giovedì 12 giugno 2014

Baguazhang





Ba Gua Zhang (cinese: 八卦掌, Pinyin: Bāguàzhǎng, WG: Pa Kua Chang), ovvero il palmo degli 8 trigrammi, è uno degli stili fondamentali delle scuole interne del Kung-fu insieme al Taijiquan ed allo Xingyiquan.




Origine

L'origine del Palmo degli Otto Trigrammi è un argomento controverso, infatti oggi risulta molto difficile risalirne alle origini chiaramente.
«Nessuno attualmente conosce con esattezza chi abbia creato il Baguazhang. Infatti è solo nella Dinastia Qing che è stata composta la sua storia con informazioni di prima mano.»
(The History of Baguazhang)



Come per gli altri stili interni sembra derivare dalla combinazione delle vecchie tecniche di combattimento con gli esercizi respiratori e meditativi dei monaci taoisti.
  • Alcuni praticanti di questo stile, tendono a riconoscere una traccia di esso nel "Lan Yi Waishi", (蓝簃外史, Storia non ufficiale della stanza secondaria blu) opera nella quale si racconta che nel 1797 Wang Xiang (王祥), maestro dello Shandong, aveva insegnato il metodo del pugilato a Feng Keshan[3] ed in una confessione di uno dei rivoltosi, tale Niu Liangchen, si raccontava che nel 1810 Feng Keshan aveva mostrato i Bafangbu (Passi nelle Otto Direzioni) paragonandoli agli Otto Trigrammi.
«Nel secondo anno di Jiaqing (1797), c’era una persona di Jining in Shandong chiamato Wang Xiang che insegnò a Feng Keshan il metodo di Pugilato, Keshan apprese la sua arte completamente. Nella primavera di Gengwu (1810), Niu Liangchen vide che il metodo di pugilato di Keshan conteneva i Passi nelle Otto Direzioni e disse: “I tuoi passi sono simili agli Otto Trigrammi”. Keshan domandò: “Come fai a conoscere ciò?” Liangchen rispose: “Perché io pratico il Trigramma Kan” (坎卦). Keshan disse “Io sono del Trigramma Li” (离卦). Lianchen affermò: “Tu sei Li, io sono Kan, noi uomini di Li e Kan ci riuniamo nello stesso Palazzo, e perciò possiamo praticare insieme e scambiarci insegnamenti.»
(Storia non Ufficiale della Stanza Secondaria Blu)



Proprio in questi passi molti vogliono ritrovare l'origine del Baguazhang, però Feng Keshan era un praticante di Meihuaquan ed in questo stile esiste un gruppo di passi detti appunto Passi nelle Otto Direzioni.
  • La maggior parte dei praticanti oggi attribuisce la creazione di questo stile a Dong Haichuan (Tung Hai-Ch'uan in Wade-Giles, 董海川), eunuco che per alcuni sarebbe nato nella provincia cinese di Hebei nel 1813, morto a Pechino nel 1882. Sicuramente è a lui che si deve l'enorme diffusione di questa arte marziale.
Si pensa che Dong Haichuan possa aver creato il Baguazhang unendo le proprie conoscenze marziali ad esercizi appresi da Preti Taoisti, in particolare ad una meditazione camminata in cerchio della Setta Quanzhen, perciò si è cercato di risalire a quali stili egli potesse aver praticato durante la sua giovinezza fino a quando arrivò a Pechino. Alcune fonti riportano che egli avesse conoscenze di Erlangquan, altre di Luohanquan. Gli apprendimenti di matrice Taoista sarebbero invece il frutto di un viaggio che per oscuri motivi, Dong Haichuan, intraprese attraverso la Cina, visitando alcune montagne famose. C’è anche chi si spinge ad affermare che in realtà lo stile sia stato creato da Dong assieme a Yin Fu durante un lungo viaggio che fecero insieme in Mongolia; inoltre ogni allievo di Dong Haichuan ricevette un insegnamento personalizzato che si adattava alle conoscenze che ciascuno di loro aveva prima di incontrare questo maestro.




  • Esistono anche attribuzioni a personaggi differenti: per esempio i praticanti di Jiulong Baguazhang ne attribuiscono la creazione al Maestro Taoista Li Ching-yuen.
  • Molti suppongono, a torto o a ragione, che il Baguazhang, del giorno d'oggi derivi da una particolare scuola di pugilato dell'Henan, conosciuta come Yin Yang Bapan Zhang ( 阳八盘掌, palmo Yin Yang delle otto rotazioni). Le ricerche del Professor Kang Gewu avrebbero dimostrato che anche questo stile è un ramo del baguazhang insegnato da Dong Haichuan, sviluppatosi attraverso la linea di Liu Baozhen.
  • I praticanti di Tianshi Yin Yang Baguazhang (田氏阴阳八卦掌) credono che il Baguazhang sia stato creato da due Preti Taoisti, Bi Yun (碧云) e Jing Yun (静云), sull'Emeishan e sul Qingchengshan (青城山), nella provincia di Sichuan, tra la fine della Dinastia Ming e gli inizi della Dinastia Qing. Il maestro Tian Ruhong (田如宏) apprese questo stile dai due sacerdoti, per poi tramandarlo a Tian Xuan, che lo insegnò in Shandong. Come per il Bapanzhang, Kang Gewu ritiene che anche questo Palmo degli Otto Trigrammi provenga da un lignaggio di Dong Haichuan, esattamente attraverso Shi Junjie (史俊杰).

Il Baguazhang a Pechino

L'unica notizia certa sul Baguazhang è che questo stile compare a Pechino ( a cavallo tra il 1860 e il 1880 ) per opera di Dong Haichuan maestro nativo di Zhujiawu 朱家坞村, villaggio del distretto di Wenan 文安 nella Provincia di Hebei, in particolare quando trovò lavoro come cameriere presso il palazzo del Principe Su (). Il principe Su chiese a Dong Haichuan come si chiamasse il suo stile di Pugilato e Dong Haichuan rispose semplicemente Palmo che Ruota (轉掌, 转掌, zhuǎnzhǎng , Chuan Chang ). Dong Haichuan fu ingaggiato nella dimora del Principe Su come servitore. Circa nel 1866, il principe radunò un folto numero di persone, tra cui anche numerosi esperti di Arti Marziali della capitale. Dong venne incaricato di servire il tè al principe, che si trovava in una stanza circondato dalla calca degli astanti, che impediva il passaggio a Dong. Sotto gli sguardi stupiti di tutti, Dong raggiunse il principe saltando ed evitando gli "ostacoli" umani sul suo cammino. Questo comportamento stupì molto il principe, che chiese a Dong Haichuan di confrontarsi con una sua guardia del corpo, tale Quan Kaiting. Quan lo avrebbe attaccato addirittura con una sciabola, ma Dong schivò e respinse tutti i suoi colpi. Tantissimi sono gli aneddoti come questo, che si narrano su Dong Haichuan. Uno dei più famosi vuole che Dong Haichuan abbia combattuto un duello con Guo Yunshen, famoso maestro di Xingyiquan. I due si sfidarono in combattimento, per ben tre giorni e tre notti, ma purtroppo nessuno dei due ebbe la meglio sull'altro.I due maestri constatarono la validità dello stile dell'altro e, spinti da rispetto reciproco, decisero di insegnare ai rispettivi allievi il Baguazhang e lo Xingyiquan come stili complementari. Naturalmente per molti praticanti di Baguazhang e Xingyiquan, non si tratta che di una favola.


