domenica 28 ottobre 2018

Buddhismo cinese

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Il buddhismo cinese è il frutto dell'intensa attività missionaria di importanti rappresentanti del buddhismo dei Nikāya e del buddhismo Mahāyāna provenienti dall'India e, soprattutto, dall'Asia Centrale in Cina e dei contributi di maestri locali, che continueranno questa tradizione o ne daranno nuove e cruciali interpretazioni. Apporti rilevanti raggiunsero la Cina anche per via meridionale, fino al formarsi una rete culturale estremamente importante nella storia dell'Asia e delle civiltà influenzate dalla cultura cinese, come il Giappone, la Corea e il Vietnam e alcuni regni sinizzati dell'Asia continentale.
Documenti storici influenzati da leggende posteriori ma sostanzialmente attendibili parlano di una prima introduzione del buddhismo in Cina nell'anno 64. L'apice culturale del buddhismo cinese sarà sotto la dinastia Tang, mentre in epoche posteriori si assisterà ad una certa decadenza dovuta alla perdita del favore imperiale, all'interruzione dei contatti diretti con l'India (dove il buddhismo si estinse), e ad un rinato interesse per la filosofia e le religioni autoctone (confucianesimo, daoismo). Le scuole buddhiste più importanti dell'epoca Tang sono la Tiāntái, la Huāyán e la Zhēnyán. Di poco posteriore ed in seguito molto influente, si deve ricordare la scuola Chán. Meno influente nella storia del buddhismo cinese ma importante per i favori che riceverà dalla corte fino all'ultima dinastia sarà il Lamaismo di origine tibetana. Alcune di queste scuole sopravvivono in paesi di antica influenza cinese, specialmente in Giappone.

Le scuole del buddhismo cinese

Le scuole del buddhismo cinese sono tradizionalmente elencate come tredici (十三宗, pinyin shísān zōng). All'elenco tradizionale va aggiunta la scuola Sānjiē (三階教, la scuola del "Tre Stadi") fondata nel VI secolo da Xìnxíng (信行, 540-593). Questa scuola verrà considerata eretica dall'imperatrice buddhista, della dinastia Tang, Wǔ Zétiān (武則天, regno: 690-705) e completamente annientata, nel 725, da un suo successore, l'imperatore Xuánzōng (玄宗, regno 712-56). Va tenuto presente che quando, di seguito, vengono trattate le scuole (, zōng) esse non vanno intese nel significato comune di luoghi o gruppi contrapposti ad altri, piuttosto come lignaggi di insegnamenti o di precetti (戒脈, jièmài). Questo almeno fino all'epoca Tang, quando le contrapposizioni per ottenere i favori imperiali o per dirimere le polemiche dottrinali, irrigidiranno maggiormente tali tradizioni e le 'scuole' che ne deriveranno.

La scuola Jùshè (倶舍宗, Jùshè zōng)

Inizialmente fu una scuola hīnayāna fondata sulle dottrine esposte nell'Abhidharma-kośa-bhāsya (Tesoro dell'Abhidharma, 阿毘達磨倶舍論本頌, pinyin Āpídámójùshèlùn běnsòng, è conservato nel Pítánbù), composto nel V secolo dal sarvāstivāda Vasubandhu. Fu inglobata nel 753 dalla scuola Fǎxiāng, fondata da Xuánzàng (玄奘, 600-664) che diede di quest'opera una lettura mahāyāna cittamātra. Nel 658, i monaci giapponesi Chitsū (智通, VII secolo) e Chidatsu (智達, VII secolo) allievi di Xuánzàng, ne trasferirono gli insegnamenti in Giappone fondando la scuola Kusha.

La scuola Chéngshí (成實宗, Chéngshí zōng)

Fu fondata dagli allievi di Kumārajīva, Sēngdǎo (僧導, 362–457) e Sēngsōng (僧嵩,?-?), dopo che il maestro ebbe tradotto lo Tattvasiddhi-śāstra (成實論 pinyin: Chéngshí lùn, giapp. Jōjitsuron, si trova nel Lùnjíbù) di Harivarman, da cui prende il nome. Di impronta madhyamaka, fece concorrenza alla scuola Sānlùn pur conservando con questa delle precise differenze dottrinali. Declinò alla fine del VII secolo, ma il monaco coreano Hyegwan (coreano 혜관, cinese 慧灌 Huìguàn, giapp. エカン, Ekan) ne trasferì, nel 625, gli insegnamenti in Giappone che sono alla base della scuola giapponese Jojitsu.

La scuola Lǜ (律宗, Lǜ zōng; anche 南山宗 Nánshān zōng)

Fondata nel VII secolo dal monaco Dàoxuān (道安, 596-667) si rifà essenzialmente al Cāturvargīya-vinaya (Quadruplici regole della disciplina, 四分律 pinyin: Shìfēnlǜ, giapp. Shibunritsu, è conservato nel Lǜbù) della scuola Dharmaguptaka, tradotto in cinese nel 408 da Buddhayaśas (in cinese 佛陀耶舍 Fótuóyéshè, IV-V secolo) e da Zhú Fóniàn (竺佛念, IV-V secolo).
L'attenzione rivolta da questa scuola a questo vinaya e il fatto che venissero studiati anche gli altri tre vinaya già tradotti in cinese in quell'epoca fu emulato da tutte le altre scuole buddhiste cinesi, che presto decisero di adottare il Cāturvargīya-vinaya come regola monastica.
Nemmeno la traduzione del Mūla-sarvāstivāda-vinaya-vibhaṅga (Vinaya Mūlasarvāstivāda, 根本說一切有部毘奈耶 pinyin: Gēnběnshuōyīqièyǒubù pínàiyé, giapp. Konpon setsuissaiubu binaya) portato in Cina e tradotto da Yìjìng (義淨, 635-713) nell'VIII secolo, cambierà questo tipo di scelta. Nel 754, il monaco cinese Dàoxuān Lǜzōng (道安律宗, 702-760) trasferirà in Giappone le dottrine di questa scuola fondando la scuola giapponese Ritsu.

La scuola Sānlùn (三論宗, Sānlùn zōng)

È la scuola dei Tre trattati (Sānlùn), conservati nello Zhōngguānbù, ad impronta madhyamaka. Tradizionalmente si ritiene sia stata fondata dall'allievo di Kumārajīva, Sēngzhào (僧肇, 374-414) ma è attestato che egli non ebbe dei discepoli diretti. Nacque comunque tra gli allievi del grande traduttore di Kucha. Importante diffusore delle sue dottrine fu il monaco Jízàng (吉藏, 549-623). Venne progressivamente assorbita, durante la Dinastia Tang, dalle scuole Tiāntái e Huāyán. Il monaco coreano Hyegwan la diffuse in Giappone, nel 626, dove prese la denominazione Sanron.

La scuola Nièpán (涅槃宗, Nièpán zōng)

La scuola Nièpán è nata a seguito di una controversia dottrinale determinata dalla prima traduzione in cinese del Mahāyāna Mahāparinirvāṇa-sūtra (Sutra mahāyāna del Grande passaggio al di là della sofferenza, 大般泥洹經 Dà bān níhuán jīng, giapp. Daihannionkyō, conservato nel Nièpánbù, T.D. 376.12.853-900) operata da Buddhabhadra e Fǎxián (法賢, 340-418) in 6 fascicoli nel 417. In questa prima traduzione veniva adombrata la dottrina degli icchantika (一闡提, yīchǎntí, giapp. issendai), una dottrina di origine cittamātra che sosteneva la possibilità di esseri senzienti, gli icchantika, a cui era preclusa per sempre l'"illuminazione". Questa lettura del sutra e la conseguente dottrina fu subito rigettata dal discepolo Kumārajīva, Dàoshēng (道生, 355 – 434) che, come il suo maestro, seguiva le dottrine madhyamaka. Tale contrasto con Buddhabhadra e Fǎxián costrinse Dàoshēng a lasciare Nanchino e a tornare sul Monte Lú da dove era precedentemente partito. La scuola Nièpán si dedicava allo studio e all'interpretazione di questo sutra, ma nel corso dei secoli fu assorbita dalle scuole Tiāntái, Huāyán, Shèlùn e Fǎxiāng, scomparendo definitivamente sotto la Dinastia Tang (618-907).

La scuola Dìlùn ( 地論宗, Dìlùn zōng)

È una scuola di origine cittamātra che si fonda sul Daśabhūmikasūtra-śāstra o Dasabhūmikabhāsya (十地經論 Shídì jīnglùn o anche Shidi lun 十地論, o Dilun 地論, giapp. Jūji kyō ron, T.D. 1522.26.123b-203b, è conservato nel Yúqiébù) redatto da Vasubandhu nel IV secolo, fu tradotto in cinese da Bodhiruci tra il 508 e il 512. Questo testo è un commentario al Daśabhūmika-sūtra (十住經 Shízhù jīng, giapp. Jūjū kyō, Sutra delle dieci terre, T.D. 286), che corrisponde a sua volta al trentunesimo capitolo del Avataṃsakasūtra (華嚴經 Huāyánjīng, giapp. Kegon kyō, Sutra della ghirlanda fiorita di Buddha). Influenzò la scuola Huāyán.

