Promulgazione della
Costituzione Meiji, xilografia in stile ukiyo-e di Yōshū
Chikanobu, 1889
Il Periodo Meiji (明治時代
Meiji jidai,
"periodo del regno illuminato") è un momento
storico del Giappone che comprende i 44 anni di regno dell'Imperatore
Mutsuhito. Questo periodo va dal 23 ottobre 1868 al 30 luglio 1912.
Quando decadde l'ultimo shōgunato di
Tokugawa Yoshinobu iniziò l'era dell'imperatore Meiji (primo
imperatore dotato di potere politico). Egli iniziò a modificare la
struttura politica, sociale ed economica del Giappone, basandosi sul
modello occidentale. Nel 1912, dopo la morte dell'Imperatore
Mutsuhito, divenne Imperatore Yoshihito che diede inizio al periodo
Taishō.
Il contesto
Prima del periodo Meiji, il Giappone
era vissuto per oltre due secoli e mezzo sotto lo shogunato dei
Tokugawa, che si era costituito a seguito della battaglia di
Sekigahara (1600) e che governò gran parte del territorio della zona
centrale del Giappone, con capitale Edo (successivamente ribattezzata
Tokyo). Il dominio dello shōgun si estendeva anche su Osaka centro
principale della classe dei mercanti, e Kyoto, capitale imperiale,
con residenza dell'imperatore scevro di poteri. Il territorio
rimanente era governato dai signori feudali (daimyō), i quali
esercitavano un alto livello di autonomia nei propri feudi (han).
I daimyō che si erano schierati
sin dall'inizio con lo shogunato dei Tokugawa erano chiamati fudai
daimyō ed erano in tutto 176, quelli che si sottomisero soltanto
dopo la battaglia di Sekigahara erano chiamati tozama (tra i
più importanti c'erano quelli di Satsuma, Chōshū, Tosa e Hizen) ed
erano in tutto 86. Per rafforzare il loro potere sul paese, i
Tokugawa idearono un congegno con due elementi risolutivi: il sistema
istituzionale degli ostaggi, dove i daimyō erano costretti a
lasciare le mogli e i figli a Edo, mentre essi dovevano frequentare
la corte dello shōgun dirigendosi ad anni alterni nella
capitale (sistema del sankin kōtai); e l'isolamento totale
del Giappone dal mondo esterno.
Nel 1638 lo shōgunato attuò una
politica di isolamento, che ridusse le attività commerciali
straniere in Giappone, e impedì ai feudi ostili ai Tokugawa di
armarsi in modo da non poter minacciare lo shōgunato ostacolando lo
sviluppo della nascente borghesia. Con il sistema del sankin
kōtai, lo shōgunato creò un meccanismo di controlli interni,
che costringeva i daimyō all'obbedienza, e affermava il
controllo dei Tokugawa sulle cariche politiche e la politica
economica; inoltre il sankin kōtai obbligava l'aristocrazia a
indebitarsi nei confronti della borghesia, spronando lo sviluppo di
un'economia monetaria e rafforzando la borghesia come classe.
In Giappone lo shōgunato veniva
chiamato anche Bakufu e quello Tokugawa fu istituito nel 1603
come sede di potere separata, nella quale l'imperatore e la sua corte
erano privi di ogni potere effettivo. Lo shogunato si appoggiava su
un efficiente sistema di controlli e di equilibri:
- l'unione tra le famiglie daimyō doveva essere prima confermata dal Bakufu;
- la costruzione di castelli o fossati poteva avvenire solo dopo il permesso dello shogunato, ed eventuali riparazioni potevano essere apportate con l'invio di relativi progetti a Edo;
- l'imperatore era tenuto sotto stretta sorveglianza, e la sua attività era limitata dai regolamenti del Bakufu;
- i daimyō erano obbligati a degli oneri finanziari per mantenere vuote le loro casse;
- il commercio estero e gli stranieri vennero esclusi dal
Giappone, tranne per una stazione a Deshima (Nagasaki) nella quale
vennero concessi agli Olandesi e ai Cinesi diritti commerciali
limitati.
