. Molto semplicemente, l‘idea
della CIA era che gli anticomunisti di destra non avevano alcun
bisogno di essere influenzati.
Scriveva a proposito Saunders: “
L‘obiettivo di sostenere
gruppi di sinistra, non era né di distruggere né di dominare questi
gruppi, a piuttosto di mantenere con loro una discreta prossimità e
di dirigere il loro pensiero, di procurare loro un modo di liberarsi
dalle loro inibizioni inconsce e, al limite, di opporsi alle loro
azioni nel caso in cui fossero diventati eccessivamente …radicali“.
Le modalità attraverso cui questa influenza di sinistra fece
sentire i propri effetti furono molteplici e variegate.
Gli Stati Uniti erano decisi a fornire di se stessi un‘immagine
progressista che contrastava con quella di Unione Sovietica
“reazionaria“.
Ad esempio negli ambienti musicali statunitensi, Nicolas Nabokov
(il cugino dell‘autore di Lolita) era uno dei principali esponenti
del Congresso per la libertà della Cultura.
Nel 1954, la CIA aveva finanziato un festival della musica a Roma
nel corso del quale l‘amore autoritario di Stalin per compositori
russi come Rimski-Korsakov e Tchaikovski era contrastato dalla musica
moderna non ortodossa ispirata dal dodecafonismo di Schoenerbert. Per
Nabokov, promuovere una musica che eliminava in modo eclatante le
gerarchie naturali, era lanciare un chiaro messaggio politico.
Un altro “progressista“, il pittore Jackson Pollock, ex
comunista, fu allo stesso modo sostenuto dalla CIA. I suoi
imbrattamenti erano considerati come la rappresentazione
dell‘ideologia americana di libertà contrapposta all‘autoritarismo
del realismo socialista.
Questa commissione fra cultura e politica fu incoraggiata
apertamente da un organismo della CIA che portava un nome molto
orwelliano, l‘Ufficio di Strategia Psicologica (PSB).
Nel 1956, quest’organizzazione sostenne una tournée europea
della Metropolitan Opera (Met) che aveva lo scopo politico di
incoraggiare il multiculturalismo.
Stress da battaglia, e la “pillola del coraggio”
Nel dopoguerra l’uso di sostanze psicoattive da parte dei
militari si ripeté quasi in ogni conflitto; particolarmente diffuso
fu l’impiego di anfetamine in Corea da parte delle truppe
statunitensi.
Il problema esplose in tutta la sua gravità durante la guerra del
Vietnam che in molti aspetti rappresentò un fenomeno unico e uno
spartiacque con le epoche precedenti. Gli Stati Uniti avevano
combattuto altre guerre “difficili” ma non era mai accaduta una
situazione in cui durante il conflitto ci fosse un divario netto fra
l’opinione pubblica (che era per la maggioranza indifferente se non
ostile) e la politica del governo. Inoltre la condotta della guerra
fu completamente diversa dai conflitti precedenti con l’alternarsi
di brevi periodi di combattimento con pause di tranquillità nelle
città del Sud Vietnam. Forse il singolo aspetto più importante era
la regola del tour predeterminato di dodici mesi in zona di
operazioni. I soldati di leva in Vietnam sapevano che dovevano
sopravvivere per questo periodo limitato e poi avrebbero avuto
diritto al rimpatrio. Mancava il senso di disperazione dei conflitti
precedenti in cui le uniche vie di uscite sul fronte erano la morte o
il ferimento.
La guerra del Vietnam vide il fallimento della tradizionale
strategia bellica che aveva guidato fino allora gli USA. La strategia
di annichilazione, che aveva portato al successo nella seconda guerra
mondiale, partiva dal fatto che avendo gli Stati Uniti a disposizione
risorse naturali ed economiche in apparenza senza limiti, i militari
statunitensi non sarebbero mai stati parsimoniosi sui mezzi materiali
utilizzati, e avrebbero sviluppato la “guerra di annichilazione”,
basata sulla superiorità soverchiante della potenza di fuoco. Si
riprodusse sul piano militare ciò che avvenne in tutti i settori
dell’economia americana: il risparmio di energia e di mezzi furono
considerati secondari.
Il metodo della guerra di annichilimento fu messo a punto dal
generale nordista U. Grant durante la Guerra Civile (1861-1865).