La scuola Chán (禪宗, Chán zōng)

Secondo alcune agiografie fu fondata nel V secolo dal leggendario monaco indiano Bodhidharma. Abbiamo, tuttavia, contezza di questa scuola solo a partire dal VII secolo quando alcuni monaci di probabile origine Tiāntái si avviaro alla sola pratica dello zuòchán (坐禪, meditazione seduta, pratica di origine Tiāntái) secondo il metodo del bìguān (壁觀 guardando il muro) insegnato dal loro leggendario fondatore. Pare prediliggesse il solo studio del Laṅkâvatārasūtra (Il Sutra della discesa a Lanka, 楞伽經 pinyin Lèngqiéjīng, giapp. Ryōgakyō, conservato nel Jīngjíbù), sutra di origine cittamātra. Dopo la morte del quinto patriarca Hóngrěn (弘忍, 601 - 674), secondo la tradizione più diffusa si suddivise in due rami: quello settentrionale, fondato da Shénxiù (神秀, 606-706), e quello meridionale, fondato da Huìnéng (慧能, 638-713). Di questi due rami scolastici, solo il secondo è giunto a noi. Dottrine e lignaggi della scuola Chán furono trasferiti in Giappone dai monaci tendai Eisai (1141-1215) e Dōgen (1200-1253) che fondarono rispettivamente le scuole Zen Rinzai e Zen Sōtō.

La scuola Shèlùn (攝論宗, Shèlùn zōng)

È una delle scuole buddhiste cinesi più antiche. Si basa sullo studio e la interpretazione del Mahāyāna-saṃgrahôpanibandhana o Mahāyāna saparigraha-śāstra (Commentario sul sommario del Grande veicolo, cin. 攝大乘論釋 Shè dàshènglùn shì, T.D. 1595.31.152-271, conservato nello Yúqiébù) un'opera di Vasubandhu tradotta in 14 fascicoli e interpretata da Paramârtha (499-569) e che è a sua volta un commentario del Mahāyāna-saṃgraha-śāstra (Sommario del Grande veicolo, 攝大乘論 Shè dàshèng lùn, T.D. 1593.31.112b-132c, conservato nello Yúqiébù) opera di Asaṅga, tradotta in tre fascicoli sempre da Paramârtha. Le dottrine di questa scuola sono di chiara derivazione cittamātra e sono centrate sull'interpretazione dell'ālayavijñāna (Coscienza fondamentale, 阿賴耶識 ālàiyé shì, giapp. araya shiki). Questa scuola fu assorbita, nel 649, dalla scuola Fǎxiāng quando Xuánzàng ritradusse il Mahāyāna-saṁgrahôpanibandhana con il titolo 攝大乘論本 (Shè dàshènglùn běn) reinterpretandolo.

La scuola Tiāntái (天台宗, Tiāntái zōng)

Fondata da Zhìyǐ (智顗, 538-597) nel VI secolo, elenca tra i suoi patriarchi cinesi anche Huìwén (慧文, V secolo) e Huìsī (慧思, 515-577).
Si fonda sulla dottrina di origine Madhyamaka della Triplice verità (yuánróng sāndì 圓融三諦) e sullo yīniàn sānqiān (一念三千) nonché sulle dottrine rivelate nel Sutra del Loto (sanscrito Saddharmapundarīkasūtra, cin. 妙法蓮華經 Fǎhuā jīng o Miàofǎ Liánhuā Jīng, giapp. Myōhō renge kyō o Hokkekyō, è conservato nel Fǎhuābù).
È stata una delle scuole buddhiste cinesi più importanti, nonché la prima ad elaborare un buddhismo tipicamente cinese, influenzando anche le altre scuole segnatamente il buddhismo Chán e quello della Terra Pura.
I suoi manuali di meditazione sullo zhǐguān (止觀) si diffusero presso tutte le scuole. Annovera tra i suoi patriarchi principali anche Guàndǐng (灌頂, 561-632), Zhànrán (湛然, 711-782) e Zhīlǐ (知禮, 960-1028).
Nell'805 il monaco giapponese Saichō (最澄, 767-822) la introdurrà in Giappone dove prenderà la denominazione Tendai.

La scuola Huāyán (華嚴宗, Huāyán zōng)

Scuola dell'"Ornamento fiorito", una delle principali scuole del buddhismo cinese. Deve il suo nome all'Avataṃsakasūtra (華嚴經, pinyin Huāyánjīng, cor. Hwaŏm kyŏng, giapp. Kegon kyō, Sutra della ghirlanda fiorita di Buddha, conservato nello Huāyánbù), sutra considerato il più importante e completo da questa scuola. Particolare riguardo era riservato all'ultimo capitolo, il Gaṇḍavyūhasūtra (入法界品 pinyin: Rù fǎjiè pǐn, cor. Ip pŏpkye p'um, giapp. Nyū hokkai bon, Capitolo sull'ingresso dentro il Regno della Realtà). La dottrina di questa scuola verteva su una lettura olistica e omnicentrica di tutta la Realtà. Primo patriarca e fondatore fu il monaco Dùshùn (杜順, 557-640, anche 法順 Fǎshùn) del monastero di Zhixiang (sui monti Zhōngnán 終南山 poco a sud di Chang'an). Altre personalità di questa scuola sono il suo successore, Zhìyán (智嚴 602-668) e il suo allievo Fǎzàng (法藏, 643-712) che visse alla corte dell'imperatrice buddhista Wǔ Zétiān (regno 690-705) della Dinastia Tang, grande sostenitrice di questa scuola. Nel 740 il monaco coreano Simsang (심상, cinese 審祥 Shěnxiáng, giapp. シンショウ, Shinshō) insegnò l'Avataṃsakasūtra e le dottrine della scuola Huāyán in Giappone fondando di fatto la scuola giapponese Kegon.

La scuola Fǎxiāng (法相宗, Fǎxiāng zōng)

Denominata come scuola Wéishì (唯識, "Sola Rappresentazione"; dal sanscrito Vijñaptimātra) dai suoi seguaci e Fǎxiāng (法相, "Caratteristiche dei dharma) dai suoi oppositori, fu la versione cinese della scuola indiana Cittamātra. Fu fondata da Xuánzàng (玄奘, 600-664) al suo ritorno dal suo lungo viaggio in India nel 645 e organizzata dal suo allievo Kuījī (窺基, 632-682). Xuánzàng si era recato in India per recuperare dei testi buddhisti da riportare in patria e, durante questo viaggio, si fermò lungamente presso l'Università di Nālandā dove ricevette gli insegnamenti direttamente dall'abate Silabhadra, a sua volta discepolo diretto di Dharmapāla (VI secolo), un esegeta Cittamātra. Testo fondamentale della scuola fu, infatti, il Vijñaptimātratāsiddhi-śāstra (Trattato sulla realizzazione del niente altro che conoscenza, 成唯識論 pinyin: Chéngwéishìlùn, giapp. Jōyuishikiron, conservato nello Yúqiébù) opera fondamentale di Dharmapāla tradotta da Xuánzàng (T.D. 1585.31.1a-59a) che poi è un commentario al Triṃśikāvijñaptikārikā di Vasubandhu. Nonostante la sua notorietà, la scuola non ebbe un largo seguito e finì, nel corso degli anni, per essere in buona parte assorbita dalla scuola Huāyán. Non sopravvisse alla persecuzione dell'845, ma il pellegrino giapponese Dōshō (道昭, 629-700) riportò i suoi insegnamenti e i suoi lignaggi in Giappone nel 653, fondando la scuola giapponese Hossō.

La scuola Jìngtǔ (淨土宗, Jìngtǔ zōng)

È una delle scuole buddhiste cinesi dalle radici più antiche. Nel 402, sul Monte Lú, Huìyuan (慧遠, 334-416) compirà un rito facendo riferimento a uno dei testi portanti di queste dottrine, il Pratyutpannasamādhi-sūtra.
Quindi la devozione del Buddha Amithaba ha radici antiche in Cina, come del resto nella stessa India. Occorrerà tuttavia ancora un secolo perché si formi una scuola con un suo corpus scritturale preciso, conservato nel Bǎojībù.
È con il monaco Tánluán (曇鸞, 476-572) che viene varata, infatti, la scuola Jìngtǔ che ha come cuore della sua pratica spirituale la recitazione del nome di Amitâbha Buddha (阿彌陀佛 Āmítuó fó, cor. Amit'a pul, giapp. Amida butsu). La semplicità di questa pratica consentirà a questa scuola di diffondersi negli strati più popolari del popolo cinese, soprattutto nelle campagne. Influenzerà direttamente la scuola Tiāntái che ne ingloberà degli insegnamenti restituendole delle riflessioni dottrinarie. E nel corso dei secoli anche le altre scuole buddhiste verranno da lei influenzata. In particolare la scuola Chán che, nel XVI secolo con il maestro Yúnqī Zhūhóng (雲棲袾宏, 1535-1615), incorporerà la recitazione del nome di Amitâbha Buddha come pratica del gōng-àn (公案, giapp. kōan).
È uno degli insegnamenti buddhisti più diffusi e praticati oggi in Cina. Verrà trasferità in Giappone, nel IX secolo, da Saichō, fondatore della scuola Tendai. E nel, XII secolo, un monaco tendai di nome Hōnen (法然, 1133-1212), fonderà la scuola Jōdo che si rifà direttamente agli insegnamenti della scuola cinese Jìngtǔ.

