domenica 31 marzo 2019

Sciabola: velocissima e rapida


Correlazioni tra la sciabola giapponese e quella russa nell'uso dell'estrazione rapida

Lo iaijutsu, la cui versione moderna è lo laido, è l'arte giapponese di estrarre la spada in modo rapido.
Una storia sulle origini dello iaijutsu racconta che un giovane samurai sognava di vendicarsi per l'omicidio di suo padre. Ma l'assassino era uno spadaccino provetto: nella sfida aperta, senza dubbio, avrebbe ucciso il giovane. Allora il ragazzo cominciò ad allenarsi per imparare a portare un colpo di sciabola già nel momento di sguainare. La vendetta ebbe così successo.
Secondo alcuni, lo iaijutsu rappresenta la quintessenza del kenjutsu (l'arte giapponese della spada), simbolizzando non solo la tecnica di una sola sciabolata mortale, ma anche una profonda preparazione psicologica che sviluppa capacità di concentrazione.
Questa capacità è importante per tutti gli atleti, qualsiasi tipo di sport essi pratichino. Non soltanto per i praticanti di arti marziali, ma anche per i velocisti, i pesisti, i nuotatori, eccetera.
Tutta la sfida si concentra in un solo movimento decisivo e micidiale: nel momento stesso in cui la lama esce dal fodero si dirige verso il bersaglio, con un risparmio di secondi decisivo. L'azione di sguainare deve essere impercettibile e nascosta, per non far indovinare l'intenzione all'avversario. E anche velocissima, rapida come un lampo, in modo tale che il nemico non riesca a reagire
in nessun modo, a deviare, parare o evitare il colpo. Sembra decisamente un'arte marziale perfetta.
Ma lo iaijutsu è proprio un elemento della cultura giapponese dei samurai?
Per rispondere a questa domanda risaliamo un poco indietro nella storia.
Nell'Europa antica e medievale esistevano parecchie scuole di scherma, tra le altre, la scuola spagnola, quella francese e quella italiana.
Con il progresso sociale l'arma bianca si modernizzava.
Così entrarono in auge "figli" della spada come sciabola, striscia, daga, rapier, fioretto, poteri, eccetera.
Striscia e fioretto sono spade leggere e strette e pure la sciabola europea è una spada leggera, spesso piegata e curvata. Il palash — così in Europa orientale chiamavano la lama alleggerita, dritta, a un filo con controfilo (detta spada da lato) — si è ambientato bene tra i polacchi, i rumeni, gli ungheresi. L'Europa occidentale era più famosa per la striscia, il rapier e il fioretto.
In Russia era preferita la sciabola a lama piegata, curvata a volte a forma di ruoto.
Essa dimostrò il suo vantaggio sul palash e sul fioretto nei combattimenti del XVIII e del XIX secolo. Non è un caso che nel periodo della Prima guerra mondiale le forze armate di tutti i paesi belligeranti erano dotati di sciabole e solo raramente di spade, palash o daghe. Un tipo dì sciabola usata dai russi si chiamava shashka (definita anche "sciabola dei cosacchi"), che tradotto dalle lingue caucasiche significa "lungo coltello piegato".
Rispetto alla sciabola classica, la shashka è simile, ma di provenienza diversa: la sciabola viene dall'Oriente, dall'Asia, mentre la shashka ha origine nel Caucaso, dopo che il condottiero russo Ermolov lo liberò dagli oppressori turchi e persiani nella prima metà del XIX secolo.
Non è però escluso che i cosacchi russi conoscessero quest'arma molto prima, trovandosi a contatto diretto con i popoli caucasici già dal XV secolo.
Risulta peraltro che i cavalleggeri russi padroneggiavano perfettamente la tecnica estrazione e colpo simultanei tipica dello iaijutsu giapponese: ussari russi e cosacchi la chiamavano "sciabolata anticipata", oppure "colpo-lampo". Questa tecnica è descritta anche nella letteratura classica russa e sovietica (Duello, di Kuprin, Onore di ufficiale, di Negentzev, Placido Don, di M. Sholokhov). Alcuni sono sicuri che i russi hanno assimilato questo uso della sciabola dai samurai dopo la guerra russo-giapponese (1904-5), una teoria che però è da escludere per due ragioni:
I ) bisogna considerare che a quei tempi lo iaijutsu in Giappone era tenuto segreto all'interno dei vari clan.
E' improbabile che qualcuno dei giapponesi svelasse i propri segreti marziali, tanto meno agli avversari in guerra
2) I cosacchi padroneggiavano la sciabolata anticipata ancora prima dell'instaurazione dei contatti con il Giappone. Autori europei e orientali hanno visto la maestria dei cosacchi tra il XVI e il XIX secolo e l'hanno descritta nelle loro note di viaggio e memone.
L'analisi dei documenti storici, di antichi manoscritti conservati negli archivi, permette di concludere che la sciabolata imprevista russa era indipendente dallo iaijutsu giapponese, facendo sorgere l'ipotesi che le stesse modalità esistessero pure in Europa.
Del resto la storia all'inizio dell'articolo potrebbe essere ambientata in qualsiasi Paese: dai vichinghi ai montanari scozzesi, dagli arabi ai popoli caucasici, nell'antica Russia o in Sicilia e anche in Spagna, dove esisteva un preciso codice d'onore tra i nobili, descritto pure nella letteratura classica (Cìd di Cornei). Ovviamente questo tipo di tecniche poteva ben essere inserito nell'addestramento di spie e sicari: i cosacchi usavano spesso questa furbizia e la storia è piena di tali eventi. Quando la Russia occidentale era occupata dai Polacchi e quella meridionale dagli Ottomani, questi invasori compivano dei veri e propri genocidi. Mandando il proprio inviato a trattare con i polacchi o i turchi, i cosacchi sceglievano un maestro spadaccino; poiché il capo con cui andava a parlare era circondato da una scorta con le armi pronte, egli aveva una sola possibilità.
Facendo fìnta di accettare tutte le condizioni della parte avversaria, dimostrando di essere d'accordo con le imposizioni e fingendo di adulare il nemico con lusinghe, il virtuoso di sciabola abbassava la loro soglia di attenzione. Fingeva anche di essere stanchissimo, malato oppure ubriaco.
Nel corso dell'accoglienza, delle trattative o anche del banchetto che le accompagnava, il sicario assumeva una posizione sfavorevole e persino stupida, una posizione da cui si pensava che nessuno avrebbe attaccato. Invece egli si era allenato per giorni e mesi ad attuare il suo movimento mortale proprio da quella posizione. E in un momento breve e invisibile, con una sciabolata rapida come un lampo... la testa del generale avversario cadeva a terra. Le persone circostanti a volte non riuscivano nemmeno a capire che cosa era successo. Certo, capitava che dopo un attimo anche l'eroe cadesse a terra massacrato, oppure venisse infilzato sulle picche e le alabarde. Ma in molti casi l'assassino riusciva anche a salvarsi, poiché a causa della sua azione le guardie e tutto il seguito perdevano la testa per uno o due secondi, e ciò bastava a un professionista per fuggire, magari, correndo, scappava fuori con un urlo selvaggio: "Aiuto, aiuto! Guardie! Il sultano (o generale) è stato ucciso!", E così la spia si dileguava nella confusione e nel caos.
L'omicidio del condottiero aveva un enorme effetto psicologico: l'esercito si disuniva e da questo momento era condannato, perché, di solito, le truppe senza capo sono destinate alla sconfitta.
Ma la storia ci racconta anche di occasioni in cui questo assioma non funzionò: il 25 agosto del 1758, presso Zomdorf, il re tedesco Federico veniva sconfitto con le sue truppe numerose dall'esiguo esercito russo... senza condottiero.
Furono comunque moltissimi e famosi i condottieri e i tiranni turchi e polacchi che trovarono così la loro morte. La protagonista fu spesso la shashka, la sinuosrtà della cui lama permette di estrarre i circa 30 centimetri e di portare il colpo senza usare molta forza.
L'impugnatura della shashka è di vari tipi, ma con un tratto in comune: non c'è l'elsa a coprire la mano, ma un pomo d'impugnatura fatto a forma di testa di sparviero, con il becco adunco. L'elsa era stata tolta perché nell'atto di colpire la lama si inclinava dalla stessa parte della garda e quindi la protezione della mano era insufficiente. Ma — ancora più importante —, perché l'elsa non permetteva di sfoderare rapidamente per colpire. Invece il pomo dell'impugnatura, con il suo
aspetto di becco di falcone, favoriva tale movimento. Per attuare il "colpo-lampo" con la-shashka basta fare un movimento corto (ricordatevi della sinuosità), agganciando con il mignolo "la testa d'aquila" (bene appesantita per bilanciare l'arma). La presa vera e propria si può completare durante il processo del colpire, stringendo tutte le dita. Inoltre lo spadaccino poteva anche cambiare la traiettoria del movimento già nella preparazione del colpo, con il vantaggio di qualche frazione di secondo che aveva owiamente un'importanza decisiva e fatale.
Tutto ciò è scritto nel regolamento di servizio effettivo militare dei cosacchi, parte 4 ("Volteggiamento acrobatico"), del 1899. Ci sono anche due maniere di portare la shashka: caucasico e asiatico - girata con il dorso opposto al taglio giù e con la lama affilata su. Il modo asiatico consente un ulteriore risparmio di una frazione di secondo: quando si porta la mano a sinistra per impugnare la sciabola, non serve girarla per attuare la presa; basta fare un movimento "falciato" del braccio sopra il manico. I maestri mancini sono stati riconosciuti i più efficaci: con un movimento brusco della mano sinistra essi fendevano la loro vittima in due parti più rapidamente di un battito di ciglia. I mancini usavano la presa inversa e agganciavano il "becco d'aquila" con l'indice.
Ci furono pure due italiani che padroneggiavano perfettamente questo fendente anticipato: Giuseppe Lorano e Gennaro Guardascione.
Giuseppe Lorano era nel servizio segreto dello zar russo e visse molti anni in Russia, mentre Guardascione era un militare italiano con molti contatti con cosacchi e ussari russi, dai quali potrebbe aver imparato questo metodo. Ma perché, se questo metodo ha le sue radici anche in altri Paesi, è conosciuto solo come elemento giapponese?
Perché i russi, gli europei e gli altri popoli non la consideravano altro che una tecnica astuta, solo un modo di anticipare l'avversario prima che riuscisse a reagire. Invece i giapponesi hanno aggiunto come base fondamentale l'idea di una mobilitazione dello spirito e della volontà, sviluppando il passo subitaneo dallo stato passivo, rilassato, all'azione attiva, dallo yin allo yang e dando quindi un contenuto spirituale. E' evidente che ogni elaborazione ha perfezionato la raffinatezza e si è accompagnata con la dottrina religiosa e fìlosofica E arrivando ai nostri giorni, iaido e kendo (la via giapponese della spada) sono ancora elevati a discipline di perfezionamento psico-fisico e culturale.

sabato 30 marzo 2019

Le forme del Wing Chun – Una breve panoramica

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Come insegnante e comunicatore nel campo delle arti marziali, e nello specifico del Wing Chun Kung Fu secondo il metodo di Wong Shun Leung, per me è molto importante essere in grado di spiegare l’arte e presentarne i concetti nel modo più succinto possibile. Questo naturalmente serve ad assicurarsi che ogni allievo possa raggiungere una comprensione profonda e pratica di cosa può offrire il sistema, e che sappia come usare al meglio questo “strumento” per migliorare e proteggere se stesso. Naturalmente è possibile imbarcarsi in discussioni estremamente dettagliate su tutti gli aspetti del sistema, ma a volte questo genera più confusione che altro e rischia di portare a fraintendimenti piuttosto che a illuminazioni. Specialmente nel caso degli allievi con poca esperienza, troppi dettagli rischiano di inibire il loro apprendimento invece di favorirlo.
Detto questo, negli ultimi anni ho cercato di trovare il modo migliore per semplificare al massimo le informazioni e fornire dei semplici riepiloghi dei vari aspetti del sistema, in modo che gli allievi potessero assimilare le informazioni più facilmente. Questo breve articolo intende applicare questo approccio alle tre forme di base del Wing Chun e a quella dell’uomo di legno. Anche se le mie considerazioni si rifanno al metodo di Wong Shun Leung, mi auguro che le idee qui esposte possano essere utili anche a praticanti di altri lineage, magari fornendo loro un punto di vista diverso sulle forme che permetterà ai lettori di aumentare la propria conoscenza del sistema e, forse, aiutare lo sviluppo delle proprie capacità.

