lunedì 31 agosto 2015

L'arte dei 5 stili


"Attraverso questo stile di pugno, uno può raggiungere lunga vita e mantenere la felicità" - Filosofia del Kajukenbo -
Adriano-emperado

Nato nell'isola di Oahu, Hawaii, alla fine della seconda guerra mondiale, il Kajukembo è un'arte marziale ibrida nata dalla fusione di cinque stili di combattimento.
Il primo fondatore di questo metodo di autodifesa fu Adriano Emperado, esperto di Escrima filippino e cintura nera di 5° grado di Kenpo.
Alla fine degli anni quaranta, Emperado, insieme ad altri maestri, istituì la società delle cinture nere (Black Bet society) con lo scopo di confrontare le varie discipline praticate in situazione reali di aggressione per individuare i punti di forza e di debolezza delle diverse specialità. Infatti, il termine Kajukenbo deriva dalle iniziali delle arti marziali dei fondatori di questo sistema ibrido di autodifesa:
  • KA, dal Tang So Do Karatè Koreano del Maestro Peter Y.Y. Choo;
  • JU, dal Jujitsu e Judo giapponese del Maestro Frank Odonez;
  • KEN, dal Kenpo di Emperato Adriano;
  • BO, dalla boxe cinese (Sholin Chuan Fa Kung Fu) del Maestro Clarence Chang.
Frank Odozen apportò nel Kajukenbo la potenziale cedevolezza che caratterizza il Jujitsu; Peter Choo l'esplosività dei colpi del Karate; Clarence Chang gli attacchi ad ampio raggio del Kung Fu ed Emperado le tecniche a fuoco rapido e l'agilità a corta distanza del Kenpo.
Da quest'unione armoniosa nasce la prima arte marziale degli Stati Uniti, che ebbe inizio con la prima scuola a Palama e successivamente si espanse nel continente americano tramite John Leoning, allievo di Emperado.
Il Kajukenbo oltre a essere uno stile caratterizzato da un duro allenamento, mantiene forti radici nelle filosofie delle arti che lo compongono. Lo stemma del Kjukenbo è composto dal:

Stemma-Kajukenbo


  • Trifoglio Bianco che rappresenta la conoscenza e la limpidezza delle 5 arti marziali;
  • Ying e Yang è il duro e il morbido all'interno del Kajukenbo;
  • Giunchi verdi sono la scuola e l'organizzazione giovane che cresce nel tempo;
  • L'ottagono d'oro simboleggia gli otto Kata e le otto direzioni di attacco e di difesa del Kajukenbo;
  • Il cerchio rosso è il C'HI, l'energia interiore;
  • Il rosso, il nero e il bianco sono i colori che caratterizzano il Kajukenbo;
  • Gli ideogrammi di sinistra significano Stile di pugno, Kenpo mentre a destra abilità, lunga vita.
Il Kajukenbo è un'arte marziale che addestra i suoi praticanti ad utilizzare le diverse combinazioni di attacco e di difesa presenti nei diversi stili, come i calci laterali e le tecniche esplosive del Korea Karate, le parate morbidi del Kenpo, le tecniche a becco di Gru del Kung Fu e le proiezioni e leve articolari del Jujitsu.
Questo enorme bagaglio tecnico consente ad ogni persona, indipendentemente dalla statura, età e sesso, di aumentare enormemente le proprie possibilità di sopravvivenza ad una aggressione utilizzando le tecniche che gli consentono maggiormente di sfruttare la propria forza personale. Una persona agile può concentrarsi principalmente su tecniche a fuoco rapido e sulla corta distanza del Kenpo e del Kung Fu, mentre una persona meno veloce può sfruttare le leve articolari e le proiezioni del Jujitsu e del Judo.
Oltre al combattimento a mani nude che viene acquisito nei vari esami sostenuti dal praticante fino al raggiungimento della cintura nera, il Kajukenbo si concentra successivamente sull'apprendimento delle tecniche a mano armata. Quest'ultimo allenamento comprende tecniche di difesa da attacchi portati con coltelli e bastone e l'utilizzo stesso del bastone impiegato nell'Escrima filippino. L'ultima prova da superare per ambire alla cintura nera è la prova del cerchio, che consiste in un combattimento simultaneo con più opponenti allo scopo di simulare una tipica aggressione da strada.
L'immediatezza, la flessibilità e l'efficacia delle tecniche di Kajukenbo hanno favorito la diffusione di quest'arte di autodifesa di origine Americana in tutto il mondo.

domenica 30 agosto 2015

Chapatsu

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Il chapatsu (チャパツ, letteralmente capelli castani), è una moda in voga tra gli adolescenti giapponesi che consiste nel decolorarsi (e talvolta tingersi) i capelli con uno stile particolare.
Questa moda ha iniziato a diffondersi a Tokyo nella prima metà degli anni novanta anche se la parola non è comparsa nel Kōjien (uno dei dizionari giapponesi più autorevoli) fino al 1998. La pratica è inizialmente diventata popolare soltanto tra le adolescenti che cercavano di accentuare la pelle abbronzata, ribellandosi ai canoni tradizionali di bellezza, ma è velocemente passata ad essere una moda mainstream e quindi comune tra tutti gli adolescenti e giovani che seguono la moda.
Attualmente questa pratica sta decadendo, molto probabilmente perché ha perso la connotazione di "ribellione".

sabato 29 agosto 2015

Chonmage

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Il chonmage (丁髷 o 丁髷 o ちょんまげ) è un tipo di acconciatura tradizionale giapponese per uomo. È più comunemente associata con il periodo Edo e con i samurai e, in tempi recenti, con i lottatori di sumo. Originariamente era un metodo utilizzato dai samurai per mantenere stabile l'elmo in battaglia, divenendo in seguito uno status symbol nella società giapponese.
Il chonmage tradizionale del periodo Edo si caratterizzava per un taglio che lasciava rasata la fronte con i rimanenti capelli che, lunghi, venivano unti e legati a formare una piccola coda di cavallo che si ripiegava sulla sommità della testa con il ciuffo caratteristico.
Al giorno d'oggi gli unici rimasti a portare il chonmage sono i lottatori di sumo. Questo stile di chonmage è leggermente differente, in quanto la fronte non è più rasata, e i capelli possono essere appiattiti in questa regione per consentire al ciuffo di poggiarsi più ordinatamente.
I lottatori di sumo sekitori possono, in certe occasioni, acconciare i propri capelli con un ciuffo più elaborato che prende il nome di oicho o stile a foglia di ginkgo, in cui la parte terminale del ciuffo si apre formando un semicerchio. Data l'unicità dello stile, la Sumo Association impiega parrucchieri specializzati chiamati tokoyama per tagliare e pettinare i capelli dei rikishi.
Il chonmage ha una tale importanza simbolica nel sumo che l'atto del tagliare il ciuffo è un momento cruciale nella cerimonia del ritiro di un lottatore.

venerdì 28 agosto 2015

Cool Biz

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Cool Biz è la denominazione di una misura adottata dal governo del primo ministro giapponese Jun'ichirō Koizumi attraverso il Ministero dell'ambiente, al fine di contrastare i cambiamenti ambientali mediante la promozione dell'informalità nell'abbigliamento durante l'estate del 2005.

Etimologia

Cool Biz è un'espressione coniata a partire dalle parole inglesi "cool" e "business", solitamente compressa in "biz". La prima traduce letteralmente "fresco", ma colloquialmente si può tradurre come "bello, fico, stupendo", mentre la seconda vuol dire "affari".

