sabato 27 ottobre 2018

Famiglia imperiale del Giappone

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La casa imperiale del Giappone, detta anche famiglia imperiale (皇室 kōshitsu), è l'erede storica e dinastica del Paese e comprende i membri della famiglia estesa dell'imperatore del Giappone che hanno ruoli e compiti ufficiali e pubblici. Sotto l'attuale costituzione, l'imperatore è il simbolo dello Stato e dell'unità del popolo. Anche se non è tecnicamente un capo di Stato, è frequentemente considerato tale. Gli altri membri della famiglia partecipano a cerimonie ed eventi sociali ma non hanno impegni di governo.
La monarchia giapponese è la più antica monarchia ereditaria ininterrotta ancora esistente del mondo. La casa imperiale riconosce 125 monarchi legittimi a partire dalla ascesa dell'imperatore Jimmu, datata ufficialmente l'11 febbraio 660 a.C., tra cui l'attuale imperatore Akihito.

Membri dell'attuale famiglia imperiale

Attualmente i membri della famiglia imperiale sono 17. Tra parentesi il loro nome personale:
  • imperatore Akihito (Akihito), nato al palazzo imperiale di Tokyo il 23 dicembre 1933, figlio maggiore dell'imperatore Hirohito e l'imperatrice Kōjun. Si è sposato il 10 aprile 1959 con sua maestà imperiale l'imperatrice Michiko (Shoda Michiko), nata a Tokyo il 24 ottobre 1934, la figlia maggiore di Shoda Hidesaburo, presidente della Nisshin Flour Milling Inc.. L'imperatore Akihito è salito al trono alla morte del padre il 7 gennaio 1989.
  • principe della corona Naruhito, figlio maggiore dell'imperatore e dell'imperatrice, nato al palazzo Tsugo a Tokyo il 23 febbraio 1960. Divenne il principe ereditario quando suo padre Akihito salì al trono. Il principe della corona ha sposato Owada Masako il 10 giugno 1993, nata il 6 dicembre 1963, figlia di Hisashi Owada, un ex vice ministro degli affari esteri e precedente rappresentante del Giappone alle Nazioni Unite. La coppia ha una figlia:
    • Aiko, principessa Toshi, nata il 1º dicembre 2001.
  • Principe Akishino (Fumihito), il secondo figlio dell'imperatore, nato l'11 novembre 1965. Durante l'infanzia portava il nome di principe Aya e ricevette il titolo di principe Akishino, assieme al permesso di generare un nuovo ramo della famiglia imperiale a seguito del suo matrimonio con Kawashima Kiko il 29 giugno 1988. Principessa Akishino è nata l'11 settembre 1966 ed è figlia di Kawashima Tatsuhiko, professore di economia all'università Gakushuin. La coppia ha due figlie ed un figlio:
    • principessa Mako di Akishino nata il 23 ottobre 1991
    • principessa Kako di Akishino nata il 29 dicembre 1994
    • principe Hisahito di Akishino nato il 6 settembre 2006
  • Principe Hitachi (Masahito), nato il 28 novembre 1935, il secondo figlio dell'imperatore Hirohito e dell'imperatrice Kōjun, fratello dell'imperatore Akihito. Il suo titolo durante l'infanzia era principe Yoshi e ricevette l'attuale titolo di principe Hitachi e il permesso di generare un nuovo ramo della famiglia imperiale a seguito del suo matrimonio il 1º ottobre 1961. Principessa Hitachi (Hanako) è nata il 19 luglio 1940, figlia di Tsugaru Yoshitaka. La coppia non ha figli.
  • principessa Mikasa (Yuriko) è nata il 6 giugno 1921 ed è la seconda figlia del visconte Takagi Masanoiri, vedova del Principe Mikasa (Takahito), figlio dell'imperatore Yoshihito e fratello dell'imperatore Showa, nato il 2 dicembre 1915 e deceduto il 27 ottobre 2016. La coppia ha avuto due figlie e tre figli. I tre figli maschi sono deceduti.
    • Aso Nobuko il 7 novembre 1980 ha sposato il principe Tomohito di Mikasa, cugino dell'imperatore Akihito deceduto nel 2012. La principessa Tomohito di Mikasa è nata il 9 aprile 1955, figlia di Aso Takakichi, presidente della Aso Cement Co. e sua moglie Kazuko, una figlia dell'ex primo ministro Yoshida Shigeru. È vedova del Principe Tomohito di Mikasa. La principessa ha due figlie:
      • principessa Akiko nata il 20 dicembre 1981
      • principessa Yōko nata il 25 ottobre 1983
    • Principessa Takamado (Hisako), vedova del principe Takamado (Norigito), precedentemente chiamato principe Norihito di Mikasa (nato 29 dicembre 1954 e morto il 21 novembre 2002), il terzo figlio del principe e della principessa Mikasa e cugino in prima dell'imperatore Akihito. La principessa è nata il 10 luglio 1953, figlia di Tottori Shigejiro. Sposò il Principe il 6 dicembre 1981. La principessa ha tre figlie:
      • principessa Tsuguko nata il 6 marzo 1986
      • principessa Noriko nata il 22 luglio 1988
      • principessa Ayako nata il 15 settembre 1990