Lo stile

La struttura del Baguazhang è basata sulla cosmologia taoista ed in particolare sul Yijing (Il libro dei mutamenti) che cataloga i fenomeni dell'universo in gruppi di otto (questo era considerato un numero magico dagli antichi cinesi). Per questo motivo le tecniche del Bagua sono suddivise in gruppi di 8: esistono infatti 8 palmi (ovvero posizioni del palmo della mano da tenere durante le tecniche), 8 passi fondamentali e così via.
Alla base del Baguazhang, vi sono svariati movimenti del palmo della mano, e movimenti circolari. Il corpo appare stabile e ben posizionato, tuttavia il bacino deve, per effettuare i continui movimenti circolari, essere flessuoso in armonia con i continui movimenti di palmo e braccia. La pratica di base, prevede dei movimenti di palmo che si rifanno allo Yin e allo Yang (elemento indispensabile nella pratica di questo stile interno), il livello superiore di questo stile, è rappresentato dalla “Forma del Drago”, nella quale si eseguono movimenti circolari (sempre intorno ad un ipotetico perno centrale), eseguendo contemporaneamente varie combinazioni di movimenti circolari, delle rotazioni, delle circonvoluzioni e movimenti verticali. Gli Otto Trigrammi (Bagua) associati alla simbologia di quest'arte, sono rappresentati in cerchio, in quanto rappresentano le otto direzioni.


La Trasmissione di Dong Haichuan

Oggi non si sa esattamente come fosse lo stile originario di Dong Haichuan. Le uniche informazioni certe sono che la sua tecnica si basava sulla Camminata Circolare e che conteneva due posture dette Cambiamento Semplice (Danhuanzhang, 单换掌) e Cambiamento Doppio di Palmo (Shuanghuanzhang, 双换掌).



I rami del Baguazhang

Dong Haichuan, secondo alcune teorie quindi, sarebbe stato solo la prima persona ad aver codificato la forma rudimentale di Baguazhang. Molte ramificazione, però, si verificarono dopo il suo contributo e discendono dal Baguazhang insegnato da lui e dai suoi allievi. Questi alcuni rami oggi conosciuti di Baguazhang:
  • Scuola Yin di Baguazhang;
  • Scuola Cheng di Baguazhang;
  • Scuola Liu di Baguazhang;
  • Scuola Liang di Baguazhang;
  • Scuola Cao di Baguazhang;
  • Scuola Song di Baguazhang;
  • Scuola Fan di Baguazhang;
  • Scuola Jiang di Baguazhang;
  • Yin Yang Baguazhang;
  • Qian Kun Baguazhang;
Tutti hanno in comune la matrice legata agli Otto Trigrammi e Sessantaquattro Tecniche, corrispondenti alla numerologia dell'Yijing derivata e connessa agli Otto Trigrammi stessi(Bagua).



Yin Yang Bapanzhang

I principi del Palmo Yin Yang degli Otto Piatti furono enunciati nel 1937 in Yin Yang Bapan Zhangfa (阴阳八盘掌法, Metodo del palmo di Yin e Yang e Otto Piatti), un'opera di Ren Zhicheng (任致诚), nella quale egli illustra le varie tecniche di palmi, l'andatura, e i passi in circolo. Il nome Palmo Yin Yang degli Otto Piatti o degli Otto Attorcigliamenti (陰陽八盤掌, 阴阳八盘掌, yīnyángbāpánzhǎng , Yin Yang Pa P’an Chang ), che in ogni caso fa riferimento ai principi dello Yin e dello Yang, ha avuto due interpretazioni: la prima indicherebbe le Otto Parti del Corpo che sono strettamente collegate alla pratica ed agli Otto Trigrammi; la seconda, riportata da Ren Zhicheng, lo spiega con le Otto Posture. Le otto parti del corpo umano coinvolte nei movimenti chiave di questo stile sono: spalla, gomito, pugno, petto, addome anca, ginocchio e caviglia . Nel manuale di Ren Zhicheng, vengono menzionate inoltre le otto tecniche denominate maggiori (ba da shi), supportate da ben cinquantasei tecniche minori (xiao shi); si noti che sommando tutti gli elementi, risulta che questo stile è composto da ben Sessantaquattro elementi, che corrispondono al numero degli esagrammi dell'I Ching. Secondo Ren Zhicheng, egli avrebbe appreso un sistema più completo di quello insegnato da Dong Haichuan, da Li Zhenqing (李振清, 1830-1900). Questo sistema era detto Baguazhang o Yin Yang Bapanzhang e Li lo aveva appreso circa nel 1850 in Henan. Oltre a Ren Zhicheng ebbe come allievo Xiao Haibo (萧海波), Liu Baozhen ed altri.
« L'arte è stata tramandata nel diciannovesimo secolo da Dong Linmeng (anche chiamato Dong Menglin e Bi Dengxia ) nella provincia di Henan ai suoi tre discepoli: Xue Yonghe, Li Zhenqing e Dong Hanqing (che si dice essere stato un altro nome di Dong Haichuan). Li Zhenqing (ab.1830-1900; nativo della contea di Ba nella provincia di Hebei) imparò l'arte circa 1850 e nel 1870 la portò nel suo luogo di nascita. I tre allievi più famosi di Li Zhenqing erano Liu Baozhen, Xiao Haibo e Ren Zhicheng, autore del famoso del libro "Yin Yang Bapanzhang".»
(Brief Introduction to Yin Yang Bapanzhang)



mercoledì 11 giugno 2014

Bodhidharma

Bodhidharma (India, 483 circa – Tempio di Shaolinsi, 540) è stato un monaco buddhista indiano, 28° patriarca del Buddhismo indiano secondo la tradizione Chán/Zen, appartenente alla corrente Mahāyāna, ed erede del Dharma, secondo il lignaggio Chán, del maestro Prajñātāra.
Originario, secondo alcuni tardi resoconti della sua vita, dell'India e di nobile casata, o brahmano, ritenuto primo patriarca del Buddhismo Chán (Zen in Giappone), da lui sarebbe nato anche, secondo alcune tarde leggende, lo stile di combattimento di Shàolínquán (少林拳).



