martedì 31 ottobre 2017

Ji

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Il Ji () è un'antica arma inastata cinese, ad oggi ancora in uso nelle arti marziali cinesi, normalmente considerata la versione sinica dell'alabarda occidentale.
Il Ji è, in buona sostanza, un'evoluzione della lancia di metallo Mao () ottenuta combinando quest'ultima con l'ascia-daga (). Il Ji fu creato tra l'epoca della dinastia Yin e quello della dinastia Shang. Anticamente era decorata con monete e nastri colorati di seta.
Il Ji interamente in bronzo fu utilizzato ampiamente dalla dinastia Zhou occidentale e quella in ferro apparve nel periodo degli stati combattenti. Durante la dinastia Qin e la dinastia Han il Ji divenne un'arma importantissima utilizzata sia dalle forze di cavalleria che di fanteria. Gradualmente scomparve dai campi di battaglia tra il periodo della dinastia Jìn e l'epoca delle Dinastie del Nord e del Sud. Nel contempo, però, il Ji iniziò ad essere ampiamente utilizzato durante le dimostrazioni popolari. Durante la dinastia Sui e la dinastia Tang, l'arma fu definitivamente relegata alla pratica spettacolistica, all'esercizio fisico e alle cerimonie onorifiche, perdendo una valenza bellica vera e propria.

Varianti

Nel corso della storia sono stati prodotti numerosi tipi di questa arma:
  • Jiuquji (九曲戟);
  • Fangtianhuaji (方天画戟);
  • Qinglongji (青龙戟);
  • Duanji (短戟);
  • Shuangji (双戟);
  • Maji (马戟).

lunedì 30 ottobre 2017

Ashina Moriuji

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Ashina Moriuji (蘆名盛氏; 1521 – 1580) è stato un daimyō giapponese del periodo Sengoku, appartenente al clan Ashina.
Moriuji fu il figlio maggiore di Ashina Morikiyo. Espanse il dominio degli Ashina nonostante le resistenze dei clan Uesugi e Satake ed entrò in guerra con i Date. È ricordato come un capo buono e saggio, che fece molto per migliorare la condizione economica del dominio Ashina mentre espandeva i suoi confini. Per questo motivo, il regno di Moriuji è considerato l'età d'oro del clan Ashina. Costruì il castello di Mukaihaguroyama intorno al 1561 come un luogo previsto per il suo ritiro. Quando suo figlio maggiore morì di malattia adottò Ashina Moritaka.

domenica 29 ottobre 2017

Lau gar kuen

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Il Liujiaquan (刘家拳, pugilato della famiglia Liu), più conosciuta nella pronuncia cantonese Laugarkuen, è uno stile di arti marziali cinesi del sud della Cina. Esso è uno dei Guangdong wu daming quan.

Origini

La paternità di questo stile è attribuita a Liu Yiyan (刘一眼), a Liu Sheng (刘生) oppure a Liu Qingshan (刘青山), tutti marzialisti cantonesi.

Forme

Questo stile ha come Taolu a mano nuda: Dayuntian (大运天); Xiaoyuntian (小运天); Shiquan (十拳); Tianbianyan (天边雁); Batugong (八图功); Liujia Wuxingquan (刘家五形拳); ecc. Con le armi: Liujia dao (刘家刀); Liujia gun (刘家棍); ecc.

Hongjiaquan Liujiaquan

In alcune scuole dello stile Hongjiaquan viene praticata una forma chiamata Liujiaquan (Lau Gar Kuen), che sarebbe stata introdotta da Lam Sai Wing dopo la sua assunzione presso l'associazione Jingwu Tiyu Hui del Guangdong.




sabato 28 ottobre 2017

Shequan

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Shéquán (蛇拳, pugilato del serpente) è uno stile di arti marziali cinesi che viene classificato come stile imitativo (Xiangxingquan 象形拳), in quanto imita le movenze dei serpenti.
Ci sono vari stili del serpente sia al nord che al sud.

Shequan Beipai (蛇拳北派, pugilato del serpente della scuola del nord)

La scuola del pugilato del serpente del nord è stata tramandata dal maestro Wan Qiming (万奇鸣) che ne ha favorito la conoscenza attraverso la pubblicazione di libri ed articoli. Essendo stata tramandata in seno alla famiglia di questo maestro si chiama anche Wanjia dumen shequan (万家独门蛇拳 pugilato del serpente abilità speciale della famiglia Wan).
Lo Shequan del nord con la tecnica delle arti marziali wushu imita le azioni di un serpente. Molti dei movimenti dello shequan includono le torsioni fluide e le onde del corpo. Shequan è una forma di arte marziale veloce e flessibile.
Questi si concentra in colpi veloci agli occhi, alla gola, e vari punti di pressione nel corpo, oltre che calci alle ginocchia e agli stinchi

Shequan Nanpai (蛇拳南派, pugilato del serpente della scuola del sud)

Un pugilato del serpente della scuola del sud è chiamato Shexing diao shou (蛇形刁手, mani astute a forma di serpente), il cui principale esponente fu Leung Tin Chu (粱天柱, Liang Tianzhu in Pinyin). Nacque alla fine del 1800 e divenne famoso perché ottenne un ottimo piazzamento nei Guokao del Zhongyang guoshu guan di Nanchino nel 1928. Assieme a Liang sono ricordati come figure preminenti Qiu Longguang (邱龙光), Liang Shaozhuang (梁少庄). Il loro stile era un insieme di un non meglio precisato Stile dello Shaolin del Sud, che avrebbe appreso da un monaco, e di Choy Gar (Caijiaquan), appreso da un membro della famiglia Cai. Liang Tianzhu ebbe due discepoli importanti: suo nipote Leung Gar Fong di Hong Kong e Wong Tin Yuen che insegnò questo stile nella sua palestra in Sacramento Street a San Francisco per quarant'anni, sin dal 1930. Si può definire lo stile pugilistico come uno stile di combattimento a media distanza che usa, per coincidenza, qualche tecnica simile al Wing Chun (Yongchunquan) in forme simili allo Hung Gar (Hongjiaquan). La forza applicata e le tecniche sono meno dure rispetto agli altri stili del Sud.
«Questo pugilato imita l'Attorcigliarsi del Serpente (Shechan, 蛇缠), l'Emissione della Lingua (Tuxin,吐信), la Bocca che Afferra le Mani (Diaoshou, 叼手), il Ritrarre il Corpo (Suoshen,缩身), il Palmo Penetrante del Serpente (Shechuanzhang, 蛇穿掌), il Corpo Sinuoso (Youshen, 游身), ecc. ...... I metodi principali per apprendere e praticare questo pugilato sono il tenere tra le mani la Palla di Ferro (Diao Tieqiu, 叼铁球) e l'indossare i Cerchi di Ferro (Chuan Tiehuan穿铁环). Facendo questo si può migliorare l'accuratezza della pratica e del trovare il tempo delle mani del serpente (sheshou, 蛇手) che afferrano (diao, ) e penetrano (chuan, 穿) il corpo dell'avversario. Le forme si compongono di 27 azioni che intendono interpretare l'immagine del serpente. Le mani salgono e ricadono come la lingua del serpente che esce e rientra nella bocca. I movimenti del corpo sono veloci e abbaglianti, con molti cambiamenti; abbondante di tecniche, si distingue sia in attacco che in difesa, utilizza la morbidezza per sopraffare l'inflessibilità.»
(Yang Yang 杨洋 e Lin Jin 林锦, Nanpai Shequan )



In altri stili

Movenze del serpente sono presenti anche in altri stili:
  • lo Xingyiquan (形意拳) ha un movimento a forma di serpente (蛇形, she xing) nei 12 animali;
  • nel Nanquan si utilizzano i palmi a forma di serpente (蛇形掌, she xing zhang);
  • anche il Baguazhang utilizza il palmo a forma di serpente;
  • nello Yin Yang Baguazhang c'è tutto un sistema dedicato al Pitone: lo Mangxingzhang;
  • lo Shaolinquan ha una forma che si chiama Shequan, che è uno dei Wuquan o Wuxingquan;
  • il Cailifo tra le forme avanzate possiede lo Shequan;
  • nel Liuhe Xinyiquan dell'Henan c'è Bai she tu xin 15 shi (白蛇吐信十五式);
  • Nel Vovinam viet vo dao c'è una forma (quyền) che si chiama Xà Quyền, che significa Pugilato del Serpente, e corrisponde esattamente al Pinyin Shequan;
  • Nella Scuola del Muro Verde (Qingchengpai, 青城派) c'è una forma detta Shequan;
  • ecc.