Aspetti generali

Il governo non ha indicato una maniera speciale di vestirsi, né la necessità di comprare abiti nuovi, ad eccezione del suggerimento esplicito di non mettersi né cravatta né giacca. Si è raccomandato di mantenere la temperatura dell'aria condizionata a 28°C, meta che si può raggiungere con l'uso di abiti più leggeri.
Rispetto all'ambiente di lavoro durante l'estate, e a causa dell'entrata in vigore del Protocollo di Kyōto, è prevalso il giudizio negativo circa un iperraffreddamento dell'aria condizionata, dal punto di vista della salute e della conservazione dell'energia, dando la colpa alla cravatta e al completo da uomo, poiché l'uso di questo tipo di vestiario aumenta la temperatura del corpo, il che obbliga ad abbassare la temperatura dei condizionatori d'aria. Alcuni uomini ritengono che questa diminuzione della temperatura negli spazi interni aumenti la sensazione di freddo, così come le donne parlano di un "inferno gelato".
Per questo, il Ministero dell'ambiente giapponese ha lanciato un appello a mantenere la temperatura dell'aria condizionata a 28°C durante l'estate, ha creato canzoni promozionali e, mediante la campagna denominata "senza cravatta, senza giacca" (「ノーネクタイ・ノー上着 No necktie, no uwagi), ha chiesto agli impiegati giapponesi di utilizzare abiti più leggeri. L'esempio hanno dovuto darlo gli impiegati governativi nell'area metropolitana di Tokyo, ma altri funzionari hanno mantenuto l'uso di giacca e cravatta, il che pare dimostrare che la campagna non ha ancora permeato la società giapponese in generale.
Perfino dentro il partito di governo, il Partito Liberal Democratico (PLD), persone come Shizuka Kamei hanno criticato la misura dicendo che «quell'apparenza non sta bene ai politici».
Nel 1979, dopo la crisi petrolifera degli anni settanta, il governo Ōhira aveva proposto la misura su idea dell'ex primo ministro Tsutomu Hata. Si arrivò a creare gli "abiti a basso consumo di energia" (省エネスーツ Shō-ene(rgy)-suits), vestiti con maniche ampie, che ebbero una certa accettazione.
I fabbricanti e i negozi di abbigliamento hanno trovato una nuova opportunità per vendere abiti da uomo e camicie che non lasciano vedere la cravatta, grazie a questa misura e a promozioni come il "Casual Friday", mentre le tipiche camicie di Okinawa, simili a quelle hawaiane, hanno avuto grande diffusione nel resto del Giappone. Inoltre, secondo calcoli del Centro di Indagine Economica, con la misura del Cool Biz la deteriorata economia giapponese potrebbe crescere di circa 100000 milioni di yen.

Risultato della campagna Cool Biz del 2005

Il 28 ottobre 2005, il Ministero dell'ambiente annunciò i risultati della campagna Cool Biz.
Il Ministero realizzò un'inchiesta via web sulla situazione attuale della misura il giorno 30 settembre 2005, coprendo approssimativamente 1.200 persone selezionate da un "panel di internet" di proprietà di una società di ricerca. Il risultato del sondaggio mostra che il 95,8% degli intervistati conosceva il Cool Biz e che il 32,7% dei 562 intervistati rispose che i suoi uffici avevano installato più aria condizionata che negli anni precedenti. Basandosi sui risultati, la riduzione stimata del biossido di carbonio fu di circa 460.000 tonnellate-CO2, che equivale alla quantità di CO2 emessa approssimativamente da un milione di camini durante un mese.
Il Ministero solleciterà costantemente la popolazione ad installare aria condizionata a 28 gradi centígradi, insieme a una maggiore diffusione del Cool Biz.

Warm Biz

Durante l'inverno del 2005, si parlò in varie delle principali catene d'informazione di promuovere una campagna Warm Biz per l'inverno, indossando una camicia pesante a collo alto al posto di giacca e cravatta. Il Warm Biz non fu promosso dal governo giapponese e l'idea non raccolse sostegno su vasta scala.

Cool Biz 2006

La seconda campagna annuale Cool Biz iniziò il 1º giugno 2006. Il primo ministro del Giappone e un gran numero di ministri diedero l'esempio di indossare abiti progettati per mantenerli freschi. Sembra che l'appoggio alla misura fuori dal governo stia guadagnando adepti.

giovedì 27 agosto 2015

Cool Japan

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Cool Japan (クールジャパン Kūru Japan) è un'espressione coniata nel 2002 per esprimere la rapida ascesa del Giappone a superpotenza culturale. Ottenuto un largo riconoscimento anche nel mondo accademico e mediatico, il marchio "Cool Japan" è stato fatto proprio anche dal governo giapponese così come dalle compagnie commerciali che sperano in questo modo di sfruttare il potenziale dell'industria culturale del paese. È stato descritto come una forma di soft power, ovvero «l'abilità di influenzare indirettamente il comportamento o l'interesse attraverso mezzi culturali o ideologici».

mercoledì 26 agosto 2015

Cosplay

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Cosplay (コスプレ kosupure) è una parola macedonia formata dalla fusione delle parole inglesi "costume" (costume) e "play" (gioco o interpretazione) che indica la pratica di indossare un costume che rappresenti un personaggio riconoscibile in un determinato ambito e interpretarne il modo di agire.

Storia

Il fenomeno precursore del cosplay nasce in America nel 1939 con il futuristicostume indossato da Forest J. Ackerman e ispirato al film La vita futura di William Cameron Menzies. Solo nel 1984 il reporter giapponese Takahashi Nobuyuki coniò la parola cosplay, per descrivere ciò che aveva visto durante il suo viaggio in America presso le convention statunitensi. Il fenomeno assunse una certa rilevanza a partire dal 1995 quando la stampa giapponese dedicò per la prima volta un articolo a questo fenomeno quando un gruppo di ragazzi nella città di Tokyo indossò i costumi ispirati a personaggi della serie Neon Genesis Evangelion. Da allora il cosplay si è sempre più diffuso anche nel resto del mondo, soprattutto tra le schiere di fan più appassionati.

Caratteristiche del fenomeno

Il termine è una contrazione delle parole inglesi costume e play, che descrivono l'hobby di divertirsi vestendosi come il proprio personaggio preferito. Oltre a travestirsi in occasione di manifestazioni pubbliche come i convegni sugli anime, non è inusuale per gli adolescenti giapponesi radunarsi assieme ad amici con la stessa passione solo per fare del cosplay.
Il cosplay si è legato indissolubilmente alla cultura nipponica, al punto di essere creduto originario del Sol Levante. Difatti il personaggio rappresentato da un cosplayer appartiene spesso al mondo dei manga e degli anime, molto diffusi nel paese asiatico, ma non è raro che il campo di scelta si estenda ai tokusatsu, ai videogiochi, alle band musicali, particolarmente di artisti J-Pop, J-Rock, K-Pop o K-Rock (musica pop e rock giapponese o coreana), ai giochi di ruolo, ai film e telefilm e ai libri di qualunque genere e persino alla pubblicità.
A causa della sua natura eterogenea il cosplay viene praticato in maniera sensibilmente differente nei vari stati in cui si è diffuso, ma il terreno principalmente calcato dai cosplayer è quello delle convention del settore. Una piccola nicchia in questo campo è costituita dai dollers, il termine che indica un attore dilettante di kigurumi. Questi cosplayer indossano maschere (che li fa definire in giapponese anche animegao, ovvero "faccia da anime") e una calzamaglia completa per trasformarsi completamente nel loro personaggio.
Una definizione adottata in certi casi è quella di cross-players, da "cross-dressing" e "cosplayer": si usa talvolta per indicare coloro che abitualmente realizzano cosplay di personaggi del sesso opposto rispetto al loro. Non si tratta comunque di una vera e propria nicchia del cosplay, ma di una definizione a volte usata in modo improprio e non accettata da tutti gli appassionati. Le migliori cosplayers giapponesi si possono trovare ogni domenica ad Harajuku, quartiere di Tokyo, dove decine di ragazze e ragazzi si incontrano per mostrare i propri vestiti ai turisti incuriositi e ai fotografi.

