«Allora per sette giorni,
libero da malessere del corpo, egli sedette contemplando la
propria mente e i suoi occhi non ammiccavano mai, il saggio
riflettendo che in quel sito aveva raggiunto il "Risveglio",
realizzò il desiderio del suo cuore»
|
(Aśvaghoṣa. Buddhacarita,
Le gesta del Buddha.
XIV, 94) |
Il termine sanscrito e pāli bodhi
(devanāgarī बोधि) indica il
'risveglio' buddhista inteso in senso spirituale, tradotto in
Occidente anche con il termine 'illuminazione'. Il termine bodhi
indica quindi l'illuminazione spirituale nell'ambito della religione
buddhista.
Origine del termine e sua resa in altre lingue orientali
Il termine bodhi è derivato
dalla radice verbale bud (accorgersi, apprendere, capire),
corrispondente al verbo bodati, bodate (sanscrito;
bujjhati in lingua pāli). Stessa etimologia ha la parola
Buddha (il "risvegliato").
Tale termine possiede tre rispettive
rese nelle altre lingue orientali:
- in cinese 悟 wù;
- in giapponese satori o go;
- in coreano 오 o;
- in vietnamita ngộ;
- in cinese 覺 jué;
- in giapponese kaku o gaku;
- in coreano 각 gak o kak;
- in vietnamita giác;
- in tibetano thugs su chud pa;
- in cinese 菩提 pútí;
- in giapponese bodai;
- in coreano 보리 bori o pori;
- in vietnamita bồ đề;
- in tibetano byang chub.
Bodhi e la sua traduzione nelle lingue occidentali con i termini di "illuminazione" e "risveglio"
Nel XIX secolo, in particolare in
ambienti intellettuali legati alla Società Teosofica, è invalso in
Occidente l'uso di tradurre bodhi con "illuminazione"
e così viene tradotto tuttora nelle principali lingue europee.
William K. Mahony ritiene questa
traduzione pertinente:
«Coerentemente con il
concetto diffuso in Asia meridionale e orientale, secondo il quale
la verità finale viene appresa grazie a una "vista"
straordinaria (per cui si parla, dal punto di vista religioso,
"vista interiore" o "visione"),
l'illuminazione è spesso descritta come un'esperienza nella quale
si "vedono" le cose come sono realmente e non più come
esse appaiono. Aver raggiunto l'illuminazione significa aver visto
attraverso la fuorviante trama di illusione e ignoranza, e
attraverso l'oscuro velo della comprensione abituale, la luce e la
chiarezza della verità stessa. Il termine illuminazione
solitamente traduce la parola sanscrita, pāli e pracritica bodhi
che in senso generale significa "saggio, intelligente,
pienamente conscio". Di conseguenza, bodhi sta anche a
indicare una certa "luminosità" (altro tema visivo)
della coscienza individuale.»
|
Robert M. Gimello ritiene invece che la
traduzione con "illuminazione" del termine sanscrito bodhi
possa condurre a dei fraintendimenti e che quindi il termine
"risveglio" vada raccomandato al suo posto.
La dottrina della bodhi
La bodhi rappresenta in ambito
buddhista la mèta del percorso religioso. Nel primo buddhismo questa
mèta veniva indicata con il sostantivo maschile sanscrito mokṣa
(liberazione) ripreso dalle prime Upaniṣad termine poi
progressivamente sostituito con quello di bodhi per indicare
un analogo significato, ovvero la liberazione dal saṃsāra,
il ciclo delle rinascite.
Nel panorama delle differenti scuole buddhiste, e delle rispettive
dottrine, l'ottenimento della bodhi acquisisce differenti
contenuti e significati, così come sono differenti i percorsi da
intraprendere per la sua realizzazione.La realizzazione della bodhi nel Buddhismo dei Nikāya
La realizzazione della bodhi nel Buddhismo Theravāda
Nel Buddhismo Theravāda la bodhi
viene conseguita da coloro che avendo udito e compreso profondamente
la dottrina delle Quattro nobili verità si siano contestualmente
incamminati lungo l'Ottuplice sentiero realizzando quindi lo stato di
arahant (pāli; sanscrito araht).
Questa "illuminazione",
propria degli sāvaka (pāli; sanscrito śrāvaka;
'uditori') è identica, sempre per la scuola Theravāda, anche per i
pacekkabuddha (pāli; sanscrito pratyekabuddha; 'buddha
solitari') e gli stessi buddha.