Persone che non fanno più parte della famiglia imperiale

In base alla legge del 1947, le Principesse imperiali (naishinnō) e le principesse (nyoō) perdono i loro titoli e l'appartenenza alla famiglia imperiale a seguito del matrimonio, tranne quando sposano l'imperatore o un altro membro della famiglia. Tre delle cinque figlie dell'imperatore Hirohito, le due figlie del principe Mikasa e, recentemente, l'unica figlia dell'imperatore Akihito hanno lasciato la famiglia reale, prendendo il cognome dei loro mariti. Le ex principesse imperiali (i cui nomi personali sono indicati tra parentesi) sono:
  • Kazuko Takatsukasa (principessa Taka), nata il 30 settembre 1929, scomparsa il 26 maggio 1989, la terza figlia dell'imperatore Shōwa e la sorella maggiore dell'imperatore Akihito. Sposò il 21 maggio 1950 Toshimichi Takatsukasa.
  • Atsuko Ikeda (principessa Yori), nata il 7 marzo 1931, la quarta figlia dell'imperatore Shōwa e la sorella maggiore dell'imperatore Akihito. Sposò il 10 ottobre 1952 Takamasa Ikeda.
  • Takako Shimazu (principessa Suga), nata il 2 marzo 1939, quinta figlia (la minore) dell'imperatore Shōwa e sorella minore dell'imperatore Akihito. Sposò il 10 marzo 1960 Hisanaga Shimazu.
  • Yasuko Konoe (principessa Yasuko di Mikasa), nata il 26 aprile 1944, figlia maggiore del principe e della principessa Mikasa. Sposò il 18 dicembre 1966 Tadateru Konoe.
  • Masako Sen (Principessa Masako di Mikasa), nata il 23 ottobre 1951, seconda figlia del Principe e della Principessa Mikasa. Sposò il 14 ottobre 1983 Masayuki (Soshitsu XVI) Sen.
  • Sayako Kuroda (principessa Nori), nata il 18 aprile 1969, unica figlia dell'imperatore Akihito e dell'imperatrice Michiko. Sposò il 5 novembre 2005 Yoshiki Kuroda.

Attuale ordine di successione

  1. Naruhito, Principe della corona, il primogenito dell'imperatore
  2. Principe Akishino (Fumihito), secondogenito dell'imperatore
  3. Principe Hisahito, figlio del principe Akishino
  4. Principe Hitachi (Masahito), fratello dell'imperatore
Il principe della corona Naruhito ha una figlia (principessa Aiko) e il principe Akishino ha due figlie (Mako e Kako). Il fratello dell'imperatore, il principe Hitachi non ha figli. Dei tre figli del principe Mikasa: Tomohito ha due figlie (Akiko e Yōko), il Principe Katsura non ha avuto figli e il principe Takamado ha tre figlie (Tsuguko, Noriko e Ayako).