SIU NIM TAU (“giovane idea”)
Descriverei le tre sezioni della Siu Nim Tau con sole tre parole:
1a sezione: Struttura
2a sezione: Recupero
3a sezione: Coordinazione
La 1a sezione è dedicata principalmente a Lat Sau Jik Chung (“forza elastica diretta in avanti” – il desiderio costante che hanno le mani di attaccare quando sono libere, il marchio caratteristico dell’efficacia del Wing Chun), ma viene esaminato molto di più di un solo concetto. Qui entrano in gioco le strutture coinvolte non solo nel concetto di cui sopra, ma anche nel footwork, nei calci, nell’attacco e nella difesa simultanei, nella generazione di forza e in molti altri aspetti. Da qui la mia definizione: struttura.
La 2a sezione riguarda i vari modi in cui possiamo comprendere i concetti/le tecniche/le strategie necessarie a gestire situazioni in cui abbiamo perso la linea centrale e non stiamo più fronteggiando correttamente l’avversario. In breve, fornisce dei modi per riuscire a puntare l’avversario quando ci troviamo in posizioni compromesse come leve, prese o fasi lottatorie. Da qui la mia definizione: recupero.
Infine, la 3a sezione ci mostra varie combinazioni di movimenti, applicati con una mano, per enfatizzare l’importanza di riuscire a usare una mano per compiere più di un’azione alla volta. In altre parole, solo perché ho usato la mia mano sinistra per attaccare o difendere non vuol dire necessariamente che non possa essere utilizzata nuovamente e all’istante, invece che ricorrere per forza all’altra mano secondo un tipico schema “uno-due”. Inoltre ci aiuta a migliorare la qualità delle nostre azioni, sviluppando dei movimenti naturali che percorrono traiettorie ottimali. È importante capire che questa sezione non presuppone in nessun momento che le combinazioni presenti debbano necessariamente essere utilizzate secondo quelle sequenze. Sono collegate l’una all’altra solo per facilitare la pratica e i miglioramenti, non perché sono sequenze prestabilite. Dunque lo scopo principale della 3a sezione è lo sviluppo di uno degli attributi chiave per l’efficacia in combattimento: la coordinazione.

CHAM KIU (“ricerca del ponte”)
Forse il modo più semplice di vedere la forma Cham Kiu è tramite le tre diverse applicazioni/interpretazioni del Bong Sau, di cui ogni sezione pone l’accento su un’idea diversa:
1a sezione: Yi Bong (“Bong che sposta”), che insegna il concetto di “prendere in prestito l’energia dell’avversario” per disperdere/ridirigere un attacco. Il movimento presuppone che ci sia già il contatto e che questo venga manipolato attraverso il Bong/Lan Sau e la rotazione del cavallo in modo da prendere posizione per lanciare un attacco.
2a sezione: Paau Bong (“Bong lanciato”), che insegna il concetto del “prendere contatto” quando le mani non si trovano già in posizione favorevole. In altre parole è un’introduzione letterale al concetto di Cham Kiu (“cercare/trovare il ponte”). Insegna anche i concetti e le capacità associate al footwork offensivo (e, invertendo l’azione, a quello difensivo nella maniera in cui deve essere applicato con il Bong Sau che, per sua natura, richiede un tipo specifico di azione un po’ differente dalle altre tecniche), ai calci (Dang Geuk – “calcio ascendente”) e all’idea di “inseguire i calci” in modo che l’avversario sia sempre tenuto sotto tiro, e al recupero del centro (Chau Kuen – “pugno sferzante”) e al suo ri-puntamento (Yi Ying Sau – “forma di recupero/mano strutturante”).
3a sezione: Dai Bong (“Bong inferiore”), che fornisce un’interpretazione “due in uno” del Bong Sau per proteggere i cancelli inferiori, una per quando si viene attaccati lungo una traiettoria bassa quando si hanno le mani abbassate, l’altra per controllare l’equilibrio/posizione quando si viene sbilanciati. Questa sezione introduce anche il concetto di controllare le gambe attraverso il controllo delle braccia, una variazione del calcio di base (Waang Geuk –“calcio orizzontale”), e un’altra applicazione di recupero nel momento in cui il Dan Sau (“mano che rimbalza/ a molla”) della Siu Nim Tau viene applicato al pugno per completare la forma.
Per approfondire brevemente la 3a sezione della Cham Kiu (controllare le gambe tramite il controllo delle braccia), mi riferisco agli ultimi movimenti dove il Soh Sau (“mano che preme”, che si trova la prima volta nella 2a sezione della Siu Nim Tau) viene effettuato in combinazione con un giro. Si tratta di un’azione molto “da Chi Sau”, ma naturalmente può essere applicata anche fuori di quel contesto. Si applica pressione sulle braccia per impedire alle gambe di alzarsi (ciò avviene perché si modifica l’allineamento delle anche e diventa difficilissimo calciare con efficacia). Immaginate di trovarvi a contatto con un compagno che, durante il Chi Sau, prova a tirare un calcio. Per farlo deve trasferire il peso su una gamba. Nel momento in cui sentite questo cambio di peso, la mano in Fook Sau (“mano che sottomette”), alto o basso, preme verso il basso in combinazione con un giro, bloccando sul nascere il calcio e cambiando la sua traiettoria. La mano del Bong/Taan effettua un’azione di “mezzo-Taan”, tenendo sotto controllo la mano del compagno e occupando la posizione ideale da cui lanciare il primo contrattacco. Fuori dal contesto del Chi Sau, lo stesso controllo di braccio/gomito può essere utilizzato contro la mano avanzata dell’avversario per impedirgli di calciare, o per deviare il calcio impattando su ginocchio/polpaccio/tibia/piede (a seconda della distanza) per sbilanciare l’avversario verso l’interno o verso l’esterno. Lo stesso concetto viene analizzato nella forma al Muk Yan Jong (“uomo di legno”), comprendendo una delle due sole sequenze di tutta la forma al MYJ che devono essere effettuate una dopo l’altra.

MUK YAN JONG (“uomo di legno”)
Il modo più semplice per comprendere davvero il senso della forma al Muk Yan Jong è riflettere sulla seguente affermazione: anche se facciamo di tutto per non sbagliare, in quanto esseri umani non possiamo evitare di commettere degli errori, almeno ogni tanto. La scienza del Wing Chun più semplice ed efficace, e applicata correttamente, si trova in Siu Nim Tau e Cham Kiu. Queste due forme ci guidano attraverso le tecniche e i principi più comuni ed efficaci, che ci vengono mostrati nel miglior modo possibile. Nella forma del pupazzo, tuttavia, vediamo tecniche/concetti eseguiti in maniera errata. Questo perché se vogliamo riuscire a correggere istintivamente un errore, dobbiamo per prima cosa saperlo riconoscere. Dunque molto di ciò che è presente nel pupazzo rappresenta il metodo migliore di recuperare una tipica situazione di svantaggio. Secondo il punto di vista di Sifu Wong Shun Leung, le tecniche e i concetti più utili e di uso più comune sono contenuti all’incirca nei primi 60 movimenti, fino alla sezione dei Po Pai Jeung (“palmi in linea”) compresi, che hanno in gran parte una natura Siu Nim Tau e Cham Kiu. Da lì in poi, le tecniche e i concetti tendono ad essere di natura più Biu Ji e in qualche modo servono a rimediare a degli errori, oltre a contenere varie strategie di calcio.

BIU JI (“dita che puntano”)
La Biu Ji è un “dito che punta”. Cosa? Punta una serie di esempi delle tipologie di problemi che possono verificarsi nel corso di un combattimento quando le cose non vanno come previsto, e presenta alcune soluzioni. Siamo esseri umani, e tutti noi possiamo sbagliare a prescindere da quanto siamo preparati o allenati. La Biu Ji ci porta al di fuori del Wing Chun, al di fuori del sistema che ci viene presentato nella Siu Nim Tau e nella Cham Kiu e ci pone una domanda: Cosa fare se…?
Laddove le prime due forme possono essere facilmente divise ciascuna in tre parti distinte, ognuna con concetti e tecniche proprie, la Biu Ji è diversa. Qui la suddivisione assume la forma di gruppi di tecniche che vanno a formare un repertorio di “risposte d’emergenza” progettate per affrontare un avversario molto più forte, che ha compromesso la nostra posizione, che ci ha feriti o colti di sorpresa o che, sfruttando un errore da parte del praticante di Wing Chun, è riuscito a passare in vantaggio.
Sifu Wong Shun Leung diceva che la forma era una raccolta di “tecniche di emergenza” e che, a differenza delle prime due forme che sono strutturate in maniera chiara ognuna con tre sezioni, la Biu Ji era molto meno organizzata e poteva essere ampliata in qualsiasi momento, nel caso a qualcuno venisse in mente un’altra situazione che necessiti di una soluzione specifica al di fuori del normale spettro dei concetti del Wing Chun. Per questo la Biu Ji è una sorta di forma “aperta”, in accordo con il motivo principale della sua esistenza.
Se mi concedete l’ardire, infatti, vi dirò quello che ho detto più di una volta ai miei allievi, ossia che la Biu Ji da sola è “mortale” quanto un piatto di spaghetti! La riluttanza che il clan del Wing Chun aveva in passato nel mostrare la forma agli esterni è comprensibile se si pensa che la Biu Ji mette in luce le potenziali debolezze del sistema, di cui un nemico che avesse conosciuto la forma avrebbe potuto approfittare. Si potrebbe pensare quindi che questa forma sia “mortale” nel senso che contiene gli aspetti svantaggiosi, e non quelli forti, del Wing Chun.
Il mio insegnante ha sempre sostenuto che, al contrario di quanto si crede comunemente, la Biu Ji non è la forma più micidiale del sistema; se così fosse, perché investire tanto tempo nell’allenamento delle altre forme e del Chi Sau? Di certo, diceva, se la Biu Ji contenesse davvero queste fantomatiche tecniche invincibili allora si allenerebbe solo quella. Quello che fa la Biu Ji è portarci fuori dalla scatola. Ci permette di osservare il combattimento da una prospettiva diversa dai concetti e dalle tecniche di base che formano il metodo ideale fornitoci nella Siu NimTau e nella Cham Kiu, facendoci pensare a cosa potrebbe andare storto e a come riuscire, quando possibile, a “ridurre le perdite” e almeno a sopravvivere allo scontro. Nella Biu Ji la vittoria non è una possibilità e certamente non è una garanzia. Si tratta di reazioni istintive che possono permetterci di fuggire o di neutralizzare un attacco in modo da uscire da una brutta situazione. Per questo motivo, Sifu Wong diceva sempre che sperava non avremmo mai dovuto aver bisogno di ricorrere alle tecniche e ai concetti di questa forma, perché avrebbe volute dire trovarsi in una pessima situazione alla quale forse non avremmo potuto porre rimedio.

venerdì 29 marzo 2019

Le dodici forme di Sum Nung


Le sup yee sik (dodici forme), conosciute anche come sup yee san sao (dodici tecniche separate) vennero organizzate in una forma unica dal Gran Maestro Sum Nung, che si basò sui san sik (tecniche libere) dei suoi maestri Cheung Bo e Yuen Kay-San.