L'efficiente sistema del Bakufu venne
destabilizzato dai Kuge, una classe feudale dell'aristocrazia della
corte imperiale, che durante il dominio Tokugawa viveva nella miseria
e nell'impotenza. Per ribellarsi al sistema, i Kuge (tra cui Iwakura,
Sanjo, Tokudaiji) si allearono con elementi anti-Bakufu, in
particolare con il clan Chōshū, organizzando il primo movimento
politico contro lo shōgunato (Kobu-Gattai).
L'indebolimento del Bakufu venne
causato anche da frequenti calamità naturali, come terremoti,
alluvioni e incendi, a cui seguirono anni di carestia che ridussero
l'attività agricola e diedero luogo a rivolte contadine.
L'incompetenza del Bakufu era palese, ma a incentivare maggiormente
la sua decadenza furono le continue minacce di invasione
dall'esterno, che esposero il territorio giapponese a una conquista
straniera.
La struttura gerarchica
Gli shōgun Tokugawa, per svolgere
soddisfacentemente il loro sistema di controllo, formalizzarono
maggiormente i rapporti di classe esistenti nel paese. In cima alla
struttura si trovavano l'imperatore (sovrano) e lo shōgun
(governante) - gli shōgun sostenevano di governare per delega
dell'imperatore, ma in realtà approfittavano dell'autorità
spirituale dell'imperatore, che, in quel periodo, era privo di ogni
potere-; mentre a un livello inferiore erano collocati i grandi
signori (daimyō). Il restante della popolazione era
organizzata nella struttura 士農工商
shi-nō-kō-shō che comprendeva quattro grandi classi:
- i samurai (o uomini d'arme);
- gli agricoltori (o contadini);
- gli artigiani (o manifatturieri);
- i mercanti;
Al di sotto della struttura
shi-nō-kō-shō vi era la gente considerata ad un livello “subumano”
come gli Hanin (ovvero i “non- essere umani”) e gli
“eclusi”, situati più in basso degli Hanin.
I samurai
Oltre la categoria dei signori feudali
(daimyō), l'aristocrazia comprendeva anche i samurai (o
uomini d'arme) che erano sotto la sudditanza militare di un daimyō.
I samurai per mantenersi ricevevano un compenso annuale in riso,
donato dal signore in cambio del servigio ottenuto.
I signori feudali erano i possessori di
grandi quantità terriere (particolarmente di risaie) dalle quali
ricavavano un abbondante reddito e, inoltre, per amministrare il
proprio han (feudo), il daimyō (signore feudale) agiva da una
città fortificata dove abitava con i suoi samurai.
Il rapporto tra classe feudale e terra
determinò una commercializzazione dell'economia, ma a questo potere
economico i samurai non presero parte. In questa situazione,
l'aristocrazia giapponese diventò un apparato burocratico, dove i
samurai si posizionarono come classe dominante e come leader
culturali della società, sfruttando il lavoro degli altri. Con i
privilegi politici, giuridici ed economici ricevuti dallo shogunato
dei Tokugawa, i samurai, dunque, si consideravano un gruppo sociale
diverso dalle classi inferiori.
I contadini
Più di tre quarti della popolazione
giapponese era formata da contadini con un livello di vita molto
basso e un potere politico inesistente. L'attività agricola
rappresentava il fondamento economico dei daimiati e dello shōgunato
che utilizzava come prodotto agricolo fondamentale il riso, sottratto
ai contadini sotto forma di rendita (affitto) o di imposte.
I contadini erano soggetti a varie
tassazioni dalla politica agraria dei Tokugawa, in cui i politici
avevano considerazione per l'agricoltura ma non per gli agricoltori.
Per far fronte a queste imposizioni il contadino si rivolgeva
all'usuraio offrendo la propria terra come garanzia, ma se non
riusciva a soddisfare le condizioni poste dall'usuraio (contadino
ricco di una vecchia famiglia che aveva accumulato molte terre), il
contadino cedeva il possesso della terra e l'usuraio ne diventava
legalmente il coltivatore.