Le esibizioni

Una parte significativa della sottocultura cosplay sono le brevi scenette (o esibizioni) in cui i cosplayer recitano la parte del personaggio di cui indossano il costume, re-interpretando fedelmente determinati passaggi del film, fumetto o serie TV da cui il personaggio è stato tratto, o al contrario fornendone un'interpretazione personale in chiave parodica quando non demenziale.
Va notato che questo elemento ha un'importanza del tutto marginale nelle fiere giapponesi, dove solitamente i vari cosplayers si limitano ad un inchino e ad una breve sfilata dove posano per le fotografie, mentre al contrario ha ottenuto un buon successo in diversi altri paesi in cui si pratica il cosplay. Non è raro vedere alle varie gare di cosplay lunghe interpretazioni spesso complete di colonne sonore, accessori vari e in alcuni casi dei micro-set che si rifanno alle ambientazioni della storia. Ormai è quasi una consuetudine premiare non soltanto gli autori dei costumi più accurati, ma anche le interpretazioni migliori e più fedeli allo spirito della fonte originale, oppure elargire "premi simpatia" ai cosplayers la cui interpretazione è risultata la più divertente e originale.

martedì 25 agosto 2015

Dongba

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Con il nome Dongba (lingua naxi: dtomba, cinese: 东巴, Dong Ba) si intende principalmente sia la tradizione religiosa e sciamanica dei Naxi di Lijiang, sia il sacerdote stesso di tale religione. Per quanto concerne la tradizione religiosa, essa risulta essere un insieme di tradizioni appartenenti alla cultura del popolo Naxi, concentrato oggi fondamentalmente nella città di Lijiang - Yunnan, Cina, nella zona circostante, ed in altre zone adiacenti del Tibet e della provincia dello Sichuan, mentre per quanto concerne il sacerdote sciamano, egli è la figura centrale di tutta la parte "pratica" della religione Dongba, ed adempie alle cerimonie proprie della suddetta tradizione, si dedica alla compilazione dei manoscritti che recita cantando e danzando nei rituali specifici.
I termine Dongba dunque è un nome polivalente, ma i suoi significati e le sue accezioni non si limitano alle due appena accennate, e ne contempla altre che possono essere riassunte e schematizzate come segue:
  • Dongba come sistema di scrittura pittografica utilizzata per la produzione di manoscritti religiosi,
  • Dongba come una tipologia di danza, musica e canto direttamente derivata dall'esecuzione delle cerimonie religiose della medesima tradizione
  • Dongba come tipologia artistica sacra antica, espressa nella realizzazione di affreschi murali come l'importantissimo ciclo di affreschi del tempio di Baisha, nella produzione di Tanka, nella produzione di tavolette lignee votive dipinte, nella produzione di manoscritti illuminati.
  • Dongba come tipologia artistica moderna e contemporanea che si esprime nella pittura, nella scultura e nella calligrafia conosciuta anche come Scuola d'arte Moderna Dongba,
  • Dongba come produzione artigianale ispirata o direttamente copiata dalle iconografie artistiche della tradizione religiosa sciamanica.
Quest'ultimo aspetto, tuttavia, è ampiamente dibattuto poiché non è chiaro se questo tipo di espressione artistica possa essere considerata come 'genuinamente Dongba', poiché nella produzione dei manufatti è in molti casi evidente che sia stata attuata una mera copia dei motivi iconografici Dongba, senza tuttavia conoscenza dei motivi iconologici ed i significati profondi che sussumono e condizionano le altre espressioni artistiche Dongba.
Malgrado oggi sia la tradizione Dongba (ed in questo caso ad intendere ogni significato del termine nella sua polivalenza) sia la minoranza etnica Naxi ed il popolo Moso (o Moso) siano al centro di un sempre crescente interesse da parte di studiosi, non vi è molta bibliografia specifica su entrambe gli "argomenti", e quella che è stata scritta, spesso non è facilmente reperibile, soprattutto contando che una buona parte della documentazione è in lingua cinese.

Introduzione

Cenni sullo studio dell'etnia Naxi e della tradizione Dongba

Nel corso degli anni gli studiosi della nazionalità Naxi e del popolo Moso hanno formulato diverse ipotesi per identificare le origini e per ricostruire la storia antica delle due etnie, e le teorie principali elaborate possono essere raggruppate in tre filoni di pensiero principali:
  • I Naxi si originarono dai Maoniu e dalla confederazione tribale di Zao
  • I Naxi sono i discendenti delle tribù di cultura Bai Lang,
  • I Naxi giunsero a Yongning nel 24 d.C. e si originarono da tribù di cultura Mosuo
Così come suggerito dal recente studio monografico sui Naxi di Christine Matthieu, l'analisi accurata della documentazione storica e letteraria disponibile, nonché dei dati archeologici, linguistici ed antropologici palesa l'insufficienza e l'inadeguatezza di ciascuna singola teoria, poiché nessuna di essa riesce a fornire descrizioni e spiegazioni esaustive sulla genesi Naxi/Mosuo, e dover scegliere tra l'una o l'altra ipotesi risulterebbe sempre una scelta limitata, con cui non si potrebbero mai descrivere a pieno tutte le caratteristiche principali della formazione della matrice etnica, culturale, linguistica, religiosa, artistica, ecc.., che sussume alla nazionalità Naxi ed alla popolazione Mosuo storica ed odierna.
Ciascuna delle tre ipotesi, parzialmente esauriente, non riesce a motivare né le cause che hanno portato alla diversificazione delle due popolazioni, né risulta esauriente nel descrivere i processi che portarono alla differenziazione tra Naxi e Mosuo delle rispettive organizzazioni sociali, delle tradizioni, ed all'interno dello stesso popolo Naxi del fenomeno della rivendicazione in certi centri di origini storiche diverse, così fortemente sentite dalle comunità.
Da ciascuno dei modelli storici non è poi possibile estrarre i dati su cui documentare quali, e quante possano essere state le influenze che portarono alla formazione delle tradizioni Daba (Moso) e Dongba (Naxi), nonché l'introduzione, l'utilizzo e la trasformazione della scrittura pittografica Dongba e sillabica Geba per i Naxi, ed dall'altro lato, all'assenza di una tradizione religiosa manoscritta Daba/Mosuo, sebbene negli ultimi anni sia stato dimostrato che questi ultimi utilizzino o abbiano utilizzato nel corso della storia un piccolo corpus di pittogrammi per l'esecuzione di riti divinatori.