Shequan nella cultura di massa

  • Esiste un film che ha come titolo originale Shexing diao shou (蛇形刁手, esattamente come lo stile del sud sopracitato), che ha come protagonisti Chen Long (成龙, più conosciuto da noi come Jackie Chan), Yuan Xiaotian (袁小田) e Huang Zhengli (黄正利). In Inglese si intitola Il serpente all'ombra dell'aquila.
  • Nella serie di videogiochi Mortal Kombat due personaggi usano lo Shequan (qui chiamato Snake): Shang Tsung e Havik
  • Questo è lo stile di combattimento del personaggio Christie nella serie di videogiochi Dead or Alive.
  • Lei Wulong del videogioco Tekken usa il serpente, come gli altri quattro stili degli animali, come stile principale.
  • Il serpente del film Kung Fu Panda rappresenta appunto lo Shequan.
  • Nella serie animata Avatar - La leggenda di Aang, Azula utilizza lo Shequan.

venerdì 27 ottobre 2017

Uesugi Kenshin

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Uesugi Kenshin (上杉謙信; Echigo, 18 febbraio 1530 – Echigo, 19 aprile 1578) è stato un samurai e daimyō che governò la provincia di Echigo in Giappone durante il periodo Sengoku, e uno dei più potenti signori della guerra di questo periodo.
È famoso per la sua abilità sul campo di battaglia, per la leggendaria rivalità con Takeda Shingen, per la sua abilità in campo militare e strategico e anche per la sua fede nel dio della guerra: Bishamonten. Infatti, molti dei suoi seguaci e anche altri, credevano che lui fosse l'avatar del dio Bishamonten, e per questo lo chiamavano "il dio della guerra" Kenshin.

Biografia

Nome

Nacque con il nome di Nagao Kagetora (長尾景虎), cambiandolo successivamente in Uesugi Masatora (上杉政虎) quando ereditò il nome della famiglia Uesugi quando accettò il titolo ufficiale di Kantō kanrei (関東管領 vice-shōgun della regione del Kantō). Più tardi cambiò ancora una volta il suo nome in Uesugi Terutora (上杉輝虎) in onore dello shōgun Ashigaka Yoshiteru (足利義輝), per poi cambiare ulteriormente nome, un'ultima volta, in Kenshin, dopo che diventò un monaco buddhista. È ricordato soprattutto per essere stato un fedele devoto al dio Bishamonten.
Alcune volte ci si riferisce a Kenshin come "Il drago di Echigo", a causa delle spaventose abilità nelle arti marziali mostrate sul campo di battaglia. Il suo rivale, Takeda Shingen, era chiamato "La tigre di Kai". In alcune versioni della mitologia cinese (Kenshin e Shingen erano molto interessati alla cultura cinese, soprattutto ai lavori di Sun Tzu), il dragone e la tigre sono sempre stati acerrimi nemici che tentavano di distruggersi l'un l'altro, ma mai nessuno dei due riusciva ad ottenere il sopravvento sull'avversario.

Primi anni

Quarto figlio del grande guerriero Nagao Tamekage (長尾為景) del clan Nagao, i primi anni della vita di Kenshin presentano una storia unica. Suo padre si è guadagnato la fama di grande signore della guerra grazie ad alcune vittorie ottenute contro Uesugi Sadanori e Uesugi Funayoshi. Tuttavia, nei primi anni, Tamekage entrò in conflitto con il suo vicino Ikkō-ikki di Hokuriku, a causa del fatto che il potere nella regione iniziò a spostarsi verso Ikkō (dovuto soprattutto all'improvvisa evoluzione di Honganji, la situazione per Echigo si deteriorò velocemente. Raggiunse il picco nel 1536, quando il padre di Kenshin radunò le truppe e marciò verso ovest, senza uno scopo preciso. Tuttavia, nei pressi di Sendanno in Etchu, le sue truppe furono improvvisamente attaccate da quelle di Enami Kazuyori: nella battaglia che ne risultò, Tamekage stesso fu ucciso e il suo esercito mandato in rotta.
Le ripercussioni di ciò che era accaduto si fecero subito sentire ad Echigo. Nagao Harukage, il primogenito di Tamekage, immediatamente tentò di prendere il controllo dei Nagao e il tutto successe dopo che uscì vincitore da uno scontro fra lui e suo fratello, Kageyasu, in cui quest'ultimo ne uscì sconfitto e morto. Kagetora (Kenshin) fu escluso dalla lotta per il potere e trasferito al tempio di Rizen, dove si dedicò allo studio fino all'età di 14 anni.

Rivendicazione del potere

All'età di 14 anni, Kenshin fu improvvisamente contattato da Usami Sadamitsu e da molti altri conoscenti di suo padre. Loro premevano affinché il giovane Nagao tornasse ad Echigo e contestasse il potere di suo fratello maggiore. Sembrerebbe che Harukage non abbia dato prova di essere un leader efficiente e ispiratore, e il suo fallimento nell'esercitare il controllo sulle potenti famiglie kokujin è sfociato in una situazione in cui le province lontane erano sul punto di tagliare ogni rapporto con Echigo.
La storia dice che Kenshin, all'inizio, fosse riluttante all'idea di scontrarsi con suo fratello, ma alla fine fu convinto dal fatto che fosse una cosa necessaria per il bene di Echigo. In una serie di scontri voluti da lui e da Usami Sadamitsu, Kenshin riuscì a strappare il controllo del clan da Harukage nel 1547. Il destino di Harukage è incerto: alcune fonti dicono che gli fu concesso di vivere, ma altre dicono che gli fu ordinato il suicidio.

Primo periodo di governo

Sebbene il controllo sul clan Nagao adesso fosse indiscusso, molti territori di Echigo erano ancora indipendenti dal potere di questo giovane signore della guerra. Kenshin immediatamente si organizzò per cementare il suo potere in tutta la regione, ma questi sforzi erano ancora al loro stadio primordiale, mentre altre preoccupazioni diventavano sempre più pressanti. Ogasawara Nagatoki e Murakami Yoshikiyo, i due signori di Shinano, apparvero prima che Kenshin chiedesse il loro aiuto contro l'avanzata del potente signore della guerra Takeda Shingen. Intorno a questo periodo Kenshin divenne pienamente il signore di Echigo e Shingen ottenne le maggiori vittorie nella provincia di Shinano. Le conquiste di Takeda allargarono i confini del suo dominio fino ad Echigo: a questo punto Kenshin decise di scendere sul campo di battaglia.

Uesugi e Takeda

Ciò che seguì, fu l'inizio di una rivalità che sarebbe diventata leggendaria. All'inizio del conflitto, sia Uesugi Kenshin che Takeda Shingen erano molto cauti, limitandosi a compiere qualche piccola scaramuccia l'uno ai danni dell'altro. Col passare del tempo, ci furono probabilmente un totale di 5 battaglie alla famosa piana di Kawanakajima, sebbene solo la quarta battaglia fu la più seria e senza esclusione di colpi.
Nel 1561, Kenshin e Shingen combatterono la loro più grande battaglia, la quarta battaglia di Kawanakajima. Kenshin usò una tattica ingegnosa: una formazione di battaglia speciale, in cui i soldati in prima linea potevano darsi il cambio con le retrovie, nel caso i soldati in testa si sentissero stanchi o fossero feriti. Questo permetteva ai soldati stanchi e affaticati di riposarsi, mentre i soldati che fino a quel momento non avevano combattuto, entravano in azione. Questa tattica fu estremamente efficace e grazie a questa Kenshin fu molto vicino a sconfiggere Shingen una volta per tutte. Si dice che durante questa battaglia, Kenshin cavalcò con il suo cavallo verso Shingen, colpendolo con la sua spada. Shingen parò il colpo grazie al suo ventaglio da guerra di ferro (o tessen). Tuttavia, Kenshin non riuscì a sconfiggere una volta per tutte Shingen. Un servo dei Takeda portò via dal campo di battaglia Shingen, che poté così organizzare un contrattacco. L'esercito di Kenshin si ritirò: molti soldati annegarono nel fiume vicino al campo di battaglia, mentre altri furono abbattuti dai generali del clan Takeda.
L'esito di quella battaglia è ancora incerta: molti studiosi sono divisi nel riconoscere chi, fra i due, fosse il vero vincitore di quella battaglia, sempre se quella battaglia fosse realmente decisiva da decretarne uno. Kenshin perse 3000 samurai, mentre Shingen ne perse 4000, oltre a 2 importanti generali nonché consiglieri: Yamamoto Kansuke e suo fratello più giovane, Takeda Nobushige.
Sebbene Kenshin e Shingen furono rivali per più di 14 anni si scambiarono molte volte dei doni: il regalo più famoso fu una preziosissima spada donata da Shingen a Kenshin, che fu ben accetta da quest'ultimo. Shingen morì nel 1573. Si dice che Kenshin pianse ad alta voce per la perdita del degno avversario e, secondo quanto riportato, fece voto di non attaccare mai più le terre dei Takeda. Le due parti eran diventate alleate in 3 anni. Inoltre, ci fu un incidente quando un certo numero di altri daimyo (incluso il clan Hōjō) boicottò gli approvvigionamenti di sale per la provincia di Kai. Kenshin venne anche a conoscenza del problema di Shingen con un daimyo del clan Hojo, il quale si rifiutò di inviargli del riso. Kenshin segretamente inviò del sale ai Takeda (il sale era molto importante, perché serviva soprattutto per la conservazione del cibo) e scrisse al suo nemico, Shingen, che secondo lui il daimyo degli Hojo aveva commesso un'azione ostile. Anche se avrebbe potuto tagliare i rifornimenti e quindi sconfiggere Shingen, Kenshin decise di non farlo perché sarebbe stato un atto disonorevole. Come riflessione, Kenshin dichiarò: "Le guerre sono vinte dalle spade e dalle lance, non dal riso e dal sale". Kenshin, trattando il suo rivale così, impostò un nobile esempio valido per tutti i tempi. I fautori della pace utilizzano la dichiarazione di Kenshin, riferendosi a tale dichiarazione in questo modo: "La pace si fa con il riso e con il sale, non con le spade e con le lance".