Tra gli aggravi posti ai contadini
troviamo quelli elencati dal consigliere Tokugawa, Matsudaira
Sadanobu: «Vi sono innumerevoli altre tasse, come una tassa sui
campi, una sulle porte, una sulle finestre, una tassa sui bambini di
sesso femminile a seconda dell'età, sulla stoffa, sul saké, sugli
alberi di nocciolo, sui fagioli, sulla canapa…se il contadino
aggiungeva una stanza alla sua capanna anche per questo veniva
tassato. Nominalmente la tassa è un koku di riso e un katori di
seta, ma di fatto con la corruzione e l'estorsione essa aumenta di
tre volte. Durante il periodo del raccolto, degli ufficiali compiono
giri di ispezione e alloggiano tra gli abitanti del posto. Se
l'ospitalità è povera essi aumentano le esazioni o impongono del
lavoro coatto alla famiglia. Le tasse vengono raccolte con alcuni
anni di anticipo e le altre di esazione e di tirannia non si
contano». A causa delle tassazioni e di uno stile di vita misero, i
contadini si opposero alle esazioni fiscali con una resistenza
passiva, che comportò la fuga verso le città, e una resistenza
attiva, che avviò l'inizio delle rivolte minacciando le forze del
regime feudale.
Gli artigiani
La classe artigiana, nonostante la
posizione bassa nella scala sociale, svolgeva uno stile di vita
produttivo ed efficiente. Gli artigiani non possedevano alcun potere
politico, ma le loro attività erano essenziali per lo sviluppo del
commercio interno.
I mercanti
I chōnin (borghesi o classe
mercantile), collocati per ultimi nella gerarchia sociale, erano
considerati una classe improduttiva, che avrebbe utilizzato qualunque
mezzo per fare denaro. Oltre alle limitazione imposte dalle autorità
(abbigliamento, uso di calzature), i chōnin non potevano né
utilizzare un nome simile a un nome di daimyō, né vivere nel
distretto dei samurai.
Con l'aumento dell'economia monetaria
nella società feudale, l'attività produttiva dell'agricoltura e
delle manifatture accrescevano notevolmente, esortando lo sviluppo di
città commerciali nelle quali il mezzo circolante era la moneta. Il
centro di ricchezza dei chōnin era la città di Osaka basata
sul sistema sankin kōtai: i daimyō convertivano in
denaro i loro redditi in riso per saldare i debiti del sankin.
Alla fine del periodo Tokugawa i chōnin
esercitavano le funzioni di una banca centrale, gestendo la
commercializzazione economica; essi diventarono dei “quasi-samurai”,
guadagnando redditi pari a quelli dei daimyō di grado inferiore.
L'incursione occidentale
Durante lo shogunato Tokugawa il
Giappone viveva in una politica di isolamento (sakoku), con unico
contatto occidentale una colonia commerciale olandese, situata
nell'isola di Deshima (Nagasaki).
A infrangere l'isolamento del Giappone
furono tre grandi paesi occidentali: la Russia, l'Inghilterra e gli
Stati Uniti. All'inizio del Settecento, la Russia aveva avuto
precedenti scontri con il Giappone nell'isola di Sachalin e nelle
Curili, ma lo shogunato era sempre riuscito a mantenere la propria
autorità e indipendenza. L'Inghilterra aveva mostrato scarsa
attenzione verso il Giappone, poiché interessata al possedimento
coloniale indiano e al desiderio di fare della Cina un mercato per
l'oppio indiano. Questa ambizione provocò la Guerra dell’oppio del
1840-1842, con risultato l'indebolimento del governo cinese e il
primo possedimento coloniale inglese in Cina (Hong Kong). L'esito di
questa guerra cambiò l'equilibrio dei poteri in Asia.
Quando gli Stati Uniti lanciarono il
loro attacco nel 1853 con le navi nere al comando del commodoro
Matthew Perry, lo shogunato cedette e nel 1854 firmò la convenzione
di Kanagawa con cui si aprirono diversi porti al commercio e i
giapponesi si impegnarono a sostenere e proteggere i marinai
americani. Nel 1853, un mese dopo Perry, era arrivata la delegazione
russa capitanata dal contrammiraglio Evfimij Vasil'evič Putjatin, e
nonostante questa perse molte delle proprie navi nello tsunami del
1854, nel 1855 la Russia e il Giappone firmarono il trattato di
Shimoda, con cui il Giappone concedeva molti degli stessi diritti ai
russi e cedeva parte dell'isola di Sachalin. La Russia, dunque,
rappresentava per il Giappone più una minaccia territoriale e
militare che una minaccia economica e commerciale.