Storia
Il dott. Sum Nung (Cen Neng) nacque in Sudamerica nel 1925, ma tornò in Cina con la sua famiglia da bambino. A Foshan, Sum Nung iniziò a lavorare al Tien Hoi, un ristorante in una traversa della strada chiamata Kuaizi (bacchette), per aiutare la sua famiglia durante i tempi difficili dell’occupazione giapponese. A Sum Nung le arti marziali erano sempre piaciute, e nel 1938 cominciò a studiare il Wing Chun Kuen con Cheung Bo.
Cheung Bo, conosciuto come “Dai Ngao” (grande toro) Bo, era un uomo forte e possente con un’incredibile fama di combattente che lavorava come cuoco al ristorante Tien Hoi. Cheung Bo aveva appreso l’arte da un medico dell’Esercito Nazionalista, Wai Yuk-Sang, che a sua volta era stato allievo di Ngau Si del mercato della carne di Kuaizi Street. Ngau aveva studiato dal famoso sceriffo di Guangzhou, Fung Siu-Ching (discepolo di “Faccia dipinta” Kam, attore dell’Opera della Giunca Rossa). Riconoscendo il grande potenziale del giovane, nel 1940 Cheung Bo fece in modo che Sum Nung proseguisse il suo addestramento sotto la guida del suo buon amico Yuen Kay-San.
Yuen Kay-San era un maestro abilissimo che aveva appreso il Wing Chun Kuen in gioventù da Fok Bo-Chuen, agente della polizia imperiale di Foshan e allievo degli attori dell’Opera della Giunca Rossa Wong Wah-Bo e “Faccia dipinta” Kam. In seguito, Yuen aveva completato la sua formazione nelle applicazioni avanzate e nel combattimento a cortissima distanza sotto la guida di Fung Siu-Ching.
Sum Nung studiò intensamente con Yuen Kay-San per molti anni e raggiunse una comprensione profonda del Wing Chun Kuen. Alla fine degli anni ’40 si trasferì nella vicina capitale provinciale di Guangzhou per aprire il suo studio medico, ma continuò a frequentare il suo maestro finché Yuen non morì di malattia nel 1956.
A Guangzhou, Sum Nung combinò e perfezionò alcuni dei san sik che aveva appreso da Cheung Bo e da Yuen Kay-San per aiutare i suoi allievi nelle prime fasi dell’addestramento, permettendo loro di costruire delle solide fondamenta.

La natura dei Sup Yee Sik
Compatte nella struttura, pur contendendo molti degli elementi essenziali per un corretto sviluppo del Wing Chun Kuen, le sup yee sik sono ideali nelle prime fasi dell’addestramento. Possono essere organizzate a grandi linee in tre macrocategorie. Le prime quattro tecniche si concentrano sullo sviluppo della struttura del corpo attraverso sequenze di base di pugni, posizioni, rotazioni e passi. Le successive quattro lavorano su cicli e cambi di braccia fondamentali, ponendo le basi essenziali per intercettazione e adattamento. Le ultime quattro comprendono l’allenamento alla sensibilità e combinazioni di tecniche.
Anche se questa serie di tecniche forse non è dettagliata come quelle presenti nelle tre forme classiche a mani nude del Wing Chun Kuen, le caratteristiche di cui sopra la rendono valida come una sorta di corso intensivo di difesa personale del Wing Chun Kuen. Per coloro che vogliono apprendere delle abilità di base, ma non hanno il tempo o il desiderio di approfondire l’arte del Wing Chun, le sup yee sik posso essere un ottimo punto di partenza.
Ciascun punto del sistema aiuta a sviluppare attributi (rilassamento, flessibilità, allineamento strutturale, utilizzo raffinato dei muscoli ecc.), difesa (ridurre sin dall’inizio i possibili angoli d’attacco dell’avversario, intercettare un ponte in movimento, controllare i ponti estesi ecc.), attacco (colpi, leve e proiezioni con tutte le parti del corpo) e i concetti dell’arte (linea meridiana, prendere il fianco ecc.).
L’allenamento viene svolto a solo, con degli attrezzi (sacco di sabbia, anello di rattan, uomo di legno ecc.), e praticando con un compagno sia nel san sao (mani libere) che nel chi sao (mani appiccicose). Ogni punto viene allenato singolarmente e poi in combinazione, per essere poi applicato a seconda delle circostanze.

Le dodici forme
Le dodici forme a volte cambiano leggermente da ramo a ramo, anche se l’essenza rimane la stessa. La presente lista rappresenta la versione appresa e praticata dall’autore, organizzata in modo da renderne agevole la presentazione scritta.
1. Jee ng choi (pugno meridiano) allena la fondamentale yee jee kim yeung ma (posizione trapezoidale che stringe una capra) e introduce il chung choi (pugno spinto) basilare dello stile, che esplode potente lungo la jee ng sien (linea meridiana). Da questo derivano i lien wan choi (pugni a catena) e i sam sing choi (pugni delle tre stelle). Il pugno meridiano insegna l’allineamento lungo la linea meridiana, ad attaccare la linea meridiana dell’avversario e a dominare quella che ci collega a lui.

2. Pien choi (pugno laterale), chiamato anche pien san choi (pugno con il corpo laterale) aggiunge la rotazione pien ma (cavallo laterale)al pugno spinto e lavora sulla forza del corpo connesso in un’unità. Il pugno laterale allena anche la postura necessaria a fronteggiare e a prendere il fianco dell’avversario nel Wing Chun Kuen. Da esso deriva il kwai dei pien choi (pugno laterale in ginocchio), chiamato anche gwai ma choi (pugno del cavallo inginocchiato). 3. Duk lung choi (pugno del drago singolo) combina elementi delle forme precedenti, allenandole in maniera complementare. Alterna un pugno che parte lateralmente dalla posizione frontale e uno che parte frontalmente dalla posizione laterale. Integra anche i pugni a catena e introduce il movimento fondamentale del bong sao (braccio ad ala). Inoltre il pugno del drago singolo aiuta ad allenare i riflessi necessari a intercettare e a rispondere agli attacchi provenienti dai lati e da dietro, completando così le quattro direzioni fondamentali dell’addestramento di base.
4. Jin choi (pugno a freccia) aggiunge alla meccanica del pugno del drago singolo un passo lungo una linea frontale e laterale, integrando il footwork con la struttura del corpo. Allena anche la parte inferiore del corpo nella difesa (radicamento rapido, cambio della linea meridiana ecc.) e nell’offesa (colpire, sradicare, controllare ecc.).
5. Sam pan jeung (palmi a triangolo) allena i movimenti di tan sao (braccio che disperde), chang jeung (palmo che sostiene) e gaun sao (braccio che ara) che riguardano le azioni basilari per intercettare all’interno, all’esterno e verso il basso. Aiuta anche a mostrare la struttura triangolare che sta dietro i ponti del Wing Chun Kuen. Questa forma viene solitamente esercitata anche in coppia, con il compagno che sferra pugni a catena alti e bassi.
6. Loi lim yum yeung jeung (palmi yin e yang interni/esterni),conosciuto anche come tan fook sao (braccia che disperdono e controllano), contiene due dei principali strumenti per intercettare propri del Wing Chun in una forma breve ma intensa. Concentrandosi su un cambio fluido dei ponti, questa tecnica può sfociare anche in jao da (correre e colpire), poon tan bong (mezza dispersione-mezza ala), ecc.
7. Noi dap (collegamento interno), a volte chiamato anche noi lim sao (braccio interno a falce), il primo di due forme collegate, allena i riflessi necessari a chiudere la linea meridiana dall’esterno verso l’interno. Consiste in un ciclo di braccia che controllano interne e di braccia circolari esterne. Le variazioni comprendono noi tan (dispersione interna) e noi lop (afferramento interno).
8. Ngoi dap (collegamento esterno), a volte chiamato anche ngoi lim sao (braccio esterno a falce), complementare al collegamento interno, combina un braccio che controlla esterno di base con un braccio circolare interno. Ngoi tan (dispersione esterna) e ngoi lop (afferramento esterno) sono variazioni del collegamento esterno.
9. Kao dap sao (braccio che unisce a trattenere) utilizza un ampio braccio che trattiene (presente nello stile di Cheung Bo)insieme a un kwa choi (pugno sospeso) che domina la linea verticale e a una struttura soffocante. Questa forma può essere estesa anche nel kao lop sao (braccio che afferra e trattiene).
10. Pok yik jeung (palmi ad ali che sbattono) unisce la forza della rotazione a palmate orizzontali mirate a colpire o sradicare l’avversario. Vengono allenati in vari modi, all’interno e all’esterno, da fermi o uniti a yee ma (cavallo in movimento).
11. Na dan kiu (ponte singolo appiccicoso) alterna una tecnica chum kiu (affondare il ponte) con un pugno orizzontale a controllare, in una sequenza solitamente allenata con un compagno per sviluppare la capacità di dissolvere una grande forza. Alcuni rami praticano invece seung huen sao (doppie braccia circolari).
12. Bak hok kum wu (la gru bianca immobilizza la volpe) utilizza passi a inseguire per mantenere il controllo dell’avversario, e saat kiu (ponte che uccide) e gok ma (posizione angolare) come forbici per abbatterlo. La gru bianca immobilizza la volpe aiuta anche a sviluppare l’utilizzo di tre ponti contemporaneamente.

giovedì 28 marzo 2019

Stili boxe a confronto

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Ci sono delle regole generalmente accettate riguardo alle possibilità di successo che ciascuno di questi stili di boxe ha sugli altri. In generale, un aggressore / in-fighter è avvantaggiato rispetto ad uno stilista / out-fighter, uno stilista / out-fighter è avvantaggiato rispetto ad uno stilista / puncher, e un puncher è avvantaggiato rispetto ad un aggressore / in-fighter; questo forma un circolo in cui ciascuno stile è più forte rispetto ad alcuni stili e più debole rispetto ad altri, senza che ce ne sia uno superiore agli altri, come in un rock-paper-scissors. Il risultato di un incontro è ovviamente determinato anche da vari altri fattori, quali il livello di abilità e di allenamento dei pugili, ma l'ampiamente sostenuta esistenza di queste relazioni tra i vari stili si riassume in un cliché diffuso tra fan e scrittori di pugilato che dice che “gli stili fanno i match”.
I puncher e i picchiatori tendono a vincere gli aggressori / in-fighter perché, cercando di avvicinarsi, gli aggressori / in-fighter finiranno invariabilmente dritti incontro ai più potenti colpi dei primi. Così, a meno che l'aggressore non abbia delle capacità di incassatore fuori dal comune, la potenza superiore dei primi la spunterà. A parità di capacità pugilistica e di condizione atletica, naturalmente. Un esempio famoso del vantaggio del picchiatore in questo tipo di confronto è la vittoria per KO di George Foreman su Joe Frazier.
Nonostante gli aggressori / in-fighter trovino più sfogo alla loro boxe con i punchers, che accettano molto più di buon grado gli scambi ravvicinati, hanno in realtà più probabilità di successo contro gli stilisti. Lo stilista / out fighter preferisce un combattimento più lento, con maggior distanza tra se stesso e l'avversario. L'in-fighter tenta senza soste di ridurre questa distanza per scatenare continue raffiche furibonde, mentre a distanza ravvicinata lo stilista perde parecchia della propria efficacia, perché non riesce a tirare i colpi più efficaci del suo repertorio. L'aggressore / in-fighter esce generalmente vittorioso da questo confronto, a causa del proprio incalzare e dell'agilità con cui questo viene messo in atto, che lo rende difficile da sfuggire. Per esempio, l'aggressore / in-fighter Joe Frazier, nonostante fosse stato facilmente dominato dal picchiatore Gorge Foreman, creò invece molti più problemi allo stilista Muhammad Ali nei loro tre incontri. Allo stesso modo l'aggressore Harry Greb fu l'unico ad aver sconfitto il grande out-fighter Gene Tunney. Joe Louis, dopo il ritiro, ammise che odiava essere incalzato, e che l'aggressione continua dell'imbattuto Rocky Marciano gli avrebbe causato problemi anche nel suo periodo migliore.
Gli stilisti / out-fighter tendono ad essere più efficaci contro un picchiatore, la cui ridotta velocità di braccia e gambe, e l'inferiore tecnica, lo rendono un bersaglio facile da colpire per la superiore velocità dello stilista. La preoccupazione principale dello stilista è quella di prestare sempre il massimo dell'attenzione, poiché al picchiatore è sufficiente arrivare a segno con un colpo di quelli giusti per mettere fine all'incontro. Se lo stilista riesce ad evitare o a limitare l'efficacia dei colpi del picchiatore, lo può stancare colpendolo con veloci jab fino a portarlo, alla lunga, all'esaurimento delle forze. Se la tattica è sufficientemente efficace, lo stilista può perfino aumentare la pressione negli ultimi round in un tentativo di raggiungere il KO. Molti pugili classici, ad esempio Muhammad Ali, hanno avuto i loro successi migliori contro i picchiatori. Il più famoso degli esempi di questo tipo di match è quello con cui Ali, nel 1974, a Kinshasa, stroncò Foreman con un KO all'8º round dopo avergli fatto esaurire le energie nel vano tentativo di trovare immediatamente una soluzione di forza.

