lunedì 6 gennaio 2020

Veda

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I Veda (in alfabeto devanāgarī वेद, sanscrito vedico Vedá) sono un'antichissima raccolta in sanscrito vedico di testi sacri dei popoli arii che invasero intorno al XX secolo a.C. l'India settentrionale, costituenti la civiltà religiosa vedica, divenendo, a partire dalla nostra era, opere di primaria importanza presso quel differenziato insieme di dottrine e credenze religiose che va sotto il nome di Induismo.

Origine dei Veda
«Il Veda è Brahma; è uscito da Lui come suo alito.»
(Pranatoshimi, 19)
Il termine sanscrito vedico veda indica il "sapere", la "conoscenza", la "saggezza", e corrisponde all'avestico vaēdha, al greco antico οἶδα (anticamente ϝοἶδα, da leggere "woida"), al latino video. Per il fatto che essi non hanno un autore umano ma sono stati solo "uditi" vengono chiamati Shruti (“ciò che è udito”).
La letteratura vedica origina da un popolo, gli Arii, che intorno al 2200 a.C. migrò verso l'India nord-occidentale (allora indicata come Saptasindhu सप्त सिंधु, Terra dei sette fiumi, in avestico Hapta Hindu) provenendo dall'area di Balkh (oggi in Afghanistan settentrionale). Un altro raggruppamento di questo popolo, gli Iranici, sempre provenienti dalla medesima area, invase invece l'attuale Iran fondandovi una cultura religiosa che successivamente fu in parte raccolta nell'Avestā. Fu dunque nell'area dell'Afghanistan settentrionale che i Veda acquisirono le loro prime caratteristiche religiose e linguistiche.
Elemento centrale delle credenze religiose degli Arii era lo Ṛta (in alfabeto devanāgarī ऋत, in avestico Aša) ovvero la Legge cosmica, e il suo "guardiano" Asura Varuṇa (वरुण devanāgarī, avestico Ahura Mazdā), concentrandosi il sacrificio religioso nella bevanda sacra, il soma (सोम devanāgarī, avestico haoma) e sul rito del fuoco (devanāgarī अग्नि agni, avestico āthra).
Con l'ingresso di questi popoli Arii nell'India settentrionale, e con i conseguenziali scontri militari con le popolazioni autoctone, acquisì rilievo religioso l'eroico dio guerriero Indra (इन्द्र).
Mentre con il successivo accoglimento anche di culti autoctoni, spesso fondati su pratiche sciamaniche e sull'utilizzo di formule magiche (mantra, मन्त्र), la cultura religiosa degli Arii si sviluppò e si diffuse sul territorio indiano in quelle caratteristiche che saranno poco dopo organizzate dai "cantori" (devanāgarī: ऋषि ṛṣi) dei primi due Veda: il Ṛgveda e alcune parti dell'Atharvaveda (2000-1700 a.C.).

La suddivisione dei Veda e loro datazione
La raccolta dei Veda consiste:
  • nelle quattro Saṃhitā (संहिता): Ṛgveda (ऋग्वेद), Sāmaveda (सामवेद), Yajurveda (यजुर्वेद) e Atharvaveda (अथर्ववेद), composte tra il 2000 a.C. e il 1100 a.C.;
  • nei Brāhmaṇa (ब्राह्मणं), commentari alle quattro Saṃhitā composti tra il 1100 a.C. e l'800 a.C.;
  • nelle Āraṇyaka (आरण्यक), testi esoterici riservati agli eremiti delle foreste o comunque recitati al di fuori del contesto dei villaggi, composte tra il 1100 e l'800 a.C.;
  • nelle Upaniṣad (उपिनषद), opere di ulteriore approfondimento composte tra l'800 e il 500 a.C.;
  • nei Sūtra (सूत्र) e nei Vedāṅga (वेदाङ्ग), opere di codificazione dei riti, composti dal 500 a.C. in poi.
Va tenuto presente che questa suddivisione è quella universalmente considerata dagli studiosi di questa letteratura religiosa. In un significato più stretto, e più comune, per Vedà si intendono solo i quattro Saṃhitā, mentre dal punto di vista tradizionale solo i primi quattro raggruppamenti (i quattro Saṃhitā, i Brāhmaṇa, gli Āraṇyaka e le Upaniṣad) sono considerati apauruṣeya, ovvero non composti dagli esseri umani e quindi appartenenti alla Śruti.