Invece di seguire la strategia napoleonica della battaglia decisiva,
Grant sviluppò il concetto di una successione di mazzate da sferrare
con una soverchiante potenza di fuoco contro l’esercito sudista
allo scopo di disgregarlo. La realizzazione di questa strategia fu
possibile per la soverchiante superiorità industriale del Nord.
Grant non si preoccupò dei costi politici di questa strategia
(difficoltà di riconciliazione postbellica con lo sconfitto). Poiché
un esercito è sostenuto dalla sua economia e dalla sua popolazione,
il passaggio dall’idea dell’annientamento di un esercito a quello
del suo retroterra civile è naturale. Questo secondo aspetto della
guerra di annientamento fu applicato dal generale Sherman, il secondo
per importanza dopo Grant, il quale diede il suo consenso a colpire e
terrorizzare la popolazione civile del Sud.
Nel Vietnam questa strategia, contro la guerriglia, non funzionò.
In una guerra convenzionale conta la potenza di fuoco contro le
postazioni avversarie, ma una guerriglia non è condotta da posizioni
fisse, e la potenza di fuoco significa colpire la popolazione,
inimicandosela, alimentando in tal modo il reclutamento dei
guerriglieri. Una guerra convenzionale è per il controllo del
territorio, una guerriglia è per il controllo della popolazione. In
Vietnam la guerriglia colpiva i funzionari di governo: colpiva sia i
corrotti per avere la simpatia della popolazione, che i migliori per
impedire il funzionamento del governo. Entro il 1960 ben 2.500
funzionari del governo sudvietnamita venivano uccisi ogni anno. Alla
fine accettavano il rischio di servire il governo di Saigon solo
avventurieri corrotti. Ciò accresceva lo scollamento tra governo e
popolazione.
L’esito del conflitto vietnamita fu determinato non tanto dalla
semplice forza delle armi (su questo campo era indubbia la
superiorità degli USA) o dalle operazioni militari,
ma
dall’atteggiamento delle masse popolari vietnamite, del campo
civile insomma, insieme a un appoggio al Nord Vietnam dell’URSS e
della Cina.
In altre parole l’uomo e il suo vigore psichico
furono (e lo sono tuttora dal mio punto di vista) più importanti dei
materiali bellici che s’impiegarono.
A nulla servì da parte delle forze armate USA l’impiego contro
la guerriglia da parte dell’esercito americano delle forze
speciali. Il generale nordvietnamita Nguyen Van Vinh riteneva nel
1966 di poter constatare il fallimento di queste forze speciali
americane: “La s
pecial warfare americana nel Vietnam del Sud è
sostanzialmente fallita dopo essere stata sperimentata per più di
tre anni con strategie e tattiche diverse con nuove armi e nuove
tecniche, accompagnate da metodi estremamente crudeli: i loro
principali sostegni, le truppe e l’amministrazione del governo
fantoccio, sono anch’essi in decadenza; il sistema dei “villaggi
strategici”, ch’essi consideravano la loro spina dorsale, è
stato in sostanza distrutto; la tattica degli elicotteri e dei mezzi
anfibi, che erano stati considerati più agili e più facilmente
manovrabili, è stata un fiasco solenne; le città considerate dagli
aggressori come le loro più sicure retrovie, sono accerchiate,
notevolmente ridotte in estensione, e davanti all’incessante lotta
politica e nelle campagne da milioni di uomini del popolo si trovano
in pieno scompiglio; il carattere neocolonialista dell’imperialismo
USA è stato smascherato agli occhi di tutto il popolo sudvietnamita,
e per compiere atti di sabotaggio nel Vietnam del Nord mediante
commandos di truppe del sud, sono miseramente falliti”. In
sostanza il successo delle forze speciali antiguerriglia era
essenzialmente legata dall’appoggio che avrebbero ottenuto delle
masse della popolazione vietnamita, ciò che non avvenne.
Con il perdurare del conflitto il morale e la disciplina
crollarono con numerosi episodi di ammutinamento di interi reparti,
mentre negli Stati Uniti gli studenti dei campus universitari
contestavano in maniera sempre più violenta e organizzata.