mercoledì 27 marzo 2019

Pradal Serey, l'antico stile di combattimento Khmer

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Pradal Serey, o boxe cambogiana, significa "combattimento libero" in lingua Khmer. Si crede che sia la forma piu' antica di combattimento originaria del Sud Est Asiatico. Alcuni bassorilievi visibili al Bayon, il tempio piu' antico del complesso di Angkor Wat, raffigurano soldati nell'atto di usare ginocchiate, doppie spade, gomitate e calci: questo era il Bokator, l'arte marziale propria di ogni soldato, da cui si e' sviluppato il Pradal Serey. Anche se non esiste alcun reperto scritto riguardante le arti marziali piu' antiche, si crede che furono proprio i Khmer a creare le prime tecniche di combattimento a mani nude, che furono poi insegnate a Birmani e Siamesi dai progionieri catturati e modificate di conseguenza in forme diverse. Questa e' solo una teoria, ma che coinciderebbe perfettamente col periodo storico di massima espansione dell'impero Khmer, che si estendeva fino ai monti della Birmania intorno al nono secolo dopo Cristo.
La boxe Khmer corse il rischio di scomparire assieme ai maestri che ancora la conoscevano e a tanti altri aspetti della cultura cambogiana durante il regime di Pol Pot e dei Khmer Rossi (1975-1979). Nel tentativo di creare una nuova societa' di stampo ultra-Maoista, basata sull'agricoltura e sul ritorno alla purezza della razza dei tempi della grandezza di Angkor, i Khmer Rossi annunciarono l'Anno Zero, inizio di una nuova era per il paese e sistematicamente ne distrussero l'infrastruttura e qualsiasi testimonianza del passato recente e "sbagliato". Tutti i nemici della rivoluzione - intellettuali, dottori, maestri di scuola, artisti, attori e praticanti di boxe - furono cercati e uccisi sistematicamente nei famosi "Killing Fields", i campi di sterminio tra le risaie. Un'enorme porzione dell'eredita' culturale Khmer, inclusa la Pradal Serey, fu spazzata via dalla faccia della terra in due anni.
La boxe Khmer ricomparve solo verso la fine degli anni 80, quando le prime, piccole scuole, spesso gestite da pugili scampati agli orrori dei Khmer Rossi, apparirono a Phnom Penh. Lo scopo non era di guadagnare alcunche', ma piuttosto di tramandare a quanti piu' giovani possibile un'arte marziale in via d'estinzione. Dal 2003, il Pradal Serey e' stato ufficialmente supportato dal governo come parte inscindibile della cultura cambogiana e ha iniziato ad attrarre un numero sempre maggiore di atleti. Pugili semi professionisti ora guadagnano qualcosa dagli sponsors e con premi partita, ma sono ancora molto indietro rispetto ai loro colleghi Thai in termini di cifre. In media, un pugile Khmer guadagna 20 USD a incontro, piu' qualche piccolo premio in contanti e in beni di consumo donato dagli sponsors, in genere aziende thailandesi che gia' sponsorizzano incontri di muay thai in Thailandia.
I Cambogiani sono stati molto chiari riguardo la storia della loro boxe, specialmente in risposta a certe affermazioni fatte dai Thailandesi che non sono affatto piaciute in Cambogia. Mentre esistono testimonianze storiche che la boxe Khmer fosse gia' praticata ai tempi di Angkor Wat, nell'undicesimo secolo, nulla esisteva all'epoca ne' di muay thai, ne' di Thailandia o Siam, in quanto i Siamesi erano una razza senza una patria unificata e spesso impegnati in lotte fratricide tra loro. Inoltre, i Cambogiani affermano che quando l'impero Khmer si sgretolo' alla fine del dodicesimo secolo e Angkor fu abbandonata alla jungla per sei secoli, furono proprio i prigionieri Khmer a insegnare ai Siamesi i rudimenti della loro antica arte marziale. Quindi il Pradal Serey e' l'antenato da cui derivano la muay boran e poi la muay thai. Teoria interessante e molto plausibile, ma non andate a raccontarla a un Thai....
Da un punto di vista dello spettatore, il pradal serey appare molto simile alla muay thai. In verita', molte tecniche figlie della muay boran che sarebbero permesse nella muay thai raramente si vedono a Bangkok, ma si ritrovano spesso negli incontri in Cambogia. Sembrerebbe che i pugili Khmer usino con piu' liberta', e meno paura, tecniche di gomito e ginocchio che i loro colleghi Thai al giorno d'oggi usano con molta piu' parsimonia. Quindi pradal serey e' forse piu' veloce, meno statico e piu' spettacolare della muay thai. La boxe Khmer e' quindi piu' eccitante da vedere, senza la brutalita' propria della Leth Wei birmana e la staticita' della muay thai attuale. Il pradal serey ha il suo circuito televisivo e gli incontri appaiono sulla TV Cambogiana Channel 3 e 5 nei weekends. Guarda pradal serey su VDO

martedì 26 marzo 2019

Mae Mai e Look Mai Muay Thai

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Allo scopo di preservare dall'oblio, in un contesto culturale come quello attuale, la ricchezza della Muay Boran cioè dell'insieme delle tecniche da combattimento sviluppate dal popolo tailandese e arricchito dalle esperienze di tutti i Maestri del Siam nel corso dei secoli, lo stesso Ministero dell'Educazione della Thailandia, ha dato a suo tempo precise istruzioni alla Commissione Nazionale della Cultura, uno dei massimi organi del Governo di quel paese, di raggruppare e rdinare tutto il repertorio tecnico dell'antica Arte Marziale Thai; tale opera di restaurazione ha dato il via alla formulazione di veri e propri programmi di studio e di una completa progressione tecnica, che potesse essere usata anche fuori dai confini tailandesi per aiutare gli studenti di tutto il mondo ad apprendere nel migliore dei modi la vera Arte Guerriera del Siam e non una versione annacquata della stessa, di provenienza dubbia.
Il risultato del lavoro di codificazione effettuato dai Maestri convocati a tale scopo dall'allora Direttore della Commissione Cultura, Mr. Payungsak Jantrasurin, ha portato a suddividere l'insieme delle Tecniche Marziali a mani nude della Muay Boran nei cinque sottogruppi di seguito elencati.
Il primo gruppo di principi e di tecniche denominato Chern Muay, comprende i metodi per il corretto uso delle armi naturali del corpo umano (mani, piedi, tibie, ginocchia, gomiti e testa) per attaccare le varie parti sensibili del corpo dell'avversario: gli attacchi potranno essere diretti o preceduti da finte e inviti, semplici o eseguiti in combinazione.
Il secondo gruppo, o tecniche Kon Muay Kee, riguarda lo studio dei diversi stili di lotta mirati a neutralizzare gli attacchi dell'avversario con appropriate azioni difensive e ai sistemi di contrattacco adeguati alla situazione di combattimento ed alle differenti attitudini del combattente: avremo così tecniche di blocco, schivata, spostamento, deflezione, anticipo, presa, ecc., seguiti da contro colpi diretti a zone non protette del corpo dell'avversario ed eseguiti dalla distanza lunga, media o corta.
Il terzo gruppo è il cosiddetto Chap Ko cioè le tecniche per il combattimento a corta distanza, altrimenti detto corpo a corpo secondo alcuni maestri siamesì questa branca della Muay Thai Boran rappresenta il vero cuore dell'Arte Marziale tradizionale tailandese.
E' infatti a questa distanza che lo scontro diventa più violento ed impietoso e, per questo, ogni Thai Boxer deve essere ferrato in questo tipo di lotta. Nel Chap Ko il combattente si specializza in tecniche di percussione con gomito, ginocchio, testa ed impara ad applicare anche esplosive tecniche di rotture articolari e proiezioni a terra.
Gli ultimi due gruppi comprendono le tecniche, strategie ed i metodi di utilizzo dei principi fondamentali della Muay Thai Boran: si definiscono come Mae Mai Muay Thai (o Mai Khruu) le 15 tecniche fondamentali della Muay Thai, e come Look Mai Muay Thai le 15 tecniche complementari di combattimento.
Sia le prime che le seconde sono state codificale in un ordine preciso ed il novizio dovrebbe impararle secondo l'ordine previsto, passando dalle tecniche più semplici alle più complesse.
Come molte "forme" delle Arti Marziali tradizionali anche le Mae Mai e le Look Mai Muay Thai sono suscettibili di letture diverse, effettuate su piani sempre più approfonditi.
Se infatti ad una lettura superficiale esse sembrano dare informazioni solo relative a movimenti offensivi e difensivi, ad un esame più attento, sotto la guida di un vero esperto di Muay Boran, si rivelano essere una fonte eccezionale di nozioni indispensabili per il combattimento Marziale, fino ad oggi tenute gelosamente custodite e mai rivelate nella loro interezza agli studenti occidentali.
Queste sequenze tecniche la cui origine risale secondo alcuni studiosi al XIX secolo, ci mostrano, ad esempio i sistemi necessari a sviluppare attributi indispensabili quali la scelta di tempo nelle azione di attacco o difesa dell'adepto, fin dalle prime sessioni di allenamento; ci insegnano inoltre come allenare il senso della distanza (elemento strettamente correlato al punto precedente) a fini offensivi o difensivi (vedi a questo proposito le tecniche appartenenti al misterioso stile di Hanuman, la mitica Scimmia Bianca); ci forniscono una mappa dei punti sensibili e vitali del corpo umano unitamente agli angoli secondo cui percuoterli in modo più devastante; ci indicano infine in modo preciso quali armi naturali (mani, piedi, tibie, testa, anche, gomiti, ginocchia) usare per ottenere i maggiori effetti quando attacchiamo i differenti bersagli precedentemente identificati.
Per noi appassionati europei lo studio di tali principi e gruppi di tecniche è una fonte praticamente inesauribile di informazioni Marziali di grandissimo valore utilizzabile in primis da chi fosse interessato a costruirsi un solido bagaglio tecnico a fini di autodifesa, in secundis dai preparatori di atleti agonisti che attraverso le Mae Mai e le Look Mai possono elevare enormemente la caratura tecnica dei propri allievi con ovvi benefici a breve e lungo termine.
Grazie alla Federazione Internazionale IAMTF (International Amateur Muay Thai Federation) con sede a Bangkok, direttamente controllata dalla Commissione Cultura della Tailandia ed alla Accademia Internazionale di Muay Boran (IMBA), l'organismo che cura la diffusione della Muay Thai Marziale in Europa, oggi anche i praticanti occidentali possono accedere a tali preziose nozioni come non era mai stato possibile fare fino ad ora: finalmente siamo in grado di penetrare a fondo nelle tradizioni, solo apparentemente di facile lettura, ma in realtà molto complesse ed articolate, del vero Combattimento Marziale Tailandese.

lunedì 25 marzo 2019

Il concetto della linea centrale nel Wing-Chun


Il Wing-Chun enfatizza l'attacco e la difesa lungo una linea immaginaria tracciata lungo la verticale, occhi, naso, gola, ombelico, tra le ginocchia e l'inguine.
Gli obiettivi primari da colpire sul corpo umano sono considerati nella norma o vicino a questa linea. Questo nella convinzione che il percorso più veloce tra due punti è una linea retta.
Alcuni movimenti di parata o di stoppata tuttavia, possono essere circolari.
Un praticante Wing-Chun si adopererà per proteggere la sua mezzeria e attaccare il suo avversario. Il footwork viene utilizzato per spostare la nostra linea centrale ad una distanza di sicurezza dagli attacchi di un avversario e per posizionare le mani e i piedi per attaccare e invadere la sua linea centrale.
Le tecniche del Wing-Chun sono "chiuse", tutto il corpo è posizionato per proteggere la linea centrale e per mantenere l'equilibrio. Le mani non dovrebbe andare oltre il cerchio verticale che è descritto facendo oscillare le braccia di fronte, con le mani incrociate all'altezza dei polsi.
Per uscire fuori da questa zona, viene usato il footwork.