Altri eventi

Sebbene la rivalità con Takeda Shingen fosse leggendaria, Uesugi Kenshin ha compiuto in realtà molte altre imprese nei periodi in cui non era impegnato a dar battaglia ai Takeda (1553, 1555, 1557, 1561, 1564). Nell'anno 1551, Kenshin fu chiamato a fornire rifugio al suo signore nominale, Uesugi Norimasa, che era stato costretto a fuggire a causa dell'espansione nel Kanto dal clan Hōjō. Kenshin accettò di dare rifugio al signore della guerra, ma non era in condizioni di poter muovere guerra al clan Hōjō in quel momento. Nel 1559, compì un viaggio per portare omaggio allo shogun di Kyoto, e visitare i monumenti religiosi e storici. Ciò servì per aumentare considerevolmente la sua reputazione e donò alla sua immagine un'accezione culturale, oltre che di signore della guerra. Nello stesso anno fu spinto ancora una volta da Uesugi Norimasa a riprendere il controllo del Kantō dal clan Hōjō e, l'anno successivo, era pronto per poter compiere questa impresa. All'inizio della campagna contro gli Hōjō, Kenshin strappò con successo molti castelli al clan, fino a quando non si trovò faccia a faccia col castello di Odawara, nella provincia di Sagami. Riuscì a fare breccia nelle difese e bruciare la città, ma il castello non fu conquistato, e la mancanza di rifornimenti lo costrinsero a ritirarsi subito dopo (vedi assedio di Odawara dal 1561). Comunque, fu durante questo periodo che lui visitò il Tsurugaoka Hachiman-gū e prese il cognome di Uesugi.
L'altro principale settore, di cui si interessò Uesugi Kenshin era la provincia di Etchu. La terra era abitata da due clan in lotta, il Jinbo e Shiina . Kenshin entrò in causa come mediatore per qualche tempo, ma poi prese le parti degli Shiina contro il clan Jinbo. Un certo numero di anni più tardi, poi, scese in campo contro gli Shiina (per sembrare un po' più amichevole con il Takeda) e, quando prese il loro castello principale nel 1575, l'intera provincia di Etchu fu interamente sotto il suo controllo.

Ultimi anni

«Questi 49 anni della mia vita sono passati come un sogno nella notte. La mia vita è stata piena di gloria e prosperità, come una singola coppa piena di sake.»
(Poesia di morte di Kenshin.)



A partire dall'anno 1576, Kenshin cominciò a esaminare la questione di Oda Nobunaga, che nel frattempo era cresciuto fino a diventare il signore della guerra più potente del Giappone del momento. Con entrambe le morti di Shingen Takeda e Hōjō Ujiyasu, Kenshin non aveva più ostruita la strada per l'espansione del suo dominio. Così, quando la morte di un daimyō del clan Hatakeyama della provincia di Noto provocò confusione e conflitto nella zona per la successione, Kenshin colse subito l'opportunità, conquistando le terre del clan indebolito, che lo mise in grado di minacciare Nobunaga e suoi alleati. In risposta, Nobunaga mise insieme le proprie forze e quelle dei suoi due migliori generali: Shibata Katsuie (柴田勝家) e Maeda Toshiie (前田利家) per scontrarsi con Kenshin nella battaglia di Tedorigawa. L'esperto Shibata Katsuie che servì Nobunaga fin dall'inizio, fu mandato per verificare la famosa reputazione in battaglia di Kenshin. Secondo alcune fonti, Shibata portò 18.000 uomini in battaglia da un lato, seguito da Nobunaga stesso con 20.000 uomini di rinforzi. Se queste informazioni fossero esatte, la battaglia combattuta da questi sarebbe la più grande combattuta nel periodo Sengoku.
Nonostante i numeri travolgenti di Nobunaga, Kenshin riuscitì a compiere una solida vittoria sul campo. In un primo momento, Kenshin rifiutò di ingaggiare l'esercito di Nobunaga, fino a quando una pioggia torrenziale neutralizzò le unità di fanteria di Nobunaga stesso. Costretto ad una ritirata precipitosa, Shibata si riunì alla forza principale di Nobunaga. Successivamente Kenshin riprese una tattica del suo vecchio rivale Takeda Shingen, finse di mandare avanti una piccola unità per attaccare l'esercito di Nobunaga da dietro, dando al suo nemico una grande occasione per schiacciare la sua piccola forza. Nobunaga abboccò all'amo. L'esercito di Nobunaga attaccò di notte aspettandosi un avversario indebolito; invece il grosso dell'esercito di Kenshin era in attesa. Dopo aver perso quasi un quarto della sua forza, Nobunaga si ritirò verso la provincia di Omi mentre Kenshin si accontentò di costruire una qualche fortezza nella provincia di Kaga prima di ritornare indietro a Echigo. Nell'inverno tra il 1577-1578, Uesugi Kenshin mise in campo un grande esercito per continuare i suoi attacchi in terra di Nobunaga. Tuttavia, è risaputo che la sua salute fosse pessima in questo periodo, e il 9 aprile peggiorò. Morì quattro giorni dopo.

La morte di Uesugi Kenshin

La causa della morte di Kenshin è stato oggetto di interrogativi nel corso degli anni. La teoria accettata dalla maggior parte degli studiosi giapponesi è che una vita da alcolizzato e forse il cancro allo stomaco hanno segnato la fine per il grande signore della guerra.
Altre fonti sostengono che fu assassinato da un ninja che aveva atteso nella piscina sotto la latrina al campo di Kenshin con una lancia corta. (Si noti che le teorie non si escludono a vicenda - l'assassino, se è esistito, potrebbe semplicemente avere ferito a morte un uomo già morente.) Si dice che dopo aver sentito della morte di Kenshin, Oda Nobunaga abbia detto: "Ora l'impero è mio."

Dopo la morte

La morte di Kenshin fu disastroso per il clan. Non aveva mai avuto figli, ma adottò due ragazzi affinché divenissero suoi eredi. Dopo aver saputo della morte del padre, i due entrarono subito in conflitto per detenere il potere, che si concluse con la vittoria di Uesugi Kagekatsu sul fratello Kagetora divenendo così il nuovo capo clan. Tuttavia, il conflitto interno aveva avuto enormi costi sia in materiali che in energie, così Oda Nobunaga non ebbe problemi a conquistare velocemente molti dei territori degli Uesugi. Ci furono alcune voci all'epoca, secondo cui Kenshin in realtà fosse una donna travestita da uomo. La ragione di queste voci è dovuta al fatto che il daimyo non si sposò mai, non ebbe figli suoi naturali e alla compagnia di belle donne preferiva quella di molti uomini. L'omosessualità è una spiegazione plausibile, in quanto all'epoca era una pratica normale nella classe samurai. Non ci sono prove a sostegno di queste voci, ma di sicuro le voci si susseguirono fino ad arrivare ai giorni nostri.

giovedì 26 ottobre 2017

Auguri senzaesclusionedicolpi.blogspot.it: 1000 post!!!




1.000 candeline non ci stavano sulla torta.
Non è un compleanno ma una data davvero speciale per noi.
Questo è il nostro millesimo post e non possiamo che festeggiarlo con voi che ci avete fatto crescere così tanto soprattutto in questi negli ultimi mesi di vita, siete sempre più numerosi ogni mese che passa.
Non possiamo che ringraziarvi di cuore e darci appuntamento fra altri...1000 post!!!

Hōjō Tsunashige

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Hōjō Tsunashige (北条 綱成; 1515 – 11 giugno 1587) è stato un samurai giapponese appartenente al clan Hōjō durante il periodo Sengoku.
Tsunashige, conosciuto anche come Hōjō Tsunanari, era figlio del servitore Imagawa Fukushima Masashige e fu adottato da Hōjō Ujitsuna. Provò il suo talento in battaglia contro gli Uesugi nel 1537 e fu dislocato al castello di Kawagoe nella provincia di Musashi. Difese il castello e la sua importante posizione contro gli Uesugi e Ashikaga nel 1544 (vedi assedio di Kawagoe), i quali di arresero nonostante avessero un'imponente armata. Riuscì a resistere abbastanza a lungo da far arrivare Hōjō Ujiyasu in suo aiuto all'inizio del 1545, e fece parte del famoso attacco notturno che spezzò l'assedio e fece ritirare le forze assedianti. Guadagnò molta fama in numerosi scontri e fu assistito con abilità dal figlio Hōjō Ujishige (anche se morì prima del padre nel 1578). Tsunashige fu il guadiano del castello di Tamanawa nella provincia di Sagami. Nel 1568-69 durante la guerra con il clan Takeda, resistette al castello di Fukuzawa a Suruga (assedio di Kanbara) e respinse numerosi attacchi avversari finché fu in grado di ripiegare nella provincia di Sagami.

mercoledì 25 ottobre 2017

Feihuquan

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Feihuquan (飞虎拳, Pugilato della Tigre Volante) è uno stile di arti marziali cinesi. Questa scuola si è diffusa nell'area di Cangzhou in Hebei, durante il regno di Qianlong, nel 1743, infatti un maestro di Pechino, tale Zhang Guangyuan (张光远), si trasferì nella contea di Nanpixian (南皮县). Zhang è considerato prima generazione di questo stile. Suoi allievi furono Zhang Guichun (张贵春) e Gu Baoqing (顾宝庆). Oltre a questi furono famosi praticanti di questo stile tra la fine dell'epoca della dinastia Qing e gli inizi dell'epoca repubblicana: Zhang Baoqin (张宝琴), Gu Linjie (顾林杰), Meng Xigang (孟希岗), Gu Xiaozhi (顾孝枝, donna), Gu Xiaomei (顾孝梅, donna). Zhang Baoqin ha trasmesso lo stile nel Liaoning.

martedì 24 ottobre 2017

Sunbinquan

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Il Sunbinquan (孙宾拳, letteralmente "pugilato di Sun Bin") è uno stile di arti marziali cinesi che deve il proprio nome al celebre stratega Sun Bin a cui richiama la propria strategia e la sua origine. In realtà le prime testimonianze storiche risalgono all'epoca della dinastia Qing. Anche conosciuto come Changxiuquan (长袖拳, letteralmente "Pugilato delle lunghe maniche") o Sanshouquan o ancora Dajiaquan (大架拳, letteralmente "pugilato della grande struttura").