La scuola Zhēnyán (眞言宗, Zhēnyán zōng)

Scuola della "Vera parola", di derivazione Vajrayāna, si diffuse attraverso due modalità, quello dei traduttori e degli esegeti si rivolse alle classi colte, mentre quello dei taumaturghi si rivolse essenzialmente, ma non solo, al popolo delle campagne. Il primo testo 'tantricò di cui abbiamo contezza è il Módēngqié jīng (摩登伽經, sanscrito: Mātaṅga-sūtra, cor. 마등가 경, Madŭngga kyŏng, giapp. Matōga kyō, Sutra della giovane Matanga) la cui prima traduzione si può far risalire ad Ān Shìgāo (安世高, II secolo) nel 170 (摩鄧女經 T.D. 551.14.895), mentre una seconda (摩登伽經, T.D. 1300.21.399-410) è attribuibile ai monaci Kushan Zhú Lǜyán (竺律炎, II-III secolo) e Zhī Qiān (支謙, II-III secolo) nel 230. In tale antico sutra vi è descritto, per la prima volta, l'utilizzo di dhāraṇī (cin. 陀羅尼 tuóluóní, cor. t'arani, giapp. darani), e mantra (cin. 眞言 zhēnyán, cor. 진언, chinŏn, giapp. shingon), tra cui il Gāyatrī proveniente dal Ṛgveda. Per tramite di monaci dell'Asia centrale, come Fótúchéng (佛圖澄, ?-348) l'utilizzo di mantra e dhāraṇī fu diffuso, tuttavia, anche a livello di corte nella Cina settentrionale durante le dinastie barbare succedute alla dinastia Han. Nel IV secolo si affacciano testi Vajrayāna più maturi, come il Mahāmāyūrī-vidyārājñī (孔雀明王經 Kǒngquè míngwáng jīng, cor. Kongjan myŏngwang kyŏng, giapp. Kujaku myōō kyō, T.D. 986.19.477-479).
Ma occorre aspettare la traduzione, nel 724, del Mahāvairocanāsūtra da parte di Subhākarasiṃha (善無畏, Shànwúwèi, 637-735) e Yīxíng (一行, 684-727) perché si possa parlare di uno sviluppo scolastico della scuola Zhēnyán.
Nel 720 giungeranno in Cina altri due maestri Vajrayāna, Vajrabodhi (金剛智, Jīngāng Zhì, 671-741) e il suo discepolo Amoghavajra (不空金剛, Bùkōng jīngāng, 705-754) con altre scritture. E sarà proprio l'attività di Amoghavajra presso la Corte dell'imperatore della dinastia Tang, Dàizōng (代宗, conosciuto anche come Lǐ Yù, 李豫 regno: 762-779), a fare di questa scuola una delle principali scuole buddhiste in grado di mettere in secondo piano il daoismo rinascente. Nell'806, il pellegrino giapponese Kūkai (空海, 774-835) trasferirà insegnamenti e lignaggi Zhēnyán, ricevuti direttamente dal settimo patriarca, Huìguǒ (惠果, 746-806), in Giappone dove fonderà la scuola Shingon.

La scuola Sānjiē (三階教, Sānjiē jiào)

Fu fondata dal monaco Xìnxíng (信行, 540-593) e si basava sulla "Dottrina delle tre fasi (三階, sānjiē)" della predicazione del Buddha Śākyamuni:
  1. Periodo del vero Dharma (正法, pinyin: zhèngfǎ, giapponese: shōbō, sanscrito: sad-dharma): quando sono presenti gli insegnamenti del Buddha che vengono messi in pratica consentendo di realizzare l'"illuminazione". È il periodo, per questa scuola, del Veicolo unico (sanscrito: ekayāna, cin. 一乘 yīshèng, giapp. ichijō), dove è unica la dottrina e gli uomini sono di capacità superiore e in grado di comprenderla.
  2. Periodo del Dharma contraffatto (像法, pinyin: xiàngfǎ, giapponese: zōhō, sanscrito: saddharma-pratikṣepa): quando gli insegnamenti del Buddha sono presenti, alcuni li mettono in pratica ma nessuno riesce a realizzare l'"illuminazione". È il periodo dei Tre veicoli (sanscrito: triyāna, cin. 三乘 sānshèng, giapp. sanjō), quello degli śrāvaka (声闻), dei pratyekabuddha (缘觉) e dei bodhisattva (菩萨), dove la dottrina si differenzia a seconda delle differenti capacità umane. Ancora esistono esseri senzienti in grado di distinguere la verità dalle false dottrine.
  3. Periodo del Dharma finale (末法, pinyin: mòfǎ, giapponese: mappō, sanscrito: saddharma-vipralopa): quando gli insegnamenti del Buddha sono presenti, ma nessuno li mette in pratica e nessuno realizza l'"illuminazione". In questo periodo solo l'insegnamento denominato pǔfǎ (普法 giapp. fuhō, insegnamento universale) basato sulla verità universale di "tutta la Realtà come manifestazione del Dharmakāya (法身, fǎshēn, giapp. hōshin)" può essere compreso. È, infatti, un insegnamento adatto agli esseri dell'ultimo periodo che, "ciechi dalla nascita", non sono in grado di distinguere la Verità dalle false credenze.
Xìnxíng riteneva di vivere nel periodo del Dharma finale e che solo il suo insegnamento fosse corretto. Convinti assertori della natura di Buddha insita in ogni essere, i monaci sānjiē non si raccoglievano in monasteri ma erano itineranti e propagandavano ovunque la dottrina del maestro. Presto raccolsero, sotto forma di donazioni, ingenti ricchezze. Anche per questa ragione entrarono in conflitto con le altre scuole e con il potere imperiale. L'imperatrice buddhista Wǔ Zétiān (武則天, regno: 690-705) considerandosi essa stessa Jīnlún shèngshén huángdì (金輪聖神皇帝, Sacra sovrana della Ruota d'Oro), giunta per fondare un impero buddhista mondiale non poteva certamente accettare di vivere in un periodo di mòfǎ e quindi dichiarò eretica questa scuola. L'imperatore Xuánzōng (玄宗, regno 712-56) l'annientò completamente nel 725, incamerando nelle casse imperiali le sue ricchezze.

