I Veda
(in alfabeto devanāgarī वेद,
sanscrito vedico Vedá) sono un'antichissima raccolta in sanscrito
vedico di testi sacri dei popoli arii che invasero intorno al XX
secolo a.C. l'India settentrionale, costituenti la civiltà religiosa
vedica, divenendo, a partire dalla nostra era, opere di primaria
importanza presso quel differenziato insieme di dottrine e credenze
religiose che va sotto il nome di Induismo.
«Il Veda è Brahma; è uscito da Lui come suo alito.» |
(Pranatoshimi, 19) |
Il termine sanscrito vedico veda indica
il "sapere", la "conoscenza", la "saggezza",
e corrisponde all'avestico vaēdha, al greco antico οἶδα
(anticamente ϝοἶδα, da leggere "woida"), al latino
video. Per il fatto che essi non hanno un autore umano ma sono stati
solo "uditi" vengono chiamati Shruti (“ciò che è
udito”).
La letteratura vedica origina da un
popolo, gli Arii, che intorno al 2200 a.C. migrò verso l'India
nord-occidentale (allora indicata come Saptasindhu सप्त
सिंधु, Terra dei sette fiumi, in avestico Hapta
Hindu) provenendo dall'area di Balkh (oggi in Afghanistan
settentrionale). Un altro raggruppamento di questo popolo, gli
Iranici, sempre provenienti dalla medesima area, invase invece
l'attuale Iran fondandovi una cultura religiosa che successivamente
fu in parte raccolta nell'Avestā. Fu dunque nell'area
dell'Afghanistan settentrionale che i Veda acquisirono le loro prime
caratteristiche religiose e linguistiche.
Elemento centrale delle credenze
religiose degli Arii era lo Ṛta (in alfabeto devanāgarī ऋत,
in avestico Aša) ovvero la Legge cosmica, e il suo "guardiano"
Asura Varuṇa (वरुण devanāgarī,
avestico Ahura Mazdā), concentrandosi il sacrificio religioso nella
bevanda sacra, il soma (सोम devanāgarī,
avestico haoma) e sul rito del fuoco (devanāgarī अग्नि
agni, avestico āthra).
Con l'ingresso di questi popoli Arii
nell'India settentrionale, e con i conseguenziali scontri militari
con le popolazioni autoctone, acquisì rilievo religioso l'eroico dio
guerriero Indra (इन्द्र).
Mentre con il successivo accoglimento
anche di culti autoctoni, spesso fondati su pratiche sciamaniche e
sull'utilizzo di formule magiche (mantra, मन्त्र),
la cultura religiosa degli Arii si sviluppò e si diffuse sul
territorio indiano in quelle caratteristiche che saranno poco dopo
organizzate dai "cantori" (devanāgarī: ऋषि
ṛṣi) dei primi due Veda: il Ṛgveda e alcune parti
dell'Atharvaveda (2000-1700 a.C.).
La raccolta dei Veda consiste:
- nelle quattro Saṃhitā (संहिता): Ṛgveda (ऋग्वेद), Sāmaveda (सामवेद), Yajurveda (यजुर्वेद) e Atharvaveda (अथर्ववेद), composte tra il 2000 a.C. e il 1100 a.C.;
- nei Brāhmaṇa (ब्राह्मणं), commentari alle quattro Saṃhitā composti tra il 1100 a.C. e l'800 a.C.;
- nelle Āraṇyaka (आरण्यक), testi esoterici riservati agli eremiti delle foreste o comunque recitati al di fuori del contesto dei villaggi, composte tra il 1100 e l'800 a.C.;
- nelle Upaniṣad (उपिनषद), opere di ulteriore approfondimento composte tra l'800 e il 500 a.C.;
- nei Sūtra (सूत्र) e nei Vedāṅga (वेदाङ्ग), opere di codificazione dei riti, composti dal 500 a.C. in poi.
Va tenuto presente che questa
suddivisione è quella universalmente considerata dagli studiosi di
questa letteratura religiosa. In un significato più stretto, e più
comune, per Vedà si intendono solo i quattro Saṃhitā, mentre dal
punto di vista tradizionale solo i primi quattro raggruppamenti (i
quattro Saṃhitā, i Brāhmaṇa, gli Āraṇyaka e le Upaniṣad)
sono considerati apauruṣeya, ovvero non composti dagli esseri umani
e quindi appartenenti alla Śruti.