Non c'è quindi differenza nella
qualità della bodhi tra sāvaka, pacekkabuddha
e buddha; la differenza tra questi è piuttosto nel fatto che solo i
buddha sono in grado di insegnare la 'dottrina', il Dhamma
(pāli; sanscrito Dharma) al termine del loro percorso di
bodhisatta (pāli; sanscrito bodhisattva) avendo
realizzato lo stato di buddha perfetti (pāli sammāsambuddha;
sanscrito samyaksaṃbuddha).
Per mezzo della realizzazione della
bodhi, gli sāvaka, i pacekkabuddha e i buddha
entrano nel nibbāna (pāli; sanscrito nirvāṇa) e,
dopo la loro morte, nel parinibbāna (pāli; sanscrito
parinirvāṇa).
La realizzazione della bodhi, e
conseguentemente dello stato di arahant e l'ingresso nel
nibbāna, avviene quando vengono estinte in modo definitivo
tutte le passioni (pāli kilesa; sanscrito kleśa) e
gli attaccamenti (pāli taṇhā; sanscrito tṛṣṇā)
e le loro cause. La mente è così liberata dalle tre impurità (pāli
asava; sanscrito āsrava): quella dei sensi, del
divenire e dell'ignoranza, causa delle infinite rinascite nel samsāra
(pāli; sanscrito saṃsāra). L'arahant così liberato
non rinascerà più in quanto le sue azioni non hanno più frutto
karmico.
La realizzazione della bodhi nel Buddhismo Mahāyāna e nel Mahāyāna Vajrayāna
Nel Buddhismo Mahāyāna e nel
Buddhismo Mahāyāna Vajrayāna, la bodhi conseguita nelle
scuole del Buddhismo dei Nikāya e nel Buddhismo Theravāda è
considerata incompleta e quindi non corrisponde alla bodhi più
profonda (l'anuttarā-samyak-saṃbodhi).
Tale considerazione si fonda sul fatto
che tali scuole non accolgono come canonici i sutra mahāyāna
rifiutando le dottrine lì riportate.
D'altro canto questi sutra
mahāyāna, in particolar modo i Prajñāpāramitā sūtra e
il Sutra del Loto, non pongono al centro dell'insegnamento del
Buddha Śākyamuni la dottrina delle Quattro nobili verità,
considerata una dottrina hīnayāna (del "Veicolo
inferiore" contrapposto alle dottrine Mahāyāna ovvero del
"Grande Veicolo").
Per le scuole del Buddhismo dei Nikāya
e nel Buddhismo Theravāda invece la dottrina delle Quattro nobili
verità è centrale per la realizzazione della bodhi
risultando invece le dottrine mahāyāna come non 'autentiche'
(mai insegnate dal Buddha Śākyamuni) e, in ultima analisi, non
utili per la realizzazione del "risveglio".
Secondo i buddhisti mahāyāna invece
solo la comprensione delle dottrine mahāyāna, con particolare
riguardo a quella della vacuità (sanscrito śunyātā,
assenza di sostanzialità inerente ain tutti i fenomeni) unitamente a
quella dell'anatman (assenza di sostanzialità inerente nel
percettore dei fenomeni), può portare alla realizzazione della
"saggezza onnicomprensiva" (sarvajñatā) e quindi
alla bodhi. Per realizzare il "risveglio" non è
sufficiente quindi, per i mahāyāna, estinguere la passioni, gli
attaccamenti e le loro cause, che anzi nel quadro di queste dottrine
radicalmente olistiche sono identiche alla "illuminazione",
ma occorre piuttosto 'comprendere' la natura della realtà e la causa
dei fenomeni. Per questa ragione il Buddha Śākyamuni, invitato ad
esporre nel II capitolo del Sutra del Loto la verità profonda
che conduce alla bodhi, la esprime con la dottrina del tathātā
(sanscrito; la "talità" ovvero "come le cose sono")
e non con la dottrina delle Quattro nobili verità.
Nel Buddhismo Mahāyāna la bodhi
completa si raggiunge quindi entrando nel veicolo dei bodhisattva
(bodhisattvayana) praticando le pāramitā e
percorrendo le dieci terre dei bodhisattva (sanscrito daśabhūmi)
fino al "risveglio" finale. A questo percorso progressivo
si aggiunge un altro percorso che si fonda sulla "illuminazione
improvvisa" (in lingua cinese 頓教
dùnjiào) tipica ad esempio della scuola buddhista
cinese Chán e del suo corrispettivo giapponese, il Buddhismo Zen.
A questo quadro di dottrine e pratiche
fondate sulle pāramitā, il Buddhismo Mahāyāna Vajrayāna
aggiunge e predilige degli insegnamenti "esoterici"
denominati tantra aventi lo scopo di realizzare "in
questo corpo e in questa vita" il profondo "risveglio"
spirituale.
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