Ponendo fine alla politica di
isolamento, nel 1858 il Giappone firmò dei trattati ineguali,
inizialmente con gli Stati Uniti (29 luglio), poi con l'Olanda (18
agosto), la Russia (19 agosto), l'Inghilterra (26 agosto) e la
Francia (9 ottobre), che consentirono “l'apertura dei porti” e lo
sviluppo del commercio straniero. La cessione al ricatto militare fu
però percepita come un'onta e una sconfitta da gran parte della
casta samurai, provocando un periodo di instabilità politica noto
come bakumatsu, che porterà alla guerra Boshin ed al crollo dello
shogunato stesso (Rinnovamento Meiji).
La Restaurazione 1853-68
Tokugawa Yoshinobu,
l'ultimo shōgun prima della Restaurazione Meiji, 1867.
Nel periodo 1853-1868 lo shōgunato
Tokugawa iniziò a perdere il controllo sul proprio sistema a causa
delle continue minacce dalle forze anti- Tokugawa. In alcuni han
(feudo) alcuni samurai rimasero devoti al Bakufu; altri, come i
samurai di rango inferiore e i [rōnin] (samurai senza
padrone), in particolare i grandi clan occidentali di Satsuma,
Chōshū, Tosa e Hizen, si ribellarono al governo centrale. Tra
questi samurai, alcuni erano interessati al proprio inserimento nel
campo militare e nella politica antifeudale; altri erano interessati
a ristabilizzarsi economicamente.
In questo periodo, inoltre, il potere
dell'imperatore assunse una forza politica autonoma, diversa dalla
persona dello shōgunato. La protesta al governo centrale (shōgunato)
palesava l'intenzione di voler cambiare la tradizionale autocrazia
dello shōgun in un sistema di potere policentrico, riducendo
maggiormente il potere del governo centrale. Tra i grandi clan
occidentali, quello di Chōshū contribuì maggiormente al
rovesciamento dello shōgunato Tokugawa. Il clan era scisso in due
movimenti, il partito, conservatore, della visione volgare
(Zokuronto), e il partito, radicale, della visione illuminata
(Kaimeito). Dal 1864 al 1866 Chōshū minacciò militarmente
il potere centrale, ma dovette allearsi con il clan di Satsuma
(inizialmente suo acerrimo nemico) per poter sconfiggere gli eserciti
di Tokugawa e riscontrare una grande vittoria contro lo shogunato.
Nell'agosto del 1866 lo shōgun morì,
e come suo successore fu nominato Tokugawa Yoshinobu, che assunse la
carica il 10 gennaio del 1867. Lo shōgunato di Yoshinobu durò pochi
mesi, e nel novembre del 1867 egli presentò le sue dimissioni,
cedendo i suoi poteri alla corte, che intimò i feudi di Chōshū e
Satsuma di attaccare il Bakufu.
Nel gennaio 1868, con un colpo di
Stato, gli han sostituirono le truppe dei Tokugawa a Kyoto, e
il 3 gennaio fu comunicata la Restaurazione Meiji che restituì il
potere all'imperatore dopo secoli di dominio degli shōgun. La
necessità di una restaurazione fu un moto “negativo” utile ad
eliminare un regime politico diventato ormai inefficiente, e il
desiderio di affidare il potere governativo ai samurai di rango
inferiore. Tra questi samurai erano inclusi Kido Takayshi, Okubo
Toshimichi, Saigo Takamori, Omura Masujiro, Ito Hirobumi, Inouye
Kaouru, mentre i leader dei clan, come Shimazu Hisamitsu di Satsuma,
Mori Motonari di Choshu, Yamanouchi di Tosa, progressivamente
uscirono dalla scena.
Il Nuovo Stato Meiji
Dalla caduta del Bakufu (1867-68) alla
promulgazione della costituzione (1889) e alla convocazione della
prima Dieta (1890), vennero impiegati vent'anni per la costruzione
del nuovo stato Meiji; ma nel nuovo governo non venne abbandonato
completamente il vecchio sistema statale, nonostante l'allontanamento
della famiglia Tokugawa e la caduta dello shogunato precedente.