Il buddhismo nella Cina di oggi

La condizione odierna del buddhismo cinese all'interno della Repubblica popolare cinese risente dei drammatici eventi accaduti in Cina nella seconda metà del secolo scorso.
A partire dal 1949 e fino a tutto il 1976, il buddhismo in Cina ha sofferto tragiche persecuzioni e distruzioni dovute all'ideologia anti-religiosa comunista del Governo che in quegli anni era al potere. Da un periodo di pressante controllo si è passati, nel corso della tragica esperienza della Rivoluzione culturale, ad imprigionamenti di massa, assassinii e distruzioni su larga scala di monasteri, templi e opere d'arte religiosa.
Con la morte di Máo Zédōng (毛澤東, 1893-1976) e con la caduta della Banda dei quattro, eventi datati all'autunno 1976, il clima nei confronti delle comunità buddhiste cinesi si è fatto finalmente più favorevole.
Da quel momento il Partito Comunista di Cina è stato più attento e rispettoso delle esigenze di queste comunità religiose e cerca, tutt'oggi, di riparare alle persecuzioni e alle distruzioni dei drammatici decenni della Rivoluzione culturale.
Così, a pochi anni dalla morte di Máo Zédōng, dal 16 al 23 dicembre del 1980 l'Associazione buddhista cinese (中国佛教协会, Zhōngguó Fójiào Xiéhuì, fondata nel 1953, raccoglie tutte le realtà buddhiste del Paese) poté convocare regolarmente, e dopo decenni di assenza, la sua Quarta Assemblea con 254 delegati da tutto il Paese, eleggendo Zhào Pùchū (赵朴初, 1907-2000) come presidente.
Dal 1981 la stessa Associazione ha ripreso a diffondere la sua pubblicazione ufficiale, Fǎyīn (法音, Voce del Dharma), e ha potuto riaprire l'Istituto di studi buddhisti di Pechino.
Il 20 aprile 1983 finalmente il Governo ha varato la "Risoluzione per le ordinazioni monacali" che ha consentito di effettuare le ordinazioni monastiche in modo regolare e non più segreto. La Quinta Assemblea dell'Associazione si è svolta nella primavera del 1987, in quella occasione si è deciso di fondare l'Istituto di Cultura buddhista cinese con una propria biblioteca. Alla Sesta Assemblea, svoltasi nell'ottobre 1993, hanno partecipato direttamente importanti responsabili politici del Governo cinese e del Partito comunista. La Settima Assemblea, come la Sesta, è stata indirizzata soprattutto a condurre l'Associazione in un ambito "coerente" con le "politiche di unità nazionale" promulgate dal Governo. Mentre nel 2003 si è svolto regolarmente il cinquantenario dell'Associazione dei buddhisti cinesi.
Se consideriamo che agli inizi degli anni ottanta erano sopravvissuti solo circa 25 000 tra monaci e monache, la cui quasi totalità aveva trascorso decenni nei campi di rieducazione e di lavoro forzato del Partito Comunista di Cina, si può considerare come estremamente positiva l'evoluzione da quegli anni bui fatti di torture e imprigionamenti per il saṃgha cinese. Le distruzioni dei monasteri e dei templi furono infatti drammatiche, pochi i testi originali sopravvissuti, migliaia le esecuzioni.
Oggi sono principalmente quattro i monasteri che hanno ripreso regolarmente la formazione dei monaci e la loro ordinazione e si trovano a: Qīxiáshān (栖霞山) nei pressi di Nanchino, Nántōng (南通), Chéngdū (成都), Monte Pǔtuó (普陀山) nei pressi di Níngbō. Il buddhismo professato da questi monaci è quasi dappertutto sincretico e amalgama dottrine originariamente diverse, derivate soprattutto dalle scuole Chán, Zhēnyán e Jìngtǔ, unite a principi razionalistici di stampo marxista, tesi a realizzare, in questo mondo e attraverso il socialismo, la Terra pura, unendo la pratica meditativa con il lavoro agricolo.
Nei monasteri vengono accuratamente conservati e studiati tutti i testi tradizionali e i loro commentari delle differenti scuole, considerati necessari alla formazione monastica. Le statistiche indicano in circa 200 000 i monaci esistenti oggi in Cina, di cui circa la metà (40 000 monaci e 60 000 monache) appartiene al cosiddetto "buddhismo Han" ovvero al buddhismo di non derivazione lamaista ma autenticamente cinese. I templi oggi funzionanti sono circa diecimila. Tutti questi dati risultano, peraltro, in costante aumento. Come sempre più diffusi sono i pellegrinaggi dei cittadini cinesi sui quattro monti sacri del buddhismo cinese: Monte Wǔtái (五台山) nello Shanxi, Monte Jǐuhuá (九華山) nello Anhui, Monte Éméi (峨嵋山) nel Sichuan, Monte Pǔtuó (普陀山) nello Zhejiang.
Ogni anno circa 500 nuovi studenti-monaci, in genere sono giovani diplomati, entrano a far parte delle istituzioni formative buddhiste. I corsi di queste istituzioni, della durata di due-quattro anni, riguardano la meditazione, lo studio delle scritture buddhiste, la filosofia e una lingua straniera. Alcuni studenti-monaci, terminato il corso, continuano a studiare presso le facoltà universitarie di filosofia. Il corso prevede anche un livello di formazione politica, ma non risulta particolarmente "oneroso". Nel 1995 si è provveduto alla ristampa integrale, in lingua cinese, del Canone buddhista cinese e del Canone tibetano. I contatti tra il saṃgha cinese e i saṃgha degli altri paesi sono costanti. In particolar modo con il saṃgha thailandese e birmano del buddhismo Theravāda. Nel giugno del 1993 il patriarca thailandese Nyanasamvara Suvaddhana (1913-) ha compiuto una visita in Cina dove è stato accolto da migliaia di monaci cinesi e dove ha compiuto, insieme a loro, dei riti religiosi. Nell'agosto del 1995 una folta delegazione buddhista cinese, invitata dalla comunità buddhista francese, ha visitato i luoghi del Dharma di sette paesi europei.
Molto attiva è anche l'Associazione buddhista sino-giapponese, tesa a far conoscere le tradizioni religiose dei due paesi fortemente collegate sul piano storico.
L'Associazione buddhista cinese è, infine, molto attiva sul piano caritatevole e sociale, finanziando la Croce rossa e varie attività nei confronti dei cittadini più bisognosi. I cittadini cinesi stanno riscoprendo in questi anni il valore religioso delle dottrine buddhiste. Anche se non conoscono in modo approfondito tali dottrine si impegnano sempre di più nella osservanza dei precetti religiosi e delle pratiche devozionali. In occasione delle festività religiose i templi si riempiono ormai di migliaia di fedeli i quali, oltre ad accendere gli incensi, ascoltano i sermoni dei monaci e consumano insieme dei pasti vegetariani in un'atmosfera di festività.

Il buddhismo a Taiwan e a Hong Kong

Il buddhismo a Taiwan ha subìto uno sviluppo senza precedenti a partire dal 1949 quando migliaia tra monaci e monache cinesi si riversarono nell'isola per sfuggire alle persecuzioni delle truppe di Máo Zédōng.
Oggi sono circa diecimila i monaci buddhisti presenti a Taiwan con quattromila tra templi e monasteri. Un quarto dei 22 milioni di cinesi di Taiwan si dichiara apertamente buddhista. I lignaggi e gli insegnamenti del buddhismo di Taiwan sono gli stessi di quelli ereditati dalla Cina nazionalista e consistono prevalentemente in lignaggi del buddhismo Chán, ma la caratteristica del buddhismo taiwanese moderno è che ha deciso di eliminare i confini tra le diverse scuole, unendo lignaggi e insegnamenti.
Il buddhismo taiwanese è noto a livello internazionale per le sue attività missionarie e caritatevoli. Tra queste ultime emerge la figura della monaca Cheng Yen (證嚴法師, 1937-), detta "Madre Teresa di Taiwan" per la sua intensa attività di aiuto nei confronti dei malati e dei poveri. Nelle attività missionarie va invece ricordato il monaco Hsing-yun (星雲大師, 1927-), fondatore del centro per le attività culturali e missionarie Fokwangshan a Kaohsiung (高雄) e promotore di circa settanta missioni in tutto il mondo tra cui il tempio di Tempio di Hsi-lai (西來寺) a Los Angeles. I buddhisti di Taiwan hanno fondato, il 9 novembre 2001 a Yung Ho (永和, Taipei), il Museo mondiale delle religioni.
Anche il territorio di Hong Kong, governato dal Regno Unito fino al 1997, fu luogo di rifugio per centinaia di monaci buddhisti fuggiti dalla Cina comunista. Soprattutto sull'Isola di Lantau (爛頭) dove ancora oggi esistono circa sessanta templi.
Il saṃgha monastico di Hong Kong conta oggi circa tremila persone, che con i fedeli laici attivi, superano le ventimila unità, tutte aderenti alla Federazione buddhista di Hong Kong (fondata nel 1945) che ha festeggiato il suo cinquantenario il 9 maggio 1995. Tra i templi e i monasteri più importanti nell'area di Hong Kong vanno citati: il monastero di Bǎolián (寶蓮寺) sull'isola di Lantau, il tempio dei Diecimila Buddha (萬佛寺) a Shatin (沙田) e il tempio della Foresta orientale (Dōnglínsì, 东林寺) di Lowai. Il 29 dicembre 1993 è stata inaugurata una enorme statua del Buddha (alta oltre i 26 metri) denominata 天壇大佛 (Tiān Tán Dà Fó) nel monastero di Bǎolián con una grande partecipazione popolare.



sabato 27 ottobre 2018

Famiglia imperiale del Giappone

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La casa imperiale del Giappone, detta anche famiglia imperiale (皇室 kōshitsu), è l'erede storica e dinastica del Paese e comprende i membri della famiglia estesa dell'imperatore del Giappone che hanno ruoli e compiti ufficiali e pubblici. Sotto l'attuale costituzione, l'imperatore è il simbolo dello Stato e dell'unità del popolo. Anche se non è tecnicamente un capo di Stato, è frequentemente considerato tale. Gli altri membri della famiglia partecipano a cerimonie ed eventi sociali ma non hanno impegni di governo.
La monarchia giapponese è la più antica monarchia ereditaria ininterrotta ancora esistente del mondo. La casa imperiale riconosce 125 monarchi legittimi a partire dalla ascesa dell'imperatore Jimmu, datata ufficialmente l'11 febbraio 660 a.C., tra cui l'attuale imperatore Akihito.