Titoli

Il titolo Principe ( ō) viene dato ai membri maschi della famiglia imperiale giapponese che non possono avere il titolo superiore di principe imperiale (親王 shinnō). L'equivalente femminile è principessa (女王 nyoō) e principessa imperiale (内親王 naishinnō). Il termine ō potrebbe essere anche tradotto come "re". L'origine di questo doppio significato deriva dalla trasposizione del sistema utilizzato per la nobiltà cinese. A differenza di quest'ultima, tuttavia, Ō era utilizzato solo per i membri della famiglia imperiale. È interessante notare che il termine Regina (女王 joō?) utilizza gli stessi Kanji di nyoō.
Storicamente, tutti i membri maschili della famiglia imperiale possedevano il titolo di ō, e shinnō era un titolo speciale assegnato dall'imperatore. Dopo la restaurazione Meiji, il significato di ō e di shinnō sono cambiati leggermente. Uno shinnō o naishinnō (femminile) era un membro legittimo della famiglia imperiale discendente dall'imperatore, fino al grado di pronipote (di nonno). Con la dicitura "membro legittimo della famiglia imperiale" si esclude chiunque non sia connesso con una discendenza maschile, e i discendenti di chiunque abbia rinunciato alla sua appartenenza alla famiglia reale, oppure sia stato espulso. Il termine Shinnō include anche i capifamiglia di tutte le Famiglie di principi (Shinnōke).
Nel 1947 la legge venne modificata in modo che il titolo di Shinnō era assegnato solo alla linea maschile di discendenza dell'imperatore fino al nipote. La consorte di un membro della famiglia con il titolo di ō oppure shinnō ha il suffisso -hi (), ovvero ō-hi e Shinnō-hi.

Linea genealogica ascendente diretta della famiglia

(il numero decrescente indica la generazione ascendente dall'attuale imperatore)
  • 52. Kinmei 29º imperatore (regno 539-571)
  • 51. Bidatsu (538-585), 30º Imperatore (r. 572-585)
  • 50. Osaka no hikobito oine, principe imperiale
  • 49. Jomei (593-641), 34º imperatore (r. 629-641); = Kogyoku, che fu 35ª imperatrice, e 37ª imperatrice con il nome di Saimei
  • 48. Tenji (626-672), 38º imperatore (r. 661-672)
  • 47. Shiki, principe imperiale
  • 46. Kōnin (709-782), 49º imperatore (r. 770-781)
  • 45. Kammu (737-806) (avuto da Takano no Niigasa), 50º imperatore (r. 781-806)
  • 44. Saga (786-842), 52º imperatore (r. 809-823)
  • 43. Nimmyo (810-850), 54º imperatore (r. 833-850)
  • 42. Koko (830-887), 58º imperatore (r. 884-887)
  • 41. Uda (867-931), 59º Imperatore (r. 887-897)
  • 40. Daigo (885-930), 60º imperatore (r. 897-930)
  • 39. Murakami (926-967), 62º imperatore (r. 946-967)
  • 38. En'yū (959-991), 64º imperatore (r. 969-984)
  • 37. Ichijo (980-1011), 66º imperatore (r. 986-1011)
  • 36. Go-Suzaku (1009-1045), 69º imperatore (r. 1036-1045)
  • 35. Go-Sanjo (1034-1073), 71º imperatore (r. 1068-1073)
  • 34. Shirakawa (1053-1129), 72º imperatore (r. 1073-1087, dal chiostro 1086-1129)
  • 33. Horikawa (1079-1107), 73º imperatore (r. 1087-1107)
  • 32. Toba (1103-1156), 74º Imperatore (r. 1107-1123, dal chiostro 1129-1156)
  • 31. Go-Shirakawa (1127-1192), 77º imperatore (r. 1155-1158, dal chiostro 1158-1192)
  • 30. Takakura (1161-1181), 80º imperatore (r. 1168-1180)
  • 29. Go-Toba (1180-1239), 82º imperatore (r. 1183-1198)
  • 28. Tsuchimikado (1195-1231), 83º Imperatore (r. 1198-1210)
  • 27. Go-Saga (1220-1272), 88º imperatore (r. 1242-1246)
  • 26. Go-Fukakusa (1243-1304), 89º imperatore (r. 1246-1260)
  • 25. Fushimi (1265-1317), 92º imperatore (r. 1287-1298)
  • 24. Go-Fushimi (1288-1336), 93º imperatore (r. 1298-1301)
  • 23. Kogon (1313-1364), 1º imperatore pretendente della corte del Nord Ashikaga (r. 1331-1333)
  • 22. Suko (1334-1398), 3º imperatore pretendente della corte del Nord (r. 1348-1351)
  • 21. Einin, principe
  • 20. Sadafusa, principe
  • 19. Go-Hanazono (1419-1471), 102º imperatore (r. 1428-1464)
  • 18. Go-Tsuchimikado (1442-1500), 103º imperatore (r. 1464-1500)
  • 17. Go-Kashiwabara (1464-1526), 104º imperatore (r. 1500-1526)
  • 16. Go-Nara 1497-1557), 105º imperatore (r. 1526-1557)
  • 15. Ōgimachi (1517-1593), 106º Imperatore (r. 1557-1586)
  • 14. Masahito (1552-1586)
  • 13. Go-Yōzei (1572-1617), 107º imperatore (r. 1586-1611)
  • 12. Go-Mizunoo (1596-1680), 108º imperatore (r. 1611-1629)
  • 11. Reigen (1654-1732), 112º Imperatore (r. 1663-1687)
  • 10. Higashiyama (1675-1709), 113º Imperatore (r. 1687-1709)
  • 9. Naohito (1704-1753), principe imperiale, capostipite del ramo imperiale (Shinnōke) Kan'in-no-miya
  • 8. Suekito (1733-1794), principe imperiale
  • 7. Kōkaku (1771-1840), 119º imperatore (r. 1780-1817)
  • 6. Ninko (1800-1846), 120º imperatore (r. 1817-1846)
  • 5. Komei (1831-1867), 121º imperatore (r. 1846-1867)
  • 4. Meiji (Mutsuhito) (1852-1912), 122º imperatore (r. 1867-1912)
  • 3. Taisho (Yoshihito) (1879-1926), 123º imperatore (r. 1912-1926)
  • 2. Shōwa (Hirohito) (1901-1989), 124º imperatore (r. 1926-1989)
  • 1. Akihito (1933), attuale 125º imperatore (r. dal 1989 ad oggi)