Il primo incarico esercitato dal nuovo
governo Meiji fu quello di bloccare il potere dei signori feudali e
dare qualche privilegio alla classe dei samurai rimasta insoddisfatta
dal regime precedente. In seguito a numerosi contrasti, nel luglio
1869, i daimyō furono nominati dal nuovo stato come governatori dei
loro feudi. Nel 1871 i feudi vennero soppressi, e questo permise di
completare la centralizzazione “formale” del potere e rinforzare
l'istituto imperiale; non tutti i signori feudali approvarono di
rinunciare ai loro feudi, ma per mantenere l'ordine all'interno del
regime (intorno al 1875 si manifestarono numerose ribellioni), il
governo centrale persuase i daimyō con promesse di forti ricompense.
Oltre al compromesso con i daimyō, il
governo si accordò anche con la classe dei samurai, e il 29 agosto
1871 approvò una legge che consentiva loro di svolgere qualsiasi
occupazione nel campo degli affari e nella pubblica amministrazione
(tra le varie occupazioni, una quantità di samurai si concentrò
nell'organo istituzionale della polizia; un'altra quantità fu
arruolata nell'esercito imperiale). Con l'abrogazione dei feudi la
sudditanza dei daimyō sui samurai terminò; il mantenimento della
classe dei samurai fu assunto dal governo centrale, che versava loro
remunerazioni.
Fra il novembre 1874 e l'agosto 1876 il
governo convertì le remunerazione dei samurai in titoli pubblici, e
concesse loro prestiti che permisero la costruzione di circa duecento
imprese individuali. Questa procedura rafforzò l'alleanza politica
fra aristocrazia e borghesia nel contesto economico.
Il ruolo dell'Esercito
Dal 1871 al 1873 i leader del nuovo
regime si recarono all'estero per studiare le istituzioni degli altri
paesi ed eventualmente applicarle sul sistema governativo giapponese.
Durante questi anni il governo centrale acclamò la legge sulla
coscrizione obbligatoria, che fece sorgere disordini e ribellioni
contadine, rischiando la prima vera rivoluzione del primo periodo
Meiji. Al loro ritorno in patria, tra i membri del nuovo regime
iniziarono discordie riguardanti progetti politici, come l'invasione
della limitrofa Corea. Il maggiore sostenitore di questo progetto fu
Saigo Takamori del feudo di Satsuma, che, oltre ad affermare
pienamente questa idea, intendeva costruire un esercito nazionale di
samurai come mezzo difensivo del paese.
Gli altri leader del nuovo regime, in
particolare Okubo Toshimichi, criticarono duramente le proposte di
Saigo sostenendo che una eventuale invasione del Giappone sulla Corea
avrebbe comportato uno squilibrio nel rapporto con i paesi
occidentali. In seguito all'annullamento del progetto, Saigo si
dimise dal governo lasciando il controllo delle forze armate a
Yamagata Aritomo del clan di Choshu. Nel 1877 Saigo Takamori
organizzò una rivolta feudale (la rivolta di Satsuma) contro il
governo centrale, ma l'esercito di Saigo, composto principalmente di
samurai, fu annientato dall'esercito imperiale capitanato da Yamagata
Aritomo.
Nel 1878 l'esercito imperiale organizzò
una insurrezione come protesta per il mancato pagamento del soldo e
di un compenso speciale assicurato alle guardie per i compiti svolti
durante la rivolta di Satsuma. Per far fronte a questa insurrezione,
Yamagata impose l' “Ammonizione ai soldati”, ovvero una
disposizione che prevedeva l'obbedienza assoluta allo stato e
all'imperatore. Nel 1878-79 Yamagata, con l'aiuto del suo
collaboratore Katsura Taro del clan di Chōshū, inserì un nuovo
organismo (comando supremo) nello Stato Maggiore, che fu adoperato
come suggeritore dell'imperatore per le questioni militari. I
movimenti compiuti da Yamagata Aritomo, principalmente di stile
“feudale”, perdurarono fino alla metà del ventesimo secolo.