Le quattro Saṃhitā
«Io mi rifugio nella Parola che si manifesta come Ṛg-veda, / nella Mente come Yajur-veda, / nel Respiro come Sāma-veda. / Io faccio assegnamento sulla vista e sull'udito.»
(Vājasaneyī Saṃhitā XXXVI; citato in Raimon Panikkar, I Veda. Mantramañjarī, a cura di Milena Carrara Pavan, traduzioni di Alessandra Consolaro, Jolanda Guardi, Milena Carrara Pavan, BUR, Milano, 2001)


Ṛgveda
Il più antico testo dei Veda è il Ṛgveda, che risulta essere anche la più antica opera della cultura indoeuropea. Nelle sue parti più antiche (inserite nei libri dal II al VII compresi) viene datato tra il XX e il XV secolo a.C. Esso si compone di una raccolta di 1.028 inni denominati sùkta (lett. "ben detto"), composti da complessive 10.462 strofe di diversi versi metrici denominate mantra (o più comunemente come ṛks, "versetto, invocazione"), suddivisi in dieci libri indicati come maṇḍala (lett. "cicli"), di diseguale ampiezza, struttura e datazione, per un totale di 153.836 parole. Il contenuto di questo Veda corrisponde ad elementi di culto sacrificale propri della civiltà degli Arii (con particolare riguardo alle divinità di Agni, Ṛta-Varuṇa e Soma) appena giunti nell'India nordoccidentale, che intersecano aggiunte poco più tarde inerenti alla valorizzazione di divinità guerriere come Indra, il dio del fulmine.

Sāmaveda
Il Sāmaveda si fonda sul Ṛgveda. Esso consiste in una raccolta di strofe (complessive 1.875, comprese le ripetizioni) la cui maggior parte (salvo 78) già compaiono nel Ṛgveda (nei libri VIII e XIX). Esso non si compone quindi di "canti" (sāmans) piuttosto di mantra cantati da un sacerdote, l'udgātṛ (o udgātár) e dai suoi tre assistenti. La più nota versione del Sāmaveda, quella dei Kauthuma trasmessa nel Gujarāt, si compone di due raccolte:
  • il Pūrvarcika che si compone di 585 inni suddivisi in quattro sezioni. Le prime tre sezioni sono dedicate rispettivamente agli Dèi Agni, Indra e Soma; la quarta, non sempre riportata in tutte le edizioni, si compone di canti da recitarsi all'interno dei villaggi (grāmageyagāna) e canti da recitarsi al di fuori di essi (araṇyageyagāna);
  • lo Uttarāchika che si compone di 400 inni rituali da recitarsi secondo delle melodie.
Una terza suddivisione di questo Veda inerisce al Mahānāmnyārcika, riportato in dieci mantra, che tuttavia viene omesso nelle più recenti edizioni.

Yajurveda
Lo Yajurveda è il trattato di formule inerenti al sacrificio (yajus). Mentre il Sāmaveda si occupa esclusivamente del rito del soma, lo Yajurveda riassume tutto il rituale vedico. Contiene le formule sacrificali, scritte talvolta come litanie, che erano praticate dall'officiante denominato adhvaryu. Ne disponiamo due versioni: Kṛṣṇa Yajurveda (Yajurveda nero) e Śukla Yajurveda (Yajurveda bianco). Sono composti in parte in versi e in parte in prosa ed è il più antico esempio di prosa letteraria in sanscrito.

Atharvaveda
L'Atharvaveda (anche Atharvāṅgirasaḥ o Brahmaveda) è il trattato delle formule magiche e della medicina. Consiste di una raccolta di formule magiche (brahman) sia positive (atharvan) sia negative (aṅgirga), di carattere popolare. Inizialmente non fu considerato autorevole ma poi venne inglobato nella raccolta della letteratura religiosa degli arii e adottato come manuale rituale dei brahmani. Esistono due recensioni di questo veda denominate Śaunaka e Paippalāda.