La questione matriarcale e l'adozione dei modelli Han

Nessuna delle tre ipotesi storiche precedentemente accennate risulta davvero esauriente se presa singolarmente, perché prima di tutto non contemplano tutte le caratteristiche del popolo e della cultura Naxi e della tradizione Dongba, e poi perché non vi è l'apporto di una documentazione precisa su cui basare e da cui dedurre le proprie teorie, specialmente che illustrino quali siano stati i processi antropologici sociali e politici che hanno portato al giorno d'oggi alla struttura patriarcale presso i Naxi ed alla sopravvivenza, in alcuni centri Mosuo, di particolari modelli sociali in cui la donna si trova al centro dell'economia familiare e dove vi è libertà di coppia, dove si pratichi il modello matrimoniale detto "Walking Marriage".
Soffermandosi su quest'ultimo tema, sarebbe stato auspicabile almeno in uno dei tre modelli teorici, poter studiare un tentativo di ricostruzione storica soddisfacente inerente anche alla genesi Naxi/Mosuo, con la messa in luce dell'esistenza o meno di una documentazione su cui poter discutere dell'eventuale esistenza, anche partendo dal Neolitico, di evidenze archeologiche inerenti all'esistenza, alla sopravvivenza e alla trasmissione di un'organizzazione sociale matriarcale o matrilineare, e questa fase preliminare avrebbe poi dovuto riferirsi sia alla storia dei Mosuo per cercare di comprendere quali siano le fasi storiche che hanno portato quel popolo alla situazione dei Moso nostri contemporanei, sia per gli antichi Naxi, cercando di documentare e discutere di quali siano stati i processi storici e sociali che dovettero portare all'abbandono dei modelli sociali locali matriarcali verso l'adozione di dei modelli Han. In parole povere, sarebbe necessario documentare tramite tracce archeologiche o documenti storici, per lo meno per quanto riguarda lo Yunnan settentrionale, elementi che possano costituire incontrovertibili evidenze storiche dell'esistenza di nuclei sociali matriarcali antichi, da cui discutere e studiare la questione Naxi e la questione Moso come due "destini" diversi di una stessa tradizione.
Ad esempio, sapendo della pratica dei matrimoni incrociati e combinati fra tribù, si potrebbe individuare così quale sia stato "lo strumento" per la diffusione di questo o quel modello sociale matriarcale, o descrivere dove e come possa essere avvenuta una minor cinesizzazione dei gruppi umani.
Altro argomento fondamentale che potrebbe essere riletto sulla base di una documentazione storica precisa del matriarcato a Lijiang e nello Yunnan settentrionale consiste nella questione dell'impatto dell'adozione del modello sociale matrimoniale Han diffuso o imposto nella regione, fenomeno al quale viene legato il suicidio Yu vu e la rapida crescita di richiesta di sciamani Dongba per poter adempiere alle necessarie cerimonie per la purificazione ed il riscatto delle anime dei morti suicidi; per quanto si possa pensare verosimile questo collegamento, non vi è di nuovo nessun riferimento ad evidenza storica che documenti la previa esistenza presso i Naxi e nella regione di Lijiang di un preciso nucleo sociale matriarcale.
Eppure episodi di matriarcato nella Cina sin dall'epoca preistorica e dal Neolitico sono noti dalle fonti archeologiche, e consistono in una serie di tipologie sepolcrali che documentano l'esistenza di una classe sociale stratificata in cui le tombe delle donne erano le uniche sepolture dotate di corredo funebre, e le inumate assumevano posizione centrale nelle necropoli, e questo dato archeologico è indice del ruolo elitario delle donne nella società dell'epoca.
Fonti storico-archeologiche hanno messo in luce durante il Neolitico, prima della dinastia Xia e Shang, dal 5000 al 3000 a.C. circa, in alcune regioni della Cina, tracce di un modello sociale matriarcale, Mu Xi Shi Zu 母系氏族, così come le evidenze archeologiche relative alle culture sviluppatesi lungo il bacino dello 黃河 HuangHe, e più precisamente alle culture di 半坡BanPo, 仰韶文化 YangShao, 馬家窯文化 MaJiaYao, 河姆渡文化 HeMuDu.
Le cronache storiche Tang riportano in epoca storica l'esistenza di due Nu Guo, di cui Dong Nu Guo, il regno delle donne orientale, sito ai confini delle regioni di Yongning (Mosuo contemporanei) e Lijiang (Naxi contemporanei), e basato sul matriarcato, dunque sembra lecito ipotizzare l'esistenza ed il flusso di un modello matriarcale in questa regione, e diviene anche abbastanza spontaneo collegare il fenomeno Dong Nu Guo agli antichi Naxi ed ai Mosuo.
Anche se i Naxi oggi non presentano una società matriarcale, alcune testimonianze di un passato molto recente, come quelle di Joseph Rock e Peter Goullart, hanno documentato che presso i Naxi esistesse un modello sociale familiare basato sulla libertà di coppia e sull'eredità del nome di famiglia dalla linea materna e non paterna.
Dong Nu Guo, dal mio punto di vista interpretabile non come un regno preciso avente un popolo e dei confini precisi, ma come un modello sociale di congregazioni tribali matriarcali, allora potrebbe essere contemplato tra quegli apporti culturali che contribuirono alla genesi del popolo Naxi/Mosuo, anche se presso i Naxi, questo modello sociale oggi non è più presente a causa dei diversi sviluppi storici e culturali che modificarono radicalmente la loro società, a causa di un ingente processo di cinesizzazione.
L'apporto della cultura Han, l'adozione e la fusione nel corso della storia di alcuni elementi culturali, filosofici e religiosi, nonché l'imposizione forzata di regole sociali e politiche hanno interferito e modificato culturalmente, socialmente e linguisticamente gli abitanti della regione contribuendo al risultato vivente e differenziato dei Naxi e dei Mosuo odierni.

Apporti culturali e religiosi

Per quanto concerne la tradizione religiosa Dongba, essa viene fatta comunemente coincidere con l'insieme di rituali, credenze e tradizioni che oggi sono ancora viventi presso i centri ed i villaggi Naxi, e contemporaneamente il nome Dongba, usato nell'accezione di tradizione religiosa, sembrerebbe essere generalizzato ed universalizzato per indicare la tradizione religiosa della regione di Lijiang in toto, così come sembra comunemente accettato che la tradizione Dongba possa essere considerata come un "prodotto" o un'espressione della cultura Naxi.
Entrambe le accezioni attribuite al termine Dongba sembrano essere verosimili solo dopo la precisa definizione di alcuni fattori storici, culturali e cronologici, tra i quali:
  • uno studio adeguato del panorama e della storia delle occupazioni umane nella regione di Lijiang,
  • analisi dei processi storici, antropologici e culturali che hanno portato alla genesi dell'etnia Naxi,
  • la storia delle culture umane che potrebbero essere definite come matrice proto-Naxi agli antenati dell'etnia Naxi attuale,
  • lo studio comparato dell'etnia Naxi con il popolo Moso, analisi dedicata alla maggior comprensione dei fattori che hanno portato alla differenziazione dei due gruppi umani geograficamente adiacenti e dalle origini comuni, che condividono numerosi aspetti culturali
  • lo studio delle nomenclature reali e delle genealogie reperibili dai manoscritti Dongba, testi rituali dedicati alla narrazione apotropaica della genesi dell'universo e del proprio popolo, questo per la deduzione e la comprensione del variegato mosaico intertribale che dovette caratterizzare l'antica storia di Lijiang e di tutto lo Yunnan nord-occidentale
Così come la storia antica del popolo Naxi odierno, appare caratterizzata e descrivibile come un susseguirsi di apporti culturali ed umani multietnici eterogenei, stratificatisi ed omogeneizzatisi diversamente, in successione e gradualmente nel corso dei secoli della storia fino alla "produzione" di quello "che oggi è la minoranza etnica Naxi di Lijiang", la cui multiculturalità è fenomeno evidentissimo ed è stata una delle principali motivazioni per l'inserimento della città e della regione di Lijiang all'interno dell'elenco dei siti ritenuti dall'UNESCO come Patrimonio dell'umanità, una multicultura che traspare in ogni manifestazione ed espressione del popolo Naxi, come nell'architettura, nella musica, nella pittura, addirittura nella stessa lingua, così allora potrebbe essere considerata, se intesa come espressione religiosa propria del popolo Naxi, la tradizione Dongba: la stratificazione, rarefazione ed amalgamazione di più fattori, credenze religiose, oracolari, filosofiche e di arte religiosa.

Origine della tradizione religiosa Dongba

L'analisi dei rituali, dei principi basilari e delle credenze, delle divinità, semidivinità e demoni che caratterizzano la tradizione Dongba evince strettissimi legami con l'antica tradizione Bon prebuddista tibetana, che costituì una sorta di sfondo sul quale si fusero ulteriori elementi filosofico-religiosi. Le "inclusioni " furono di tre principali origini:
  • elementi delle tradizioni sciamaniche delle tribù e dei clan autoctoni della regione di Lijiang; i Naxi non sono considerati gruppo umano e cultura autoctona di Lijiang, dove emigrarono probabilmente nel I secolo a.C.;
  • elementi della tradizione Buddista tibetana
  • elementi delle tradizioni cinesi, confuciana e taoista
Come accennato precedentemente, la stratificazione ed amalgamazione dei vari contributi delle diverse tradizioni sciamanico-religiose hanno prodotto quanto oggi è conosciuto come tradizione Dongba, anche se tuttavia quanto oggi sopravvive di tale fomento sciamanico religioso è stato ampiamente filtrato ed alterato dagli eventi storici tardo-medioevali, moderni e contemporanei, così come è plausibile ipotizzare che la tradizione religiosa chiamata Dongba non fosse né l'unica tradizione sciamanica presente nella regione di Lijiang. I Dongba, infatti, non possono essere considerati gli unici sciamani e/o sacerdoti della regione, così come dimostrato dalla presenza di molteplici pittogrammi d'iconografia e pronuncia diversa all'interno del corpus manoscritto.