venerdì 26 ottobre 2018

Kitabatake Harutomo

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Kitabatake Harutomo (北畠晴具; 1503 – 1563) fu un daimyō giapponese del periodo Sengoku appartenente al clan Kitabatake.

Biografia

Harumoto era figlio di Kitabatake Murachika. Supportò Ashikaga Yoshiharu e gli fu concesso di cambiare il prorpio nome in Harutomo. Harumoto mandò soldati in aiuto del clan Rokkaku che combatteva contro la famiglia Kyōgoku. Represse una rivolta dei samurai di Tamaru che avevano ucciso il loro capo, Tamaru Tomotada. È ricordato anche per le sue attività culturali che condivideva con suo suocero, Hosokawa Takakuni.

giovedì 25 ottobre 2018

Sciabola

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La sciabola (da szablya, lingua ungherese) è un'arma bianca manesca del tipo spada destinata ai reparti di cavalleria, con lama monofilare curva, affilata sul lato convesso, di lunghezza variabile a seconda del paese di provenienza, e guardia molto pronunciata, atta a coprire tutta la mano. Era normalmente portata in un fodero a due punti di sospensione appeso a un'apposita fascia ma alcuni esemplari venivano portati fissi sulla sella: tale fu il caso della szabla in uso agli Ussari alati di Polonia, vero e proprio archetipo della sciabola moderna, e di altre tipologie più recenti come la Sciabola Patton dell'esercito degli Stati Uniti (entrata in servizio nel 1913).
Il vocabolo "sciabola", in lingua italiana come in altre lingue, finì però per indicare anche altre forme di arma bianca del tipo spada in uso alla cavalleria pesante dell'Europa pre-Industriale, come la squadrona dei corazzieri, o di fanteria, come il coltellaccio d'abbordaggio della marina militare europea del XVIII secolo. A partire dal XIX secolo, la sciabola divenne attributo precipuo per gli ufficiali e tale è ancora il suo utilizzo in ambito militare contemporaneo.
Dalla sciabola originò uno dei tre stili fondamentali della scherma moderna, la sciabola.