I Veda nelle tradizioni hindu
«Quello enunciato nel Veda è il Dharma supremo; in secondo luogo viene quello della tradizione sacra; segue poi quello praticato dagli uomini dabbene. Ecco i tre dharma eterni.»
(Mahābhārata, XIII, 141, 65; citato in La saggezza indiana, a cura di Gabriele Mandel, Rusconi, 1999)
La posizione assunta dalle varie tradizioni religiose e scuole religioso-filosofiche dell'Induismo nei confronti dei Veda, è da un lato strettamente connessa alla considerazione della parola in sé, dall'altro all'aspetto rivelatorio dei Veda stessi, la śruti. Per quanto riguarda quest'ultimo aspetto, va fatta una prima distinzione fra tradizioni vicine all'ortodossia brahmanica, e che riconoscono l'autorità dei Veda, e tradizioni che invece se ne allontanano.
Fra le Darśana, per la Mīmāmsā, che considera le parole eterne, i Veda risultano essere senza tempo e increati. Differente è la posizione dei razionalisti del Nyāya, per i quali i Veda sono emanati da Dio.


domenica 5 gennaio 2020

Ip Ching

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Ip Ching (Foshan, 7 luglio 1936) è un artista marziale cinese. È il secondogenito del celeberrimo shifu Yip Man, nonché uno dei cinque grandi maestri ancora viventi della scuola di Yip Man del Wing Chun.

Biografia
Ching è nato a Foshan, in Cina nel 1936, ed è il secondogenito di Yip Man. Già in giovane età Ip Ching ha iniziato il suo addestramento insieme a suo fratello Ip Chun, sotto la supervisione del loro padre Yip Man.
Nel 1962, dopo la formazione scolastica a Foshan, Ip Ching e suo fratello maggiore Ip Chun si riuniscono con il padre a Hong Kong. Ip Ching riprense la sua formazione sotto la guida diretta di Yip Man. Yip Man insegnava nella stessa casa dove oggi risiede Ip Ching. Oltre ad imparare il Wing Chun a casa di suo padre, Ip Ching è stato anche un acuto osservatore dell'insegnamento di suo padre agli altri studenti. Così facendo, ha a sua volta appreso informazioni preziose sui metodi di insegnamento del Wing Chun.
Dopo la morte di Yip Man nel 1972, Ip Ching ha continuato l'insegnamento del Wing Chun ed ha intrapreso la gestione di un'attività manifatturiera. Nel 1994 si ritirò dal lavoro in azienda per dedicarsi a tempo pieno all'insegnamento del Wing Chun. Annovera tra i suoi studenti, Shifu come Ron Heimberger, Tony Brooks, Garner Train, Eric Lee e molti altri ancora in tutto il mondo.


sabato 4 gennaio 2020

Yang Zhenduo

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Yang Zhenduo (tradizionale: 楊振鐸, semplificato: 杨振铎; ...) è un artista marziale cinese, rappresentante attuale del Taijiquan Stile Yang.
Terzo figlio di Yang Chengfu, Yang Zhenduo porta avanti le aspirazioni dei suoi avi, dedicando sé stesso a rendere popolare e diffondere il Taijiquan stile Yang.
Dai primi anni sessanta, vive a Taiyuan, nella provincia dello Shanxi (Cina - RPC), dove insegna Taijiquan.
Nel 1982 ha fondato l'Associazione Taijiquan stile Yang della provincia dello Shanxi, ora con decine di migliaia di studenti nella sola provincia.
Yang Zhenduo ha pubblicato un'edizione inglese del suo libro intitolata Taijiquan stile Yang, e una edizione cinese intitolata 太极拳,,(Taijiquan stile Yang, spada e sciabola). Ha fatto anche una serie di video didattici Taijiquan stile Yang (edizione per l'estero, 1990) e Taijiquan, spada e sciabola (1996), prodotti da China Sports Publishers.
Yang Zhenduo ha due figli, il maggiore Yang Daofang (1947) e il minore Yang Defang (1952). Il 29 ottobre 1998, Yang Zhenduo e suo nipote Yang Jun hanno fondato l'International Yang Style Tai Chi Chuan Association a Seattle, Washington (USA).


venerdì 3 gennaio 2020

Donna guerriera

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Quello della giovane donna guerriera è un'immagine archetipica raffigurante un personaggio femminile, spesso di sangue reale, con un carattere forte e coraggioso; qualità che, secondo la concezione comune, appartengono tipicamente al genere maschile, il che mette la donna guerriera allo stesso livello degli uomini più valorosi. È la rappresentazione antitetica della damigella in pericolo.