Il nuovo prospetto istituzionale
Il prospetto istituzionale del nuovo
stato fu creato unendo le pubbliche proclamazioni con una serie di
istituti costituzionali pseudodemocratici, e al suo interno
l'immagine dell'imperatore diveniva sempre più significativa; la
coalizione pubblicò un documento liberale, con il nome “Giuramento
della Carta”, a favore dell'imperatore Meiji.
Con il “Giuramento della Carta”,
nel giugno 1868 fu proclamata la prima costituzione, che enunciava i
pieni poteri del governo centrale, ma fu ancora un sistema
oligarchico a prendere le decisioni politiche del paese. Dalla
proclamazione della prima costituzione, il regime governò in modo
irresponsabile e autoritario con nessuna opposizione da parte della
classe dominante. Ma nel 1881 da una disputa tra il gruppo di Okuma
Shingenobu e quello di Ito Hirobumi, scoppiò una grande crisi.
Con una richiesta all'imperatore, Okuma
(membro del governo) invocò il desiderio di trasformare il governo
in forma parlamentare, ma questo minacciava seriamente la posizione
dominante di Ito e del suo gruppo all'interno del governo. Per
mantenere la sua posizione all'interno del governo e ottenere le
dimissioni di Okuma, Ito dovette sottostare alla richiesta del gruppo
di Okuma: convocare un Dieta per il 1890.
L'istituzione imperiale
Nel corso del regime Tokugawa
l'imperatore non esercitava nessun potere poiché era sotto
l'autorità dello shogunato, ma, con l'indebolimento del Bakufu nella
metà del 1800, l'imperatore nel 1846 e nel 1858 adempì a due
interventi politici diretti, che liberarono lo shogunato da ogni
potere.
Per usufruire delle “credenziali
imperiali” e ottenere il sostegno popolare, il nuovo regime e i
nuovi governanti proposero lo shintoismo come religione di Stato,
eliminando qualsiasi legame che questo aveva con le altre religioni
(buddhismo, confucianesimo). Questa proposta non riuscì sia perché
le altre religioni erano più forti dello shintoismo, sia perché
queste erano legate tra loro nella coscienza popolare; nel 1873 il
governo sospese qualsiasi appoggio economico ai templi e rinunciò al
proselitismo dello shintoismo imperiale.
Successivamente l'istituzione imperiale
si concentrò su altri obiettivi, come la trasformazione del sistema
educativo apportata nella riforma del 1872. La necessità di nuovi
metodi di insegnamento nel sistema educativo fu evidente poiché «il
tradizionale insegnamento etico confuciano fu svalutato come meschino
e inutile, ma qualsiasi insegnamento morale scomparve virtualmente
dai programmi di studio, e i libri di testo prescritti per i corsi di
morale diventarono una ridicola silloge di brani tradotti da oscure
opere straniere di etica e di diritto». Tra i brani tradotti, quello
preso maggiormente in considerazione fu la traduzione di un testo
scolastico francese di ispirazione cattolica.
La riforma scolastica del 1872 simboleggiò un momento di
liberazione dalla realtà giapponese, ma l'evidente ascendenza
dall'idee straniere era palese per i tradizionalisti, che accusarono,
in particolare, il primo ministro della pubblica istruzione Tanaka
Fujimaro. Nonostante le accuse, la riforma continuò ad essere uno
strumento fondamentale per lo sviluppo del nuovo stato, in
particolare per l'istituzione imperiale.La politica agraria
Durante il periodo Tokugawa
l'organizzazione politica giapponese era di tipo feudale, con un
sistema mercantile caratterizzato da un tasso di commercializzazione
elevato. Nel periodo Meiji, invece, lo Stato, per garantirsi entrate,
ideò un sistema di rilevazione catastale del territorio in modo che
la produzione agricola rappresentasse il fondamento per
l'accumulazione del capitale.
Nel 1870 il nuovo governo riordinò il
sistema di tassazione e la proprietà terriera: da una parte era
necessario trovare una intesa tra il governo e l'aristocrazia, che
era contraria all'espropriazione terriera; dall'altra, era necessario
che l'agricoltura diventasse il fondamento di tutto il sistema
economico.