La presenza storica

Nonostante le diverse agiografie che si susseguirono nel corso dei secoli, sulla figura di Bodhidharma possediamo una sola testimonianza contemporanea della sua esistenza: negli "Annali dei Monasteri di Loyang" (洛陽伽藍記 Luòyáng qiélán jì, giapp. Rakuyō garan ki, T.D. 2092.51.999-1022) scritto nel 557 da Yáng Xuànzhī (楊衒之, ?-?), compare la presenza di Bodhidarma, indicato come "un persiano dagli occhi blu sui 150 anni di età" che praticava la recitazione del nome del Buddha (念佛, niànfó, giapp. nenbutsu) e che aveva espresso parole di elogio per alcuni templi cinesi da lui visitati.
La fonte più importante sulla vita di Bodhidharma resta dunque lo Xùgāosēngzhuàn (續高僧傳, T.D. 2060.50.425a-707a) redatto da Dàoxuān (道宣, 596-667) nel 645, e rivisto da lui stesso prima della sua morte, nel 667. In questa opera Dàoxuān parla di un brahmano originario dell'India meridionale che arrivò in Cina per diffondervi le dottrine del Mahāyāna. Giunto per mare a Nanyue, durante la Dinastia Song meridionale (420-479), raggiunse da qui la capitale della Dinastia Wei settentrionale (384-534) Luoyang, dove cercò di raccogliere, ma senza successo, dei discepoli, incontrando persino maldicenze. Solo in due lo seguirono, Huìkě ( 慧可, 487-593) e Dàoyù (道育,?-?). A loro trasmise la dottrina del Laṅkâvatārasūtra (Il Sutra della discesa a Lanka, 楞伽經 pinyin Lèngqiéjīng, giapp. Ryōgakyō), che riteneva più adatta ai cinesi e la tecnica della meditazione del bìguān (壁觀, guardare il muro) per mezzo della pratica (行入 xíngrù ) e del principio (理入 lǐrù). Dàoxuān afferma che Bodhidharma morì sulle rive del Fiume Lo il quale, essendo noto come terreno di esecuzioni, fa supporre che fu giustiziato durante le ribellioni del periodo della Dinastia Wei settentrionale.
Tuttavia ad una attenta lettura, questa biografia presenta alcune contraddizioni: tratta di un maestro di dhyana che pratica lo "sguardo verso il muro" e che non stima le scritture, mentre contemporaneamente promuove un sutra di origine Cittamātra, il Laṅkâvatārasūtra. È evidente che Dàoxuān opera almeno su due fonti contraddittorie. Da una parte, sulla pratica del bìguān, si rifà allo Èrrù sìxíng lùn (二入四行論, giapp. Ninyū shigyō ron, Trattato sulle due entrate e le quattro pratiche) testo rinvenuto nella grotta n. 17 delle Grotte di Mogao, redatto a partire dagli insegnamenti del maestro intorno al 600 dal discepolo di Bodhidharma (ma più probabilmente un discepolo di Huìkě), Tànlín (曇林, 506–574); dall'altra, per le informazioni sul Laṅkâvatārasūtra, si rifà ad un erede della tradizione Chan, Fǎchōng (法沖, 587?-665).
Nella introduzione all'Èrrù sìxíng lùn, Tànlín, indica Bodhidharma come terzo figlio di un re 'brahmano' dell'India meridionale "attraversando montagne e mari". Di certo al tempo di Dàoxuān Bodhidharma non era ancora considerato il 28° patriarca indiano del Buddhismo Chan.
Altra considerazione importante, e storicamente abbastanza accertata, è che ai tempi di Dàoxuān, sul Monte Dòngshān (東山, Picco o Monte orientale), nasceva una nuova scuola forse di origine Tiāntái, fondata dai monaci Dàoxìn (道信, 580-651) e Hóngrěn (弘忍, 601-674) e praticante esclusivamente la tecnica del dhyāna. I discepoli di Hóngrěn, Fǎrù (法如, 638-689), Huìān (惠安 o 慧安, 582-709) e Shénxiù (神秀, 606-706), diffusero a Chang'an e a Luoyang le dottrine di questa nuova scuola, avviando la redazione del Chuánfǎbǎojì (傳法寶紀, giapp. Denhō bōki, T.D. 2838.85.1291) e del Lèngqié shīzī jì (楞伽師資記, giapp. Ryōgashijiki, T.D. 2837.85.1283-1291) in cui amalgamarono la tradizione monastica di Dòngshān e la tradizione scolastica del Laṅkâvatārasūtra. La nuova scuola buddhista cinese si sviluppò rapidamente e venne denominata come Dámózōng (達摩宗, dal nome del fondatore) o Lèngqiézōng (楞伽宗, dal nome del sutra di riferimento). Con la sua diffusione, il fondatore Bodhidharma acquisì conseguentemente le sue caratteristiche leggendarie.


La fondazione della scuola Chán e i suoi possibili primi lignaggi

Prajñātāra (cinese 般若多羅, Bōrěduōluó), leggendario maestro di Bodhidharma e XXVII patriarca indiano del Buddhismo Chán, in un'antica stampa cinese.
Esistono differenti e contraddittorie fonti sul lignaggio della scuola buddhista Chán e sul suo fondatore Bodhidharma, tutte risalenti tra il VII e il IX secolo.
  • Il primo documento del lignaggio Chán è rappresentato da un epitaffio collocato nei pressi del monastero Shàolín (少林寺). In questo epitaffio, denominato Epitaffio di Fǎrù (法如, o Fa-ju), databile intorno al 689, viene indicato il fondatore, Bodhidharma, seguito da altri cinque nomi: Huìkě (慧可, 487-593), Sēngcàn (僧璨,?-606), Dàoxìn (道信, 580 - 651), Hóngrěn (弘忍, 601 - 674) e Fǎrù (法如, 638-689).
  • Mentre nel Lèngqié shīzī jì (Memorie dei maestri e dei discepoli di Lanka, 楞伽師資記, giapp. Ryōga shiji ki, T.D. 2837.85.1283-1291) opera di Jìngjué (淨覺, 683-750?) allievo di Xuánzé (玄則, ?) a sua volta allievo di Shénxiù (神秀, 606?-706) fondatore della scuola Chán denominata Beizōng (北宗, Scuola settentrionale) si sostiene, invece, essere il fondatore di questa scuola il monaco indiano (o singalese) Guṇabhadra (cinese 求那跋陀羅, Qiúnàbátuóluó, 394-468), il secondo traduttore in cinese del Laṅkâvatārasūtra e in questa fonte considerato il maestro di Bodhidharma. Il Lèngqié shīzī jì omette peraltro Fǎrù e lo sostituisce come sesto patriarca con Shénxiù aggiungendo Pǔjí (普寂, 651-739) come settimo patriarca Chán.
  • Il Chuánfǎbǎojì (傳法寶紀 T.D. 2838.85.1291) opera dell'VIII secolo il cui autore è un non meglio conosciuto Du Fei segue l'elenco dell'Epitaffio di Fǎrù aggiungendo come settimo patriarca, dopo Fǎrù, Shénxiù.
  • Le fonti del Chán "meridionale", (denominato Nánzōng 南宗禪) come il Liùzǔ tánjīng (六祖壇經, Sutra della piattaforma del sesto patriarca, T.D. 2008.48.346a-362b) tradizionalmente attribuito a Huìnéng (慧能, 638-713), fanno invece seguire il quinto patriarca Hóngrěn da Huìnéng considerato il sesto ed ultimo patriarca cinese della scuola Chán. Tutte le scuole del Buddhismo Chán e del Buddhismo Zen oggi esistenti seguono questo lignaggio.
  • Un'altra fonte del Chán "meridionale", lo Yǒngjiā zhèngdào gē (永嘉證道歌, Canto dell'immediata illuminazione, T.D. 2014.48.395c-396c) opera del monaco Yǒngjiā Xuánjué (永嘉玄覺, giapp. Yoka Daishi, 665-713), discepolo di Huìnéng, il sesto patriarca Chán secondo la tradizione della scuola del Sud (Nánzōng 南宗禪), viene riferito per la prima volta che Bodhidharma è il ventottesimo patriarca di una trasmissione dell'insegnamento che ha in Mahākāśyapa, discepolo del Buddha Śākyamuni, il primo patriarca.
  • Nel Bǎolín zhuán (寳林傳) risalente agli inizi del IX secolo viene inoltre riportato il seguente lignaggio indiano di Bodhidharma: Buddha Śākyamuni 1. Mahākāśyapa 2. Ānanda 3. Śaṇakavāsa 4. Upagupta 5. Dhṛṭaka 6. Micchaka 7. Vasumitra 8. Buddhanandin 9. Buddhamitra 10. Pārśva 11. Puṇyayaśas 12. Aśvaghoṣa 13. Kapimala 14. Nāgārjuna 15. Kānadeva 16. Rāhulata 17. Saṅghanandin 18. Gayāśata 19. Kumārata 20. Jayata 21. Vasubandhu 22. Manorhita 23. Haklena 24. Āryasiṃha 25. Basiasita 26. Puṇyamitra 27. Prajñātāra 28. Bodhidharma. Anche questo lignaggio indiano è quello riconosciuto da tutte le scuole Chán/Zen oggi esistenti, che derivano dalle scuole Chan di lignaggio cosiddetto "meridionale" (南宗, nánzōng).