Membri dell'attuale famiglia imperiale

Attualmente i membri della famiglia imperiale sono 17. Tra parentesi il loro nome personale:
  • imperatore Akihito (Akihito), nato al palazzo imperiale di Tokyo il 23 dicembre 1933, figlio maggiore dell'imperatore Hirohito e l'imperatrice Kōjun. Si è sposato il 10 aprile 1959 con sua maestà imperiale l'imperatrice Michiko (Shoda Michiko), nata a Tokyo il 24 ottobre 1934, la figlia maggiore di Shoda Hidesaburo, presidente della Nisshin Flour Milling Inc.. L'imperatore Akihito è salito al trono alla morte del padre il 7 gennaio 1989.
  • principe della corona Naruhito, figlio maggiore dell'imperatore e dell'imperatrice, nato al palazzo Tsugo a Tokyo il 23 febbraio 1960. Divenne il principe ereditario quando suo padre Akihito salì al trono. Il principe della corona ha sposato Owada Masako il 10 giugno 1993, nata il 6 dicembre 1963, figlia di Hisashi Owada, un ex vice ministro degli affari esteri e precedente rappresentante del Giappone alle Nazioni Unite. La coppia ha una figlia:
    • Aiko, principessa Toshi, nata il 1º dicembre 2001.
  • Principe Akishino (Fumihito), il secondo figlio dell'imperatore, nato l'11 novembre 1965. Durante l'infanzia portava il nome di principe Aya e ricevette il titolo di principe Akishino, assieme al permesso di generare un nuovo ramo della famiglia imperiale a seguito del suo matrimonio con Kawashima Kiko il 29 giugno 1988. Principessa Akishino è nata l'11 settembre 1966 ed è figlia di Kawashima Tatsuhiko, professore di economia all'università Gakushuin. La coppia ha due figlie ed un figlio:
    • principessa Mako di Akishino nata il 23 ottobre 1991
    • principessa Kako di Akishino nata il 29 dicembre 1994
    • principe Hisahito di Akishino nato il 6 settembre 2006
  • Principe Hitachi (Masahito), nato il 28 novembre 1935, il secondo figlio dell'imperatore Hirohito e dell'imperatrice Kōjun, fratello dell'imperatore Akihito. Il suo titolo durante l'infanzia era principe Yoshi e ricevette l'attuale titolo di principe Hitachi e il permesso di generare un nuovo ramo della famiglia imperiale a seguito del suo matrimonio il 1º ottobre 1961. Principessa Hitachi (Hanako) è nata il 19 luglio 1940, figlia di Tsugaru Yoshitaka. La coppia non ha figli.
  • principessa Mikasa (Yuriko) è nata il 6 giugno 1921 ed è la seconda figlia del visconte Takagi Masanoiri, vedova del Principe Mikasa (Takahito), figlio dell'imperatore Yoshihito e fratello dell'imperatore Showa, nato il 2 dicembre 1915 e deceduto il 27 ottobre 2016. La coppia ha avuto due figlie e tre figli. I tre figli maschi sono deceduti.
    • Aso Nobuko il 7 novembre 1980 ha sposato il principe Tomohito di Mikasa, cugino dell'imperatore Akihito deceduto nel 2012. La principessa Tomohito di Mikasa è nata il 9 aprile 1955, figlia di Aso Takakichi, presidente della Aso Cement Co. e sua moglie Kazuko, una figlia dell'ex primo ministro Yoshida Shigeru. È vedova del Principe Tomohito di Mikasa. La principessa ha due figlie:
      • principessa Akiko nata il 20 dicembre 1981
      • principessa Yōko nata il 25 ottobre 1983
    • Principessa Takamado (Hisako), vedova del principe Takamado (Norigito), precedentemente chiamato principe Norihito di Mikasa (nato 29 dicembre 1954 e morto il 21 novembre 2002), il terzo figlio del principe e della principessa Mikasa e cugino in prima dell'imperatore Akihito. La principessa è nata il 10 luglio 1953, figlia di Tottori Shigejiro. Sposò il Principe il 6 dicembre 1981. La principessa ha tre figlie:
      • principessa Tsuguko nata il 6 marzo 1986
      • principessa Noriko nata il 22 luglio 1988
      • principessa Ayako nata il 15 settembre 1990

Persone che non fanno più parte della famiglia imperiale

In base alla legge del 1947, le Principesse imperiali (naishinnō) e le principesse (nyoō) perdono i loro titoli e l'appartenenza alla famiglia imperiale a seguito del matrimonio, tranne quando sposano l'imperatore o un altro membro della famiglia. Tre delle cinque figlie dell'imperatore Hirohito, le due figlie del principe Mikasa e, recentemente, l'unica figlia dell'imperatore Akihito hanno lasciato la famiglia reale, prendendo il cognome dei loro mariti. Le ex principesse imperiali (i cui nomi personali sono indicati tra parentesi) sono:
  • Kazuko Takatsukasa (principessa Taka), nata il 30 settembre 1929, scomparsa il 26 maggio 1989, la terza figlia dell'imperatore Shōwa e la sorella maggiore dell'imperatore Akihito. Sposò il 21 maggio 1950 Toshimichi Takatsukasa.
  • Atsuko Ikeda (principessa Yori), nata il 7 marzo 1931, la quarta figlia dell'imperatore Shōwa e la sorella maggiore dell'imperatore Akihito. Sposò il 10 ottobre 1952 Takamasa Ikeda.
  • Takako Shimazu (principessa Suga), nata il 2 marzo 1939, quinta figlia (la minore) dell'imperatore Shōwa e sorella minore dell'imperatore Akihito. Sposò il 10 marzo 1960 Hisanaga Shimazu.
  • Yasuko Konoe (principessa Yasuko di Mikasa), nata il 26 aprile 1944, figlia maggiore del principe e della principessa Mikasa. Sposò il 18 dicembre 1966 Tadateru Konoe.
  • Masako Sen (Principessa Masako di Mikasa), nata il 23 ottobre 1951, seconda figlia del Principe e della Principessa Mikasa. Sposò il 14 ottobre 1983 Masayuki (Soshitsu XVI) Sen.
  • Sayako Kuroda (principessa Nori), nata il 18 aprile 1969, unica figlia dell'imperatore Akihito e dell'imperatrice Michiko. Sposò il 5 novembre 2005 Yoshiki Kuroda.

Attuale ordine di successione

  1. Naruhito, Principe della corona, il primogenito dell'imperatore
  2. Principe Akishino (Fumihito), secondogenito dell'imperatore
  3. Principe Hisahito, figlio del principe Akishino
  4. Principe Hitachi (Masahito), fratello dell'imperatore
Il principe della corona Naruhito ha una figlia (principessa Aiko) e il principe Akishino ha due figlie (Mako e Kako). Il fratello dell'imperatore, il principe Hitachi non ha figli. Dei tre figli del principe Mikasa: Tomohito ha due figlie (Akiko e Yōko), il Principe Katsura non ha avuto figli e il principe Takamado ha tre figlie (Tsuguko, Noriko e Ayako).

Titoli

Il titolo Principe ( ō) viene dato ai membri maschi della famiglia imperiale giapponese che non possono avere il titolo superiore di principe imperiale (親王 shinnō). L'equivalente femminile è principessa (女王 nyoō) e principessa imperiale (内親王 naishinnō). Il termine ō potrebbe essere anche tradotto come "re". L'origine di questo doppio significato deriva dalla trasposizione del sistema utilizzato per la nobiltà cinese. A differenza di quest'ultima, tuttavia, Ō era utilizzato solo per i membri della famiglia imperiale. È interessante notare che il termine Regina (女王 joō?) utilizza gli stessi Kanji di nyoō.
Storicamente, tutti i membri maschili della famiglia imperiale possedevano il titolo di ō, e shinnō era un titolo speciale assegnato dall'imperatore. Dopo la restaurazione Meiji, il significato di ō e di shinnō sono cambiati leggermente. Uno shinnō o naishinnō (femminile) era un membro legittimo della famiglia imperiale discendente dall'imperatore, fino al grado di pronipote (di nonno). Con la dicitura "membro legittimo della famiglia imperiale" si esclude chiunque non sia connesso con una discendenza maschile, e i discendenti di chiunque abbia rinunciato alla sua appartenenza alla famiglia reale, oppure sia stato espulso. Il termine Shinnō include anche i capifamiglia di tutte le Famiglie di principi (Shinnōke).
Nel 1947 la legge venne modificata in modo che il titolo di Shinnō era assegnato solo alla linea maschile di discendenza dell'imperatore fino al nipote. La consorte di un membro della famiglia con il titolo di ō oppure shinnō ha il suffisso -hi (), ovvero ō-hi e Shinnō-hi.