Storia
Origini
La diffusione negli eserciti dell'Europa Orientale, fondamentalmente il Granducato di Moscovia e il Regno d'Ungheria, ivi compresi i voivodati (principati) di Moldavia, Valacchia e Transilvania, di spade a lama ricurva simili alla scimitarra orientale si dovette ai contatti con i Tartari prima (XIV secolo) e con gli Ottomani poi (XV secolo). Solo nel XVI secolo però le lame ricurve cominciarono a diffondersi anche nelle terre del vecchio Regno di Polonia e del Granducato di Lituania, sostituendo la spada a lama diritta in uso presso le forze di cavalleria. La prima forma di spada occidentale da cavalleria a lama ricurva fu la szabla, diffusasi tra le truppe di cavalleria della Confederazione Polacco-Lituana durante il regno di Stefan Batory (1576-1586), già voivoda di Transilvania.
Nella quasi totalità dei paesi dell'Europa Occidentale, la parola "sciabola" (sabre in inglese e francese, säbel in tedesco, sable in spagnolo, ecc.) deriva appunto dal vocabolo polacco szabla.

Diffusione
A partire dal XVIII secolo, la sciabola andò incontro a un incredibile successo, sia pratico sia etimologico:
  • La parola "sciabola" cominciò infatti a indicare qualsiasi forma di spada in uso ai corpi di cavalleria, come la pałasz polacca, in tutto e per tutto un costoliere da cavalleria a lama diritta, e la shashka, sorta di ibrido tra un costoliere e una scimitarra, divenuta arma d'ordinanza della cavalleria russa nella seconda metà dell'Ottocento;
  • Sciabole cominciarono a essere definite anche quelle spade da fante o da marinaio, sviluppatesi dal modello del falcione tardo-medievale, che pur mantenendo le caratteristiche tecniche della spada da fanteria (bilanciamento fissato al punto d'incontro tra la lama e l'elsa) copiavano la linea curva della scimitarra orientale: es. Sciabola d'abbordaggio.
Nel corso del XIX secolo i continui contatti tra gli europei e i territori africani e asiatici gravitanti intorno al decadente Impero ottomano(v. Imperialismo) intensificarono il processo di "orientalizzazione" delle spade da cavalleria occidentali. Le sciabole di tutti i corpi di cavalleria presero a modello la curvatura del kilij turco, la scimitarra per eccellenza, pur mantenendosi fedeli all'originario modello della szabla per quanto concerne il rapporto di larghezza tra lo scarico della lama e il falso-taglio in prossimità della punta. La sciabola occidentale mantenne quindi sempre una lama più lunga, più appuntita e meno curva rispetto alla scimitarra orientale.
La campagna d'Egitto di Napoleone (1802) consegnò agli occidentali un gran quantitativo di scimitarre (in questo caso preziose sciabole mamelucche) che colpirono, per la loro eleganza e funzionalità, gli ufficiali europei. Entro il 1803, la sciabola era ormai arma d'ordinanza tra gli ufficiali francesi e inglesi, si trattasse o meno di ufficiali di cavalleria. La conquista di Tripoli (1805), durante la Prima guerra barbaresca, diffuse del pari la moda della sciabola anche tra gli ufficiali dell'esercito degli Stati Uniti d'America.
Entro la fine dell'Ottocento le armi bianche classiche avevano definitivamente abbandonato la panoplia del soldato di fanteria europeo, sostituite dall'onnipresente baionetta. Le sciabole, in uso alle truppe di cavalleria e ai soli ufficiali nella fanteria, mantennero invece inalterato il loro uso campale sino a che non fu il soldato a cavallo medesimo a perdere ogni funzionalità pratica sui campi di battaglia europei, tra la prima e la seconda guerra mondiale.
Tra il XIX e il XX secolo, la sciabola si diffuse anche tra i ranghi della polizia a cavallo di diversi paesi occidentali e tra quella appiedata in una versione più corta detta anche daga, salvo poi cadere in disuso per motivazioni pratico-umanitarie ed essere sostituita dal manganello.