La trasmissione

Si racconta che alla fine dell'epoca della dinastia Qing, a Yangguxian (阳谷县) in Shandong, il Sunbinquan venne insegnato da un certo Zhang Bashi (张把式) (ma alcuni riferiscono Zhang Youchun (張友春)), che era un membro degli Yihetuan, a Yang Mingzhai (杨明斋), il quale lo trasmise a sua volta a moltissimi allievi, in particolare all'interno del Qingdao Guoshu Guan (青岛国术馆) dal 1918 al 1936.

I Taolu

I Taolu sono:
  • Chuipu (锤谱, letteralmente "spartito dei colpi"), una forma di base che si compone di 108 shi (figure);
  • Dajia (大架) anche detta Sunbin jiushiliu shou (孙宾九十六手);
  • Zhongjia (中架) anche detta Lianhuanquan (连环拳) o Sunbin Saershou (孙宾卅二手);
  • Xiaojia (小架), è anche detta Sunbin Liushisi shou (孙宾六十四手);
  • Sijia (四架);
  • Wujia (五架);
  • Ziwu jian (子午剑);
  • Sunbin guai (孙宾拐);
  • Sunbin yue (孙宾钺);
  • ecc.

lunedì 23 ottobre 2017

Makiwara

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Il Makiwara 巻き藁 (dal giapponese 巻き"maku", rotolo, avvolto o legato con una corda, e "wara", paglia) è un attrezzo comunemente impiegato sin dall'antichità nell'istruzione delle arti marziali, anche per l'addestramento delle forze armate dell'Estremo Oriente.
Sostanzialmente, è composto da una solida tavola di faggio laminato o da un sostegno verticale posto all'altezza del torace e saldamente infisso nel terreno. La sommità del sostegno è di solito avvolta con corde. Durante l'addestramento, rappresenta la superficie da colpire con pugni e calci per allenare gli arti al combattimento e sviluppare anche potenza e velocità nelle tecniche di attacco.
Il valore fondamentale del makiwara risiede nel fatto che esso insegna all'allievo ad attaccare con forza e nello stesso tempo a ritrarre rapidamente il pugno o la gamba, prima che la spinta di ritorno del sostegno possa danneggiarlo in qualche modo.
È un addestramento utile, in quanto insegna a non allungare troppo in fuori un arto, che altrimenti potrebbe essere afferrato o colpito dal suo avversario.
Nel 1908, Anko Itosu ha inviato una lettera al Dipartimento Istruzione della Prefettura. In quella lettera c'era il suo progetto che ha consentito di introdurre il suo karate in tutte le scuole di Okinawa. Il quarto punto della sua lettera sottolinea l'importanza del makiwara nella pratica del suo karate. Itosu ha scritto:
«Le mani e i piedi sono importanti e vanno rinforzati in modo esauriente con l’uso del makiwara. La pratica del makiwara consente di abbassare le spalle, aprire i polmoni, prendere consapevolezza della propria forza, di imparare la presa a terra con i piedi, e trasferire e usare l’energia al basso ventre. Pratica con ogni braccio cento o duecento volte.»


domenica 22 ottobre 2017

Harai Goshi

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L'Harai-Goshi (letteralmente spazzata d'anca) è la tecnica numero 15 del Gokyo e fa parte del gruppo delle tecniche d'anca.

La storia

L'origine della tecnica è tramandata da generazioni di sensei (maestri). Jigoro Kano, fondatore del Judo, spiegava ed impiegava in randori la sua "tecnica divina" (Uki-goshi). Il Tokui-Waza (tecnica favorita) è notoriamente un'arma a doppio taglio: consente di avere una tecnica risolutrice e di cui si è veramente padroni, ma essendo anche la tecnica che più maggiormente si utilizza è inevitabilmente "leggibile" se si è compagni di studio. Questo problema si presentò anche al maestro con i suoi allievi. Non appena Kano si lanciava nella sua tecnica favorita, l'allievo schivava e contrattaccava in Seoi-nage o simili. Il maestro non voleva abbandonare la sua tecnica favorita e trovò, quindi, una variante. Nel randori successivo con i suoi allievi il maestro Kano entrava in Uki-goshi, l'allievo schivava e mentre si lanciava in avanti il maestro stendeva il piede ostacolando la controtecnica e di conseguenza proiettando il compagno/sfidante. Così facendo ogni qual volta il maestro attaccava, gli allievi non sapevano se aspettarsi il tiro classico o la variante. L'insegnamento ricavato dall'azione del maestro è duplice: se da un lato aiuta l'allievo a comprendere appieno la tecnica, d'altro canto insegna uno dei principi fondamentali del Judo. Il Judoka deve saper affrontare ogni situazione al meglio, sfruttando le condizioni in cui si trova, curando i particolari e ampliando il proprio repertorio. Con il passare degli anni la variante del maestro venne affinata e divenne una tecnica indipendente dall' Uki-goshi. Ancora oggi Harai-Goshi viene insegnata con la stessa presa di Uki-goshi o O-goshi per permettere una migliore assimilazione della tecnica da parte del principiante. Nello studio del Nage-no-kata persiste la forma "antica" della tecnica con presa dietro la spalla.

L'esecuzione

La situazione ideale è quella con Uke squilibrato avanti a destra con il tallone destro sollevato. Tirando la manica destra dell'avversario, Tori porta il peso di Uke interamente sul piede destro. Il piede sinistro di Tori esegue un movimento rotatorio e si posiziona in mezzo alle gambe di Uke (nella stessa direzione). La gamba destra viene successivamente posta a sbarramento all'altezza del ginocchio dell'avversario. La mano destra afferra Uke sotto l'ascella sinistra e la parte esterna dell'anca di Tori si posiziona sull'inguine di colui che subisce la tecnica. La fase di proiezione si sviluppa chinandosi in avanti fino a che la gamba, proseguendo il movimento, spazza quella di Uke creando idealmente un circolo.

Successioni e contraccolpi

Gli attacchi successivi che possono essere portati da Tori sono innumerevoli. Fra i principali: Harai-makikomi, Soto-makikomi, Hane-goshi, Seoi-nage, O-soto-gari. I possibili contraccolpi sono Utsuri-goshi, Ushiro-goshi e simili.

sabato 21 ottobre 2017

Battaglia di Dōmyōji

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La battaglia di Dōmyōji fu combattuta il 3 giugno 1615 tra l'armata orientale di Tokugawa Ieyasu e l'armata di Osaka di Toyotomi Hideyori. Il villaggio di Dōmyōji si trova nella zona est dell'odierna Fujiidera, nella prefettura di Osaka, ed è famoso per i suoi diversi tumuli (古墳 kofun) dedicati ad antichi imperatori. La battaglia, che si svolse proprio attorno a questi tumuli, fu una delle più importanti tra quelle combattute tra samurai e una delle più decisive della campagna d'estate dell'assedio al castello di Osaka, che avrebbe portato al trionfo delle forze di Tokugawa e alla morte di Toyotomi Hideyori.
Un distaccamento dell'avanguardia dei difensori del castello formato da 2800 samurai fu affidato a Gotō Mototsugu, con il compito di proteggere la zona a sud-est della città dall'arrivo di una grande armata dello shogunato proveniente dalla provincia di Yamato. Il lato orientale di Osaka è protetto dalla barriera naturale rappresentata dai monti Ikoma. Gotō aveva il compito di presidiare il monte Komatsuyama, un'altura dell'odierna Kashiwara molto vicina al valico più importante dei monti Ikoma. Nel valico scorre il fiume Yamato, che prosegue verso ovest in prossimità delle falde settentrionali del monte Komatsuyama, dall'alto del quale Gotō Mototsugu avrebbe potuto controllare il valico ed ostacolare l'eventuale ingresso dei nemici nella piana di Osaka.