Dongba e Ssanii: preti, sciamani di Lijiang

Nella stessa lingua naxi, con il termine Dongba si intende il significato di "saggio", "colui che ha la conoscenza", ed in accezione puramente religiosa "prete", e questo per distinguere i Dongba da un'altra figura specializzata nei rituali religiosi detta Ssanii, parola il cui significato viene fatto coincidere con il concetto di sciamano, e che indica quelle persone capaci di comunicare con l'aldilà, investite di questa dote da Dio, che permette loro d'interagire con il mondo degli spiriti.
Il significato della parola Dongba sembra invece sottolineare la caratteristica di saggezza e di conoscenza acquisita dopo un lungo periodo di addestramento, che conferisce ai "preti" Naxi l'abilità e la padronanza dei manoscritti e dei complessi rituali della tradizione locale.
Questa convivenza di più figure interagenti nello stesso campo d'azione è un ulteriore esempio palese della già palese multi-culturalità dei Naxi e della regione di Lijiang.
La compresenza e coesistenza di più tradizioni religiose è visibile anche nell'arte sacra di Lijiang, più precisamente nell'iconografia ed iconologia "ibrida" dei Tanka Dongba, nella produzione di piccole tavolette lignee dipinte a scopo rituale, e nel ciclo di affreschi di Baisha, probabilmente da considerarsi il sommo capolavoro della pittura muraria sacra Naxi.

lunedì 24 agosto 2015

Duello

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Si definisce duello il combattimento formalizzato tra due persone. Nelle modalità in cui è stato praticato dal XV secolo in poi nelle società occidentali, un duello ricade sotto una precisa definizione: combattimento consensuale e prestabilito che scaturisce per la difesa dell'onore, della giustizia e della rispettabilità e che si svolge secondo regole accettate in modo esplicito o implicito tra uomini di medesimo ceto sociale e armati nel medesimo modo.
L'obiettivo primario del duello non è mai l'estinzione fisica dell'avversario quanto ottenere soddisfazione, ovvero ristabilire l'onore e la rispettabilità dimostrando la ferma volontà di mettere in gioco la propria incolumità per esse.
I duelli così delineati si distinguono affatto dalla pratica medievale del processo per combattimento, poiché il duello non è un procedimento legalmente accettato. Infatti, il duello moderno è un'azione illegale o al più tollerata dalla legge. In particolare i Codici italiani hanno sempre previsto articoli specifici riguardanti il duello, affinché chi ricorra cavallerescamente ad esso in caso di conclamate offese non corra il rischio di essere assimilato a volgari malfattori.
Il duello sopra descritto è generalmente tipico delle classi elevate, poiché per classi più popolaresche esiste il duello rusticano, solitamente svolto con pugnali e con regole meno rigorose.
Il duello è infatti per definizione svolto tra persone dello stesso ceto sociale (non economico). Non ha infatti senso che persone di ceto sociale diverso, e dunque dalla sensibilità profondamente diversa, si scontrino per motivazioni di onorabilità che sono inevitabilmente differenti tra i due.
Se infatti un gentiluomo fosse stato insultato da un individuo di classe inferiore, per il primo è più corretto farlo redarguire o battere dai propri servitori.

Storia del duello

In Occidente

Il duello nell'Iliade

L'Iliade contiene numerosi duelli, fra i quali, ad esempio, lo scontro fra Paride e Menelao e quello fra Ettore e Achille.

Il Medioevo e il combattimento giudiziario

Il duello, quale mezzo di riparazione di ingiurie, era sconosciuto nell'antichità, se non per trarre auspicio, una pratica che veniva utilizzata soprattutto dai Germani: essi erano usi, infatti, rapire un soldato di un popolo nemico prima di una battaglia e farlo sfidare da un loro combattente, cercando di prevedere l'andamento dello scontro dall'esito del duello.
Il combattimento giudiziario, altrimenti chiamato processo per combattimento, ovvero la pratica di risolvere i contenziosi legali attraverso una sfida all'ultimo sangue, trovava invece larga applicazione in un numero di popolazioni germaniche, tanto che se ne trova applicazione nei sistemi di leggi di Franchi, Turingi, Frisoni, Sassoni e Longobardi. La veloce diffusione del duello giudiziario era favorita dal carattere combattivo di quei popoli che, peraltro, venendo in contatto con gli insegnamenti del Cristianesimo, si rafforzarono nella loro istituzione, anziché abbandonarla. Infatti, se era vero, come ammaestrava la nuova religione, che Dio fosse la verità e la giustizia stesse, Egli non avrebbe potuto permettere che nel duello prevalesse l'ingiusto.
Se la legge salica del VI secolo proibì l'uso del processo per combattimento, la restrizione fu presto lettera morta, se è vero che nel IX secolo Carlo Magno affermava che nei processi melius visum est ut in campo cum fustibus pariter contendant, quam periurium perpetrent in absconso (sembra meglio che si affrontino armati sul campo, piuttosto che spergiurare continuamente di nascosto)
La Chiesa cattolica, d'altro canto, cercava di resistere alla diffusione del processo per combattimento, non solo stigmatizzandolo, ma penalizzandone i partecipanti: al III Concilio di Valenza, tenuto nell'855 sotto Leone IV, venivano così indicati come assassino (peraltro con l'aggravante della perfidia, che ne avrebbe determinato la cacciata dall'assemblea dei fedeli fino all'espiazione di una giusta pena) e suicida (dunque non meritevole di sepoltura con salmi o preghiere) rispettivamente il vincitore e il vinto di un duello giudiziario che si fosse rivelato mortale. Il Clero chiedeva che il combattimento giudiziario venisse sostituito dal giuramento nelle chiese, onde spaventare gli spergiuri con la minaccia delle pene eterne, ma i Signori, dediti alle abitudini guerriere, ritenevano più nobile sostenere i propri diritti con la spada.
La lotta della Chiesa contro le pratiche di giudizio per combattimento ebbe comunque la peggio quando Ottone II, salito al trono giovanissimo e nel pieno degli scontri per questioni ereditarie sollevate dalle signorie d'Italia, stabilì che le contestazioni venissero risolte col combattimento, e che allo stesso modo si risolvessero i nodi ereditari sui feudi.
Nel 1168 Luigi il Giovane accordò con la Chiesa una carta che stabiliva come a Orléans e dintorni non era possibile ottenere soddisfazione dei debiti inferiori ai 5 soldi col combattimento; questa regola fu completata con la riforma dei diretti domini di Luigi IX nel 1260, che tra le altre cose sostituì la prova per testimoni alla prova per combattimento.

I Comuni e lo sviluppo del duello per soddisfazione

La fioritura dei Comuni nell'XI e nel XII secolo nel nord Italia portarono la situazione economica a essere meglio gestita attraverso le vie giudiziarie ordinarie, grazie alla ramificata amministrazione che veniva fatta dai podestà e dai sindaci.
Il passaggio dal duello come mezzo di risoluzione delle controversie al mezzo di difesa dell'onore si ebbe nel XV secolo, in cui si stabilì l'usanza, tutta aristocratica, di chiedere al re l'autorizzazione a combattere in campo chiuso a fronte di un'offesa ricevuta. Il re, che assisteva al combattimento, poteva interromperlo in qualunque momento, gettando lo scettro tra i combattenti. La superstizione ancorata alla presenza del giudizio di Dio, tale quindi da assicurare la vittoria al giusto e la punizione all'ingiusto, non venne abbandonata, ma il combattimento assunse certamente più un carattere di guerra privata, per motivi più personali che di persecuzione legale.
Nel 1547, Enrico II di Francia autorizzò un duello tra gentiluomini della sua corte, ma, essendo rimasto ucciso un suo caro amico, proibì qualunque altro duello fosse stato richiesto sui suoi domini. Non dovendosi più aspettare alcuna autorizzazione regale, dunque, i nobili di tutta la Francia si sentirono in dovere di lavare ogni loro minimo capriccio col sangue, e senza alcuna regolamentazione.
Un canone del 1563 promulgato durante il Concilio di Trento insorse contro questa pratica, minacciando di scomunica tutti coloro che partecipassero a qualunque forma di duello: i duellanti, i padrini (coloro che accompagnavano i duellanti al combattimento), i giuristi che vegliassero sullo scontro, gli spettatori, l'imperatore, i re, i duchi, i principi, i marchesi, i conti e qualsiasi altro signore avesse offerto un terreno su cui avesse permesso la singolar tenzone. E, come settecento anni prima, vietò la sepoltura ecclesiastica per chi fosse morto nello scontro.