Caratteristiche
Secondo la tradizione letteraria medioevale della fanciulla o "vergine guerriera" questa appartiene ad una famiglia reale, o quantomeno dell'alta nobiltà, la quale assume provvisoriamente una funzione maschile di comando; requisito indispensabile perché possa essere accettata in questo ruolo è il rispetto della sua condizione di verginità: perdendo l'innocenza sessuale verrebbe privata del carisma necessario al comando diventando di colpo una donna come tutte le altre.
Solo dopo aver eseguito il proprio compito, al termine di tutte le battaglie assegnatele, ella può accettare di sposarsi con un uomo; ma sempre a condizione ch'egli riesca a superare una certa prova che ne dovrà dimostrare il valore.
Vi sono varie ipotesi a riguardo della formazione e sviluppo d'una tale figura, con diverse teorie circa la sua origine e l'importanza che questo concetto poteva avere. Si avanza l'idea che la società arcaica, dominata ancora dai culti rituali inneggianti alla Natura erano ancora essenzialmente matriarcali, potevano quindi creare modelli costituiti da personaggi femminili forti; la magia naturale e il paganesimo delle origini si sarebbe ad esempio riflettuto nelle immagini mitologiche delle Valchirie, le nove donne guerriere della mitologia norrena.
Un'indagine comparata sui miti arcaici d'Oriente ed Occidente divide i personaggi mitologici femminili in due categorie, da una parte la vergine guerriera e dall'altra la fanciulla destinata a diventare una brava moglie e madre; la prima categoria è costituita dalle ragazze che si trovano in una fascia d'età per lo più adolescenziale e che pertanto possono essere ancora per un tempo limitato assimilate al mondo e alla realtà dei giovani maschi, godendo di una relativa libertà sessuale associata al combattimento e all'esercizio nelle arti marziali o in alternativa in quelle intellettuali (Ganika nel mondo indo-ariano e la figura dell'Etera in quello greco).
L'incarnazione mitologica di tali gruppi sociali è rivelata anche dalle Apsaras induiste, dalle sorelle irlandesi Mórrígan e così via.
In certi casi possono giungere fino al punto di morire sul campo di battaglia; secondo questa versione l'immagine della fanciulla guerriera si trasforma nel ricordo in esempio che accompagna i soldati in guerra. Nella letteratura mondiale, ma soprattutto europea, vi è una chiara linea di successione tra le donne guerriere: gli antichi miti greci riguardanti le Amazzoni penetrano nel mondo medioevale per giungere fino al romanticismo e risorgere in nuove forme più moderne nel XX secolo. Lo stesso percorso di emancipazione e autonomia della donna, dal femminismo al lesbismo, è intriso dell'archetipo della donna guerriera.
Vi è un ramo separato del mito, ma degno di nota in quanto costituito da una certa originalità: le saghe riguardanti fanciulle guerriere sono una caratteristica distintiva della letteratura islandese: se in altre tradizioni letterarie si verifica sporadicamente l'apparizione di immagini femminili dominanti, nell'antica letteraria d'Islanda vi è un particolare tipo di genere di saghe cavalleresche. Storie basate su sovrane autocratiche che rifiutano in toto l'idea del matrimonio e quindi della sottomissione ad un uomo in quanto ciò minaccerebbe la solidità del regno, indebolirebbe il loro potere provocando una perdita di status sociale.
Nelle saghe cavalleresche per le eroine di queste storie vi è una designazione speciale, esse vengono difatti chiamate "meykongr" ovvero grande signore/sovrano ed esse stesse si definiscono sempre re-kongr e mai regine-drottning.

Mondo moderno
Lo stereotipo della "donna maschile, che si comporta come un uomo" all'interno della cultura popolare si è attivamente ampliato durante gli anni '70 del '900, a causa anche dello sviluppo del movimento femminista in tutto l'Occidente: cominciò a declinare la tipica protagonista femminile costituita dalla passiva e inerme fanciulla in pericolo, fortemente assimilata all'idea della necessità per essa di difesa maschile.
Lo stereotipo contemporaneo raffigura una donna eccezionale e indipendente, che si sforza di raggiungere da sola i propri obiettivi, posizionandosi così all'antitesi dei ruoli tipici creati all'interno del tradizionale modello patriarcale sociale. Quest'immagine si riverbera e può essere facilmente utilizzata anche nelle opere artistiche del mondo moderno, un esempio cinematografico è quello dato dal sottogenere Girls with guns.
A differenza di altre immagini di donne forti, la femme fatale o il maschiaccio, quello della vergine guerriera continua a sussistere nelle opere creative maschili, senza perdere nulla della propria essenziale femminilità. Inoltre la cultura di massa sembra aver perduto completamente l'ideale dell'amor cortese medioevale della principessa da salvare.