A partire dal 1967, uno dei motivi di allargamento della
contestazione fu un progetto di modifica del sistema di reclutamento,
che minacciava di coinvolgere gli studenti che ottengono scarsi
risultati universitari. Molti giovani spedirono indietro i documenti
militari, 20.000 lasciarono il paese soprattutto alla volta del
Canada (mentre i militari americani di stanza in Europa trovarono
rifugio in Svezia e in numerosi altri paesi). Tra il primo luglio
1968 e il 30 giugno 1969 sono registrati 27.444 casi di diserzione.
I casi di diserzione passarono dal 15 per mille del 1966 al 74 per
mille del 1971.
Durante l’invasione della Cambogia nell’aprile 1970 alcune
grandi unità dell’U.S. Army come la Quarta divisione di fanteria
entrò in crisi per un minimo di resistenza da parte del nemico, con
ammutinamento di interi reparti e la paralisi operativa e il peso
delle operazioni fu spostato sempre di più sulle forze aree,
composte largamente da personale di carriera e con una struttura con
maggiori percentuali di ufficiali.
Grabriel Kolko nel maggio del 1969 nel rapporto compreso nel
volume
Il Vietnam in America pubblicato in italiano dalla casa
editrice Editori Riuniti: “
Nella storia delle guerre combattute
dagli americani mai il morale delle truppe è stato così basso come
nel Vietnam. Questo fenomeno – che costituì uno dei più grossi
problemi per gli americani in Corea – pone anche oggi problemi che
il Pentagono si dimostra sempre più incapace di risolvere”.
Si potrebbe, senza essere accusato di fare
forzature, che una gran parte dell’Esercito statunitense era sulla
via della disgregazione. Uno dei motivi di ciò, stava nel fatto che
a differenza della seconda guerra mondiale, una gran parte dei
soldati non credeva nella causa per cui combatteva. Nonostante la
propaganda che dipingeva la guerra del Vietnam come una guerra giusta
per un mondo migliore, non ci volle molto per i soldati a capire che
le cose non stavano così.
Nel 1973 con l’abolizione della leva, il nuovo esercito
statunitense consisteva in soldati di bassa qualità delusi ed
equipaggiati con armi obsolete. La cultura della droga e
l’indisciplina regnavano nelle caserme al punto che gli ufficiali
potevano entrare nelle camerate solo se armati.
Nel 1973 in un rapporto interno del pentagono si calcolava che il
35% di tutti gli uomini in servizio nel Vietnam aveva provato
l’eroina e che il 20% di questi era diventato tossicodipendente nel
corso dei dodici mesi di permanenza nel sud-est asiatico.
Analogamente si ritiene che più del 50% dei soldati facesse uso di
marijuana.
Nella storia ufficiale della Guardia Nazionale:
A History of
the Army National Guard, si dice che dopo il ritiro
dal Vietnam, l’esercito USA era nel pieno di una crisi per la
diffusione della droga, della mancanza di disciplina, delle tensioni
razziali. In Europa i comandanti dell’Esercito ritenevano che la
mancanza di disciplina rendesse inutilizzabile la Settima Armata, e
il comandante del Command and General Staff di Fort Leavenworth,
Kansas, pubblicamente ammise che l’Esercito era “
di fronte a
seri problemi per quanto riguardava la truppa, il morale, la
strategia, la leadership”.
E’ l’ammissione ufficiale,
che l’Esercito, uno strumento fondamentale del monopolio della
violenza organizzata, con cui la classe dominante impone la sua legge
alle altre classi, stava venendo meno.
La spiegazione di tutto ciò da parte dell’Esercito americano
furono diverse: l’esercito americano allora era basato sulla
coscrizione obbligatoria e nella metà degli anni ’60 nella
popolazione giovanile americana si era largamente diffuso l’utilizzo
di sostanze stupefacenti. Inizialmente il governo non aveva
esercitato alcun controllo su un fenomeno che in breve tempo passato
dalle élite delle avanguardie artistiche della beat generation e
dell’arte pop alle grandi masse giovanili. Il Sud-Est asiatico poi
era, ed è tuttora uno dei maggiori centri mondiali produzione della
droga. Nelle città del Vietnam del Sud era facilissimo trovare
marijuana e oppio proveniente dal Triangolo d’oro a prezzi molto
bassi.
Quello che si voleva nascondere era che la gran parte del traffico
degli stupefacenti tra il Sud-Est asiatico e gli Stati Uniti era
gestita dalla CIA, che si serviva di questi introiti per finanziare
le operazioni coperte.