Il caso notevole della Francia

Il potere civile, dal canto suo, non tardò a seguire la Chiesa, posto che i duelli decimavano l'aristocrazia ed indebolivano così il pilastro della società del tempo: nel 1599 il re di Francia Enrico IV promulgò una legge che proibiva la riparazione alle ingiurie attraverso il duello, intimando ai contendenti di rivolgersi ai tribunali ordinari. Le manchevolezze nei controlli furono evidenti per il fatto che un cronista del tempo, Pietro de l'Étoile, evidenziò la morte in duello di più di 7.000 gentiluomini tra il 1589, anno di ascesa al trono di Enrico, e il 1608.
Un nuovo editto regio nel 1609, capendo l'inevitabilità della situazione, autorizzava la concessione di nulla osta ai duelli a tutti coloro che lo richiedessero, purché si trattasse di insulti gravi all'onore di un cavaliere: a chi richiedeva l'autorizzazione per futili motivi, era destinata una punizione di variabile entità. Per chi duellava senza autorizzazione, era prevista una serie di sanzioni amministrative e penali.
Con la morte di Enrico IV, avvenuta nello stesso anno dell'ultimo editto, gli aristocratici ricominciarono con furore a duellare tra di loro, a dispetto di tutte le leggi vigenti. Nei decenni successivi, la situazione era divenuta così grave che Richelieu descrisse nelle sue Memorie:
«I duelli erano divenuti sì comuni, che le strade servivano da campo di combattimento e come se il giorno non fosse abbastanza lungo per eccitare la loro furia, i duellanti si battevano alla luce delle stelle o delle fiaccole che tenevano luogo di sole funesto.»
(Armand-Jean du Plessis de Richelieu, Mémoires)
È del 1647 l'editto del Cardinal Mazzarino che riassunse tutte le proibizioni sull'argomento fino ad allora diffuse, ma senza risultato. Soltanto la fermezza del Re Sole permise una diminuzione del fenomeno, tornato vigorosamente in auge alla sua morte (1715) e durante il regno di Luigi XV, che fu incapace di confermare la stessa energia del bisnonno nel mantenimento dei propri editti. Una delle poche condanne capitali, ad ogni buon conto, eseguite contro duellanti non autorizzati avvenne durante il suo regno: fu per questo tolta la vita a un cittadino, di cui è ci è pervenuto il solo cognome (du Chèlas), colpevole di aver ucciso in duello un capitano dell'esercito.
Il barbaro costume del duello fu duramente attaccato da Rousseau durante l'Illuminismo, che tanto cambiò la società francese – ma i risultati furono disastrosi, se è vero, come sembra, che le dispute cominciarono a essere lavate col sangue anche tra gentiluomini della neonata borghesia, al punto che chi si rifiutava di battersi era da considerarsi disonorato.
La Rivoluzione Francese e l'era Napoleonica travolsero tutto, e anche il costume del duello divenne un argomento di secondaria importanza nelle assemblee del legislatore: l'attenzione al problema venne meno, tanto che nel Codice Penale del 1791 e in quello del 1810 non si fa menzione degli scontri tra gentiluomini – probabilmente con la convinzione che, distrutta l'aristocrazia, il vizio fosse morto con questa. In realtà va anche notato come Napoleone fosse un militare, e l'esercito fosse un luogo in cui si rispettavano puntigliosamente le regole dell'onore, incluse quelle del duello, anche se proibito da regolamenti e leggi. In ambito militare i duellanti dovevano essere dello stesso grado, cosa che limitava i duelli possibili, ma la fellonia e la viltà erano punite e comportavano quasi sempre l'abbandono dell'esercito. L'esercito della prima repubblica e di Napoleone fu un esercito di leva, popolare, povero di "veri" aristocratici e pieno di profondo disprezzo per il vecchio ordine sociale, eppure permeato da norme d'onore di derivazione aristocratica. Si può dire che tra la fine del Settecento e la restaurazione, proprio attraverso la militarizzazione della società francese, il duello conobbe una seconda giovinezza.
Nel 1832, il matematico Évariste Galois, ragazzo prodigio, fu ucciso in un duello.
L'ultimo duello noto si è svolto il 22 aprile 1967 a Neuilly-sur-Seine tra i deputati René Ribière (1922-1998) e Gaston Defferre (1910-1986).

L'Inghilterra: il caso Thornton

In Inghilterra il combattimento giudiziario nel frattempo era sopravvissuto come strumento processuale uniformemente e universalmente accettato – sebbene fosse stato da lungo tempo abbandonato dalle procedure penali –, tanto che solo nel 1819 venne eliminato dal codice. Il duello d'onore, d'altro canto, era reputato uno strumento illegale, ancorché molto praticato. L'istanza di abrogazione parlamentare venne per la prima volta nel 1818, al processo Ashford contro Thornton per omicidio. L'accusato, Thornton appunto, invocò l'antica legislazione che permetteva di giustificarsi combattendo, un'istruttoria che fu accolta esclusivamente perché nessuno aveva ancora abrogato un articolo vecchio di secoli e ampiamente desueto. L'accusatore, Ashford, ritirò l'accusa, assai meno sicuro della propria forza che della giustizia divina.
La proverbiale imperturbabilità dell'animo dei Britannici fece sì che il duello si presentasse come fatto episodico, occasionale e ben lontano dalla frequenza che aveva fatto strage degli strati più vivaci dell'aristocrazia francese. Nei codici legislativi inglesi si trova dunque abbastanza poco in materia di duelli; eppure, desta l'attenzione l'articolo del Codice Militare britannico, che privava della pensione la vedova di un ufficiale morto in duello.
Nelle isole britanniche i duelli però erano molto diffusi, sia in ambiente militare che nelle componenti non inglesi della società. In particolare Scozia ed Irlanda sembrano aver conosciuto molti duelli nel corso del XVIII secolo, con una maggiore diffusione del fenomeno durante i periodi di guerra o poco dopo. Il codice dei duelli irlandesi, pubblicato in diversi trattati anonimi alla fine del Settecento, e particolarmente rigoroso, rappresentava una società irlandese aristocratica molto affezionata alla pratica del duello, in particolar modo il Triniity College di Dublino era famoso come pericoloso focolaio di duelli tra gentiluomini. La pratica del duello in Gran Bretagna riguardò sempre e solo aristocratici e militari; solo dopo il 1820 cominciarono a verificarsi duelli tra borghesi "meccanici": proprio questo aspetto, secondo Antony Appihà (in "Le regole dell'onore") contribuì, più della stretta legislativa, a rendere il duello desueto. Comunque ancora negli anni venti-trenta del XIX secolo il duello era molto diffuso, tanto che l'irlandese primo ministro Duca di Wellington, eroe nazionale, mentre era in carica si sentì obbligato ad un duello con un membro dell'opposizione che lo aveva insultato. Va anche aggiunto che nel XIX secolo i duelli britannici non erano quasi mai all'ultimo sangue, anche se generalmente combattuti con le pistole, armi che, a differenza delle spade, non permettevano di dosare la violenza. Le regole del duello irlandese si diffusero notevolmente sia in Inghilterra che nelle colonie inglesi, dove il duello "passò di moda" verso la metà del XIX secolo, in maniera analoga a quanto avvenuto nella metropoli.