La vita secondo le agiografie

Entrata principale del Tempio di Shàolín sul monte Sōngshān.

Il Luòyáng qiélán jì (洛陽伽藍記)

Gli "Annali dei Monasteri di Loyang" (洛陽伽藍記 Luòyáng qiélán jì, giapp. Rakuyō garan ki, T.D. 2092.51.999-1022) scritto nel 557 da Yáng Xuànzhī (楊衒之), compare per la prima volta la presenza di un monaco di nome Bodhidharma. Qui Bodhidharma viene indicato come un monaco persiano che dichiara di avere 150 anni, che rimase colpito dalla magnificenza del monastero cinese di Younning. Considerando che questo monastero fu eretto nel 516 ma che andò distrutto nel 526, la visita del monaco persiano praticante la recitazione del nome del Buddha (念佛, niànfó, giapp. nenbutsu) deve essere avvenuta nel decennio intercorso tra queste due date.

L'introduzione all'Èrrù sìxíng lùn (二入四行論)

L'Èrrù sìxíng lùn è un testo che tradizionalmente viene attribuito a Bodhidharma ma si ritiene che l'autore sia Tànlín (曇林, 506–574), il monaco erudito e sanscritista seguace delle dottrine del primo Chán. All'inizio dell'opera vi è una introduzione in cui Tànlín fornisce una breve biografia di Bodhidharma. Qui Bodhidharma viene indicato come "maestro di Dharma" e non "maestro di dhyāna". Differenza importante in quanto escluderebbe la figura di Bodhidharma da quelle degli chánshī (禪師), maestri di meditazione itineranti, particolarmente diffusi in quel periodo in Cina. Sempre in questa biografia Bodhidharma viene indicato come terzo figlio di un importante re indiano che attraversò "montagne e mari" per portare il Dharma in Cina. Giunto in questo paese il suo insegnamento fu messo in ridicolo e solo due discepoli lo seguirono. Da notare che Tanlin parla di "montagne" e "mari" e non precisa che attraversò il mare. Lo studioso Jeffrey Broughton sostiene che fu quindi una cattiva lettura del testo da parte di Dàoxuān a generare la leggenda di un attraversamento dell'Oceano Pacifico per giungere in Cina. Probabilmente, invece, Bodhidharma giunse in Cina attraversando, come tutti i monaci, il Bacino del Tarim. Il testo, inoltre, sostiene che fu colpito dall'insegnamento Mahayana quando era laico e per questo "smise la bianca veste dei laici per indossare quella nera dei monaci".

Lo Xùgāosēngzhuàn (續高僧傳)

Un kakemono giapponese con Bodhidharma. Il testo dice: “Il Chán punta direttamente alla mente-cuore dell'uomo, guarda la tua vera Natura e diventa Buddha”. Fu dipinto dal grande maestro giapponese, di scuola Zen Rinzai, Hakuin (道元, 1686-1769)
Il nome di Bodhidharma è quasi sempre associato al Tempio di Shàolín (少林寺, Shàolínsì), collocato sul versante settentrionale del monte Sōngshān (嵩山, Sōngshān), quindi nei pressi dell'antica capitale Luoyang (Henan). Secondo lo Xùgāosēngzhuàn di Dàoxuān tale monastero fu fondato dall'imperatore della Dinastia Wei settentrionale, Xiàowén (孝文, conosciuto anche come Yuánhóng, 元宏, regno: 471-99) nel 496 sotto il niánhào Tàihé (太和) dopo che aveva fatto spostare la capitale a Luoyang. Questo imperatore venerava la figura, non si sa se storica o leggendaria, di un monaco indiano di nome Fotuo (o anche Bátuóluó, 跋陀羅) che aveva trasmesso il Dharma al monaco cinese Sēngchóu (僧稠, 480-560), contemporaneo e rivale di Bodhidharma, proprio sul monte Sōngshān. Quando il discepolo di Hongren, Fǎrù, si stabilì nel 686 al Tempio di Shàolín vi diffuse le dottrine della scuola Dámózōng e venne a crearsi un sintesi sui personaggi di Bodhidharma, Fotuo e Sēngchóu, probabile origine della leggendaria presenza di Bodhidharma a Shàolín.

Lo Yǒngjiā zhèngdào gē (永嘉證道歌)

In questa opera di Yǒngjiā Xuánjué (永嘉玄覺, 665-713), discepolo di Huìnéng, il sesto patriarca Chán secondo la tradizione della scuola del Sud (Nánzōng 南宗禪), viene riferito per la prima volta che Bodhidharma è il ventottesimo patriarca di una trasmissione dell'insegnamento che ha in Mahākāśyapa, discepolo del Buddha Śākyamuni, il primo patriarca:
«Mahakasyapa, il primo,
trasmise la lampada,
poi la storia
contò ventotto patriarchi
sotto il cielo dell'India.
Attraverso i mari,
la lampada ha raggiunto questa terra;
Bodhidharma ne fu il fondatore.
Sei generazioni gli succedettero
e trasmisero la veste.
Ormai, nelle generazioni future,
numerosi saranno coloro che vedranno la luce. »
(Yǒngjiā zhèngdào gē)

Il Chuánfǎbǎojì (傳法寶紀)

Il leggendario fondatore del Buddhismo Chán, Bodhidharma, in un antico dipinto.


Nel Chuánfǎbǎojì, testo rinvenuto nelle Grotte di Mogao, opera di un non meglio identificato monaco di nome Du Fei e risalente probabilmente agli inizi dell'VIII secolo, viene riportata per la prima volta la notizia che Bodhidharma meditò per nove anni di fronte ad una parete rocciosa all'interno di una grotta del monte Sōngshān. Sempre questo testo critica aspramente lo Xùgāosēngzhuàn di Dàoxuān dove viene sostenuto che Huìkě non perse il braccio per esserselo tagliato di fronte al maestro a dimostrazione della determinazione a perseguire la "Via", ma per colpa di alcuni banditi che infestavano la zona. La presenza o meno di monaci 'combattivi' neldi Tempio di Shàolín in quel periodo è molto discussa. La tradizionale vicenda di Huìkě secondo Bernard Faure «fondendosi con la tradizione marziale che si sviluppo a Songshan, risultò nel fatto che Bodhidharma divenne il "fondatore" dell'arte marziale nota come "Shaolin"». Le agiografie su Bodhidharma abbondano di leggende come quella, di chiara derivazione daoista per gli accenni alla pratica della "soluzione del cadavere", riportata sempre nel Chuánfǎbǎojì che vuole un messo imperiale che rientrando dall'India incontrò Bodhidharma il giorno della sua morte sulle montagne del Pamir. Raccontatone l'accaduto al suo rientro in Cina ai discepoli, questi corsero alla tomba del maestro trovando solo un sandalo di paglia.