Il legame tra servizi segreti e traffico di stupefacenti non è
ovviamente esercitato solo dai servizi segreti statunitensi. Nel 1996
è stato divulgato da fonti militari israeliane come per molti anni i
servizi segreti di questa nazione abbiano alimentato un traffico di
hashish verso l’Egitto per indebolire la capacità di combattimento
dell’esercito egiziano.
La guerra del Vietnam è stata una delle prime occasioni in cui i
militari sono stati oggetti di attente indagini psicologiche. È
molto probabile che in altre guerre l’uso di sostanze psicoattive
abbia avuto un’ampia diffusione ma che sia sfuggito (molto
probabilmente volontariamente) a ogni tentativo di quantificazione.
Proprio il problema del crollo psicologico nei conflitti moderni
ha assunto dimensioni preoccupanti e ingentissimo è il numero di
soldati che è stato necessario ritirare temporaneamente o
definitivamente dal servizio attivo per motivi neuropsichiatrici. La
principale causa è stata individuata nel disturbo post-traumatico da
stress, definito dagli autori americani come “Combat stress
reactions”. Si tratta di un disturbo mentale noto fin dai tempi
antichi ma che è stato descritto e classificato con questo nome da
una ventina d’anni.
Disturbi psichiatrici furono notati già nei combattenti della
guerra di secessione americana, anche se era loro attribuita una base
organica; nel primo conflitto mondiale questi disturbi mentali furono
ricondotti a cause funzionali e furono chiamati “shock da bomba”.
Per effetto delle teorie psicoanalitiche che cominciavano allora a
diffondersi fu introdotto il termine di nevrosi traumatica,
considerata il risultato della riattivazione di conflitti
preesistenti, non risolti.
L’esperienza della seconda guerra
mondiale portò gli psichiatri americani a definire nel loro primo
manuale diagnostico-statistico dei disturbi mentali del 1952 (DSM_I)
la nevrosi da stress. Fu grazie agli studi sui veterani del Vietnam,
la cui riabilitazione e terapia costituirono un grave problema
sanitario e sociale, che nel nuovo manuale DSM-III, fu coniato il
termine di disturbo post-traumatico da stress. Le cause principali
furono identificate nella combinazione di fattori estremamente
logoranti presenti sul campo di battaglia, nel collasso delle
strutture di comando e nella mancanza di coesione delle truppe sotto
l’effetto del panico.
Il soldato impegnato in operazioni di combattimento è sottoposto
a privazioni estreme che mettono a dura prova i suoi meccanismi
psicologici di difesa e le risorse fisiche utilizzabili per far
fronte alle situazioni di crisi.
Fattori collaterali come la disidratazione, frequente in regioni
con climi torridi, la mancanza di sonno, l’alimentazione
inadeguata, la mancanza di comunicazioni, la solitudine e la
lontananza dagli affetti possono contribuire significativamente a
indebolire la difesa contro la principale minaccia, costituita dal
timore di perdere la vita.
Nel caso della guerra dei Sei Giorni il numero delle perdite
israeliane fu assai limitato, attorno all’uno per cento, grazie
alle condizioni ottimali in cui i soldati si trovarono a combattere.
Le truppe erano addestrate con cura e i militari avevano nelle
proprie unità gli stessi compagni con i quali si erano addestrati.
Al contrario nella guerra dello Yom Kippur nell’ottobre 1973
scoppiò all’improvviso trovando le truppe israeliane impreparate.
Ciò ebbe gravi effetti sul morale tanto che secondo alcune
statistiche le perdite dovute a motivi psichiatrici raggiunsero nei
primi giorni addirittura il sessanta per cento. Durante l’aggressione
israeliana del Libano del 1982 l’esercito israeliano soffrì di un
numero di perdite quasi trascurabili per cause psichiatriche nei
primi giorni mentre quando iniziò l’avanzata per Beirut, non
condivisa da tutti i combattenti, queste aumentarono drasticamente.
Per permettere ai soldati americani durante il conflitto
vietnamita di superare il trauma del combattimento sarebbe stata
distribuita, quanto a livello sperimentale, una fantomatica “pillola
del coraggio”. Mancano notizie attendibili in proposito, anche se
nei racconti dei reduci è conservata l’espressione gergale “fare
John Wayne” per indicare comportamenti di esagerato sprezzo del
pericolo da parte di soldati dopati.