Italia

Secondo il docente di storia professor V.G. Kiernan dell'Università di Edimburgo, il duello sarebbe nato in Italia e si sarebbe poi diffuso nei paesi anglosassoni, francesi e pure in Spagna attraverso gli emigranti italiani del primo periodo rinascimentale. La frammentazione politica dell'Italia rendeva la legislazione in materia di duelli decisamente eterogenea.
Nel vicereame di Napoli occupato dagli Spagnoli già nel 1540 fu promulgato l'ordine di confisca e punizione amministrativa per chiunque avesse preso parte a un duello, a qualunque titolo: duellanti e padrini, medici, giudici, personale ecclesiastico, persino i semplici spettatori.
Il Conte Giulio Antonio Acquaviva d’Aragona di Conversano ed il Duca Francesco Carafa di Noja (l’odierna Noicàttaro) decisero, pertanto, di combattere in Baviera nella città di Norimberga il loro duello del 5 novembre 1673.
Nella Repubblica di Venezia era previsto un bando per sette o dieci anni, il confino in un'isola della Dalmazia, o, a partire dal 1732, la privazione della nobiltà patrizia, la confisca di ogni bene o il bando perpetuo. Per coloro che, colpiti da quest'ultima pena, avessero fatto ritorno sul territorio della Repubblica, era prevista la decapitazione sulla pubblica piazza.
Compiuta l'unità d'Italia, nel 1875 venne approvata una legge contro il duello che rimase in vigore, con pochi mutamenti, per più di cinquant'anni.
I regolamenti dell'esercito italiano di quegli anni erano molto ambigui riguardo all'accettazione delle disposizioni governative contro il duello. Si sosteneva infatti che chiunque fosse coinvolto in un duello andasse espulso dall'esercito perché contravveniva ad una legge dello stato e al regolamento militare, però chi, sfidato a duello, si fosse rifiutato di parteciparvi o avesse dimostrato fellonia, andava comunque espulso dall'esercito per villania e vigliaccheria. In maniera meno esplicita anche la marina prevedeva il medesimo trattamento. Nell'esercito italiano, sul modello di quello napoleonico, non era ammissibile un duello tra ufficiali di grado differente, ed era considerato disonorevole abbandonare il proprio reparto per partecipare ad un duello in un'altra guarnigione, questi due aspetti contribuivano a rarefare le occasioni di duello.
Nell'Italia di fine secolo XIX fece molto scalpore la morte, a 56 anni, del deputato dell'estrema sinistra Felice Cavallotti dopo essere stato ferito gravemente in duello dal giornalista conservatore Ferruccio Macola.
Il Codice Penale del Regno d'Italia, promulgato con Regio decreto legge numero 1398 del 19 ottobre 1930 puniva i duellanti e i portatori di sfida con la reclusione fino a sei mesi e una contravvenzione, se non cagiona danni o lesioni all'avversario.
In dottrina è stato sostenuto, in proposito, che "nella società di oggi la gran parte delle persone è ben lieta che sia stato bandito". In realtà, pene così poco severe erano un forte indicatore dello scarso allarme sociale che suscita il duello ai giorni nostri. Solo una sentenza della Corte Suprema si è occupata del duello, pubblicando che
«Non può essere equiparato a un duello una colluttazione senza armi, svincolata da qualsiasi regola, condotta senza esclusione di colpi e in modo selvaggio e bestiale. Infatti, i reati cosiddetti di duello presuppongono l'osservanza delle consuetudini cavalleresche e, pertanto, perché uno scontro tra due persone possa considerarsi duello, deve svolgersi a condizioni prestabilite, secondo le regole cavalleresche, mediante l'uso di armi determinate (spada, sciabola o pistola), alla presenza di più persone (padrini o secondi), per una riparazione d'onore.»
(Cassazione Penale, V sezione, 24 aprile 1987.)



I reati "cavallereschi" (duello, sfida a duello, ecc.) sono stati depenalizzati nel 1999, dimodoché il reato non consiste più nella sfida in quanto tale, ma esclusivamente nelle eventuali lesioni personali procurate, naturalmente con le attenuanti dovute all'offesa subita: di fatto il duello in cui i contendenti non riportino lesioni personali in Italia è diventato legale. L'intento modernizzatore del legislatore del 1999 "traspare dall'abrogazione delle fattispecie di duello, del tutto desuete e, soprattutto, retaggio di una visione che anteponeva la tutela dell'ordine cavalleresco a quella, "svenduta" con pene irrisorie, del bene vita".

Paesi americani

Le classi alte dei paesi Sudamericani hanno sempre seguito le medesime regole cavalleresche europee circa il duello, con la differenza che le legislazioni locali sono sempre state più permissiviste in materia, in particolare in Perù e Paraguay, ma anche in Messico e Brasile. Infatti in base ai Codici di questi Paesi il duello costituisce raramente reato di per sé, tanto che vi sono casi d'attualità che riguardano duelli perfino tra esponenti politici: il più eclatante avvenne nel 2002 allorché il parlamentare peruviano Eittel Ramos sfidò pubblicamente a duello il Vicepresidente David Waisman, che lo aveva definito «pusillanime» per aver accusato la primadonna Eliane Toledo Karp di essere una «guida tribale». Il duello si svolse, in modo riservato, con la pistola nella spiaggia di Conchan, 30 chilometri a sud di Lima, senza conseguenze rilevanti per la salute dei due contendenti.
In Nord America il duello era molto diffuso alla fine del Settecento (anche tra gli uomini politici) fino all'epoca della guerra di secessione. Il duello era, comunque, più diffuso e rimase in auge più a lungo negli stati schiavisti del sud. In genere si seguivano le regole "irlandesi" e "inglesi" del duello con la pistola, molto meno diffuso quello con la sciabola. Peculiarità degli USA, nati come repubblica e divenuti rapidamente democratici, era la possibilità di sfidare a duello persone di ogni ceto o classe sociale, in assenza di un'aristocrazia; il duello però rimase prerogativa, per lo più, dei grandi latifondisti meridionali e si diffuse anche in ambiti legati alle professioni liberali (sempre con una prevalenza per gli stati meridionali e quelli centrali).
I "duelli nel West", dopo il 1860, invece non erano paragonabili al "vero" duello, erano molto rari e eseguiti con normali pistole; inoltre non avvenivano secondo le regole dell'onore tipiche dei manuali irlandesi e continentali in uso negli stati che costituirono la confederazione ad inizio Ottocento.

Il duello nella tradizione orientale

Islam

Il duello "a singolar tenzone" fa parte della tradizione islamica, che ha conservato le tradizioni del periodo della Jāhiliyya, in cui il coraggio del singolo era esaltato al pari del valere della tribù di appartenenza.
Il duello tra "campioni" degli opposti schieramenti armati rimase a lungo un espediente ufficializzato per evitare un eccessivo spargimento di sangue sui campi di battaglia.
Nel periodo di vita del profeta Maometto, Ibn Ishaq riporta un gran numero di scontri tra singoli esponenti avversari e, ancora all'epoca delle guerre del periodo del califfato dei Rashidun, furono attive formazioni d'élite (i Mubārizūn, ossia "Duellanti") incaricati di risolvere col duello la possibile soluzione delle imminenti battaglie. Un classico esempio è la "singolar tenzone" che, nel gennaio del 637, oppose il comandante sasanide Shahriyār a un "campione" musulmano che, avendo la meglio sull'avversario, indusse i Persiani ad abbandonare il programmato scontro sotto Ctesifonte.