Esempi storici
  • La regina ionica di Caria Artemisia I, che accompagnò Serse nella sua campagna contro i greci ed avuto un posto di comandante durante la battaglia di Salamina. Si ritiene che fu a causa sua se il persiano pronunciò la frase: i miei uomini son diventati donne, mentre le donne son come gli uomini.
  • Nel suo Sul coraggio delle donne lo storico greco-romano Plutarco descrive come le donne di Argo hanno combattuto contro re Cleomene I e gli spartani sotto il comando della poetessa Telesilla nel 510 a.C.
  • Le Amazzoni erano un'intera tribù, o addirittura un popolo secondo altri, di donne guerriere che sarebbero vissute nell'epoca più arcaica delle storia greca (prima della guerra di Troia). Il loro nome, assieme a quello delle loro regine, è divenuto eponimo per descrivere le donne mascoline, forzute ed atletiche.
  • Arpalice, una delle figlie di Arpalico, re degli Aminnei in Tracia; essendo rimasta orfana di madre in tenera età, fu cresciuta da suo padre con latte di mucca e di cavalla e addestrata come un maschio. Dopo la morte del padre andò a vivere nei boschi e divenne una brigantessa: era così veloce nel correre che i cavalli non erano in grado di starle dietro.
  • Nella mitologia britannica, la regina Cordelia ha sconfitto diversi pretendenti al trono e condotto direttamente l'esercito in battaglia.
  • Le regina britannica Boadicea e la Regina Gwendolen
  • Le sorelle guerriere vietnamite Trung (12-43) le quali guidarono la campagna di liberazione nazionale contro i cinesi.
  • Esempi di donna gladiatrice.
  • La regina di Palmira Zenobia, che ha combattuto contro l'impero romano.
  • La principessa cinese Zhao de Pingyang (598-623), che ha riunito e comandato l'esercito in battaglia.
  • Sajàh bint al-Harith ibn Suaeed, secondo la tradizione islamica una falsa profetessa, nonché leader militare, del VII secolo.
  • Ethelfleda, la figlia di Alfredo il Grande.
  • La regina Tomiri dei Massageti.
  • Giovanna d'Arco
  • La principessa musulmana Amina di Zaria.
  • Caterina Sforza, che ha guidato la difesa di Forlì contro le forze di Cesare Borgia.
  • Cia Ordelaffi, nobildonna italiana.
  • La principessa mongola Mandukhai Khatun.
  • Onna-bugeisha, donna-samurai, e Kunoichi, donna-ninja.
  • Tomoe Gozen (1157? – 1247) l'unica onna-bugeisha descritta nella letteratura epica della tradizione samurai
  • Nakano Takeko (1847–1868), onna-bugeisha del dominio Aizu
  • Stamira (prima del 1173-1174), la donna che si oppose all'imperatore Federico I di Hohenstaufen, detto il Barbarossa.
  • La cosacca Alena (Alyona) Arzamasskaya-Temnikovsky.
  • Nadežda Andreevna Durova, primo ufficiale donna dell'esercito russo.
  • Marija Leont'evna Bočkarëva, militare russa comandante dei battaglioni femminili della morte.
  • Vari ritrovamenti di donne norrene sepolte con armi.

Nella mitologia
  • La Dea guerriera sumera Inanna e la dea degli inferi Allat.
  • La babilonese Ishtar, uno dei suoi epiteti era "il guerriero".
  • L'induista Durgā.
  • Atena, la Minerva romana, Bellona.
  • Le egizie Anat e Sekhmet.
  • Le irlandesi Badb, Macha e Mórrígan.
  • La scandinava Freya.
  • L'iranica Anahita.
  • La greca Enio, furibonda compagna di Ares, e la sorella di Apollo, Artemide (vergine cacciatrice).
  • Atalanta (mitologia)
  • Le Valchirie del folklore nordico.
  • Ixchel, con una bocca spalancata che indicherebbe il cannibalismo.
In letteratura
  • Camilla, personaggio dell'Eneide, regina dei Volsci e alleata di Turno, re dei Rutuli. Morì in battaglia, uccisa da Arunte.
  • Brunilde, personaggio della Canzone dei Nibelunghi, ha promesso di sposare solo chi riuscirà a sconfiggerla in battaglia.
  • Scáthach ("Ombrosa") è un'eroina del Ciclo dell'Ulster nella mitologia irlandese.
  • Bradamante, personaggio del ciclo carolingio.
  • Marfisa, personaggio dellOrlando Innamorato di Matteo Maria Boiardo e dellOrlando furioso di Ludovico Ariosto
  • Clorinda, personaggio della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso.
  • Britomart, personaggio de La regina delle fate di Edmund Spenser.
  • Tutta l'opera La Valchiria di Richard Wagner è incentrata sulla figura della donna guerriera.
  • Hua Mulan, eroina dell'opera La ballata di Mulan
  • Yde, protagonista della chanson de geste Yde et Olive. Si traveste con abiti maschili per sfuggire al padre incestuoso, diventa un cavaliere e infine viene trasformata da un angelo in vero uomo.