Scontro sull'altura di Komatsuyama

Il 3 giugno Gotō Mototsugu e le sue forze si trovavano a Dōmyōji, nelle immediate vicinanze del monte e sulla riva ovest del fiume Ishikawa, che affluisce nel fiume Yamato qualche centinaio di metri più a nord. Per prendere posizione sul Komatsuyama guadarono l'Ishikawa, e furono informati dagli esploratori che l'armata orientale aveva attraversato il passo e si stava avvicinando alle pendici meridionali del Komatsuyama. Alle quattro di mattina Gotō Mototsugu ed i suoi samurai si precipitarono sul monte per respingere le forze di Tokugawa. Un'ora dopo furono respinti da un violento attacco del nemico.
Mentre Gotō Mototsugu era in attesa dei rinforzi, che erano frenati dalla fitta nebbia, alle dieci di mattina fu ferito da un colpo d'arma da fuoco e fece suicidio rituale. Con la sua morte, i suoi samurai persero il controllo del Komatsuyama; furono attaccati mentre discendevano il monte e dispersi.

Battaglia a Dōmyōji

Quando la nebbia si diradò, l'esercito proveniente da Osaka arrivò sulle rive dell'Ishikawa e fu avvistato dalle forze dello shogunato, che lanciarono l'attacco guadando il fiume. L'armata di Toyotomi indietreggiò risalendo il dolce pendio di Domyoji, il suo lato sinistro era comandato da Susukida Kanesuke e quello destro da Sanada Yukimura. Lo scontro ebbe inizio verso mezzogiorno e nella zona vicino all'antico sepolcro dell'imperatore Ingyō si difesero strenuamente i samurai agli ordini di Susukida Kanesuke. Questi era da qualche tempo caduto in disgrazia ma morì in battaglia combattendo valorosamente, riguadagnando l'onore che aveva perduto.
Il lato destro delle forze di Osaka fronteggiò i reparti dell'armata orientale guidati da Date Masamune nell'area del kofun dedicato all'imperatore Ōjin e del santuario di Konda Hachimangu. Il combattimento si protrasse fino alle cinque del pomeriggio, quando Sanada Yukimura ordinò la ritirata, dopo che aveva perso i due potenti comandanti. Riuscì a mantenere compatte le truppe che tornarono a Osaka. Tokugawa Tadateru, il sesto figlio di Tokugawa Ieyasu, ebbe l'ordine di inseguire le forze di Sanada ma si rifiutò. Questo rifiuto fu in seguito la causa del suo esilio sul monte Kōya.


venerdì 20 ottobre 2017

Kabuto

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Il Kabutoかぶと (, ) è l'elmo dello yoroi, l'armatura medievale giapponese tipica dei samurai. Realizzato in lamine di cuoio/ferro connesse da rivetti e lacci, era chiuso sul volto da una maschera, il mempo.
Spesso sugli elmi veniva portato un emblema, il Mon o il Komon, che era un vero e proprio marchio registrato con tanto di permesso governativo, che distingueva le varie famiglie.

Costruzione

Molti elmi, ad esempio i Kawari Kabuto hanno forme fantasiose che spesso sono ispirati da oggetti sacri o elementi della natura (tra cui draghi, animali, frutti); questi ornamenti erano in voga dal periodo Momoyama al periodo Edo.

Tipologie

Esistono molti tipi di Kabuto:
  • Eboshi kabuto
  • Gomai kabuto: usato tra il XI ed il XIII sec.
  • Hoshi kabuto: usato tra il X ed il XIX sec.Ô boshi Variante (con ampio coppo) dello Hoshi kabuto in uso dal XIII al XV sec.
  • Kawari kabuto
  • Kimen kabuto
  • Momonari kabuto: in uso dal XVI sec.
  • Sanmai kabuto
  • Sujibachi kabuto: in uso dal XVI sec.
Il kabuto inoltre lo possiamo trovare[in carta] il 5 maggio, festa nazionale dedicata ai bambini [こどものひ] e rappresenta buon auscpicio ai bambini di crescere sani e forti come guerrieri

giovedì 19 ottobre 2017

Cha no yu


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Il Cha no yu (茶の湯, "acqua calda per il tè"), conosciuto in Occidente anche come Cerimonia del tè, è un rito sociale e spirituale praticato in Giappone, indicato anche come Chadō o Sadō, (茶道, "via del tè").
È una delle arti tradizionali zen più note. Codificata in maniera definitiva alla fine del XVI secolo dal monaco buddhista zen Sen no Rikyū (千利休, 1522-1591), maestro del tè di Oda Nobunaga (織田信長, 1534-1582) e successivamente di Toyotomi Hideyoshi (豊臣秀吉, 1536-1598). Il cha no yu di Sen no Rikyū riprende la tradizione fondata dai monaci zen Murata Shukō (村田珠光, 1423-1502) e Takeno Jōō (武野紹鴎, 1502-1555). La cerimonia si basa sulla concezione del wabi-cha (侘茶). Questa cerimonia e pratica spirituale può essere svolta secondo stili diversi e in forme diverse.
A seconda delle stagioni cambia inoltre la collocazione del bollitore (kama): in autunno e inverno è posto in una buca di forma quadrata (, ro, fornace), ricavata in uno dei tatami () che formano il pavimento, mentre in primavera ed estate è in un braciere (furo, 風爐) appoggiato sul tatami. La forma più complessa e lunga (茶事, chaji) consiste in un pasto in stile kaiseki (懐石), nel servizio di tè denso (濃茶, koicha) e in quello di tè leggero (薄茶, usucha). In tutti i casi si usa in varie quantità il matcha (抹茶), tè verde polverizzato, che viene mescolato all'acqua calda con l'apposito frullino di bambù (茶筅, chasen). Quindi la bevanda che ne risulta non è un'infusione, bensì una sospensione: questo significa che la polvere di tè viene consumata insieme all'acqua. Per questo motivo e per il fatto che il matcha viene prodotto utilizzando germogli terminali della pianta, la bevanda ha un effetto notevolmente eccitante. Infatti veniva e viene ancora utilizzata dai monaci zen per rimanere svegli durante le pratiche meditative (zazen, 坐禅). Il tè leggero usucha, a seguito dello sbattimento dell'acqua col frullino durante la preparazione, si ricopre di una sottile schiuma di una tonalità particolarmente piacevole e che si intona con i colori della tazza.