Tre anni più tardi, per evitare un
calo di reddito a causa di un raccolto inefficiente, il governo
pubblicò una nuova legge sulla tassa fondiaria, che «modificò il
sistema di imposizione, trasformando il tributo da un'imposta sul
raccolto, calcolata come percentuale sulla quantità di riso
prodotto, o sul suo equivalente in denaro, in un'imposta sul valore
della terra, calcolata come percentuale di questo stesso valore».
Nello stesso anno fu introdotta una
nuova imposta fondiaria, basata su dei certificati di proprietà
assegnati dal governo, che consentì il passaggio dal sistema feudale
al sistema della proprietà privata della terra; ma, con la nuova
imposta, le proprietà terriere diventarono private (le attività,
come il pascolo e il legnatico, furono rimosse), le proprietà dei
daimyō e dell'imperatore aumentarono notevolmente e i diritti
feudali non furono abrogati del tutto.
Dal 1880 in poi, l'aumento della
proprietà imperiale fu mantenuto dalla politica deflattiva: il
ministro delle finanze, Matsukata Masayoshi, impose tasse gravose sui
piccoli proprietari (contadini), e i grandi proprietari terrieri
richiesero rendite elevate ai loro affittuari; non riuscendo a
sostenere l'imminente carico fiscale, circa 368000 contadini persero
la loro terra.
La politica industriale
Durante il periodo Meiji il nuovo
regime dichiarò di voler rafforzare, modificare ed espandere
l'economia nazionale, per preservare il territorio ed evitare assalti
dalle potenze straniere. Il sistema di protezione crollò nel 1850
con i trattati internazionali, che permisero al Giappone di
sviluppare i contatti con le terre straniere.
La prima mansione compiuta dallo Stato,
per l'espansione dell'economia, fu la vendita dell'oro all'estero,
accumulato in tutto il paese sotto il regime Tokugawa. Da qui in poi
le importazioni aumentarono rapidamente nel sistema di commercio:
- nel 1863 rappresentarono il 34 per cento;
- nel 1867 salirono al 61 per cento;
- nel 1870 aumentarono fino al 71 per cento;
Nel 1870, dunque, l'importo delle
esportazioni era di circa 14 milioni di yen, mentre quello
dell'importazioni arrivava a 34 milioni di yen. Con il periodo Meiji
si diffusero i primi elementi caratteristici del capitalismo, ad
esempio la partecipazione dello stato nella formazione,
nell'investimento e nell'accumulazione del capitale; il dominio dello
stato sull'attività bancaria; l'intervento e la guida dello stato
nel commercio estero; le ordinanze contro il capitale estero; i
risparmi pubblici; le basse uscite per i beni di consumo; l'assenza
di servizi sociali.
L'espansione del capitale
Per espandere il capitale all'interno
del paese, il nuovo governo Meiji utilizzò tre fattori essenziali:
le imposte, la produzione del credito e lo sfruttamento del
proletariato; tra le imposte, quella fondiaria continuava a
finanziare il reddito governativo.
Con la politica deflazionistica di
Matsukata Masayoshi, le tassazioni sulle rendite capitalistiche e
sulla proprietà procurarono appena il 15 per cento dell'incasso
tributario nazionale globale; ciò comportò un crollo dei prezzi, la
distruzione di piccole e medie industrie e il reinvestimento di
profitti degli imprenditori.
Nel primo periodo Meiji la produzione
del credito dipendeva da entrate “straordinarie” e da prestiti
stranieri concessi allo Stato e non ai privati. Per mantenere il
pieno dominio su questi prestiti e su queste entrate, il ministro
delle finanze Matsukata istituì la prima banca centrale del Giappone
nel 1882. In seguito, il nuovo governo adottò un sistema di
isolamento, limitando gli investimenti stranieri in beni di prima
necessità e restituendo i prestiti esteri ricevuti.
Dall'organizzazione all'accrescimento del capitale, una classe
sociale particolarmente disagiata fu quella proletaria. I lavoratori
erano sottomessi, politicamente e giuridicamente, alla classe
dominante tramite numerosi mezzi, come salari sommessi, misere
condizioni di lavoro nelle miniere, nelle fabbriche e nei dormitori,
violenze nell'assunzione e nel mantenimento della manodopera.