Un vantaggio sottile dell'attaccare la linea di mezzeria è il reindirizzamento della forza, o meglio la mancanza di essa. Colpire qualcuno sul lato (per esempio la spalla) farà sì che il corpo del ricevente a sua volta, assorbirà parte della forza. Colpire qualcuno nel centro causa più di un'onda d'urto, l'energia cinetica viene trasmessa direttamente al corpo. Circa l'ottanta per cento (80%) del corpo umano è composto d'acqua, quando si viene colpiti al centro la respirazione diviene molto difficile.
Questo concetto può essere facilmente illustrato riempiendo un secchio vuoto con acqua e poi frustando il secchio con un bastone. L'onda d'urto viaggia attraverso il secchio e non si ferma immediatamente, ma continua a muoversi per un po'.
La stessa cosa con il nostro corpo: se veniamo colpiti, l'onda d'urto sarà all'interno del nostro corpo.

domenica 24 marzo 2019

Tin Wan Huen


La Tin-Wan-Huen "legato con un cerchio di ferro" viene utilizzato per rafforzare e sviluppare il coordinamento delle armi ponte in collaborazione con il-Jee-Kim-Yeung-Ma posizione Yee e lavoro di gambe. A causa del peso i gomiti del praticante dissipano l'energia verso il basso, durante la pratica, e quindi si stabilizzano per gravità (attraverso il rilassamento del trapezio e dei muscoli deltoidi) creando ciò che i cinesi chiamano Jang-Dai-Lik (potenza del gomito naufragato).
Una volta che i movimenti del praticante sono stati acquisiti senza problemi, l'addestramento dovrebbe portare alla pratica del Jook Wan-Huen "legato con un cerchio di bambù" (la più leggera delle due versioni) la cui pratica porta allo sviluppo di una forza isometrica duttile, che facendo roteare gli avambracci si crea il vortice delle braccia ponte che culminano in un'espansione esplosiva o con una trazione altrettanto esplosiva chiamata Bau-Ja-Ging (potere esplosivo) e Cheun-Ging (potere perforante).

sabato 23 marzo 2019

L'Hung Gar e le sue forme tradizionali


Oggigiorno si possono vedere centinaia di forme appartenenti a questo stile sviluppate nel corso degli anni, ma la tradizione vuole che le forme classiche e originali di questo metodo si formino dal periodo del Maestro Hung Nei Kung al Maestro Lam Sai Wing. Queste forme principali a mano nuda che sostengono la tradizione di questo stile sono nove, affiancate da una dozzina di forme con armi.
La lunghezza è una delle loro principali caratteristiche, alcune arrivano a contare fino a 300 tecniche. Troviamo forme che si focalizzano sulle tecniche respiratorie e sull'emissione dei famosi "suoni" collegati agli organi vitali (secondo i principi della Medicina Tradizionale Cinese); altre rappresentano le tecniche di combattimento dei cinque animali Shaolin e dei cinque elementi; e altre ancora un sofisticato lavoro sul Ch'i Kung (l'Arte del risveglio e del potenziamento dell'energia vitale).
Oggi l'evoluzione dello stile attraverso le varie correnti formatesi dalla personale interpretazione di vari Maestri arricchisce il metodo, ma disperde il vero programma tradizionale. Le forme tradizionali secondo il programma del Sifu Chan Hon Chun elencate in ordine di studio sono le seguenti:
Mui Fa Kune, che in cantonese vuol dire "fiore di prugno". Il termine Mui Fa è comune a molti stili tradizionali di Kung Fu per le sue caratteristiche. E' infatti il fiore di prugno il primo fiore a sbocciare e con i suoi particolari modi di aprirsi indica i quattro punti cardinali. E' un fiore molto forte, può resistere anche al rigido clima invernale del Nord della Cina e lo si può trovare in quasi tutte le regioni. Per la sua forza e la sua bellezza, molti Maestri hanno dedicato il suo nome alle forme più significative dei loro stili. (Nella tradizione del Kung Fu del Nord esiste un vero e proprio stile dal nome in pechinese Hua Mei Chuan e cioè "fiore di prugno").
Mui Fa è la forma dove si ritrovano le posizioni principali, i movimenti simbolici ispirati alla tigre e la posizione di mano (tan ji kiu) rappresentante il potere del Wai Kong Ch'i Kung.

Lau Gar Kune è studiata tradizionalmente come seconda forma e viene tradotta come "pugno della famiglia Lau".
Le sue origini si trovano nello stile Lau Gar. la storia racconta che tra la famiglia Hung e la famiglia Lau vi erano ottimi rapporti che diedero luogo a uno scambio tecnico che arricchì entrambi gli stili.
Questa forma, nella sua esecuzione, risulta particolarmente rapida, sciolta e veloce. Tra le sue tecniche caratteristiche troviamo "la zampa del leopardo", "l'occhio della fenice" e possiamo notare sul finale il doppio saluto in riferimento alla comunione delle due famiglie Hung e Lau.

La terza forma è la mitica Konji Fo Fu Kune (unione di energie e movimenti di tigre). Nella scuola del Maestro Chan Hon Chung questa viene considerata un'unica grande forma, mentre in alcune scuole viene divisa in due parti. "Chi pratica quotidianamente il Konji Fo Fu Kune svilupperà la forza e la potenza di reggere su di un solo dito l'intera Cina". Questo famoso detto popolare esprime pienamente il valore tecnico di questa forma.
Parleremo brevemente e soltanto dei più importanti aspetti di questa ricchissima forma. Nella prima parte troviamo un particolareggiato lavoro sulle tecniche di Ch'i Kung attraverso l'utilizzo di respirazioni e emissioni di suoni associati alle tecniche e alle contrazioni e decontrazioni di alcuni parti del corpo. Queste vengono rappresentate dal complesso e misterioso mondo del leggendario "drago".
L'emissione di "suoni energetici" che attraverso le loro onde vibratorie si dice vadano a stimolare le energie proprie degli organi vitali (Zhang e Fu) sono il cuore della prima parte della forma chiamata Konji. Mentre la seconda parte Fo Fu (movimenti di tigre) è dedicata alla coordinazione del corpo attraverso le principali tecniche dello stile.
Wu Dip Jueon significa "i palmi della farfalla", perché simbolicamente rappresentano le ali di una farfalla e tecnicamente i palmi delle mani. La leggerezza e lo spostamento delle traiettorie tipiche di questa forma ricordano il volo di una farfalla. Questa forma è diventata importante nello stile Hung Gar attraverso il Maestro Wong Fei Hung ed è particolarmente praticata dalle correnti derivate dal Maestro Lam Sai Wing. Stili come l'Hap Gar, il Lei Gar e il Gor Gar utilizzano una forma molto simile tecnicamente a questa, conosciuta con lo stesso termine.

Come quinta forma dello stile troviamo tradizionalmente la Fu Hok Seon Ying, "la doppia via percorsa dalla tigre e dalla gru". E' considerata la forma simbolo dello stile, ispirandosi ai due animali originari del metodo. Si dice che gli elementi fondamentali di questa forma siano stati combinati dal Maestro Hung Nei Kung e che successivamente la forma tuttora praticata dalla maggior parte dei praticanti di Hung Gar sia stata creata dal Maestro Wong Fei Hung. Essa racchiude in sé tecniche basate su principi di Kong Fou Ch'i Kung e su emissioni di suoni. Una particolarità che notiamo all'interno di questa forma è una sequenza dedicata alle tecniche del Tsui Pa Hisien (lo stile dell'ubriaco).

Mg Ying Kune, ovvero "le cinque vie rappresentanti i cinque animali", è una forma che non tutte le scuole utilizzano, perché racchiude in sintesi tutte le tecniche fondamentali dei cinque animali già viste in quelle precedenti.

Sap Ying o "la forma dei dieci stili", fa parte del programma superiore dello stile.
Fino a poco tempo fa questa forma veniva tramandata segretamente e proprio per questo motivo ci limiteremo nella sua descrizione. Come il termine ci indica, la forma rappresenta i cinque animali (drago, serpente, tigre, leopardo e gru) e i cinque elementi (fuoco, terra, legno, acqua e metallo), ma soprattutto insegna tecniche respiratorie e particolari emissioni di suoni che la valorizzano.

Tesoro dello stile è la forma Ti Sin Kune.
Dal suo significato "filo o anima di ferro" si intende la sua preziosità, che si manifesta nel mondo del Ch'i Kung marziale. Infatti tutte le sue componenti e caratteristiche tecniche vengono associate alla sfera infinita ed esoterica dell'alchimia corporea attraverso il controllo delle energie. Si dice sia una forma dalle potenzialità mediche e che la sua pratica rinforzi tutto il nostro organismo ed allunghi la vita. Per le sue particolari tecniche può tuttavia risultare dannosa se praticata in maniera errata. Questa forma si attribuisce al Maestro Ti Kiu San.

A concludere l'insegnamento tradizionale veniva la forma Sap Juet Sau, "le dieci mani che uccidono". Composta da tecniche e schemi di azione che portano tutti alla morte dell'avversario. Questa forma è sempre stata un insegnamento segreto che avveniva al termine del programma tradizionale e veniva data come una perla rappresentante l'essenza dello stile soltanto ai migliori allievi. Si dice che la Sap Juet Sau sia stata creata dal Maestro Wong Fei Hung. Sono pochi i maestri dell'ultima generazione ad aver ricevuto questo insegnamento.
Oltre alle forme a mano nuda il programma Hung Gar prevede uno studio sulle armi tradizionali o Pin Hei. Secondo la scuola del Maestro Chan Hon Chung, le armi studiate sono le seguenti:
Ma Lao Kwan (bastone della scimmia),
Lau Gar Kwan (bastone a una testa della famiglia Lau),
Tan Tao (spada curva),
Kim (spada dritta),
Wu dip Tao (coltelli a farfalla),
Ta Kwan (grande palo),
Cheon (lancia),
Kwan Tao (alabarda),
San Chan Pi o Ga Dai Pa (forca a tre punte),
San Chet Pi (catena a tre sezioni).