giovedì 2 gennaio 2020

Tomoi

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Il Tomoi è uno stile malese di arti marziali. Il nome Tomoi si riferisce a siku lutut, che in malese significa "gomiti e ginocchia".

Etimologia
La parola tomoi deriva da dhoi muay o dhee muay che in tailandese significa pugilato e in generale il combattimento coi pugni. Originariamente fu il termine con il quale ci si riferiva alle vecchie forme di combattimento della Muay Thai, ora nota anche come Muay Boran (boxe tradizionale).

Storia
Non è chiaro esattamente dove le varie forme indo - cinesi di kickboxing hanno avuto origine, ma sicuramente sono basate su tecniche cinesi con qualche influenza dalle arti marziali indiane; Il Tomoi era un passatempo popolare prima del risveglio islamico inizio nel 1980. Dopo la venuta al potere, il governo ha vietato diverse tradizioni culturali malesi per i loro "elementi non- islamici ", tra balli come mak yong e ombre cinesi o Wayang kulit. Il Tomoi è stato anche messo fuori legge nel 1990, principalmente a causa del rituale danza di guerra animista che precede la lotta, ma anche a causa della violenza. Alcuni professionisti Tomoi gareggiavano nel pugilato, kickboxing e muay thai circuito al di fuori della Malaysia, e la popolarità del Tomoi raggiunse il suo punto più basso. Nel 2006 il divieto è stato abolito e il Tomoi è tornato ad essere praticato sotto il nome di moi Kelate che significa " Kelantan boxe " nel dialetto locale; il nome utilizzato dai promotori è " freestyle kickboxing " ma la maggior parte di malesi ancora lo chiamano Tomoi.

Tecniche e combattimento
Il Tomoi ha tecniche di combattimento praticamente simili a quelle della Muay Thai thailandese, vengono infatti usati colpi di pugno, calcio, gomiti, ginocchia; l'abbigliamento standard consiste di pantaloncini, guanti boxe, bracciali e pezzi di cotone sui piedi. I bracciali sono stati tradizionalmente iscritti con preghiere per la vittoria, ma al giorno d'oggi non sempre è così. Il combattimento dura di solito cinque round, ciascuno della durata di tre minuti, con un periodo di riposo di due minuti. Mordere, colpire all'inguine, tenersi alle corde, attaccare un avversario caduto, e colpire l'avversario quando è voltato è proibito. Durante il match, la musica tradizionale è suonata con il gendang (batteria), serunai (oboe) e altri strumenti. La musica rallenta e accelera secondo il ritmo di combattimento e la vittoria è di solito ottenuta ai punti, ma il 20% dei combattimenti finisce con un ko che si verifica quando l'avversario è caduto e non si rialza dopo che l'arbitro conta fino a dieci come nella boxe occidentale.


mercoledì 1 gennaio 2020

Meihuazhuang

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Meihuazhuang (pinyin), 梅花桩, Mei hua chuang (Wade-Giles), tradotto in italiano "Pali del fiore di prugno", è un termine che sta ad indicare un esercizio di arti marziali cinesi che viene eseguito sui pali. Il nome è dovuto al fatto che il modello più comune di disposizione dei pali nel terreno è detto proprio Meihua perché si compone di 5 pali, 4 agli angoli di un quadrato ed il quinto al centro. Tale parola sta anche ad indicare un ramo di Meihuaquan il cui nome più completo è Ganzhi Wushi Meihuazhuang

Meihuazhuang nel Cinema
  • Nel 1977 è stato prodotto a Taiwan il film Fang Shiyu Da Po Meihuazhuang (方世玉大破梅花樁, Fang Shiyu infligge una grande sconfitta sui Pali del Fiore di prugno), più conosciuto in occidente con il titolo Secret of the shaolin poles e considerato un classico del genere Kungfu.