Il Lìdài fǎbǎo jì (歷代法寶記) e il Bǎolín zhuán (寳林傳)

Dopo alcuni passaggi biografici nel Lìdài fǎbǎo jì (歷代法寶記, giapp. Rekidai hōbō ki 1 rotolo, T.D. 2075.51.179ª-196b) del 774 e nel Baolin zhuán (寳林傳) dell'801, nel X secolo si sviluppa la biografia leggendaria che oggi conosciamo.



Lo Zǔtángjí (祖堂集)

Nello Zǔtángjí ("Antologia della Sala dei Patriarchi", 祖堂集, giapp. Sodō shū, in 20 fascicoli, contiene 259 biografie prevalentemente di monaci buddhisti chán; è al n. 1503 del vol. 45 del Koryŏ taejanggyŏng con il titolo Chodang chip fu composto nel 952 da Jing -, Chŏng- e Yun -, Kyun), l'arrivo di Bodhidharma in Cina viene posticipato alla Dinastia Liang meridionale (502-557), nel 527, proprio sotto il regno dell'imperatore Wǔ, (conosciuto anche come Xiāoyǎn, 蕭衍, regno: 502-49) con cui ha il suo famoso colloquio (vedi più avanti). Qui vengono anche accennate notizie sul suo maestro, l'indiano Prajñātāra, originario del Magadha.



Il Jǐngdé zhuàndēng lù (景德傳燈錄)

L'incontro, sempre con il famoso dialogo, tra Bodhidharma e l'imperatore Wǔ è riportato anche nel Jǐngdé zhuàndēng lù (景德傳燈錄, giapp. Keitoku dentō roku, Raccolta della Trasmissione della Lampada, T.D. 2076.51.196-467) redatto nel 1004 da Dàoyuán (道原). In questa opera viene riportato il dialogo maggiore dovizia di particolari, ma l'essenza rimane sempre la stessa. L'imperatore Wǔ ha eretto diversi templi e compiuto molte opere religiose, ma secondo il maestro indiano non ha acquisito nessun merito in quanto erano sempre e solo azioni "mondane". Solo la consapevolezza della vacuità consente di raggiungere l'effettiva "liberazione". In questa opera viene precisato che Bodhidharma morì avvelenato da un monaco geloso il quinto giorno del decimo mese del 528. I suoi resti furono sepolti nel tempio di Dinglin situato nei pressi di Luoyang. Anche qui viene citata la vicenda dell'incontro con il funzionario imperiale dopo la sua morte e la scoperta del sandalo di paglia nella tomba.


Il Bìyán lù (碧巖錄)

Immagine dell'imperatore Wǔ della Dinastia Liang meridionale, con cui Bodhidharma ebbe, secondo alcune tradizioni, un leggendario dialogo.
Il dialogo tra l'imperatore Wǔ e Bodhidharma viene ripreso, anche se in modo decisamente più sintetico, nel primo gōng-àn (公案) del Bìyán lù (碧巖錄, giapp. Hekigan roku, Raccolta della Roccia blu, una raccolta di cento gōng-àn della scuola Chán, T.D. 2003.48.139a-292a) composto nel 1125 durante la Dinastia Song.


« L'imperatore Wu del Liang chiese al grande maestro Bodhdharma: "Qual è il significato supremo delle sante verità?".
Bodhidharma disse: "Vuote e senza santità".
L'imperatore disse: "Chi mi sta di fronte rispondendomi così?".
Bodhidharma risposte: "Non lo so".
L'imperatore non capì. Allora Bodhidharma attraverso il fiume Yangtse e giunse nel regno di Wei. Più tardi l'imperatore ne discusse con il maestro Zhi chiedendogli cosa ne pensasse.
Il maestro Zhi chiese: " Vostra maestà sa chi è quell'uomo?".
L'imperatore disse: "Non lo so".
Il maestro Zhi disse: "È il Mahasattva Avalokiteśvara, che trasmette il Sigillo della Mente del Buddha".
L'imperatore si dispiacque, e volle mandare un emissario per invitare [Bodhidharma a tornare].
Il maestro Zhi gli disse: "Maestà non dite che manderete qualcuno per andarlo a cercare. Anche se tutti coloro che vivono nell'intero paese andassero in cerca di lui, egli non tornerebbe". »
(Primo gōng-àn, 公案, del Bìyán lù, 碧巖錄)



Il Wúmén guān (無門關)

Il successore di Bodhidharma, Huìkě, in un dipinto del X secolo
.
Il Wúmén guān del XIII secolo riporta invece, nel 48º gōng-àn, l'incontro tra Bodhidharma e Huìkě.
« Mentre il fondatore [Bodhidharma] era seduto in meditazione davanti al muro. Il suo successore [Huike] era in piedi nella neve. Si tagliò un braccio e disse: "La mia mente non è pacificata. Per favore pacifica la mia mente".
Il fondatore disse: "Portami la tua mente e io la pacificherò".
Il successore disse: "Ho cercato la mia mente e non l'ho trovata".
Il fondatore disse: "Ho pacificato la tua mente . »
(Quarantunesimo gong'an del Wúmén guān, 無門關, giapp. Mumon kan, Il passo di frontiera di Wumen[18], raccolta di quarantotto gōng-àn della scuola Chán, T.D. 2005.48.292c-299c, composto in 1 fascicolo da Wumen Huikai ( 無門慧開, 1183-1260) nel 1228.)



Le opere attribuite a Bodhidharma

Èrrù sìxíng lùn (二入四行論)