Giappone

Nel periodo Edo, in Giappone, esisteva una tradizione duellistica 決闘 (kettō) tra esponenti della classe dei samurai. Il 14 aprile 1612 il famoso spadaccino Miyamoto Musashi sconfisse il suo rivale Sasaki Kojiro nell'isola di Funajima. Si dice che Musashi abbia combattuto oltre 60 duelli senza essere mai sconfitto, anche se si tratta di una stima prudenziale che probabilmente non tiene conto delle morti per sua mano avvenute nelle battaglie maggiori.

Le regole del duello

Solitamente il duello è estraneo alla legge ufficiale, che lo vieta o al più lo tollera, ed è visto dai contendenti come un'azione sostitutiva della stessa legge, assente o ritenuta insoddisfacente ai fini della giustizia.
I contendenti sono generalmente accompagnati da due padrini, cui spetta il compito di organizzare il duello nel rispetto delle regole cavalleresche: il secondo, accompagnatore cui può in particolarissime tipologie di duello essere consentito di prendere parte al combattimento, e il testimone, cui spettano in particolare i compiti di osservazione e vigilanza. In particolari duelli il numero di secondi e testimoni può essere maggiore.
È sempre richiesta la presenza di un medico.
Il duello ha luogo generalmente su richiesta di uno dei contendenti (lo sfidante) per ottenere la riparazione di un'offesa che, secondo le regole cavalleresche italiane, può essere di tre tipi in ordine crescente di gravità:
1) Offesa semplice: trattasi genericamente di offese ritenute non gravissime; arma adatta: spada.
2) Offesa grave: trattasi di offese riguardanti generalmente l'onorabilità personale; arma adatta: sciabola.
3) Offesa atroce: trattasi di offese che coinvolgono gli affetti familiari; arma adatta: pistola.
La sfida può avvenire personalmente (tipico il cosiddetto schiaffo che l'offeso dà col guanto all'offensore, il quale a sua volta raccoglierà il guanto gettato a terra se avrà accettato la sfida) o per interposta persona. Comunque entro le 24 ore l'offeso invia i suoi padrini all'offensore, che già dovrebbe aver scelto i suoi. Chi, avendo commesso un'offesa oggettivamente riconosciuta tale dalla società rifiuta un duello è detto vile, chi lo accetta e poi non si presenta fellone.
L'eventuale scelta delle armi (se cioè non ci si attenga allo schema su esposto) spetta comunque all'offeso, che attraverso i padrini ne fa comunicazione all'offensore, il quale però può reclamare l'uso dell'arma tipica. I padrini si accordano su tutte le modalità (distanza tra i duellanti, uso delle armi, modalità di svolgimento, termine del duello e così via). Gli stessi hanno poi il compito di verificare la funzionalità delle armi e di custodirle intonse fino all'inizio del duello.
Il duello si svolge di regola all'alba, fuori città, in un'atmosfera solenne e retoricamente purificatoria. Esso termina solitamente alla prima ferita, sicché il vincitore del duello è colui che è rimasto incolume. Nelle tipologie di offesa 2 e 3 ci si può però accordare di fermarsi solo allorché uno dei duellanti sia di fatto impossibilitato a continuare. Se addirittura si stabilisce che il duello debba finire solo con la morte di uno dei due contendenti, esso chiamasi all'ultimo sangue. I duelli all'ultimo sangue sono in genere ritenuti barbari e comunque contemplabili solo nei casi più gravi della terza tipologia di offesa. I duelli possono essere combattuti con diversi tipi di spada (come per esempio la sciabola o lo stocco) o, dal Settecento, con la pistola. Alcuni armaioli si erano specializzati nella fabbricazione di pistole da duello a colpo singolo, utili esclusivamente allo scopo del combattimento regolamentato tra due persone.
Dopo l'onta la parte offesa chiede soddisfazione a chi ha perpetrato l'insulto comunicandoglielo inequivocabilmente con un gesto simbolico come buttare un guanto davanti a lui. Il simbolismo, che si rifaceva ai cavalieri medievali, era indicato nell'esplicita richiesta fatta da pari a pari da parte di chi chiedeva soddisfazione: lo sfidato deve accettare (da cui il detto "raccogliere il guanto della sfida") o ritenersi disonorato. Contrariamente all'idea comune, schiaffeggiare qualcuno col guanto non costituisce una sfida di per sé, ma la costituisce sempre da parte dello sfidato, che schiaffeggiando lo sfidante col suo stesso guanto inequivocabilmente accetta la tenzone.
Le controparti nominano una persona di fiducia in loro rappresentanza (un secondo) il cui scopo è selezionare un luogo di ritrovo, col criterio dell'intimità e della riservatezza, affinché il duello possa svolgersi senza interruzioni. Per questa stessa ragione, e per seguire una tradizione che si radicò molto presto, i duelli hanno luogo solitamente all'alba. È altresì dovere dei secondi accertarsi che le armi utilizzate siano uguali, e che il duello sia corretto.
A scelta della parte lesa, il duello può essere:
  • al primo sangue, interrotto non appena uno dei duellanti sia stato ferito dall'altro, anche in modo lieve;
  • Tale da proseguire finché uno dei duellanti non sia così ferito o stanco da essere fisicamente incapace di continuare;
  • all'ultimo sangue, sino alla morte di uno dei contendenti.
In alcuni duelli di spada non era infrequente che il secondo intervenisse per sostituire il contendente che per qualche ragione non poteva continuare - una pratica permessa quando il duellante sostituito non aveva le capacità per maneggiare con perizia un'arma bianca.
L'avvento delle armi da fuoco cambiò le cose. In ogni caso esse sono sempre state utilizzate per lavare le offese più gravi. In tal caso, a una distanza stabilita, i duellanti sparano alternandosi uno alla volta un colpo in seguito alla voce del secondo deputato a dirigere il duello. A questo punto lo sfidante può, anche se nessuno è stato colpito, dichiararsi soddisfatto e dichiarare concluso il duello, a meno che non si sia stabilito altrimenti in precedenza. In ogni caso proseguire oltre il terzo fuoco viene considerato barbaro (oltre che ridicolo, se nessuno è colpito). Dunque, specie nei duelli di pistola le condizioni sono spesso tali che una o due parti in causa può volontariamente mancare il bersaglio per soddisfare le condizioni del duello, senza che alcuno si faccia male.
Nei duelli con armi da fuoco i contendenti generalmente iniziano lo scontro mettendosi schiena contro schiena, impugnando le proprie pistole cariche, per poi fare un certo numero di passi precedentemente concordati, al termine dei quali hanno modo di girarsi fronte al nemico e sparare. Le distanze sono spesso segnalate dai secondi mediante bastoni o spade conficcati verticalmente nel terreno. Al segnale convenuto, la voce o un oggetto (ad esempio il fazzoletto) lasciato cadere, i contendenti possono avvicinarsi al segno sul terreno e fare fuoco a volontà: era un sistema che riduceva le possibilità di inganno, permettendo ai contendenti di non doversi fidare del fatto che l'avversario si girasse in anticipo. Meno noto al grande pubblico, anche se presente in famosi film come Barry Lyndon o in serie televisive come Hornblower, è il duello "all'inglese", dove i contendenti si fronteggiano direttamente a dieci passi di distanza, mirando l'uno all'altro e sparando al segnale. Un altro sistema prevede spari alternati, ma è sempre stato raramente accettato poiché lo sfidato, che di regola è il primo a sparare, ottiene un considerevole vantaggio.
Molti duelli furono evitati per le difficoltà di convenire le condizioni del methodus pugnandi. Per esempio, nel duello cui avrebbe dovuto prendere parte il dottor Richard Brocklesby, non ci si mise d'accordo sul numero di passi; nella questione tra Mark Akenside ed Henry Ballow, il primo aveva affermato che non avrebbe mai combattuto di mattina, il secondo si rifiutava di duellare al pomeriggio. John Wilkes, che al contrario non badava alle ciance quando doveva duellare, quando gli fu chiesto da Lord Talbot quante volte avrebbe inteso sparare, rispose: «tanto spesso quanto la Signoria Vostra desidera; ho portato con me una borsa di proiettili e una sacca di polvere da sparo.»