Linea genealogica ascendente diretta della famiglia

(il numero decrescente indica la generazione ascendente dall'attuale imperatore)
  • 52. Kinmei 29º imperatore (regno 539-571)
  • 51. Bidatsu (538-585), 30º Imperatore (r. 572-585)
  • 50. Osaka no hikobito oine, principe imperiale
  • 49. Jomei (593-641), 34º imperatore (r. 629-641); = Kogyoku, che fu 35ª imperatrice, e 37ª imperatrice con il nome di Saimei
  • 48. Tenji (626-672), 38º imperatore (r. 661-672)
  • 47. Shiki, principe imperiale
  • 46. Kōnin (709-782), 49º imperatore (r. 770-781)
  • 45. Kammu (737-806) (avuto da Takano no Niigasa), 50º imperatore (r. 781-806)
  • 44. Saga (786-842), 52º imperatore (r. 809-823)
  • 43. Nimmyo (810-850), 54º imperatore (r. 833-850)
  • 42. Koko (830-887), 58º imperatore (r. 884-887)
  • 41. Uda (867-931), 59º Imperatore (r. 887-897)
  • 40. Daigo (885-930), 60º imperatore (r. 897-930)
  • 39. Murakami (926-967), 62º imperatore (r. 946-967)
  • 38. En'yū (959-991), 64º imperatore (r. 969-984)
  • 37. Ichijo (980-1011), 66º imperatore (r. 986-1011)
  • 36. Go-Suzaku (1009-1045), 69º imperatore (r. 1036-1045)
  • 35. Go-Sanjo (1034-1073), 71º imperatore (r. 1068-1073)
  • 34. Shirakawa (1053-1129), 72º imperatore (r. 1073-1087, dal chiostro 1086-1129)
  • 33. Horikawa (1079-1107), 73º imperatore (r. 1087-1107)
  • 32. Toba (1103-1156), 74º Imperatore (r. 1107-1123, dal chiostro 1129-1156)
  • 31. Go-Shirakawa (1127-1192), 77º imperatore (r. 1155-1158, dal chiostro 1158-1192)
  • 30. Takakura (1161-1181), 80º imperatore (r. 1168-1180)
  • 29. Go-Toba (1180-1239), 82º imperatore (r. 1183-1198)
  • 28. Tsuchimikado (1195-1231), 83º Imperatore (r. 1198-1210)
  • 27. Go-Saga (1220-1272), 88º imperatore (r. 1242-1246)
  • 26. Go-Fukakusa (1243-1304), 89º imperatore (r. 1246-1260)
  • 25. Fushimi (1265-1317), 92º imperatore (r. 1287-1298)
  • 24. Go-Fushimi (1288-1336), 93º imperatore (r. 1298-1301)
  • 23. Kogon (1313-1364), 1º imperatore pretendente della corte del Nord Ashikaga (r. 1331-1333)
  • 22. Suko (1334-1398), 3º imperatore pretendente della corte del Nord (r. 1348-1351)
  • 21. Einin, principe
  • 20. Sadafusa, principe
  • 19. Go-Hanazono (1419-1471), 102º imperatore (r. 1428-1464)
  • 18. Go-Tsuchimikado (1442-1500), 103º imperatore (r. 1464-1500)
  • 17. Go-Kashiwabara (1464-1526), 104º imperatore (r. 1500-1526)
  • 16. Go-Nara 1497-1557), 105º imperatore (r. 1526-1557)
  • 15. Ōgimachi (1517-1593), 106º Imperatore (r. 1557-1586)
  • 14. Masahito (1552-1586)
  • 13. Go-Yōzei (1572-1617), 107º imperatore (r. 1586-1611)
  • 12. Go-Mizunoo (1596-1680), 108º imperatore (r. 1611-1629)
  • 11. Reigen (1654-1732), 112º Imperatore (r. 1663-1687)
  • 10. Higashiyama (1675-1709), 113º Imperatore (r. 1687-1709)
  • 9. Naohito (1704-1753), principe imperiale, capostipite del ramo imperiale (Shinnōke) Kan'in-no-miya
  • 8. Suekito (1733-1794), principe imperiale
  • 7. Kōkaku (1771-1840), 119º imperatore (r. 1780-1817)
  • 6. Ninko (1800-1846), 120º imperatore (r. 1817-1846)
  • 5. Komei (1831-1867), 121º imperatore (r. 1846-1867)
  • 4. Meiji (Mutsuhito) (1852-1912), 122º imperatore (r. 1867-1912)
  • 3. Taisho (Yoshihito) (1879-1926), 123º imperatore (r. 1912-1926)
  • 2. Shōwa (Hirohito) (1901-1989), 124º imperatore (r. 1926-1989)
  • 1. Akihito (1933), attuale 125º imperatore (r. dal 1989 ad oggi)

venerdì 26 ottobre 2018

Kitabatake Harutomo

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Kitabatake Harutomo (北畠晴具; 1503 – 1563) fu un daimyō giapponese del periodo Sengoku appartenente al clan Kitabatake.

Biografia

Harumoto era figlio di Kitabatake Murachika. Supportò Ashikaga Yoshiharu e gli fu concesso di cambiare il prorpio nome in Harutomo. Harumoto mandò soldati in aiuto del clan Rokkaku che combatteva contro la famiglia Kyōgoku. Represse una rivolta dei samurai di Tamaru che avevano ucciso il loro capo, Tamaru Tomotada. È ricordato anche per le sue attività culturali che condivideva con suo suocero, Hosokawa Takakuni.

giovedì 25 ottobre 2018

Sciabola

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La sciabola (da szablya, lingua ungherese) è un'arma bianca manesca del tipo spada destinata ai reparti di cavalleria, con lama monofilare curva, affilata sul lato convesso, di lunghezza variabile a seconda del paese di provenienza, e guardia molto pronunciata, atta a coprire tutta la mano. Era normalmente portata in un fodero a due punti di sospensione appeso a un'apposita fascia ma alcuni esemplari venivano portati fissi sulla sella: tale fu il caso della szabla in uso agli Ussari alati di Polonia, vero e proprio archetipo della sciabola moderna, e di altre tipologie più recenti come la Sciabola Patton dell'esercito degli Stati Uniti (entrata in servizio nel 1913).
Il vocabolo "sciabola", in lingua italiana come in altre lingue, finì però per indicare anche altre forme di arma bianca del tipo spada in uso alla cavalleria pesante dell'Europa pre-Industriale, come la squadrona dei corazzieri, o di fanteria, come il coltellaccio d'abbordaggio della marina militare europea del XVIII secolo. A partire dal XIX secolo, la sciabola divenne attributo precipuo per gli ufficiali e tale è ancora il suo utilizzo in ambito militare contemporaneo.
Dalla sciabola originò uno dei tre stili fondamentali della scherma moderna, la sciabola.


Storia
Origini
La diffusione negli eserciti dell'Europa Orientale, fondamentalmente il Granducato di Moscovia e il Regno d'Ungheria, ivi compresi i voivodati (principati) di Moldavia, Valacchia e Transilvania, di spade a lama ricurva simili alla scimitarra orientale si dovette ai contatti con i Tartari prima (XIV secolo) e con gli Ottomani poi (XV secolo). Solo nel XVI secolo però le lame ricurve cominciarono a diffondersi anche nelle terre del vecchio Regno di Polonia e del Granducato di Lituania, sostituendo la spada a lama diritta in uso presso le forze di cavalleria. La prima forma di spada occidentale da cavalleria a lama ricurva fu la szabla, diffusasi tra le truppe di cavalleria della Confederazione Polacco-Lituana durante il regno di Stefan Batory (1576-1586), già voivoda di Transilvania.
Nella quasi totalità dei paesi dell'Europa Occidentale, la parola "sciabola" (sabre in inglese e francese, säbel in tedesco, sable in spagnolo, ecc.) deriva appunto dal vocabolo polacco szabla.

Diffusione
A partire dal XVIII secolo, la sciabola andò incontro a un incredibile successo, sia pratico sia etimologico:
  • La parola "sciabola" cominciò infatti a indicare qualsiasi forma di spada in uso ai corpi di cavalleria, come la pałasz polacca, in tutto e per tutto un costoliere da cavalleria a lama diritta, e la shashka, sorta di ibrido tra un costoliere e una scimitarra, divenuta arma d'ordinanza della cavalleria russa nella seconda metà dell'Ottocento;
  • Sciabole cominciarono a essere definite anche quelle spade da fante o da marinaio, sviluppatesi dal modello del falcione tardo-medievale, che pur mantenendo le caratteristiche tecniche della spada da fanteria (bilanciamento fissato al punto d'incontro tra la lama e l'elsa) copiavano la linea curva della scimitarra orientale: es. Sciabola d'abbordaggio.
Nel corso del XIX secolo i continui contatti tra gli europei e i territori africani e asiatici gravitanti intorno al decadente Impero ottomano(v. Imperialismo) intensificarono il processo di "orientalizzazione" delle spade da cavalleria occidentali. Le sciabole di tutti i corpi di cavalleria presero a modello la curvatura del kilij turco, la scimitarra per eccellenza, pur mantenendosi fedeli all'originario modello della szabla per quanto concerne il rapporto di larghezza tra lo scarico della lama e il falso-taglio in prossimità della punta. La sciabola occidentale mantenne quindi sempre una lama più lunga, più appuntita e meno curva rispetto alla scimitarra orientale.
La campagna d'Egitto di Napoleone (1802) consegnò agli occidentali un gran quantitativo di scimitarre (in questo caso preziose sciabole mamelucche) che colpirono, per la loro eleganza e funzionalità, gli ufficiali europei. Entro il 1803, la sciabola era ormai arma d'ordinanza tra gli ufficiali francesi e inglesi, si trattasse o meno di ufficiali di cavalleria. La conquista di Tripoli (1805), durante la Prima guerra barbaresca, diffuse del pari la moda della sciabola anche tra gli ufficiali dell'esercito degli Stati Uniti d'America.
Entro la fine dell'Ottocento le armi bianche classiche avevano definitivamente abbandonato la panoplia del soldato di fanteria europeo, sostituite dall'onnipresente baionetta. Le sciabole, in uso alle truppe di cavalleria e ai soli ufficiali nella fanteria, mantennero invece inalterato il loro uso campale sino a che non fu il soldato a cavallo medesimo a perdere ogni funzionalità pratica sui campi di battaglia europei, tra la prima e la seconda guerra mondiale.
Tra il XIX e il XX secolo, la sciabola si diffuse anche tra i ranghi della polizia a cavallo di diversi paesi occidentali e tra quella appiedata in una versione più corta detta anche daga, salvo poi cadere in disuso per motivazioni pratico-umanitarie ed essere sostituita dal manganello.