«Il cuore della cerimonia del tè consiste nel preparare una deliziosa tazza di tè; disporre il carbone in modo che riscaldi l'acqua; sistemare i fiori come fossero nel giardino; in estate proporre il freddo; in inverno il caldo; fare tutto prima del tempo; preparare per la pioggia e dare a coloro con cui ti trovi ogni considerazione.»
(Sen no Rikyū)
L'origine di una cerimonia formale che accompagnasse e regolasse il consumo del tè è sicuramente cinese. Anche questo evento, come la stessa scoperta del tè, è tuttavia di difficile datazione. Si può però presumere che l'esigenza della formazione di un cerimoniale sia correlata alla notevole diffusione di questa bevanda nelle classi aristocratiche durante la dinastia Song (960-1279), anche se il Canone del tè, il Chájīng (茶経, nel sistema pinyin), redatto da Lù Yǔ (陸羽, 733-804), è databile intorno al 758.
Sempre al periodo della dinastia Song si può far risalire la diffusione nei monasteri del buddhismo chán (禅宗, chán zong) dell'uso collettivo di bere da una singola tazza del tè di fronte a una statua di Bodhidharma (菩提達磨, 483-540). La bevanda del tè, contenendo infatti una buona dose di caffeina, era un valido sostegno alle estenuanti pratiche meditative dello zuòchán (坐禅), proprie delle scuole del buddhismo chán.
Una leggenda, nata in ambito chán, attribuisce allo stesso leggendario fondatore di questa scuola, Bodhidharma, la "generazione" della pianta del tè: questi, addormentatosi incautamente durante lo zuòchán, al momento del risveglio si strappò le palpebre per impedire nuovamente l'assopimento e le gettò via. Da queste nacquero le prime piante del tè. È comunque comprensibile che in un ambito fortemente normativo della vita quotidiana, come quello dei monasteri chán, dove ogni momento della quotidianità veniva formalizzato ai fini dell'esercizio della presenza mentale, anche il consumo di tè seguisse delle precise regole di condotta.
In Giappone la pianta del tè, nel suo utilizzo matcha, fu importata dal monaco tendai Eisai (栄西, 1141-1215) che, nel 1191, riportò da un suo pellegrinaggio in Cina sia gli insegnamenti chán Línjì (臨済, in giapponese Rinzai) del ramo Huánglóng (黃龍, in giapponese Ōryū), sia alcune piante di tè. Così nel 1282 si tenne nel tempio Saidai-ji (西大寺) di Nara il primo Ōchamori (大茶盛), in cui venivano evidenziati gli aspetti spirituali della Cerimonia del tè.
Tuttavia la pratica mondana del Tōcha (闘茶), passatempo aristocratico fondato su sfarzose gare in cui i partecipanti dovevano indovinare il luogo di origine delle foglie di tè che consumavano, prevalse presto in Giappone sull'Ochamori e la decadenza spirituale della pratica del tè legata ai principi chán e zen seguì tutto il XIV e XV secolo.
Fu il monaco zen rinzai Murata Shukō (村田珠光, 1423-1502) a elaborare, sotto la guida del maestro Ikkyū Sōjun (一休宗純, 1394-1481) il cerimoniale del chadō. Ikkyū Sōjun rivestiva in quegli anni il ruolo di abate dell'importantissimo monastero zen rinzai, il Daitoku-ji (大徳寺) di Kyōto.
Il chadō di Murata Shukō e Ikkyū Sōjun si fondava sul principio di "leggere il Dharma del Buddha anche nella bevanda del tè", eliminando ogni ostentazione di ricchezza tipica della cerimonia del tōcha e riportando la cerimonia del tè in un ambito di semplicità e sobrietà.
Nel 1489 l'ottavo shōgun del clan Ashikaga, Yoshimasa (足利義政, 1435-1490), dopo essersi ritirato dall'incarico di governo, si trasferì in una villa-tempio fatta da lui costruire nel 1473 a nord-est di Kyōto, residenza denominata Jishō-ji (慈照寺) e conosciuta anche come Ginkaku-ji (銀閣寺, "Padiglione d'argento"). Yoshimasa trascorse in questa villa il resto dei suoi giorni, promuovendo incontri di poesia e di arti tradizionali. Venuto a conoscenza del cha no yu elaborato da Murata Shukō, lo invitò a mostrargli le nuove regole cerimoniali.
Affascinato dalla nuova arte tradizionale zen, Yoshimasa divenne subito un attivo promotore della Cerimonia del tè. Per questa ragione il Ginkaku-ji è considerato, tradizionalmente, il luogo di nascita del cha no yu. Murata Shukō fu anche il primo ad accentuare l'impronta di semplicità di questa cerimonia, a cominciare dall'oggettistica, che riprende forme della stessa cultura contadina. Fu lui a ideare il chashaku (茶杓) in bambù e a ridurre la stanza del tè a quattro stuoie (tatami) e mezza, in modo da diminuire gli utensili. Fu sempre Murata Shukō a esporre dei rotoli che riportavano disegni o scritture (kakemono, 掛物) dei maestri zen all'interno della stanza e a privilegiare gli oggetti carichi di tempo rispetto a quelli di nuova fattura (concezione dello hiesabi, ひえさび).
Con la morte di Murata Shukō, avvenuta nel 1502, la pratica del chadō ebbe un arresto di alcuni decenni, determinato anche dalle feroci guerre civili. Occorre aspettare un altro monaco zen, Takeno Jōō (武野紹鴎, 1502-1555), allievo dei discepoli di Murata Shukō, Sochin e Sogo, perché lo sviluppo della cosiddetta "via del tè" riprendesse. Takeno Jōō gettò le basi della concezione wabi-cha (侘茶), studiando con Sochin e Sogo sia la poesia waka (和歌) sia la "via dell'incenso" (in giapponese 香道, Kōdō). Modificò il cha no yu eliminando gli scaffali per gli utensili e disponendo questi ultimi direttamente sui tatami e utilizzando solo legno grezzo per il tokonoma (床の間). Takeno Jōō ideò anche l'usanza di porre il ro (il focolare sopra il quale veniva poggiato il bollitore per l'acqua per il tè) direttamente nella stanza della cerimonia, ereditando questa usanza dalla cultura contadina.
Terzo grande maestro del tè fu un altro monaco zen, Sen no Rikyū (千利休, 1522-1591), che iniziò lo studio del cha no yu a diciassette anni con il maestro Kitamuki Dochin (北向道陳, 1504-1562), divenendo due anni dopo diretto discepolo di Takeno Jōō, a cui rimase vicino per i successivi quindici anni. Dal 1578 al 1582, Sen no Rikyū ricoprì l'incarico di funzionario dello shōgun (将軍) Oda Nobunaga e, dopo la morte, probabilmente per seppuku (rituale del suicidio), di questo shōgun, ricoprì lo stesso incarico per il suo successore, Toyotomi Hideyoshi.
Tra il nuovo shōgun e il maestro del tè nacque subito un rapporto di rispetto reciproco, che consentì la diffusione di questa pratica nell'ambiente dei samurai e persino presso la corte imperiale, dove nel 1585 il monaco Sōeki (宗易) (questo era il nome religioso di Sen no Rikyū, il suo precedente nome laico era Yoshirō) ottenne la possibilità di organizzare un incontro del tè. Nel 1587, sempre con l'aiuto di Toyotomi Hideyoshi, Sen no Rikyū organizzò un'importante riunione sulla Cerimonia del tè presso il Kitano Tenman-gū (北野天満宮, un tempio shintoista a Kamigyō-ku nei pressi di Kyōto), invitando centinaia di persone di ogni estrazione sociale e consentendo ai meno abbienti l'utilizzo del più economico riso tostato al posto del tè. Il grande ricevimento del 1587 fu uno degli ultimi episodi dell'amicizia tra lo shogun Hideyoshi e il maestro del tè. Da quel momento l'amicizia si incrinò e tuttora non si conoscono i veri motivi del dissapore tra i due, che si conclusero nel 1591 nel drammatico ordine dello shōgun Hideyoshi a Sen no Rikyū di compiere lo seppuku (切腹).
Tra le ragioni che all'epoca furono adombrate vi erano l'accusa, rivolta a Sen no Rikyū, di aver posto nel tempio Daitoku-ji una propria statua all'ingresso di modo che persino lo shōgun vi dovesse passare sotto. Un'altra accusa riguardava il fatto di essersi arricchito con la compravendita di oggetti per la Cerimonia del tè. Ambedue le accuse si mostrarono presto infondate e di certo lo stesso Hideyoshi ebbe motivo di ricredersi se, a distanza di due anni dal tragico evento, decise di riabilitare con tutti gli onori la famiglia di Sen no Rikyū. Toyotomi Hideyoshi nominò erede del maestro del tè da lui costretto al suicidio proprio Furuta Oribe (古田織部, o Furuta Shigenari, 古田重然, 1545-1615), l'unico degli allievi di Sen no Rikyū a rendergli pubblicamente omaggio nel momento della sua maggiore disgrazia. Lo stesso Oribe fu poi costretto al seppuku nel 1615 da un altro shōgun, Tokugawa Ieyasu (徳川 家康, 1542-1616).
Erede di Oribe fu Kobori Enshu (小堀遠州, anche Kobori Masakazu, 小堀政一, 1579-1647), che diffuse il cha no yu presso l'aristocrazia giapponese, fondando il lignaggio della scuola di cha no yu (denominata Oribe-ryū, 織部流).
L'eredità della casa di Sen no Rikyū fu assegnata invece a suo genero, Shōan Sōjun (少庵宗淳, 1546-1614), a cui seguì il figlio Genpaku Sōtan (元伯宗旦, 1578-1658). Fu Genpaku Sōtan a rivalutare l'ideale wabi della Cerimonia del tè e il suo stretto legame con lo zen del tempio Daitoku-ji, fondando le basi del cha no yu insegnato dalla famiglia Sen.
Genpaku Sōtan divise nel suo testamento i beni immobili fra tre dei suoi quattro figli, essendo il primogenito Sosetsu deceduto nel 1652. Il gruppo delle case principali della famiglia Sen fu diviso tra il terzogenito Koshin Sōsa (江岑 宗左, 1613-1672), che ebbe la parte anteriore (Fushin-an, 不審庵) e il quartogenito Sensō Soshitsu (仙叟宗室, 1622-1697) che ebbe la parte posteriore (Konnichini-an, 今日庵). Al secondogenito, Ichiō Sōshu (一翁宗守, 1593-1675), che si era allontanato dalla famiglia per un certo periodo di tempo, fu assegnata una abitazione situata su una strada vicina, Mushanokoji, denominata Kankyu-an (官休庵). Da ciascuno di questi figli di Genpaku Sōtan ebbe origine una differente scuola di cha no yu, che si affianca a quella che ha origine da Furuta Oribe (Oribe Ryū): da Koshin Sōsa ha origine la scuola Omotesenke (表千家), da Sensō Soshitsu ha origine la scuola Urasenke (裏千家) e da Ichiō Sōshu, la Mushanokōjisenke (武者小路千家). Tutte e tre le scuole sono a tutt'oggi esistenti.