Utilizzo nelle Forze Armate Italiane
Abolita nel 1947, la sciabola fu reintrodotta nelle Forze Armate Italiane nel 1962 per essere utilizzata come arma di rappresentanza, portata in particolari occasioni esclusivamente da ufficiali e marescialli, con l'eccezione, per quanto riguardano i sergenti, i graduati e la truppa dei reparti a cavallo (Carabinieri, Finanzieri, Cavalleggeri e degli appartenenti al Reggimento artiglieria a cavallo "Voloire").
Le sciabole in dotazione all'Esercito italiano, ai Carabinieri e alla Guardia di Finanza vedono una differenza nella coccia, a seconda che appartengano a un ufficiale (coccia formata da tre elementi) o a un sottufficiale (formata da due elementi), e nella forma della lama a seconda dell'arma o del corpo d'appartenenza.
Accessori della sciabola sono la dragona e il pendaglio, che serve a portarla e che viene agganciato a due anelli posti sul suo fodero e a uno speciale passante della cintura o del cinturone, a seconda del tipo di uniforme indossata.

Ufficiali Generali
La sciabola per Ufficiali Generali (o Colonnelli che rivestono il grado funzionale di Generale di Brigata) ha la lama dritta o leggermente ricurva (saetta di curvatura massima 25 mm). L'impugnatura è di tipo avorio con quattro scalanature nella parte interna per adattarvi le dita ed è rivestita esternamente da una cappetta di ferro nichelato. La guardia, pure di ferro nichelato, è munita di tre branche, due delle quali oblique e ricurve, e di un incavo per il dito pollice; ha nella parte superiore un foro per assicurarvi la dragona. Il fodero della sciabola è di ferro o di acciaio nichelato e ha un'apertura lunga 25–30 mm, con una molla doppia nell'interno per tener ferma la lama; è munito esternamente di due fascette con codetta, collocate l'una a circa 7 cm e l'altra a circa 15 cm dalla estremità superiore, a ciascuna delle quali è attaccato un anello scorrevole del diametro di 22 mm (campanella). Il fodero è munito nella parte inferiore di una cresta lunga, dalla parte del taglio della lama, 8–10 cm e dalla parte opposta 4–5 cm. Le fascette, gli anelli e la cresta sono di ferro di acciaio nichelato come il fodero. La sciabola deve essere di lunghezza proporzionata alla statura dell'Ufficiale.

Ufficiali di Fanteria
Viene portata dagli Ufficiali di Fanteria (esclusi i Bersaglieri), delle altre Armi (esclusa la Cavalleria) e dei Corpi (esclusi gli Ufficiali Veterinari). La sciabola per Ufficiali di Fanteria differisce da quella per Ufficiali Generali per aver l'impugnatura in ebano anziché di tipo avorio.

Ufficiali dei Bersaglieri
La sciabola per Ufficiali dei Bersaglieri differisce da quella sopra descritta per la maggiore curvatura e per l'impugnatura e la guardia. L'impugnatura è di ebano, con guarnizioni di metallo giallo brunito; la guardia è a cinque branche di metallo dorato.

Ufficiali di Cavalleria
Viene portata dagli Ufficiali di Cavalleria, dai Veterinari o dagli Ufficiali appartenenti al Reggimento Artiglieria a Cavallo. Differisce da quella di fanteria per i seguenti particolari: la leggera curvatura; la guardia è a quattro branche (tre delle quali oblique e ricurve); il fodero ha l'apertura della lunghezza di 31–36 mm; la prima fascetta dista da essa 7 cm e la seconda 20 cm circa; l'impugnatura è priva della scalanatura per adattarvi le dita.

Marescialli di Fanteria
Viene portata dai Sottufficiali di Fanteria del Ruolo Marescialli (esclusi i Bersaglieri), delle Armi (escluse Cavalleria e Artiglieria) e dei Corpi. È a lama diritta con l'impugnatura di ebano zigrinato, avente guarnitura formata da una cappetta e da una guardia in acciaio divisa in due branche pressoché simmetriche. Il fodero è di acciaio ed è munito di due fascette con campanelle collocate l'una a 7 cm e l'altra a 15 cm dalla bocchetta. Le parti metalliche dell'impugnatura (cappetta e guardia) e il fodero sono nichelati. La lunghezza della sciabola deve essere proporzionata alla statura.

Marescialli dei Bersaglieri
La sciabola per Marescialli dei Bersaglieri è a lama leggermente ricurva, ed ha le parti metalliche dell'impugnatura in ottone lucido anziché in acciaio nichelato.