Utilizzo nelle Forze Armate Italiane
Abolita nel 1947, la sciabola fu reintrodotta nelle Forze Armate Italiane nel 1962 per essere utilizzata come arma di rappresentanza, portata in particolari occasioni esclusivamente da ufficiali e marescialli, con l'eccezione, per quanto riguardano i sergenti, i graduati e la truppa dei reparti a cavallo (Carabinieri, Finanzieri, Cavalleggeri e degli appartenenti al Reggimento artiglieria a cavallo "Voloire").
Le sciabole in dotazione all'Esercito italiano, ai Carabinieri e alla Guardia di Finanza vedono una differenza nella coccia, a seconda che appartengano a un ufficiale (coccia formata da tre elementi) o a un sottufficiale (formata da due elementi), e nella forma della lama a seconda dell'arma o del corpo d'appartenenza.
Accessori della sciabola sono la dragona e il pendaglio, che serve a portarla e che viene agganciato a due anelli posti sul suo fodero e a uno speciale passante della cintura o del cinturone, a seconda del tipo di uniforme indossata.

Ufficiali Generali
La sciabola per Ufficiali Generali (o Colonnelli che rivestono il grado funzionale di Generale di Brigata) ha la lama dritta o leggermente ricurva (saetta di curvatura massima 25 mm). L'impugnatura è di tipo avorio con quattro scalanature nella parte interna per adattarvi le dita ed è rivestita esternamente da una cappetta di ferro nichelato. La guardia, pure di ferro nichelato, è munita di tre branche, due delle quali oblique e ricurve, e di un incavo per il dito pollice; ha nella parte superiore un foro per assicurarvi la dragona. Il fodero della sciabola è di ferro o di acciaio nichelato e ha un'apertura lunga 25–30 mm, con una molla doppia nell'interno per tener ferma la lama; è munito esternamente di due fascette con codetta, collocate l'una a circa 7 cm e l'altra a circa 15 cm dalla estremità superiore, a ciascuna delle quali è attaccato un anello scorrevole del diametro di 22 mm (campanella). Il fodero è munito nella parte inferiore di una cresta lunga, dalla parte del taglio della lama, 8–10 cm e dalla parte opposta 4–5 cm. Le fascette, gli anelli e la cresta sono di ferro di acciaio nichelato come il fodero. La sciabola deve essere di lunghezza proporzionata alla statura dell'Ufficiale.

Ufficiali di Fanteria
Viene portata dagli Ufficiali di Fanteria (esclusi i Bersaglieri), delle altre Armi (esclusa la Cavalleria) e dei Corpi (esclusi gli Ufficiali Veterinari). La sciabola per Ufficiali di Fanteria differisce da quella per Ufficiali Generali per aver l'impugnatura in ebano anziché di tipo avorio.

Ufficiali dei Bersaglieri
La sciabola per Ufficiali dei Bersaglieri differisce da quella sopra descritta per la maggiore curvatura e per l'impugnatura e la guardia. L'impugnatura è di ebano, con guarnizioni di metallo giallo brunito; la guardia è a cinque branche di metallo dorato.

Ufficiali di Cavalleria
Viene portata dagli Ufficiali di Cavalleria, dai Veterinari o dagli Ufficiali appartenenti al Reggimento Artiglieria a Cavallo. Differisce da quella di fanteria per i seguenti particolari: la leggera curvatura; la guardia è a quattro branche (tre delle quali oblique e ricurve); il fodero ha l'apertura della lunghezza di 31–36 mm; la prima fascetta dista da essa 7 cm e la seconda 20 cm circa; l'impugnatura è priva della scalanatura per adattarvi le dita.

Marescialli di Fanteria
Viene portata dai Sottufficiali di Fanteria del Ruolo Marescialli (esclusi i Bersaglieri), delle Armi (escluse Cavalleria e Artiglieria) e dei Corpi. È a lama diritta con l'impugnatura di ebano zigrinato, avente guarnitura formata da una cappetta e da una guardia in acciaio divisa in due branche pressoché simmetriche. Il fodero è di acciaio ed è munito di due fascette con campanelle collocate l'una a 7 cm e l'altra a 15 cm dalla bocchetta. Le parti metalliche dell'impugnatura (cappetta e guardia) e il fodero sono nichelati. La lunghezza della sciabola deve essere proporzionata alla statura.

Marescialli dei Bersaglieri
La sciabola per Marescialli dei Bersaglieri è a lama leggermente ricurva, ed ha le parti metalliche dell'impugnatura in ottone lucido anziché in acciaio nichelato.

Marescialli di Cavalleria
Viene portata dai Sottufficiali di Cavalleria e di Artiglieria del Ruolo Marescialli. È simile alla sciabola per Marescialli di Fanteria, dalla quale differisce per la guardia, le cui branche sono leggermente più larghe, per la cappetta che forma semicilindrica, per l'impugnatura che è di ebano liscio anziché zigrinato e per la lama che è leggermente ricurva.

Ufficiali della Marina Militare
Viene portata dagli Ufficiali e dagli Aspiranti della Marina Militare. La guardia, il dorso dell'impugnatura, le guarnizioni e il puntale del fodero sono di metallo dorato; il fodero è in materiale plastico nero verniciato; la parte interna dell'impugnatura è di materiale plastico rigido di color bianco. La lunghezza deve essere tale da giungere con la parte superiore dell'impugnatura, quando riposta nel fodero e poggiata a terra, a circa 15 cm al di sotto della vita. La sciabola è accessorio costitutivo delle uniformi S.A.I.1, S.A.I.3, G.U.I e G.U.E.

Marescialli della Marina Militare
La sciabola è accessorio costitutivo, per il 1º Maresciallo Luogotenente, 1º Maresciallo e per i Capi di 1a, 2a e 3ª classe, delle uniformi S.A.I. 1-3, S.A.E. 1-3, G.U.I., G.U.E. La guardia, il dorso dell'impugnatura, le guarnizioni e il puntale del fodero sono di metallo dorato e completamente lisci; il fodero è di materiale plastico nero verniciato; la parte interna dell'impugnatura è in plastica nera lucida. La lunghezza deve essere tale da giungere con la parte superiore dell'impugnatura, quando riposta nel fodero e poggiata a terra, a circa 15 cm al disotto della vita.

Ufficiali dell'Aeronautica Militare
Elsa: la guardia è costituita da un'ala curvata e terminante in una testa d'aquila che ne forma il pomo: il tutto è dorato e sormontato da un bottone semisferico per fissare la lama. La parte interna dell'impugnatura è liscia e assicurata con vari passi di filo di metallo dorato; per gli Ufficiali Generali detta impugnatura è in avorio, per gli Ufficiali Superiori e Inferiori è in osso nero.
Lama: di acciaio, diritta e arabescata.
Fodero: di colore nero, ha tre guarnizioni in metallo dorato arabescato a sbalzo: la prima, all'estremità superiore, è provvista di piolo e prima campanella; la seconda, al terzo superiore, è provvista di campanella; la terza, all'estremità inferiore, termina nel puntale arrotondato.
Pendagli: sono formati da due strisce di tessuto grigio azzurro di 2 mm unite a due strisce in filo d'oro di 5 mm e una centrale grigio azzurra di 4 mm. Vanno assicurati con due moschettoni alle campanelle del fodero. Vanno agganciati alla cintura dei pantaloni e devono uscire dal lato sinistro sotto la giacca, oppure da apposita apertura praticata sotto la patta della tasca sinistra del soprabito impermeabile.
Dragona: è composta da un cordone a doppino, riunito a due terzi da un nodo da frate e portante una nappa nella parte terminale. La nappa ha un'anima rigida e si compone del gambo e della nappa vera e propria; all'estremità superiore del gambo sono fissati i due capi del cordone. La nappa, a forma ovoidale, è ricoperta da frange fisse di canutiglia dorata. Il cordone è completamente intessuto d'oro: di 8 mm per gli Ufficiali Generali, di 6 mm per gli Ufficiali Superiori. In cordone intessuto d'oro con intreccio di fili di seta azzurra di 6 mm, per gli Ufficiali Inferiori. Viene applicata alla guardia della sciabola con nodo scorsoio

Marescialli dell'Aeronautica Militare
Elsa: piena, liscia, dorata, con impugnatura in ebano. Lama: di acciaio, diritta. Fodero: di colore nero, ha tre guarnizioni in metallo dorato: la prima, all'estremità superiore, è provvista di piolo e prima campanella; la seconda, al terzo superiore, è provvista di campanella; la terza, all'estremità inferiore, termina nel puntale. Pendagli: sono formati da due strisce di tessuto grigio azzurro di 2 mm unite a due strisce di 5 mm in filo d'oro con striature oblique di colore grigio azzurro e una striscia centrale grigio azzurra di 4 mm. Vanno assicurati con due moschettoni alle campanelle del fodero. Agganciati alla cintura dei pantaloni, devono uscire dal lato sinistro sotto la giacca, oppure da apposita apertura praticata sotto la patta della tasca sinistra del soprabito impermeabile. Dragona: In cordone azzurro del diametro di 6 mm, con tre filettature d'oro poste in senso longitudinale. Viene applicata alla guardia della sciabola con nodo scorsoio.