La stanza del tè e la cerimonia

La Cerimonia del tè è qualcosa che va molto al di là della semplice preparazione di una bevanda. È forse l'espressione più pura dell'estetica zen, tanto che un adagio giapponese dice: cha zen ichimi (茶禅一味), cioè "tè e zen un unico sapore. Entrando nella stanza da una porticina bassa (nijiriguchi, 躙口) che costringe a piegarsi in segno di umiltà, l'ospite entra in uno spazio piccolo, a volte minimo, dove equilibrio e distacco dal mondo sono procurati da gesti che richiamano costantemente la presenza mentale in un ambito di naturalezza e spontaneità, in una sequenza di interazioni codificate e circondata da oggetti semplici ma di grande forza espressiva.
La stanza, detta chashitsu (茶室), può essere anche di pochi tatami, le finestre sono schermate e la luce filtra sommessa conferendo un alone di particolare fascino a ogni elemento. Da un lato c'è il tokonoma, una piccola nicchia in cui è appeso uno scritto eseguito da un calligrafo esperto di shodō e una piccola composizione simile all'ikebana (生花) particolarmente adattata alla circostanza e con grande coerenza con la stagione in corso, detta chabana (茶花), cioè "fiori per il tè". Il tokonoma ha da un lato un pilastro, detto toko-bashira (床柱), formato da un palo di legno appena sgrossato, a cui di solito è appeso il chabana costituito da un piccolo vaso e spesso un unico fiore, in modo che tutta l'attenzione sia attratta dalla sua bellezza.
Il particolare significato che viene attribuito al cha no yu si percepisce anche dal fatto che per indicare l'atto del preparare il tè si usa il verbo tateru, che solitamente ha il significato di "celebrare" e non il più normale suru (為る), cioè "fare" o "eseguire". Dopo che gli invitati si sono accomodati, in ordine rigorosamente precostituito, con la persona più importante (shōkyaku, 正客) o particolarmente prediletta posta al primo posto, si apre la porta scorrevole (shōji 障子) e appare il teishu (亭主, "chi prepara il tè") inginocchiato in posizione seiza (正座), cioè con le punte dei piedi rivolte verso l'esterno.
Nella forma più semplice della cerimonia (usucha) essa prosegue con il posizionamento dei vari utensili e con la preparazione del tè nella tazza (chawan, (茶碗). Ogni commensale (cominciando da quello principale) viene invitato a consumare il dolce con la formula rituale: «okashi o dōzo» (in italiano "servitevi del dolce, prego").
Successivamente gli viene posta dinanzi la chawan. Il primo invitato si scusa col vicino e gli chiede il permesso di servirsi per primo: «osakini», prende la tazza la fa ruotare per esporre lo shōmen (正面, cioè la parte di finitura che fa da riferimento) in direzione del teishu, dopodiché beve con brevi sorsi esprimendo il suo gradimento. Poi pulisce il bordo della tazza e la posa dinanzi a sé. La tazza viene ripresa dal teishu e lavata. La cerimonia procede con gli altri ospiti, finché al termine, quando tutti hanno bevuto il tè, il primo ospite (shōkyaku) pronuncia la frase di rito: «onatsume to ochashaku no haiken o», cioè chiede il permesso di esaminare gli utensili: il contenitore del tè (natsume) e il cucchiaino di bambù (chashaku). Il permesso viene accordato e a turno gli ospiti prendono gli utensili e li osservano attentamente. Per ultima viene osservata la tazza, rigirandola tra le mani e chiedendo informazioni sul maestro che l'ha creata, l'epoca e lo stile. All'ospite poi può venir richiesto se intenda dare un nome poetico (mei) al chashaku e lui a questo punto può citare una poesia o un verso o semplicemente fare un riferimento alla stagione in corso. Molto indicati sono i kigo (季語), cioè i riferimenti stagionali contenuti nell'ultimo verso di un haiku, quindi frasi come aki no kure ("sera d'autunno") oppure momono hana ("fiori di pesco") e così via.
La cerimonia si conclude col teishu che ritorna alla posizione iniziale, si inchina profondamente all'unisono con gli ospiti e richiude la porta scorrevole. Quella descritta è la cerimonia più semplice, cioè il servizio di usucha (tè leggero), ma ve ne sono di assai più lunghe e complesse, come quella del servizio di koicha (tè denso), che richiede anche utensili diversi (chaire e kobukusa). Le varie procedure di preparazione e svolgimento sono dette temae (手前 secondo la scuola Urasenke; 点前 secondo la scuola Omotesenke).

La dimora del vuoto

Chawan, (茶碗) la tazza al cui interno è stato posto il chakin, (茶巾) la piccola pezza bianca di lino utilizzata per asciugare la tazza dopo averla lavata e sopra questa vi è il chasen (茶筅), il frullino in bambù per mescolare il tè in polvere con l'acqua bollente e, sul bordo destro della tazza vi è il chashaku (茶杓), il cucchiano in bambù per raccogliere il tè in polvere dal suo contenitore, il chaki (茶器)
La stanza del tè è il luogo fisico dove si svolge la cerimonia, ma è anche luogo "spirituale". In essa sono stati trasfusi gli ideali dell'estetica zen. Ai concetti precedenti di yūgen (幽玄) e di sabi (), Sen no Rikyū evidenziò quello di wabi (). Se lo yūgen era l'incanto sottile, collegato al mistero e alla eleganza, impossibile da trasmettere con le parole, caro agli autori del nō (soprattutto Zeami, 世阿弥 1363-1443) e il sabi, la patina sottile del tempo che rende gli oggetti affascinanti e ispiratori di tranquillità e armonia, il wabi di Sen no Rikyū introdusse qualcosa di eversivo: la povertà ricercata e il rifiuto assoluto dell'ostentazione. Sen no Rikyū amava lo stile semplice, cioè vedeva la stanza del tè come dimora della creatività priva di attaccamenti quindi una dimora del vuoto. Spogliata da ogni possibile orpello, con pareti grezze e praticamente priva di alcun contenuto che non fosse il vissuto libero dagli attaccamenti della vita "mondana". I personaggi che si muovono in essa sono usciti temporaneamente dal mondo e dai suoi affanni per contemplare brevemente il vuoto. Il vissuto di mu-shin (無心), cioè "non-mente", quindi l'abbandonare il pensiero ruminante e giudicante per giungere a un approccio spontaneo e totalizzante con gli oggetti e le persone è rappresentato perfettamente dallo spazio racchiuso nella stanza del tè. Al vuoto materiale deve corrispondere il vuoto "mentale", inteso come vissuto di consapevolezza privo di preoccupazioni e attaccamenti mondani. Fin dall'inizio della sua istituzione nella stanza della Cerimonia del tè tutti dovevano entrare disarmati e tutti erano uguali, tutti si dovevano inginocchiare e tutti dovevano "subire" le stesse regole. È chiaro quale fosse il potere destabilizzante di questa pratica e così Sen no Rikyū fu costretto al seppuku in quanto un potere che viveva, come sempre, di ostentazione e di forme vane, si sentiva minacciato dalla forza silenziosa del maestro.

I quattro principi costitutivi della Cerimonia del tè secondo Sen no Rikyū

Il monaco buddhista zen Sen no Rikyū è universalmente considerato il codificatore ultimo della Cerimonia del tè, dopo i grandi maestri Murata Shukō e Takeno Jōō. La Cerimonia del tè di Sen no Rikyū si fonda su quattro principi basilari a cui fanno riferimento tutti i lignaggi scolastici che proseguono gli insegnamenti di questo maestro del tè.
  • Armonia (, wa). Questa dimensione comprende la relazione ospite-invitato, gli oggetti scelti e il cibo servito. Queste relazioni devono riflettere il ritmo impermanente delle cose e della vita. L'effimero compreso in tutte le cose viene confermato infatti dal loro mutamento costante, ma essendo l'effimero l'impermanente, l'unica realtà in cui ci muoviamo esso assurge a realtà ultima. Ospite e invitato sono in realtà intercambiabili, in quanto agiscono coerentemente in questa dimensione di consapevolezza. Prima di offrire il tè l'ospite porge dei dolci all'invitato, a volte un pasto leggero. Tutto deve essere all'insegna della stagione in corso e al ritmo naturale della cose. Il principio dell'armonia significa dunque essere affrancati da ogni pretesa e da ogni estremismo, incamminati lungo la moderazione e la "via di mezzo" propria degli antichi insegnamenti buddhisti.
  • Rispetto (, kei). È il riconoscimento in ogni persona, ma anche nei più semplici oggetti, della presenza di una innata dignità. Coltivare questo vissuto nella Cerimonia del tè e nella vita permette di comprendere la comunione dell'essenza di tutto ciò che ci circonda.
  • Purezza (, sei). Va immediatamente precisato che in ambito zen questo non significa discriminare tra ciò che è "puro" e quello che è ritenuto "impuro", essendo il puro e l'impuro partecipanti insieme alla realtà ultima. Spazzare la stanza del tè significa occuparsi di disporre un mondo che accolga anche il "bello" e che consenta a ciò che è "bello" di esprimersi. Questa occupazione è anche una metafora nei confronti della nostra mente e dei nostri vissuti che vanno quotidianamente "spazzati" dai vincoli mondani e dalle loro preoccupazioni, per consentirsi esperienze altrimenti non esperibili. Mentre pulisce la stanza del tè, l'ospite riordina anche se stesso.
  • Tranquillità (, jaku). Sōshistsu Sen (千宗室), XV iemoto (家元) del lignaggio Urasenke (裏千家), così esprime questo principio: «Seduto lontano dal mondo, all'unisono con i ritmi della natura, liberato dai vincoli del mondo materiale e dalle comodità corporali, purificato e sensibile all'essenza sacra di tutto ciò che lo circonda, colui che prepara e beve il tè in contemplazione si avvicina a uno stadio di sublime serenità». L'incontro con l'altro nella Cerimonia del tè amplifica questa dimensione, come ricorda sempre il XV iemoto dell'Urasenke: «Trovare una serenità duratura in noi stessi in compagnia d'altri: questo è il paradosso».