Anche in tempi recenti sono stati segnalati episodi di utilizzo di
sostanze stupefacenti in operazioni di combattimento.
È interessante ricordare come alcune fonti di stampa ecuadoriane
abbiano più volte accusato le truppe peruviane di far uso di droghe
nel corso dei combattimenti sul confine amazzonico. Nel conflitto
somalo degli anni ’90 le varie fazioni facevano uso del khat, una
sostanza vegetale con effetti simili alle anfetamine molto diffusa
nell’Africa orientale e in numerosi paesi arabi. L’uso di
alcolici e stupefacenti è infine molto diffuso fra le truppe nel
conflitto nell’ex Jugoslavia; fra tutti il più usato sarebbe un
farmaco chiamato Apaurin, in grado di ridurre l’ansia prima del
combattimento.
Durante la guerra del Golfo il corpo di spedizione francese
avrebbe avuto in dotazione 14.000 confezioni di Madafinil un farmaco
eccitante, diffuso con il norme di Virgil, da usare come una sorta di
pillola del coraggio.
Le guerre di un “futuro” che è in realtà un tragico
presente.
Dalla fine della seconda guerra mondiale si sono susseguiti almeno
un centinaio di conflitti armati, più di ottanta sono stati
classificati come conflitti a bassa intensità, anche se questo
termine comprende genocidi di proporzioni enormi come le guerre tra
Biafra e Nigeria e gli scontri in Ruanda.
L’enfasi posta dall’ONU sulle missioni di “peace keeping”
ha ottenuto scarsi risultati, e ha provocato delle forti resistenze
tra molti strateghi americani, secondo cui i soldati dovrebbero
lasciare le caserme solo per proteggere “l’interesse nazionale”
da minacce definite. In un articolo del 1992 del colonnello Charles
Dunlap dell’U.S. Army, che fu premiato dall’allora capo di stato
maggiore, generale Colin Powell, come migliore saggio militare
dell’anno, si afferma che impegnare l’esercito americano in
“operazioni umanitarie” sotto l’egida dell’ONU avrebbe
trasformato le forze armate in una sorte di boy-scout, incapaci di
adempiere la loro unica missione: distruggere il nemico e vincere le
guerre.
Secondo Martin Libicki della National Defense University, la
tecnologia sofisticata che ha permesso la vittoria americana nella
guerra contro l’Iraq del 1991, poteva dimostrarsi inadeguata in
situazioni di caos (come si dimostrò in una Mogadiscio degli anni
’90) e la disparità tra la concezione della guerra come massima
espressione della tecnologia e la realtà dei conflitti locali
combattuti con armi giudicate obsolete, ma non per questo meno
distruttive, resta insanabile.
A proposito può essere interessante una citazione del filosofo
indiano Osho Raineesh: “
Quando una società giunge al suo
culmine non può combattere. Le società più raffinate vengono
sempre calpestate e sconfitte da società minori… Quando una
società è ricca e opulenta non combatte più”.
L’addestramento degli eserciti imperialisti occidentali è
basato sostanzialmente su due contrapposte filosofie. Da un lato
utilizza un approccio estremamente disumanizzante, in cui il civile
appena giunto al reparto è ricostruito con un’immagine
stereotipata e specifica, eliminando la sua individualità. Esempi di
questa tecnica sono il corso di addestramento della P Company della
brigata paracadutisti del Critish Armyt, dei paracadutisti francesi,
dei paracadutisti e dei marines dell’esercito americano.
L’altro sistema è ispirato alle teorie di Kurth Halm, la cui
base è il concetto che il singolo individuo non deve essere
massificato o costretto, ma deve essere posto in un ambiente
controllato e progettato per fare emergere in ciascuno gli aspetti
più responsabili del carattere e lo spirito di gruppo. Secondo
alcuni questo genere di autodisciplina, ispirata al concetto di
“disciplina accettata” della tradizione cavalleresca, non può
funzionare in condizioni estrema che richiede il massimo controllo
sulle truppe e l’obbedienza automatica agli ordini.