Ufficiali dei Carabinieri
La sciabola ha la lama ricurva (saetta di curvatura massima di 25 mm). L'impugnatura è di tipo di avorio per gli Ufficiali Generali (o Colonnelli che rivestono il grado funzionale di Generale di Brigata), ebano per i restanti Ufficiali, con quattro scanalature nella parte interna per l'adattamento delle dita ed è rivestita esternamente da una cappetta di ferro nichelato. La guardia, anch'essa di ferro nichelato, è munita di tre branche, due delle quali oblique e ricurve, e di un incavo per il dito pollice: ha nella parte superiore un foro per assicurarvi la dragona. Il fodero della sciabola è di ferro o di acciaio nichelato e ha un'apertura lunga 25–30 mm, con una molla doppia nell'interno per tenere ferma la lama; è munito esternamente di due fascette con codetta, collocate l'una a circa 7 cm e l'altra a circa 15 cm dalla estremità superiore, a ciascuna delle quali è attaccato un anello scorrevole del diametro di 22 mm (campanella). Il fodero è munito nella parte inferiore di una cresta lunga, dalla parte del taglio della lama, 8–10 cm e dalla parte opposta 4–5 cm. Le fascette, gli anelli e la cresta sono di ferro o di acciaio nichelato come il fodero. La sciabola deve essere di lunghezza proporzionata alla statura dell'Ufficiale (da 100 a 115 cm). Gli Ufficiali che cessano di appartenere al Reggimento Corazzieri, dopo aver prestato servizio per cinque anni, sono autorizzati a fare uso della sciabola da Ufficiale dei Corazzieri.

Marescialli dei Carabinieri (a piedi)
È a lama ricurva con l'impugnatura in ebano zigrinato, avente guarnitura ricurva formata da una cappetta e da una guardia in acciaio divisa in due branche pressoché simmetriche. Il fodero, di acciaio, è munito di due fascette con campanelle collocate l'una a 7 e l'altro a 15 cm dalla bocchetta. Le parti metalliche dell'impugnatura (cappetta e guardia) e il fodero sono nichelati.

Marescialli dei Carabinieri (a cavallo)
È lunga, con l'impugnatura in noce, munita di fodero nichelato con due campanelle, con passante che va infilato nella cintura dei pantaloni.

Brigadieri, Appuntati e Carabinieri
È lunga, con l'impugnatura in noce, munita di fodero nichelato con una campanella, con passante che va infilato nella cintura dei pantaloni.

Reggimento Corazzieri
Ha la lama dritta. L'impugnatura è di ebano liscio divisa in settori mediante spire di filo metallico argentato ritorto ed è rivestita esternamente da una cappetta di metallo nichelato. La guardia, pure in metallo nichelato, è decorata a volute di fogliame e reca, nella parte anteriore, un trofeo d'armi, nella parte inferiore un incavo per il dito pollice; la guardia della sciabola da Ufficiale è più ampia di quella del restante personale. Il fodero, leggermente curvo, è di metallo nichelato e ha un'apertura di 36 mm circa con una molla doppia per tener ferma la lama; è munito esternamente di due fascette con codetta, collocate l'una a circa 70 mm e l'altra a circa 200 mm dalla estremità superiore, a ciascuna delle quali è attaccato un anello scorrevole del diametro di 22 mm circa (campanella). Il fodero è munito nella parte inferiore di una cresta lunga, dalla parte del taglio della lama, 80–100 mm e dalla parte opposta 40–50 mm. Le fascette, gli anelli e la cresta sono di metallo nichelato come il fodero. La lunghezza totale della sciabola è per tutti di 1.200 mm.

Tipologie
La sciabola per Ufficiale di fanteria mantiene le caratteristiche della vecchia 1888 in versione vicina a quelle in uso negli anni precedenti il secondo conflitto. Impugnatura nera a tre denti di presa, lama dritta, con lungo tallone e sgusciata sui lati, incisa ad acido e con fregi comprendenti lo stemma della Repubblica. Fodero a due campanelle.
La sciabola per Ufficiale di Cavalleria è una reinterpretazione delle sciabole di cavalleria post 1900, con impugnatura nera munita di becco, leggermente rigonfia al centro; guardia a tre larghi rami e spacchi sottili, lama dritta (a richiesta e in deroga è possibile averla ricurva), tallone lungo, sgusciata sui lati e ornata come la precedente. Fodero dritto a due campanelle.
La sciabola per Ufficiale dei Bersaglieri ha la tradizionale testa di leone, munita di occhi in cristallo rosso; il bottone a forma di corona in uso nell'epoca del Regno è stato sostituito con uno cilindrico zigrinato; guardia in ottone dorato, impugnatura nera a tre denti di presa, lama e fodero analoghi a quelli per la fanteria ma più ricurvi.
La sciabola per Ufficiale dei Carabinieri ha la guardia a tre else e conchiglia per il pollice, calotta del tipo in uso già sui modelli del 1873 con bottone tondo, impugnatura in ebanite a becco, lama leggermente curva, robusta a un filo e punta, sgusciata sui lati e incisa ad acido con ornamenti a "fiamma" e stemma della Repubblica. Fodero a due campanelle.
La sciabola per Ufficiale di artiglieria a cavallo "Voloire": ispirata alla modello 1833 con guardia a tre rami larghi e spacchi sottili, impugnatura nera a settori zigrinati tipo 1855, calotta lunga, piatta e con bottone piatto ovale; lama larga, curva, sgusciata sui lati; fodero a due campanelle.
La sciabola per Ufficiale della Marina Militare: presenta un pomolo a forma di testa di leone, la guardia con ancora incrociata, munita di lembo mobile, bottone di forma cilindrica, piatto e zigrinato; calotta a testa di leone con occhi in cristallo rosso, impugnatura tipo pelle di squalo, lama dritta con lungo tallone, sgusciata sui lati, ornata come già detto; falso fodero in fibra rivestito di pelle nera, con tre fornimenti lavorati e dorati (cappa fascetta e puntale).
La sciabola per Ufficiale dell'Aeronautica militare si distingue invece per il pomolo a forma di testa d'aquila e la guardia decorata a ricordarne l'ala (e sono del pari dorati); il fodero in pelle nera con decorazioni dorate ai passanti è in stile con i motivi dell'Aeronautica Militare (aquile).
Sia in Marina Militare sia in Aeronautica Militare, la sciabola dei sottufficiali si distingue per assenza di decorazioni.
Anche dragona e pendaglio sono distinte, per ufficiali generali, ufficiali superiori, ufficiali subalterni e sottufficiali, in base a colori e particolari che variano a seconda della forza armata. Nell'Esercito Italiano, per esempio, il pendaglio per sottufficiali è azzurro con una striscia dorata al centro, a richiamare a colori invertiti il nastro del berretto rigido, mentre quello per ufficiali è color oro e quello per generali color argento; al pendaglio vengono poi applicati tanti passanti quanti quelli sul nastro del berretto rigido, a richiamo del grado. Per gli ufficiali generali, inoltre, l'impugnatura passa da nera a bianca.

Costruzione
La sciabola ha:
  • Lama monofilare ricurva, affilata sul lato convesso. L'angolo di curvatura è sempre inferiore a quello della scimitarra e manca il contro-taglio in prossimità della punta;
  • Impugnatura a una mano priva di pomolo, con guardia a bracci mai molto pronunciati, sviluppanti un para-mano o tramite coccia, integra o traforata, o tramite archetto;
  • A partire dal XIX secolo, il fodero interamente in metallo assicurato a una dragona da portarsi trasversalmente al petto.
Tipi di sciabole
  • Karabela - variante più corta della Szabla;
  • Katana - sciabola giapponese da fante;
  • Leppa - corta sciabola (50–60 cm) della Sardegna con impugnatura in corno o in legno rivestito di lamine di ottone; faceva parte del costume sardo e veniva portata infilandola entro la cintura. Reca sovente scritte come "Vincere o morire".
  • Palà - pesante sciabola persiana;
  • Pałasz - pesante sciabola a lama diritta diffusa nell'Europa Orientale, poi sostituita dalla shashka;
  • Sciabola d'abbordaggio;
  • Shashka - pesante sciabola caucasica con lama solo leggermente curva;
  • Szabla - sciabola ungaro-polacco a lama lunga (85 cm) e larga che funse da archetipo per lo sviluppo delle sciabole europee a lama ricurva;
  • Tachi - sciabola giapponese;
  • Wakizashi - corta sciabola giapponese da fante.