È il "Trattato sulle due entrate e le quattro pratiche" (giapp. Ninyū shigyō ron), testo rinvenuto nella grotta n. 17 delle Grotte di Mogao, redatto intorno al 600 da Tànlín. Questa opera viene tradizionalmente attribuita a Bodhidharma, essa conserva comunque una prefazione chiaramente a firma di Tànlín che contiene anche una breve biografia del maestro indiano. Le "Due entrate" del titolo dell'opera di Tànlín si riferiscono all'ingresso nella corrente fondamentale della salvezza, ovvero il Mahāyāna, e consisterebbero:
  • Nell'entrata attraverso il 'principio' (理入 lǐrù) per cui si comprende che ogni essere senziente ha la natura di Buddha e questa è unica per tutti. È da tenere presente che il carattere cinese (lǐ, li 3° tono) può rimandare a due termini sanscriti: siddhānta, il principio universale, e nyāya, logica, ragione, teoria. Così Bernard Faure e Jeffrey L. Broughton traducono "principio", mentre D.T. Suzuki e Bill Porter (Red Pine) traducono "ragione". Ma l'inyerpretazione può cambiare molto. Le traduzioni del testo possono infatti risultare diverse. Se da una parte è chiaro che l'ingresso mediante il principio-ragione corrisponde alla comprensione degli insegnamenti e «firmly abiding without shifting, in no way following after the written teachings» Dall'altra non è chiaro il ruolo delle scritture ovvero se esse vadano decisamente abbandonate o meno a favore dello bìguān (壁觀). Così traduce D.T. Suzuki:
« Per 'entrata attraverso la Ragione' si intende la comprensione dello spirito del Buddhismo attraverso l'aiuto dell'insegnamento scritto. Si giunge così ad avere una fede profonda nella Vera Natura, uguale a tutti gli esseri senzienti. [...] quando un uomo [...] si concentra nel bìguān si accorge che il sé e l'altro non esistono [...] allora non sarà schiavo delle parole perché sarà in silenziosa comunione con la Ragione stessa, libero da discriminazioni concettuali: sarà sereno e non agirà. »
(D.T. Suzuki, Manual of Buddhism Zen. London, Rider and Company, 1976. it: Manuale del Buddhismo Zen. Roma, Ubaldini Editore, 1976, pag.53-4.)
D'altronde Bill Porter (Red Pine) traduce:
« Coloro che dall'illusione ritornano alla realtà, che meditano sui muri [bìguān (壁觀)], l'assenza dell'io e dell'altro, l'identità di mortale e saggio, e che rimangono impassibili persino di fronte alle scritture, costoro sono in accordo completo e tacito con la ragione.. »
(The Zen Teaching of Bodhidharma. Empty Bowl, 1987; North Point Press, 1989. it.: L'insegnamento Zen di Bodhidharma. Roma, Ubaldini Editore, 2006, pag. 25-6)
  • Nell'entrata attraverso la 'pratica' (行入 xíngrù ) «rinvia alle quattro pratiche che includono ogni cosa: sopportare l'ingiustiza, adattarsi alle condizioni, non cercare niente e praticare il Dharma». Le "Quattro pratiche" corrispondono a:
  1. 'non avere sentimenti di ostilità' ovvero 'accogliere le ostilità altrui senza rispondere' (報怨行), è l'ostilità che costringe alla rinascita;
  2. 'accettare sempre le circostanze' (随缘行) ovvero rimanere sempre imperturbabili, non avendo nessun centro ('atman') dentro di noi non dobbiamo accusare né guadagno né perdita, né piacere né dolore;
  3. 'privarsi della brama' (無所求行) praticando l'inattività (wúwéi, 無爲), ogni accadimento deve svolgersi senza influenzarlo, privi di attaccamento nei suoi confronti;
  4. 'essere conformi al Dharma' (稱法行) quindi non giudicare gli eventi in base a 'me' o 'te' o a 'questo' e 'quello', ma essere consapevoli dell'unicità del reale e, conformemente a questa consapevolezza, dedicarsi agli altri come parti di noi, praticando le pāramitā con costanza, il tutto pervaso da una sempre presente spontaneità.

Xiěmò lún (血脈論)

È il "Trattato sulla linea del sangue" (giapp. Ketsumyaku ron). L'influenza delle dottrine Cittamātra di questo trattato, tradizionalmente attribuito a Bodhidharma ma che si ritiene sia stato redatto all'interno della scuola Niútóu zōng (牛頭宗, anche 牛頭禅 Niútóu Chán) fondata nel VII secolo da Fǎróng, si evidenzia nella sua stessa apertura quando esordisce:
« Tutto ciò che appare nei tre regni ha origine dalla mente. Perciò i buddha del passato e del futuro insegnano da mente a mente senza preoccuparsi delle definizioni.»
(Xiěmò lún)
O ancora più avanti:
« I buddha del passato e del futuro parlano soltanto di questa mente. La mente è il buddha, e il buddha è la mente. Oltre la mente non c'è nessun buddha, e oltre il buddha non c'è nessuna mente. »
(Xiěmò lún)
Interessante anche le evidenze di quello che sarà il tema centrale delle dottrine delle scuole del Buddhismo Chán:
« Fin quando cerchi un buddha altrove, non ti accorgerai mai che la tua mente è il buddha. Non usare un buddha per venerare un buddha. E non usare la mente per venerare un buddha. I buddha non recitano sutra. I buddha non osservano i precetti. E i buddha non infrangono i precetti. I buddha non osservano né infrangono alcunché. I buddha non fanno il bene o il male. Per trovare un buddha devi vedere la tua natura. Chiunque vede la sua natura è un buddha. Se non vedi la tua natura, invocare i buddha, recitare i sutra, fare offerte, e osservare i precetti sono tutte cose inutili. »
(Xiěmò lún)



Guānxīn lùn (觀心論)

Immagine di Shénxiù (神秀, 606?-706) fondatore della scuola Chán denominata Beizōng (北宗,

Scuola settentrionale) e probabile autore del Guānxīn lùn (觀心論).
È il "Trattato sulla contemplazione della mente" (O "Guardare la mente" giapp. Kanjin ron T.D. 2833.85.1270-1273) che non va confuso con un'altra opera dallo stesso identico titolo Guānxīn lùn (觀心論, Vedere la mente, giapp. Kanjin ron, T.D. 1920, 46.584-587) opera di Zhìyǐ (智顗, 538-597) trascritta dal suo discepolo Guàndǐng (灌頂, 561-632) poco prima che il suo maestro morisse. Viene attribuita a Bodhidharma, ma si ritiene sia in realtà opera di Shénxiù (神秀, 606?-706), discepolo di Hóngrěn (弘忍, 601-675) o ad appartenenti alla scuola Chán da lui fondata e conosciuta come Beizōng (北宗, Scuola settentrionale). È un testo che si sviluppa mediante domande e risposte e che riassume molte dottrine allora dibattute in Cina. Esordisce sostenendo che per raggiungere l'"illuminazione" «Il metodo più essenziale, che include tutti gli altri metodi, consiste nel contemplare la mente». Dopo alcuni passaggi che rieccheggiano il Móhē Zhǐguān (摩訶止觀, Grande trattato di calma e discernimento, giapp. Maka Shikan, T.D. 1911) di Zhìyǐ che come ricordano gli studiosi statunitensi Richard R. Robinson e Williard L. Johnson: «I suoi scritti sulla meditazione [di Zhìyǐ] costituirono la matrice su cui si svilupparono le scuole Chán. Molte guide di meditazione Chán, ancora nell'XI secolo riportavano alla lettera ampi stralci del Mohe Zhiguan», interessante è il richiamo al Buddha Vairocana (o Mahāvairocana, cin. 八正道 Dàrì Rúlái, giapp. Dainichi Nyorai, l'Uno splendente o Grande sole) quando l'autore di questa opera interpreta il racconto degli Āgama-Nikāya che vuole il Buddha Shakyamuni essersi nutrito di latte prima di raggiungere la bodhi, riferendosi alla vacca che ha prodotto "quel" latte, il Guānxīn lùn sostiene:
« I sutra dicono: 'Questa vacca non vive negli altipiani o nelle pianure. Non mangia grano o fieno. E non pascola con i buoi. Il corpo di questa vacca ha il colore dell'oro brunito'. La vacca allude a Vairocana. Per nutrire tutti coloro che cercano la liberazione, Vairocana, grazie alla sua grande compassione per tutti gli esseri, produce all'interno del suo puro corpo di Dharma il sublime latte del Dharma delle tre serie dei precetti e delle sei paramita. Il puro latte di questa vacca veramente pura non solo consentì al Tathagatha di realizzare la buddhità, ma consente anche a ogni essere che lo beve di raggiungere l'insuperata e completa illuminazione. »
(Guānxīn lùn)



Wùxìng lùn (悟性論)