Utensili e ambientazione

  • Chaire (茶入): recipiente per il tè da usare per il koicha.
  • Chaki (茶器): recipiente per il tè. Si suddivide in due tipi: chaire e natsume.
  • Chakin (茶巾): salvietta in lino per asciugare la tazza dopo averla lavata con acqua.
  • Chasen (茶筅): frullino di bambù, atto a mescolare il tè in polvere (matcha, 抹茶) con l'acqua bollente.
  • Chashaku (茶杓): cucchiaino di bambù, utilizzato per prendere il tè dal chaki e metterlo nella tazza (chawan).
  • Chashitsu (茶室): stanza del tè.
  • Chawan (茶碗): la tazza dove si beve il tè nella Cerimonia del tè.
  • Fukusa (袱紗): fazzoletto di seta utilizzato per pulire il chashaku e il chaki.
  • Fukusa-basami (袱紗ばさみ, anche 帛紗ばさみ): astuccio in cui ogni ospite ripone il necessario (kaishi e kashi-yōji).
  • Furo (風炉): braciere appoggiato sul tatami, in uso da maggio a ottobre.
  • Futaoki (蓋置): appoggio per lo hishaku.
  • Gotoku (五徳): treppiede di ferro su cui poggia il kama all'interno del ro.
  • Hashi (): bacchette di legno utilizzate dall'invitato per servirsi il cibo o i dolci.
  • Hibashi (火箸): grandi bacchette in metallo utilizzate per disporre i carboni nel braciere (furo o ro).
  • Higashibon (干菓子盆): vassoio per dolci secchi (higashi, 干菓子) utilizzati nella cerimonia usucha.
  • Hishaku (柄杓): mestolo di bambù utilizzato per prendere l'acqua bollente o fredda.
  • Kaishi (懐紙): fogli di carta utilizzati dall'invitato come tovaglioli.
  • Kashi-yōji (かしようじ): piccolo coltello di metallo per tagliare i dolci.
  • Kama (): bollitore per l'acqua.
  • Kensui (建水): recipiente per l'acqua di lavaggio.
  • Kobukusa (古帛紗): piccolo fazzoletto su cui appoggiare la chawan.
  • Koita (小板): tavoletta di legno posta alla base del furo.
  • Kuromoji (黒文字): piccolo bastoncino di legno, a punta, con cui l'invitato si serve per prendere i dolci.
  • Mizusashi (水差): recipiente per l'acqua fredda.
  • Natsume (): recipiente laccato per il tè da usare per la cerimonia usucha.
  • Ro (): buca quadrata in cui si pone la kama, in uso da novembre ad aprile.
  • Sensu (扇子): ventaglio che viene usato per lo più come segna posto.
  • Shifuku (仕覆): sacchetto di broccato entro cui si ripone il chaire.
  • Shōmen (正面): punto grafico o segno della parte esterna della chawan che fa da riferimento per orientarla.
  • Tatami (): stuoie che compongono il pavimento della chashitsu.



Frasario

Elenco di brevi frasi in giapponese da utilizzare durante il cha no yu
Romanizzazione
Italiano
Uso
Arigatō gozaimasu
Grazie infinite

Chōdai itashimasu
Lo accetto umilmente
Prima di prendere il tè e nel caso di accettazione di un dono
Dozō
Prego

Gomen kudasai
Mi scusi

Hai


Haiken wo
Posso vederlo?

Hajimemashite
Sono felice di incontrarla
All'inizio della cerimonia
Ikaga desu ka
Come sta?

Itadaki masu
Lo accetto
Simile a chōdai itashimasu, ma riferito al cibo
Kekkō desu
"Molto bene!" o anche "Ne ho avuto abbastanza"
Nel caso di un complimento o come gentile rifiuto
Konnichiwa
Buongiorno

Nan desuka
Che cos'è questo?

Omatase shimashita
Mi perdoni per l'attesa

Onegai shimasu
Le chiedo umilmente
Nel caso in cui si richiede un favore
Osakini
Mi perdoni se inizio prima di lei
È la frase che l'invitato pronuncia nei confronti di chi viene servito dopo di lui
Oshōban itashimasu
Prendo parte alla cerimonia
Viene detto all'invitato che ci precede
Sayōnara
Arrivederci

Shitsurei shimashita
"Mi perdoni" oppure "Mi scusi per la mia rudezza"



Ceramiche

La diffusione del principio del wabi-cha di Sen no Rikyū sconvolse anche l'arte della ceramica giapponese. Le ceramiche finissime di origine cinese furono scalzate rapidamente da quelle di apparenza rozza che incarnavano l'ideale estetico di semplicità e povertà che il maestro intendeva affermare. Tutto iniziò quando a un certo Chōjirō (長次郎, 1515-1592), operaio, forse di origine coreana addetto alla produzione di tegole, Sen no Rikyū chiese di realizzare una ciotola senza usare il tornio né la sovrapposizione a spirale di un cordone di materiale, ma semplicemente modellando la forma concava partendo da un pezzo di argilla. Chōjirō eseguì la commissione e il risultato fu talmente straordinario che Sen no Rikyū stesso giudicò la tazza perfetta sia dal punto di vista estetico, poiché l'aspetto semplice e rustico rispondeva a quell'esigenza di austerità che si prefiggeva, ma anche da un punto di vista pratico in quanto la tazza bassa e larga aveva una stabilità ideale ed era quindi adattissima per l'utilizzo sul tatami senza pericolo che i numerosi spostamenti cui era soggetta durante la cerimonia ne causassero il ribaltamento. Anche lo shōgun Toyotomi Hideyoshi fu altrettanto entusiasta e conferì al vasaio l'autorizzazione a fregiarsi, con tutti i suoi discendenti, del sigillo raku (楽焼, questo termine indica "comodo" o "maneggevole") e da allora la sua famiglia e i suoi discendenti si fregiarono di questo nome. Ancora oggi il quindicesimo e ultimo discendente dei raku, Kichizaemon (吉左衛門, 1949-) produce, come i suoi antenati, tazze di grande bellezza.
Ovviamente anche altri si cimentarono in questo tipo di produzione e così nacquero altri capolavori sempre coerenti con i principi estetici dello zen. Fra i più noti quelli di stile Mino, Seto, Shino e Bizen. Particolarissime le tazze con smalti color crema e soprattutto quelle con smalto nero. Il discepolo di Sen no Rikyū, Furuta Oribe, dette origine a una serie di pezzi straordinari per creatività e colorazione appunto noti da allora come stile Oribe. Spesso i vasai lasciavano colature di smalto o zone non coperte, imperfezioni e bolle; insomma l'ideale estetico del wabi-cha si diffuse sempre più. Malgrado le intenzioni di Sen no Rikyū, le ceramiche che dovevano esprimere il massimo dell'austerità e della povertà raggiunsero presto prezzi elevatissimi ed erano assai ricercate dalle classi più agiate. Si usava persino premiare i combattenti samurai () più valorosi donando loro pezzi particolarmente pregiati o di maestri celebri. Ora molte di queste opere sono conservate nei musei possedendo un valore economico spesso incalcolabile, ma anche le opere di maestri viventi, o del recente passato, eseguite con tecniche immutate dai tempi di Sen no Rikyū, raggiungono quotazioni notevoli.

Scuole del wabi-cha

Le tre scuole principali della Cerimonia del tè giapponese, secondo lo stile wabi-cha, sono state fondate dai figli del nipote di Sen no Rikyū, Genpaku Sōtan (元伯宗旦, 1578-1658):
  • Da Sensō Soshitsu (仙叟宗室, 1622-1697), la scuola Ura Senke (裏千家)
  • Da Koshin Sōsa (江岑 宗左, 1613-1672), la scuola Omote Senke (表千家)
  • Da Ichiō Sōshu (一翁宗守, 1593-1675), la scuola Mushanokōji Senke (武者小路千家)
Il termine Senke (千家) si compone di: Sen (, da Sen no Rikyū) e ke (, "casa" o "famiglia") e indica quindi "Case di Sen no Rikyū".
Oltre questi tre importanti lignaggi di insegnamento, esistono in Giappone molte altre scuole che fanno riferimento al wabi-cha, alcune di dimensioni molto piccole, in questo caso si indicano come ryū (), ovvero "stile":
  • Oribe-ryū 織部流 (fondata da Furuta Oribe)
  • Anrakuan-ryū 安楽庵流
  • Chinshin-ryū 鎮信流
  • Edosenke-ryū 江戸千家流
  • Enshū-ryū 遠州流
  • Furuichi-ryū 古市流
  • Fusai-ryū 普斎流
  • Fujibayashi-ryū 藤林流
  • Fuhaku-ryū 不白流
  • Fumai-ryū 不昧流
  • Hayami-ryū 速水流
  • Higoko-ryū 肥後古流
  • Hisada-ryū 久田流
  • Hosokawasansai-ryū 細川三斎流
  • Horinouchi-ryū 堀内流
  • Kayano-ryū 萱野流
  • Kobori-ryū 小堀流
  • Kogetsuenshū-ryū 壺月遠州流
  • Matsuo-ryū 松尾流
  • Mitani-ryū 三谷流
  • Miyabi-ryū 雅流
  • Nara-ryū 奈良流
  • Rikyū-ryū 利休流
  • Sakai-ryū 堺流
  • Sekishū-ryū 石州流
    • Sekishū-ryū Ikeiha 石州流怡渓派
    • Sekishū-ryū Ōguchiha 石州流大口派
    • Sekishū-ryū Shimizuha 石州流清水派
    • Sekishū-ryū Nomuraha 石州流野村派
  • Sōwa-ryū 宗和流
  • Uedasōko-ryū 上田宗箇流
  • Uraku-ryū 有楽流
  • Yabunouchi-ryū 薮内流 (fondata da Yabunouchi Kenchū Jōchi, 藪内, vissuto tra il 1536 e il 1627 e che, come Sen no Rikyū, fu un discepolo di Takeno Jōō).
  • Dainippon chadōgakkai 大日本茶道学会