A completare le forme di questo stile si trovano gli esercizi di coppia sotto forma di combattimenti preordinati chiamati "Kung Ghia Fu Hok", e l'uso di attrezzi tradizionali come l'uomo di legno "Mok Yang Chong", vari tipi di sacchi per migliorare le caratteristiche tecniche e per lavorare il condizionamento della mano o e dell'arto superiore pesanti anelli di ferro calzati agli avambracci che servono per potenziare il corpo.

venerdì 22 marzo 2019

Uno sguardo più da vicino al numero 108



Secondo la leggenda, il Wing Chun è stato sviluppato durante la Dinastia Ching (1644-1912) da una monaca Shaolin di nome Ng Mui. Tramandò l'arte ad un'altra donna chiamata Yim Wing Chun nell'anno o attorno all'anno 1772. Sebbene non sia possibile verificare la storia esatta, si può apprendere molto sulla sua storia analizzando l'arte stessa.
Wing Chun viene da Canton, regione meridionale della Cina. Si dice che l'arte prese il nome da Yim Wing Chun.
In Cina c'erano molti monasteri in cui si praticavano le arti marziali. Il monastero Shaolin aveva molte sedi in Cina. Vari libri dicono che gli stili piú duri, "esterni" vengono da Shaolin, mentre gli stili cosiddetti "interni", come il Tai Chi vengono dalla montagna Wu Dong. Tuttavia è probabile che gli stili provenienti da Wu Dong derivassero dallo Shaolin, poichè tutte le arti Shaolin hanno un elemento interno ed uno esterno.
Poichè i monasteri erano come università, i monaci passavano molto tempo analizzando e classificando le varie arti marziali. I monaci Shaolin raggrupparono le tecniche ed i principi secondo le prime teorie cinesi sulla natura e l'universo.
Un'importante antica teoria sull'universo era conosciuta come teoria Yin/Yang. Essa insegna che tutte le cose fanno parte del tutto. Questo tutto è composto da due parti complementari ma opposte chiamate Yin e Yang. Lo Yin rappresenta qualità come il freddo, il buio, l'interno ed il passivo; mentre lo Yang rappresenta le qualità più positive, come il calore, la luce e l'attività. Da questa teoria qualsiasi arte marziale completa avrebbe caratteristiche sia interne che esterne. Dalla teoria dello Yin/Yang divenne usuale raggruppare le cose in categorie di 2, 4, 8 o 64.
Un altro sistema di raggruppare era chiamato la "Teoria dei Cinque Elementi". Questo sistema fu documentato per la prima volta nel quarto secolo a.C. Nella teoria dei cinque elementi, la natura è considerata un processo ciclico di creazione e distruzione. Si pensa che questo processo consista in 5 fasi chiamate Legno, Fuoco, Terra, Metallo e Acqua.
La teoria Yin/Yang ed i cinque elementi furono usati sia nello sviluppo della medicina cinese che nelle arti marziali cinesi. Infatti, tutto in Cina fu influenzato da queste due teorie. Anche il numero tre era popolare in questo Paese, veniva associato al Cielo, all'Uomo ed alla Terra.
È interessante che anche la scienza occidentale abbia notato che ci sono tre colori primari, tre stati della materia e tre dimensioni.
Si pensava che i numeri 2, 3 e 5 fossero i mattoni che costituivano le fondamenta della natura. Il fatto che ci siano tre colori primari, che abbiamo due occhi e cinque dita per mano, appoggiò questa tesi.
Per l'importanza di questi fatti, i numeri 2, 3 e 5 furono usati in combinazione ai numeri delle tecniche delle varie arti Shaolin. Ad esempio c'era la Forma dei Cinque Animali, la Forma dei Cinque Elementi ecc...
Inoltre c'erano 18 (2x3x3) armi classiche, 36 (2x2x3x3) camere nel monastero Shaolin e varie figure basate sul numero 72 (2x2x2x3x3) e sul numero 108 (2x2x3x3x3).
Si pensava che il numero 108 fosse particolarmente importante. Uno sguardo matematico a questo numero rivela il motivo per cui esso fosse così popolare: consiste in 5 fattori (due 2 e tre 3), inoltre quando si divide un cerchio in cinque parti uguali, ogni angolo del pentagono è di 108 gradi. Per di più gli angoli centrali sono di 72 gradi mentre il cerchio ha 360 gradi. Dividendo il cerchio in 10 sezioni, si ottiene il numero 36.
Il cerchio era usato per rappresentare la perfezione o l'intero. Perciò il Cielo era associato al cerchio ad al numero 36, l'Uomo era rappresentato dal numero 108 e la terra dal numero 72.
A causa dell'importanza posta nel numero 108, esso era associato ai 108 famosi eroi delle arti marziali in un romanzo cinese del 17° secolo chiamato "Il Margine dell'Acqua".
Molte figure o forme delle arti marziali consistevano in 108 movimenti, ad esempio c'è la sequenza Tai Chi 108, l'uomo di legno 108 e ci sono 108 punti usati per colpire ecc...
Nel Wing Chun non è diverso:
Ci sono 108 movimenti nel Siu Nim Tao, Chum Kiu e Biu Tze. Infatti al fine di fare 108 movimenti nel Chum Kiu c'è solo un calcio di 135 gradi con la sinistra e nessun calcio di 135 gradi con la destra!
Si dice che l'uomo di legno abbia 108 movimenti, in realtà ne ha 116, ma poichè ci sono 8 calci con la gamba sinistra e gli stessi 8 calci con la destra, contano solo come 8 calci e quindi il totale è di 108 movimenti.

giovedì 21 marzo 2019

Chi sarà il fan del mese?

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Buon pomeriggio a tutti!
Siamo veramente contenti ed euforici. E onorati. Tocca a me inaugurare a nome di tutto lo staff una nuova elettrizzante iniziativa per i blog e le pagine su cui pubblichiamo quotidianamente, ma soprattutto una fantastica opportunità per voi che ci seguite! Teniamo molto a voi, lo sapete. Per i primi dieci milioni di views ve lo abbiamo dimostrato. Ma noi non ci accontentiamo di un regalo ogni tanto. Noi desideriamo coccolarvi sempre e continuamente, perchè senza di voi noi non saremmo quello che siamo e non avremmo tutta questa energia e questa carica a fare sempre meglio. Voi siete il nostro principale motore, la nostra miccia, ciò che ci fa confrontare in interminabili discussioni, ciò che ci fa lavorare con entusiasmo e passione.
A partire da oggi, iniziamo a cercare tra voi il fan del mese!
Cosa significa “fan del mese”?
Diventerà fan del mese colui/colei che durante il mese sarà stato più attivo ossia colui/colei che avrà messo più like ai nostri post e alle nostre immagini, che avrà commentato di più (in modo intelligente, pertinente e rispettoso sempre, altrimenti sarà escluso dall’iniziativa), che avrà condiviso di più i nostri articoli e immagini e che avrà invitato altri a fare lo stesso.
Abbiamo preso una applicazione che ci aiuterà a valutare le vostre attività sulla pagina! In aggiunta, terremo in considerazione anche i commenti che lascerete direttamente sui blog, sotto i vari articoli, che sono fondamentali per noi.
Come mai lo cerchiamo?
La fiducia, la fedeltà e l’interesse sono qualità che rendono un fan tale, ma la partecipazione non è da meno. E’ una qualità importante che, a nostro avviso, va premiata!
Che tipo di premio riceverà “il fan del mese”?
Il fan del mese otterrà un 10.1""Inch Octa Core 4G+64G Android 7.0 WiFi Tablet PC Dual SIM Dual Camera Rear 8.0MP IPS Bluetooth MTK8752 3G WiFi Call Phone Tablet Gifts.
L’iniziativa prende avvio oggi. Ne abbiamo discusso insieme e niente paura, siamo intenzionati a ripeterla!
Tutto dipende da voi, da quanto apprezzamento e da quanta partecipazione ci mostrerete adesso! Potremmo decidere di protrarre il fan del mese per ogni mese (quindi eleggendo e premiando ogni mese il fan più attivo di voi), oppure potremmo diradarlo di più nel tempo.
Ci sono infinite possibilità dinanzi a noi. Non vediamo l’ora di scoprire che cosa ne pensate voi, quanto entusiasmo vi abbiamo suscitato! A voi la parola!
E…che abbia inizio la caccia al “fan del mese”!
Siamo molto curiosi di scoprire chi sarà il fan di questo mese!