«Io mi rifugio nella Parola che si manifesta come Ṛg-veda, / nella Mente come Yajur-veda, / nel Respiro come Sāma-veda. / Io faccio assegnamento sulla vista e sull'udito.» |
(Vājasaneyī Saṃhitā XXXVI; citato in Raimon Panikkar, I Veda. Mantramañjarī, a cura di Milena Carrara Pavan, traduzioni di Alessandra Consolaro, Jolanda Guardi, Milena Carrara Pavan, BUR, Milano, 2001) |
Il più antico testo dei Veda è il
Ṛgveda, che risulta essere anche la più antica opera della cultura
indoeuropea. Nelle sue parti più antiche (inserite nei libri dal II
al VII compresi) viene datato tra il XX e il XV secolo a.C. Esso si
compone di una raccolta di 1.028 inni denominati sùkta (lett. "ben
detto"), composti da complessive 10.462 strofe di diversi versi
metrici denominate mantra (o più comunemente come ṛks, "versetto,
invocazione"), suddivisi in dieci libri indicati come maṇḍala
(lett. "cicli"), di diseguale ampiezza, struttura e
datazione, per un totale di 153.836 parole. Il contenuto di questo
Veda corrisponde ad elementi di culto sacrificale propri della
civiltà degli Arii (con particolare riguardo alle divinità di Agni,
Ṛta-Varuṇa e Soma) appena giunti nell'India nordoccidentale, che
intersecano aggiunte poco più tarde inerenti alla valorizzazione di
divinità guerriere come Indra, il dio del fulmine.
Il Sāmaveda si fonda sul Ṛgveda.
Esso consiste in una raccolta di strofe (complessive 1.875, comprese
le ripetizioni) la cui maggior parte (salvo 78) già compaiono nel
Ṛgveda (nei libri VIII e XIX). Esso non si compone quindi di
"canti" (sāmans) piuttosto di mantra cantati da un
sacerdote, l'udgātṛ (o udgātár) e dai suoi tre assistenti. La
più nota versione del Sāmaveda, quella dei Kauthuma trasmessa nel
Gujarāt, si compone di due raccolte:
- il Pūrvarcika che si compone di 585 inni suddivisi in quattro sezioni. Le prime tre sezioni sono dedicate rispettivamente agli Dèi Agni, Indra e Soma; la quarta, non sempre riportata in tutte le edizioni, si compone di canti da recitarsi all'interno dei villaggi (grāmageyagāna) e canti da recitarsi al di fuori di essi (araṇyageyagāna);
- lo Uttarāchika che si compone di 400 inni rituali da recitarsi secondo delle melodie.
Una terza suddivisione di questo Veda
inerisce al Mahānāmnyārcika, riportato in dieci mantra, che
tuttavia viene omesso nelle più recenti edizioni.
Lo Yajurveda è il trattato di formule
inerenti al sacrificio (yajus). Mentre il Sāmaveda si occupa
esclusivamente del rito del soma, lo Yajurveda riassume tutto il
rituale vedico. Contiene le formule sacrificali, scritte talvolta
come litanie, che erano praticate dall'officiante denominato
adhvaryu. Ne disponiamo due versioni: Kṛṣṇa Yajurveda
(Yajurveda nero) e Śukla Yajurveda (Yajurveda bianco). Sono composti
in parte in versi e in parte in prosa ed è il più antico esempio di
prosa letteraria in sanscrito.
L'Atharvaveda (anche Atharvāṅgirasaḥ
o Brahmaveda) è il trattato delle formule magiche e della medicina.
Consiste di una raccolta di formule magiche (brahman) sia positive
(atharvan) sia negative (aṅgirga), di carattere popolare.
Inizialmente non fu considerato autorevole ma poi venne inglobato
nella raccolta della letteratura religiosa degli arii e adottato come
manuale rituale dei brahmani. Esistono due recensioni di questo veda
denominate Śaunaka e Paippalāda.
«Quello enunciato nel Veda è il Dharma supremo; in secondo luogo viene quello della tradizione sacra; segue poi quello praticato dagli uomini dabbene. Ecco i tre dharma eterni.» |
(Mahābhārata, XIII, 141, 65; citato in La saggezza indiana, a cura di Gabriele Mandel, Rusconi, 1999) |
La posizione assunta dalle varie
tradizioni religiose e scuole religioso-filosofiche dell'Induismo nei
confronti dei Veda, è da un lato strettamente connessa alla
considerazione della parola in sé, dall'altro all'aspetto
rivelatorio dei Veda stessi, la śruti. Per quanto riguarda
quest'ultimo aspetto, va fatta una prima distinzione fra tradizioni
vicine all'ortodossia brahmanica, e che riconoscono l'autorità dei
Veda, e tradizioni che invece se ne allontanano.
Fra le Darśana, per la Mīmāmsā, che
considera le parole eterne, i Veda risultano essere senza tempo e
increati. Differente è la posizione dei razionalisti del Nyāya, per
i quali i Veda sono emanati da Dio.