Fra le tecniche di condizionamento psicologico sperimentale negli
ultimi anni delle forze armate statunitensi un posto di rilievo
spetta alla Programmazione Neurolinguistica. I suoi presupposti sono
fondati sulla possibilità d’influenzare durevolmente il
comportamento di un soggetto modificandone la percezione della realtà
attraverso il linguaggio. Fra i vantaggi di questa tecnica, oltre
alla facilità d’apprendimento che ne rende l’applicazione
standardizzata in tempi brevi a un grande numero di persone, va
ricordata la possibilità del soggetto trattato di designare lui
stesso la meta auspicata. Presupposto teorico della PNL è la
possibilità di agire attraverso tecniche come la visualizzazione
d’immagini mentali, modificando i processi sensoriali, che
organizzano e mantengono un comportamento, senza esaminare il
contenuto emozionale o le dinamiche esistenti come invece avverrebbe
con una tecnica psicodinamica tradizionale, ad esempio con quelle di
derivazione psicoanalitica.
È stata comunicata notizia di programmi più sinistri, volti ad
addestrare individui ad agire come killer, selezionando di preferenza
militari con precedenti penali per reati violenti. Queste tecniche
tenderebbero a desensibilizzare, mediante uso di filmati con scene
particolarmente raccapriccianti, i soggetti trattati, rendendoli
indifferenti verso la sofferenza altrui e pronti a uccidere senza
esitazione.
Le strade percorse per ottenere il controllo delle proprie truppe
e influenzare negativamente il nemico sfiorano il campo della
fantascienza. Già nel 1985 nel libro
The mind race di Keith
Harary e Russel Targ della Stanford Research Institute, vennero per
la prima volta ufficialmente esposti al pubblico i risultati di
esperienze parapsicologiche in campo militare. In particolare erano
state eseguite ricerche per la comunicazione telepatica tra personale
a terra e altro imbarcato a bordo di sottomarini nucleari. Anche
nell’Unione Sovietica furono eseguiti degli studi e ricerche nel
campo della percezione extrasensoriale e sulle applicazioni pratiche
in campo medico, educazionale, e per obiettivi politici.
Per vent’anni i servizi segreti statunitensi hanno impiegato
medium con il programma Stargate per studiare l’efficacia dei
fenomeni parapsicologici. I sensitivi statunitensi, ospitati nella
base di Fort Meade nel Maryland, avrebbero tentato di localizzare il
nascondiglio di Gheddafi prima del bombardamento di Tripoli nel 1986,
o ancora di individuare gli ostaggi americani in Iran.
L’ultima e più agghiacciante delle iniziative in questo campo è
che nel 2008 il Dipartimento della “Difesa” USA ha ufficializzato
(sicuramente aveva cominciato prima in gran segreto) le ricerche
sulla tecnologia Rfid e sulla modalità d’impiego nelle Forze
Armate.
Tutto ciò ci riporta all’antico e perenne desiderio di tutte le
classi dominanti di dominare con ogni mezzo l’essere umano e la
natura con tutti i mezzi a disposizione, sono cambiati i mezzi e nel
corso dei secoli dai rituali sacri degli sciamani si è giunti agli
esasperati sviluppi dell’alta tecnologia ma il fine non è mutato.
Una considerazione finale: ogni classe dominante fa la guerra a
suo modo, diceva Mao a proposito: “
Non dobbiamo assolutamente
perdere un’altra mossa di fronte al nemico, dobbiamo sfruttare a
fondo questa mossa, la mossa, la mobilitazione politica, per trarne
vantaggio.
Questa mossa è cruciale; è, infatti, di primaria
importanza mentre la nostra inferiorità in armi e in altre cose è
solo secondaria. La mobilitazione del vasto mare nel quale annegherà
il nemico, creerà le condizioni che suppliranno alla nostra
inferiorità in armi e in altre cose, e creerà i requisiti per
superare ogni difficoltà. Per conquistare la vittoria, dobbiamo
perseverare nella guerra di resistenza, nel fronte unito e nella
guerra di lunga durata. Ma tutto questo è inseparabile
dalla mobilitazione della popolazione.
Desiderare la vittoria è trascurare la mobilitazione politica è
come “desiderare di andare a nord dirigendo il carro a sud”, e il
risultato sarebbe inevitabilmente quello di essere privati della
vittoria.Che cosa è la mobilitazione politica? Primo,
significa dire al popolo ed all’esercito quale è lo scopo politico
della guerra. E’ necessario che ogni soldato ed ogni civile capisca
perché la guerra deve essere combattuta e quanto la
guerra lo riguarda” (Mao Tse-Tung, Sulla guerra di lunga
durata, maggio 1938).