La trasmissione profonda dell'arte attraverso il metodo delle scuole autentiche


Le arti guerriere hanno origini antichissime, e i primi rudimenti possiamo farli risalire all'alba dell'uomo: quando questo doveva battersi per sopravvivere doveva battersi con altri suoi simili.
Nel corso dei secoli le tecniche per il combattimento divennero sempre, più elaborate ed efficaci, onde evitare di lasciare al caso le sorti di uno scontro.
Sorsero così molte scuole dove veniva insegnata l'arte del combattere da maestri d'arme che avevano verificato e affinato la loro tecnica sui cambi di battaglia.
Per la formazione del "guerriero" accanto all'insegnamento tecnico venivano poste delle basi morali e comportamentali, in modo da rendere questi individui non solo abili combattenti, ma persone in grado di garantire una stabilità sociale (se necessario anche con le armi) indispensabile per mantenere l'ordine istituito. In Europa ne sono un esempio i leggendari cavalieri di re Artù.
In Corea vi furono i Hwarang.
La leggenda racconta che il re Chinhung (dinastia Silla 661-935 d.C.) chiese al famoso monaco buddista Won Kang Bopsa di ideare un sistema di educazione per creare una classe dirigente e militare che fosse efficiente e saggia.
Vennero cosi selezionati i hwarang (tradotto letteralmente "giovane in fiore") fra i ragazzi di classe nobile. La loro formazione comprendeva lo studio dei classici cinesi, le basi della religione buddista, l'etichetta, la danza, la letteratura, l'arte, la scienza e naturalmente tutte le attività connesse alla guerra. Si formò così una classe guerriera colta e pronta ad affrontare i duri scontri dell'epoca.
L'intellettuale guerriero divenne un modello di vita che rimase esemplare per molte generazioni; gran parte dei condottieri della dinastia Silla erano dei Hwarang. Le storie del loro coraggio e del feroce spirito combattivo venivano raccontate nella poesia e nella letteratura hwarang, che divenne la base della letteratura coreana per oltre mille anni.
Essenziale era il codice di cavalleria, sul quale i guerrieri basavano la loro etica.
Si narra che due giovani hwarang chiesero al monaco Won Kang Bopsa di creare dei "comandamenti" dai quali potevano essere guidati i soldati che non avevano avuto un'educazione come quella dei nobili guerrieri. Questi precetti rappresentano una sintesi del codice di cavalleria marziale del tempo:
1. Sii fedele al tuo Re.
2. Sii ubbidiente ai genitori.
3. Sii leale con gli amici.
4. Uccidi solamente secondo giustizia.
5. Non indietreggiare mai in battaglia,
Su queste basi nacque in estremo oriente la via 'del guerriero (bushido in giapponese), ma non si trattava solamente di una morale che disciplinava, attraverso una retta azione, il comportamento del guerriero. Ciò che caratterizza e contraddistingue il bushido è in correlazione con il concetto indù di dharma, la legge d'azione legata alla casta della vita presente, il dovere inerente alla propria natura interiore. La realizzazione spirituale è possibile solamente seguendo il proprio dharma, che per un guerriero, (kshatriya) è il combattimento e la morte. In un passo della Bhagavad Gita, il dio Krishna dice ad Arjuna:
«Considera il tuo proprio dharma: non puoi esitare. Nessun ideale è più alto per un guerriero che un giusto combattimento. Felici i guerrieri, o Parta, che arrivano, in modo spontaneo, a un tale combattimento: una porta aperta verso il Cielo».
In Giappone la fusione del buddismo Chan con lo shintoismo portò alla creazione del bushido (bu = arti marziali, shi - guerriero, do — via) la Via del samurai.
Questo "cammino" del guerriero verso una coscienza superiore può essere sintetizzato in sette punti essenziali:
1. Gi - l'atteggiamento giusto ed equanime, la verità. Quando giunge ìl momento della morte si deve morire, senza attaccarsi alla vita,
2.Yu - il 'coraggio, l'abilità dell'eroe.
3.Jin - l'amore universale, la benevolenza verso l'umanità,
4. Rei - il giusto comportamento in ogni situazione.
5, Makoto - la totale sincerità.
6, Meryo - l'onore e la gloria.
7, Chugi - la lealtà, la devozione.
Questa via seguita dai samurai è assoluta.
Lo sviluppo parte dal corpo per arrivare allo "spirito", pertanto la pratica è fondamentale e grande importanza viene data al comportamento giusto. Il buddismo ha caratterizzato il bushido principalmente attraverso cinque aspetti:
Il controllo e la pacatezza dei sentimenti;
la tranquilla accettazione dì fronte all'inevitabile;
il pieno controllo di sé in qualsiasi situazione;
il rapporto sereno con l'idea della morte e della vita;
la povertà pura.
Da quanto sopra, si evince che l'azione risulta spiritualmente efficace o nel caso sia conforme alla natura interiore di chi la compie. Medesimo è il significato di quelle discipline che, partendo da una tecnica, si evolvono in arte, e grazie ad alcuni uomini "superiori" si trasformano in vie (tao). Sono "metodi" il cui fine è una realizzazione spirituale secondo il proprio modo dì essere uomo.
L'ideogramma che i giapponesi leggono do o michi (per i cinesi tao indica la "via" nel senso sopra descritto, e nella scrittura antica sembra fosse composto dall'immagine grafica di una testa dì un maestro, dì una strada e dai piedi di un altro uomo. Quindi, un discepolo che segue il maestro sulla via.
Esteriormente tutte le discipline che si basano su questi principi (il budo, il chado eccetera) portano al dominio dì una tecnica, alla conoscenza profonda dell'arte. Ma il praticante a un certo punto del suo cammino esce da questi confini esteriori, per elevarsi a un piano superiore attraverso una trasformazione e una purificazione interna che gli permetterà una crescita spirituale. Lo scopo ultimo di tutte le vie è questo, ma l'aspetto interiore, esoterico dell'insegnamento viene celato ai più, poiché solamente gli allievi spiritualmente più elevati, e quindi in grado di comprendere, possono accedervi.
Ogni forma di tradizione spirituale ha due aspetti, uno esteriore, essoterico, più propriamente religioso, l'altro esoterico o iniziatico. Per quanto riguarda il buddismo mahayanjco, i giapponesi usano due termini: tariki (l'aiuto di un altro) e jiriki (il fare da sé). Tariki è la, ricerca della salvazione affidandosi alla grazia e alla bontà divina, chiesta attraverso formule salvifiche e una condotta "pia". È questo il caso delle sette amidiste, del Jodo, che confidano nella rinascita nel paradiso del Budda Amida, nella Terra Pura. Jiriki è la vìa dell'illuminazione attraverso un lavoro e una realizzazione interiore, uno sforzo condotto con autodisciplina e un severo addestramento ascetico sotto la guida di un maestro che ha il compito di istruire sulle tecniche del risveglio stimolando e guidando il discepolo verso l'autorealizazione.
Quest'ultimo è il metodo adottato dallo Zen, dal Tendai, dallo Shingon.
In Giappone si diceva: «II Tendo è per la famìglia imperiale, lo Shingon per la nobiltà, lo Zen per i samurai e il Jodo per la massa del popolo».
Ogni do, all'interno delle dottrine jiriki, ha un aspetto esterno e uno interno ed è quest'ultimo il "cuore", l'essenza dell'insegnamento, che i giapponesi chiamano hiden. In ogni scuola per giungere all'insegnamento esoterico, al suo hiden, bisognava superare tutti i livelli inferiori dell'addestramento, necessari per saggiare e forgiare al tempo stesso il discepolo.
Nell'Hagakure, testo di etica e precettistica samurai del XVII secolo scritto da Jocho Yamamoto, si afferma che nessuna grande opera è stata compiuta da un individuo senza che questi divenisse "pazzo", ossia senza superare il livello di coscienza ordinaria, raggiungendo quindi una coscienza illuminata.
Una coscienza illuminata, che abbia quindi superato il dualismo della mente ordinaria (vita-morte, bene-male, giusto-ingiusto) può vedere le cose per quello che realmente sono. È su questo livello di coscienza che agiscono tutti i grandi maestri delle arti marziali.
Secondo il pensiero zen è necessario superare la divisione - del mondo tra soggetto e oggetto, causata dall'ignoranza cosmica, che impedisce di vedere nella propria natura più profonda. Questa natura e il volto originario dell'Io superiore, che i buddisti chiamano "il cuore del Budda", l'Assoluto Riscoprire la nostra essenza superiore, distruggendo le false e caduche aggregazioni dell'Io terreno e illusorio, è compito di ogni ascesi spirituale.
Ritrovata la nostra essenza superiore si dissolvono ogni antitesi e ogni dualità, si apre improvvisamente una visione lucida e intuitiva (non concettuale). Questa coscienza ìlluminata, o conoscenza intuitiva suprema, è prajna, "Risvegliarsi" a questa conoscenza è il satori (illuminazione).
Il superamento dell'ordinaria condizione umana, attraverso quest'esperienza trascendentale, permette infine di apprendere un'ultima verità: prajna è immanente in ogni essere umano, identità e diversità sono la stessa cosa, e il divenire e l'assoluto coincidono.
Una mente pura consente di percepire il mondo reale e conscguentemente apre la porta della conoscenza. L'uomo pieno di emozioni e dì pensieri ha la "superficie" della mente increspata che non gli consente di percepire la verità, proprio come la superficie di uno stagno increspata dal vento rende deforme ed evanescente il riflesso della luna.
Bisogna placare le "burrasche" che agitano la mente, solo quando ciò avviene l'immagine della luna appare e l'uomo è illuminato.
Nella pratica del budo avviene la stessa cosa. Per avere la certezza della vittoria è necessaria una mente pura che consente di conoscere sia se stessi sia tutti gli altri. Attraverso la concentrazione durante l'azione e la meditazione. Nel budoka regna la calma perfetta: egli giunge alla vacuità e riconosce la realtà.
È indispensabile tenere sotto controllo la mente, in modo da "sottometterla" alla volontà del Sé; solo a queste condizioni si arriva a mushin. L'ego scompare e si giunge a prese di coscienza soggettiva, che nella terminologia zen prende il nome di satori.
L'assenza di pensieri discriminanti, mushin, porta a una simultaneità di volontà e azione, ed è questo il punto di arrivo dei grandi maestri delle vie marziali (budo) sulla linea dello zen.
Tutto il lavoro di anni, di una vita dedicata al budo tende a questa meta, e se non si raggiunge lo stato di mushin non si possiede veramente un'arte. Chi però raggiunge questo livello è già sulla via che conduce alla liberazione e l'arte non gli serve più.
Le scuole tradizionali orientali, per perseguire il fine ultimo sopra descritto, si avvalgono di un metodo di insegnamento che, partendo dall'elementare conduce gradatamente al complesso e dal concreto all'astratto, attraverso la sperimentazione l'induzione e la verifica.
Inoltre esse si avvalgono dì "verità rivelate", che non ammettono dubbi o critiche, dogmi ferrei sostenuti dall'autorità indiscussa dì legittimi maestri "illuminati".
Questo metodo viene chiamato dagli okinawesi su-ha-li, dai cinesi ciun-po-li.
Su è il primo passo sul cammino del do.
Secondo il sistema di gradazione adottato nelle discipline marziali, va dal primo al terzo dan e i praticanti vengono denominati yu-dan-sha. In questo primo livello l'allievo deve assimilare la forma, sia mentale, sia fisica, datagli dall'insegnante.
Le tecniche plasmeranno il corpo, la disciplina e l'etichetta faranno altrettanto sulla mente.
La pratica dei kata è determinante per questa formazione: esternamente educa il corpo, internamente disciplina l'ego; mentre l'etichetta formalizza il rapporto con gli altri.
Il secondo livello è ha; è in questa fase che il praticante matura la sua maestria, ha una visione completa e precisa del tutto e pur padroneggiando le tecniche riconosce i propri limiti fisici, energetici e mentali. È questo il periodo della comprensione, il rapporto con il proprio maestro cambia: gli si chiedono delle conferme su quanto elaborato e maturato nei molti anni di pratica.
A questo stadio il praticante, se è un insegnante, può elaborare delle nuove metodologie, trovare delle soluzioni diverse che arricchiscono l'arte, ma.non può modificare nella sostanza l'insegnamento tradizionale, modificando per esempio i kata classici.
In Giappone solamente a chi ha raggiunto questo livello si attribuisce il suffisso ka: karateka, judoka, kendoka, relativo alla disciplina praticata.
Ka vuol dire élsa, e quindi sta a indicare che questi praticanti ospitano dentro di sé l'arte praticata, che vive in loro. Sono questi individui che hanno la capacità e la responsabilità di rappresentare, personificandola, l'arte marziale, il budo. Questi maestri, dal quarto al settimo dan, sono considerati dei ko-dan-sha, votati alla ricerca del proprio sé.
L'ultima tappa del metodo tradizionale è Li.
Il praticante e la forma sono ormai diventati una sola cosa, è stata raggiunta l'essenza, e pertanto la forma può essere abbandonata dando spazio alla creatività. L'energia e la coscienza del budoka si sono purificate, questi ha raggiunto il mushin. Ora può creare o modificare i kata, vivificare con nuove intuizioni la tradizione dell'arte. Un uomo che abbia veramente compreso e realizzato in sé l'essenza dell'arte è in grado di creare nuove "forme", nuovi modelli da imitare per raggiungere il fine ultimo delle arti marziali. È questo lo stadio raggiunto dai grandi maestri fondatori di scuole e stili: tra questi ricordiamo Morihei Ueshiba, fondatore dell'aikido; Chang San Feng, che creò il taijiquan; Shigeru Egami, fondatore dello shotokai.
È il metodo tradizionale orientale a garantire la trasmissione corretta degli, insegnamenti, ma sono gli uomini che rendono concreta l'arte.