È il "Trattato sulla natura del risveglio" (giapp. Goshōron) (T.D. 2009), tradizionalmente anch'esso attribuito a Bodhidharma, si ritiene che sia un'opera della scuola settentrionale (Beizong) del Chan. Apre il testo l'affermazione che
« L'essenza della Via è il distacco. E il fine di coloro che praticano è la liberta dalle apparenze. »
(Wùxìng lùn)
Più avanti, tuttavia, l'autore precisa che
« Chiunque sia capace di riflessione capirà sicuramente che la natura dell'avidità, della rabbia e dell'illusione è la natura di buddha. Al di là dell'avidità, della rabbia e dell'illusione non c'è altra natura di Buddha. I sutra dicono: "I buddha sono diventati buddha soltanto mentre vivevano con i tre veleni e si nutrivano del puro Dharma. »
(Wùxìng lùn[)


martedì 10 giugno 2014

Kiai

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Il Kiai (気合, 気合い, kor. 기합) nelle arti marziali è il grido che accompagna i momenti "topici" di un kata (forma) o di un kumite (combattimento), in cui si dirige la massima energia vitale per intimorire e sopraffare l'avversario.
Essa è un'espressione di senso compiuto: Ki () sta per energia vitale e ai (, 合い) può essere tradotto come unione. L'individuo unisce la propria energia vitale e quella della natura attraverso l'espirazione provocata dalla forte contrazione addominale. La tradizione orientale fa risiedere la vitalità fisica nell'addome (tanden) e ritiene che degli appropriati esercizi respiratori possano incrementarla. È il diaframma che consente una respirazione profonda e ampia, mentre il movimento dei soli muscoli costali induce una respirazione superficiale e di difficile controllo. Il tempo dell'espirazione corretta (ventrale), determinata dalla decisa contrazione dei muscoli addominali corrisponde, quindi, al momento di massima espressione di forza.
L'altra componente del Kiai è psicologica. Il grido è intimamente connesso alle emozioni individuali, quando le nostre normali risorse non possono assicurarci la sopravvivenza, la forza e la volontà che necessitano emergono solo con l'esasperazione delle emozioni. La possibilità di ampliare le capacità in condizioni estreme ha permesso agli antichi guerrieri di codificare il grido, che divenne il kiai.
Si osserva un diverso momento di espressione del kiai nelle diverse arti marziali, per esempio nel kendo il kiai avviene prima e non all'atto finale, questo perché l'uso di un'arma, la katana in questo caso, implica di per sé un risultato devastante che invece, a mani nude, può essere conseguito solo con il ricorso all'esasperazione fisica. Nel kendo, non dovendosi incrementare l'aspetto fisico, viene dato grande risalto alla volontà risolutiva che induce l'azione.














lunedì 9 giugno 2014

Nanbudo

Il Nanbudo (南武道) è un'arte marziale creata nel 1978 dal maestro Yoshinao Nanbu (10° dan), che anni prima fondò già la scuola di Karate Sankukai.
Le radici del Nanbudo sono ritrovabili in varie arti marziali come il Karate, Jūdō, Aikido, Kobudo, ma non si limitano a queste poche, infatti lo stile è in continua evoluzione, il suo fondatore, Nanbu Doshu-soke la elabora permanentemente, e passa le sue novità agli allievi durante gli stage di frequenza settimanale che hanno luogo in tutte le parti del mondo.
Il Nanbudo, il cui nome deriva da:
  • Nan = Nanbu
  • Bu = budo (arte marziale)
  • Do = via
è caratterizzato da una maggiore dinamicità e fluidità di movimento rispetto ai suoi predecessori. La schivata (tenshin), ad esempio, precede la parata, ciò conferisce un rapporto più armonioso tra Tori e Uke.
Il Nanbudo è diviso in 3 parti:
  • Budo ho: tecniche di combattimento (Kata, Randori, Ju Randori, Ju Ippon Shobu, tecniche di autodifesa)
  • Kido ho: tecniche per la salute e il lavoro con l'energia (Ki Nanbu Taiso, Nanbu Ki Undo, Shizen No Ki Undo, Tenchi Undo, Nanbu Keiraku Taiso, Taikyoku)
  • Noryoku Kaihatsu ho: tecniche per lo sviluppo mentale (Nanbudo Mitsu No Chikara, Nanbudo Nanatsu No Chikara)
Data l'enorme completezza dello stile lo si può praticare a qualsiasi età e stato di salute.


Tecniche di base

Tra le tecniche basilari si situano le cadute ukemi, le posizioni dachi waza, attacchi e difese principali Chokuzen, Kaiten, Kinagare Chokuzen, Tenshin, Sanbon Renzoku Waza e le regole di comportamento dojokun.


Kata

I Kata sono una forma di combattimento contro uno o più avversari fisicamente assenti e/oppure una serie di tecniche esercitate consecutivamente secondo uno schema predefinito. Essi possono avere diversi scopi: l'allenamento del fisico e delle tecniche di combattimento, lo sviluppo mentale, salutare e energetico.
Kata del Nanbudo:
  • KI Nanbu Taiso: kata fondamentale del Nanbudo, favorisce il riscaldamento e il benessere del corpo e della mente.
  • Shihotai Kata: sono 7 kata che contengono tecniche basilari, ripetute 4 volte in direzioni diverse (est, ovest, nord, sud).
  • Taikyoku Kata: sono, per ora, 6 Kata aventi uno schema simile agli Shihotai, essi riprendono le tecniche dei Ki Nagare Randori
  • Nanbu Kata: sono i 5 kata specifici del nanbudo.
  • Kata Superiori: sono tradizionali del karate, adattati ai principi del nanbudo (dinamica, movimento, tecnica, etc.).
  • Nanbu Keiraku Taiso (in precedenza Nanbu Genki Naikei Taiso): sono 7 kata per la salute; La traduzione letterale del termine è: ginnastica (Taiso) dei meridiani (Keiraku) di Nanbu. Essi vengono eseguiti lentamente per favorire la concentrazione sulla respirazione ed i movimenti, prestando ascolto ad ogni sensazione che il corpo restituisce durante l'esecuzione. Ogni Nanbu Keiraku Taiso si concentra su 2 meridiani differenti, ad eccezione del primo che può essere considerato come 'preparazione' per l'esecuzione degli altri, dato che ha la funzione di lavorare sulla colonna vertebrale, ponendola in assetto ottimale di rilassamento e ossigenandola.

Randori

I Randori sono una forma di combattimento perfettamente schematizzata ed effettuata da due (di solito) o più (niningake, sanningake...) Nanbudoka. Una persona assume il ruolo di difensore (Uke), l'altra di attaccante (Tori). Tori esegue 7 attacchi (2 Oitzuki jodan, 2 Maegeri chudan, 2 Mawashigeri jodan e un ultimo Oitzuki jodan) a cui Uke risponde con ben definite tecniche di difesa, alla fine di questo ciclo vengono invertiti i ruoli.
Il nanbudo comprende all'incirca 30 Randori con un totale di oltre 200 techniche diverse di difesa.



Ju Randori

Il Ju Randori è una forma di combattimento evoluta dai Randori, durante la quale 2 Nanbudoka scambiano il ruolo di Tori e Uke dopo ogni attacco. Questa è una delle 2 forme di combattimento comunemente utilizzate durante le competizioni ed è caratterizzata dal fatto che viene valutata e punteggiata la difesa e non l'attacco.