mercoledì 20 marzo 2019

BREVI CENNI SULLE ORIGINI E SULLA STORIA DEL KUNG FU-HUNG GAR



Hung Gar, secondo il dialetto di Canton si traduce come “Famiglia Hung”, ma lo si potrebbe conoscere anche come “Hon Kune” (Pugno di Hung) e più recentemente “Hung Ghia” (Famiglia Hung) in dialetto pechinese.
Si possono far risalire le origini di questo stile al 16° secolo. Quindi abbiamo il suo sviluppo durante le dinastia Ch'ing, viene classificato in modo inequivocabile come uno stile duro (Wai Chia), la paternità dello stile viene attribuita a Hung Nei Kung, allievo del monaco Shaolin Ti Sin Sin, conosciuto anche come Chi Shin.
Molti stili sopravvissuti fino ad oggi devivano dallo Shaolin, l'Hung Gar è uno dei più rappresentativi appartenente alla tradizione del Nam Siu Lam (Shaolin del sud).
Lo Shaolin può essere suddiviso in vari periodi storici durante i quali si è sviluppato ed è stato modificato.
Il primo periodo, il periodo Shaolin Gudai, conosciuto anche come Shaolin De o Antico, fra gli anni 520 e 1368 dopo Cristo. Successivamente incontriamo l'era Shaolin Ming, 1368-1644, periodo
d'oro del monastero Shaolin dell'Honnan, in cui fu realizzata la più importante codificazione degli stili. Infine abbiamo il periodo Shaolin Ching, compreso tra gli anni 1644 e 1911, nel quale avvenne la nascita della maggior parte degli stili praticati al giorno d'oggi.
Dallo stile Shaolin traggono origine le correnti Pak Siu Lam e Nam Siu Lam, alle quali si attribuiscono la maggior parte degli stili attualmente praticati.
Esistono diverse teorie sulla nascita dello stile Hung Gar così come differenti linee di sviluppo. Troviamo la più attendibile tra queste
e la più vicina al metodo praticato oggi attraverso la genealogia che inizia dal Maestro Hung Nei Kung e risale fino alla fine della dinastia Ching, con molti personaggi ed eroi che hanno contribuito allo sviluppo e al perfezionamento di questo stile. La storia narra che il monaco Ti Sin Sin tramandò le base dei metodi utilizzati dai monaci Shaolin al suo discepolo Hung Nei Kung attraverso una particolare sequenza di tecniche rappresentanti i movimenti della "tigre" e le respirazioni del "drago". Questa sequenza, con il tempo, si identificò nella famosa forma Konji Fo Fu, dalla quale si svilupparono in seguito le basi dello stile Hung Gar.
Il principio dello stile Wing Chun, le tecniche dello stile della "gru" e i molteplici scambi tecnici che avvenivano tra le differenti famiglie di Kung Fu avrebbe arricchito ulteriormente questo stile. (Si racconta che il Maestro Hung Nei Kung sposò l'allieva diretta della fondatrice dello stile Wing Chun).
Dopo Hung Nei Kung, la genealogia dello stile continua con i principali Maestri che avrebbero portato innovazioni e approfondimenti al metodo.
Oltre a questi sopracitati Maestri, esistono altri grandi personaggi che per alcune correnti sono capiscuola. Questa genealogia si ferma con questi personaggi, i quali non hanno ufficialmente riconosciuto nessun successore nella loro scuola. Situazioni analoghe, purtroppo, si sono verificate in molti altri stili.
Molti sono i maestri che si sono autoproclamati capiscuola ed unici eredi di uno stesso stile personalizzandolo.
Ciò ha creato non poca confusione, ma forse questo è il prezzo della popolarità di questa Arte.
Attraverso il personaggio di Wong Fei Hung, eroe popolare del periodo di fine ottocento, l'Hung Gar divenne il più importante e diffuso stile del Sud Cina. Nella regione del Kwan Tung ed esattamente nella zona di Canton si narra la storia delle "Dieci tigri" conosciute come le "Sap Fu". Questi erano dieci eroici personaggi praticanti diversi stili di Kung Fu che, per le loro imprese, si erano resi popolari specialmente durante il periodo dell'occupazione occidentale (dalla guerra dell'Oppio fino alla rivolta dei Boxer). Lo stile Hung Gar vanta tra questi ben tre Maestri cioè Wong Kei Yen, Wong Fei Hung e Ti Kiu San. Si raccontano molti aneddoti a proposito di questi due ultimi Maestri: Di Wong Fei Hung è soprattutto famoso il combattimento contro due vere tigri avvenuto all'interno di una fossa, ed il fatto di aver sconfitto col suo bastone, all'età di tredici anni, un famoso Maestro di Kung Fu. Ti Kiu San, invece, passò alla storia per aver vinto svariate sfide contro Maestri provenienti da ogni parte della Cina. Il vero nome di questo Maestro era Leon Kwan e venne soprapnominato "il terzo braccio di ferro", che si traduce appunto in Ti Kiu San, perché le sue braccia erano dure e forti come il ferro. Un giorno, per dimostrare questo, si racconta che fece salire sulle sue braccia (che avevano assunto la posizione di Tan Ji Kiu) ben sei persone. Riuscì a sollevarle e a trasportarle per cento passi! Il numero tre nel suo soprannome è in riferimento al fatto che era il terzogenito della famiglia.
Ancora oggi sulle pareti di una famosa pagoda di sette piani, nella città di Canton, si possono trovare affreschi che rappresentano scene di combattimento di Ti Kiu San e Wong Fei Hung.
Sono grandi eroi del passato a cui la cinematografia di Hong Kong ha dedicato più di cento pellicole!!
L'influenza della Boxe cinese ad Okinawa è stata determinante per quello che in seguito si sarebbe sviluppato e si sarebbe conosciuto come Karaté. Circa 200 anni fa furono introdotti nell'arcipelago
di Ryu Kyu, precisamente nell'isola di Okinawa, differenti stili di Kung Fu, tra cui lo stile Hung Gar del Kwan-Tung, il Bak Hoi del Fukkien, il Mei Hua del Nord e alcuni stili morbidi del Wu Tang.

martedì 19 marzo 2019

Cosa è l'Aikido



I principi dell'Aikido, sono nati e si sono sviluppati grazie a Morihei Ueshiba.
La caratteristica che spicca subito nella pratica di quest'arte marziale è il cambiamento che ha subìto proprio alla base, cambiamento che le ha fatto fare un salto in avanti, passando da un'arte potenzialmente aggressiva a un'espressione profonda che mira idealmente ad abolire il contatto fisico.
Si noti che quando la gente parla di sé stessa, quasi sempre fa riferimento al suo "io fisico".
Attraverso i cinque sensi le persone sono consapevoli della propria fisicità, ma non della loro mente che non possiede né colore né forma.
Ogni mattina facciamo gesti ormai divenuti abituali come lavarci i capelli o pettinarci, ma quanti di noi abitualmente fanno lo stesso con i pensieri? Pochissimi!
Nella società odierna è pratica comune avere cura del proprio corpo, ma sono pochi quelli
che si prendono cura della propria mente. In apparenza non comprendiamo la nostra mente, non comprendiamo che come il corpo, si sporca se non la si lava, diventa debole se non la sì allena.
Un altro punto che sfugge ai più è il fatto che è la mente a comandare il corpo e non il contrario.
L'Aikido cerca di sviluppare ed insegnare ai propri adepti questa verità, spiegando all'allievo che prima di provare a realizzare un movimento del corpo, bisogna attivare la propria mente. Lo stesso principio lo ritroviamo quando tentiamo di abbattere un avversario, prima di muovere il corpo dobbiamo dominare la mente. Se tentiamo di atterrare un avversario utilizzando unicamente la forza muscolare, questo diventerà un lavoro arduo, difficoltoso.
Ricordiamo sempre che la mente non ha peso né volume e quindi il fatto che un uomo sia fisicamente più dotato di noi non vuol dire che sia difficile da atterrare. Se si impara l'Arte di dominare le menti altrui, una donna o un bambino saranno in grado di sconfiggere facilmente un uomo robusto.
Dopo aver assistito per la prima volta a una dimostrazione di Aikido, la reazione abituale della gente è di considerare quest'Arte una frode vera e propria, poiché sembra che i praticanti collaborino alla realizzazione di sequenze che altrimenti non avrebbero senso agli occhi di un profano. L'idea comune dice a queste persone che non è altro che un inganno.
Si sbagliano, poiché considerano il corpo come il centro di ogni attività. A pensarla così la gente ottiene solo informazioni incomplete, perché la gente comune non conosce il funzionamento della mente. E non vale la pena di discuterne, poiché vi è una sola forma di comprensione dell'Aikido, vale a dire attraverso la pratica.
Nella maggior parte delle Arti Marziali i due contendenti si trovano uno di fronte a ll'altro, o almeno durante l'allenamento ci viene insegnato così, due forze opponenti che si affrontano fino alla sconfitta di una delle due. Non è così nell'Aikido, l'intenzione non è quella di conquistare
il nemico, ma di conquistare noi stessi. Il cielo e la terra sono un tutt'uno.
Dominare una qualsiasi Arte Marziale comporta ubbidienza alle leggi (non solo della fisica) ma anche a quelle assolute del cielo e della terra o di madre natura. Se siete in grado di comprendere realmente e di obbedire alle leggi della natura, così come di seguire ognuno dei suoi comandamenti, diventerete una parte integrale di essa e quando vi attaccheranno, staranno portando, un attacco contro la natura stessa. Nessuno può tentare con successo di prevalere sopra le leggi della natura.
Per questo sconfiggere un avversario è solo una vittoria relativa.
Arriverà sicuramente il giorno in cui il vincente di oggi sarà il perdente di domani. Diventate dunque parte della natura, sforzatevi di crescere dentro di lei.
Temete solo la vostra mancanza di sincerità.

lunedì 18 marzo 2019

Kenpō

Risultati immagini per Kenpō


Il kenpō (拳法 pron. ke̞mpo̞), noto in occidente anche con la traslitterazione kempō, è un'arte marziale giapponese di origine cinese.
Kenpō è un vocabolo sino-giapponese (analogo al cinese quanfa) che significa "boxe" tradizionale, in senso generico. Il termine è stato adottato in Giappone in epoca moderna e indica un gruppo di metodi ispirati agli stili cinesi sviluppatisi soprattutto a partire dall'era Ming.

Origini

Il kenpō è un'arte marziale di combattimento senz'armi probabilmente praticata dal VII secolo dai monaci buddisti di Shaolin, che divenne prima il Jiaodishu, poi il Kaiko (sotto l'influenza mongola) e infine Kenyu (arte del pugno o legge del pugno) per le sue tecniche di pugno.
Vi sono due teorie riguardo l'origine del kenpō: la prima lo vede come un'arte marziale giapponese nata nel 1932 ad opera del maestro M. Sawayama; la seconda ritiene le sue origini più antiche e lo considera un'arte marziale cinese praticata già nel VII secolo a.C. e introdotta ad Okinawa intorno al 1600.
Durante la dinastia T'ang, periodo d'oro della storia cinese, quasi tutte le potenze confinanti avevano stretti rapporti economico-culturali con la Cina: si presume, quindi, che una forma di kenpō sia passata dal continente asiatico alle isole Ryukyu e qui abbia avuto sviluppi diversificati. Sembrerebbe che il kenpō sia entrato in Giappone grazie un monaco per diffondere il buddhismo, oppure da studenti giapponesi a Pechino.
Tra il V secolo d.C. e il VI secolo d.C. questo monaco buddista indiano di nome Bodhidharma, conosciuto in Giappone come Daruma Taishi, giunse in Cina, dove visse a lungo in un tempio: lo Shaolinsi, considerato l'epicentro del kenpō e dal quale si diffuse poi in tutta la Cina. Il monaco mise a punto un metodo di lotta che prese il nome di Shaolinquan tramandata di padre in figlio. Nel 1406 le isole Ryu Kyu furono unite in un unico reame e le armi furono confiscate per paura di eventuali ribellioni. Nel XVII secolo il divieto delle armi viene rinnovato e causa diretta fu lo sviluppo di un metodo di difesa personale a mani nude, il kenpō cinese o Via del pugno.
Le tecniche di kenpō influenzarono profondamente quelle dell'Okinawa-te (il futuro Karate, verso la fine del XIX secolo). Il kenpō viene anche chiamato Hakuda, Shuhaku, Shorinji kenpō e Ch'uan-fat o Ken-fat in cinese. Dal kenpō deriverebbero il Po-kua e l'Hising-i.
Le tecniche del kenpō sono: calci, pugni, proiezioni, lussazioni, leve articolari e combattimento corpo a corpo sia in piedi che a terra. Per i combattimenti s'indossano guantoni e speciali protezioni per il viso e il busto. Lo Shorinji Kenpō prevede anche l'insegnamento delle cadute con risalita in piedi imitando i felini. Il Nippon kempō, scuola molto più giapponese, presenta con due scuole di pensiero in Italia: il Nihon Nippon kempo e il Nippon kempo Kyokai.
Non esistono, in ogni caso, testi che possano provare questa teoria ma solamente leggende e tradizioni orali.