Ju Ippon Shobu

Il Ju Ippon Shobu è una forma di combattimento evoluta dal Ju Randori anch'essa utilizzata per la competizione caratterizzata dal fatto che anche l'attacco viene valutato.


Ki Nagare Randori

I Ki Nagare Randori sono dei Randori che includono, oltre a una grande varietà di tecniche, un approfondito studio dell'interazione energetica tra 2 Nanbudoka. Il nome deriva da Ki ossia energia e Nagare ossia circolare. Attualmente ci sono circa 17 Ki Nagare Randori, ma essi sono in continua evoluzione.

Competizione, Campionati

Nel Nanbudo ci sono diverse forme di competizione:
  • Kata individuale
  • Kata team
  • Ju Randori individuale
  • Ju Randori team
Ogni anno vengono organizzate diverse competizioni internazionali, nazionali e locali. Ogni 4 anni vengono organizzati dei campionati mondiali.

domenica 8 giugno 2014

Budō



Il Budō (武道) è la via marziale giapponese. Il termine è composto dagli ideogrammi kanji bu () e (), che si possono tradurre come "Via marziale", "Via della guerra", oppure "Via che conduce alla pace", "Via che conduce alla cessazione della guerra attraverso il disarmo".
Infatti l'ideogramma "bu" è internamente composto dai due ideogrammi, hoko () e tomeru () che nella lingua giapponese significano:
  • hoko (): lancia, alabarda
  • tomeru (): fermare, arrestare, lasciare, cessare
Da cui bu () nella lingua e nello spirito della tradizione giapponese, significa letteralmente "fermare, arrestare, lasciare le lance". L'ideogramma () significa letteralmente "ciò che conduce" nel senso di "disciplina" vista come "percorso", "via", "cammino", non in senso fisico ma piuttosto etico e morale. Uscendo dal significato strettamente letterale, il termine "lance" assume il significato più ampio di "armi" e quindi quello traslato di "guerra" o "combattimento", mentre il termine "fermare" assume il significato traslato di "cessare". Nella concezione della tradizione marziale giapponese, quindi, il significato del termine bu implica quello di "abbandono delle armi" e quindi di "disarmo" e non di "guerra".
In contrasto con l'aura di antichità di cui il budō è circonfuso, la sua disciplina marziale è uno dei tanti esempi moderni di tradizione inventata. La stessa accezione del termine risale all'ultima decade del XIX secolo.


L'aspirazione etica e sociale del budō

Il concetto che tale termine vuole esprimere è dunque quello di realizzare, attraverso la pratica di una disciplina marziale molto particolare fondata sul "principio di non-resistenza", l'elevata aspirazione del budō consistente nella cessazione del combattimento e quindi delle ostilità mediante una condizione di disarmo dell'avversario e di sé stessi.



«Le arti marziali giapponesi sono state tramandate fino ad oggi mantenendo inalterata la loro caratteristica principale, che risiede nel fine ultimo di far progredire lo spirito, attraverso il rafforzamento fisico del corpo e l'apprendimento della tecnica. Di conseguenza, l'approccio con l'avversario deve essere dettato non da ostilità, ma piuttosto da un senso di rispetto e di gratitudine: a conclusione di un combattimento in cui ognuno ha dato prova delle proprie capacità senza risparmiarsi, nasce spontaneo il desiderio di un ringraziamento che riconosca all'avversario tutto il suo valore.
Ecco dunque che, infine, si può aspiarare alla costruzione di una società pacifica in cui valorizzare se stessi e gli altri.»
(Masajūrō Shiokawa, Presidente della Fondazione Nippon Budōkan, 2005)



Il termine segue l'evoluzione che il concetto di "arte marziale" ha subito nella cultura giapponese attraverso il tempo, passando dall'originale concetto del bujutsu (武術) a quello attuale del budō (武道). Da notare come comunque l'evoluzione consista principalmente nella trasformazione da jutsu ( "arte") a ( "via").
Il bujutsu (武術) era l'apprendimento di diverse tecniche marziali che consentivano di vincere il nemico in battaglia, difendersi dalle aggressioni, offrire i propri servigi ad una signore ed aumentare il proprio potere personale. Le armi usate erano molto varie: spada, arco, lancia, bastone, catena, coltello fino ad oggetti apparentemente innocui come il ventaglio o la pipa. Quando il bujutsu assume come fine non più la tecnica ma l'educazione etica e morale, esso diventa la via da perseguire per la formazione di uomini di valore, e si parla quindi di budō (武道).
In Giappone questa rielaborazione e modernizzazione della tradizione militare feudale avvenne principalmente dopo la Restaurazione Meiji, fino a tutta la prima metà del XX secolo.
La concezione tecnica e spirituale coesistevano già in epoca feudale anche se a prevalere era l'abilità tecnica che rappresentava l'unico strumento di sopravvivenza ai veri combattimenti del tempo. In epoca moderna la necessità di difendere la propria vita in duello non ha più motivo di esistere e quindi l'attenzione si rivolge ai principî etici e alla tradizione che caratterizzano appunto il budō (武道).


Statuto del Budō

Lo Statuto del Budō (武道憲章 budō kenshō) è un documento approvato il 23 aprile 1987 dal Nippon Budō Kyūgikai che esplica sinteticamente lo spirito del budō tradizionale ad uso delle popolazioni occidentali.
  1. Obiettivo. Il budō si pone come obiettivo di coltivare il carattere, migliorare la capacità di giudizio e formare individui di valore, attraverso l'addestramento di mente e corpo con le tecniche marziali.
  2. Pratica. Durante la pratica bisogna sempre rispettare l'etichetta (礼法 reihō), osservare i principî fondamentali ed allenare mente, tecnica, e corpo come un tutt'uno, senza perseguire mere abilità tecniche.
  3. Competizione. In occasione di competizioni o esibizioni di kata, si metterà in mostra con il massimo impegno lo spirito del budō appreso nel lungo addestramento e, al contempo, si manterrà sempre un atteggiamento misurato, senza arroganza in caso di vittoria né rimpianto in caso di sconfitta.
  4. Dōjō. Il dōjō (礼法 dōjō?) è il luogo in cui si addestrano la mente e il corpo. Vi si rispettano la disciplina e l'etichetta, si osservano i principî di silenzio, pulizia e sicurezza, ci si impegna a mantenere la solennità dell'ambiente.
  5. Insegnamento. L'istruttore dovrà sempre sforzarsi di forgiare i caratteri, impegnarsi ad addestrare mente e corpo, continuare ad approfondire le conoscenze tecniche, non consentire che l'attenzione si focalizzi su vittorie e sconfitte o sulla tecnica, e soprattutto mantenere un comportamento adeguato al ruolo di modello, che egli ricopre.
  6. Diffusione. Quando si promuove il budō bisogna valorizzarne i principî tradizionali, contribuire alla ricerca ed al consolidamento della didattica, ponendosi in un'ottica internazionale, e contemporaneamente impegnarsi per il suo sviluppo.

Gradi

Come in tutte le arti marziali esiste una suddivisione di chi la pratica a seconda della bravura e dell'esperienza. I vari livelli del Budō sono:
  • Shihan, così vengono chiamati gli istruttori particolarmente esperti, che hanno raggiunto il livello più alto;
  • Shidōin, è così definito un istruttore ufficiale di livello intermedio;