Marescialli di Cavalleria
Viene portata dai Sottufficiali di Cavalleria e di Artiglieria del Ruolo Marescialli. È simile alla sciabola per Marescialli di Fanteria, dalla quale differisce per la guardia, le cui branche sono leggermente più larghe, per la cappetta che forma semicilindrica, per l'impugnatura che è di ebano liscio anziché zigrinato e per la lama che è leggermente ricurva.

Ufficiali della Marina Militare
Viene portata dagli Ufficiali e dagli Aspiranti della Marina Militare. La guardia, il dorso dell'impugnatura, le guarnizioni e il puntale del fodero sono di metallo dorato; il fodero è in materiale plastico nero verniciato; la parte interna dell'impugnatura è di materiale plastico rigido di color bianco. La lunghezza deve essere tale da giungere con la parte superiore dell'impugnatura, quando riposta nel fodero e poggiata a terra, a circa 15 cm al di sotto della vita. La sciabola è accessorio costitutivo delle uniformi S.A.I.1, S.A.I.3, G.U.I e G.U.E.

Marescialli della Marina Militare
La sciabola è accessorio costitutivo, per il 1º Maresciallo Luogotenente, 1º Maresciallo e per i Capi di 1a, 2a e 3ª classe, delle uniformi S.A.I. 1-3, S.A.E. 1-3, G.U.I., G.U.E. La guardia, il dorso dell'impugnatura, le guarnizioni e il puntale del fodero sono di metallo dorato e completamente lisci; il fodero è di materiale plastico nero verniciato; la parte interna dell'impugnatura è in plastica nera lucida. La lunghezza deve essere tale da giungere con la parte superiore dell'impugnatura, quando riposta nel fodero e poggiata a terra, a circa 15 cm al disotto della vita.

Ufficiali dell'Aeronautica Militare
Elsa: la guardia è costituita da un'ala curvata e terminante in una testa d'aquila che ne forma il pomo: il tutto è dorato e sormontato da un bottone semisferico per fissare la lama. La parte interna dell'impugnatura è liscia e assicurata con vari passi di filo di metallo dorato; per gli Ufficiali Generali detta impugnatura è in avorio, per gli Ufficiali Superiori e Inferiori è in osso nero.
Lama: di acciaio, diritta e arabescata.
Fodero: di colore nero, ha tre guarnizioni in metallo dorato arabescato a sbalzo: la prima, all'estremità superiore, è provvista di piolo e prima campanella; la seconda, al terzo superiore, è provvista di campanella; la terza, all'estremità inferiore, termina nel puntale arrotondato.
Pendagli: sono formati da due strisce di tessuto grigio azzurro di 2 mm unite a due strisce in filo d'oro di 5 mm e una centrale grigio azzurra di 4 mm. Vanno assicurati con due moschettoni alle campanelle del fodero. Vanno agganciati alla cintura dei pantaloni e devono uscire dal lato sinistro sotto la giacca, oppure da apposita apertura praticata sotto la patta della tasca sinistra del soprabito impermeabile.
Dragona: è composta da un cordone a doppino, riunito a due terzi da un nodo da frate e portante una nappa nella parte terminale. La nappa ha un'anima rigida e si compone del gambo e della nappa vera e propria; all'estremità superiore del gambo sono fissati i due capi del cordone. La nappa, a forma ovoidale, è ricoperta da frange fisse di canutiglia dorata. Il cordone è completamente intessuto d'oro: di 8 mm per gli Ufficiali Generali, di 6 mm per gli Ufficiali Superiori. In cordone intessuto d'oro con intreccio di fili di seta azzurra di 6 mm, per gli Ufficiali Inferiori. Viene applicata alla guardia della sciabola con nodo scorsoio

Marescialli dell'Aeronautica Militare
Elsa: piena, liscia, dorata, con impugnatura in ebano. Lama: di acciaio, diritta. Fodero: di colore nero, ha tre guarnizioni in metallo dorato: la prima, all'estremità superiore, è provvista di piolo e prima campanella; la seconda, al terzo superiore, è provvista di campanella; la terza, all'estremità inferiore, termina nel puntale. Pendagli: sono formati da due strisce di tessuto grigio azzurro di 2 mm unite a due strisce di 5 mm in filo d'oro con striature oblique di colore grigio azzurro e una striscia centrale grigio azzurra di 4 mm. Vanno assicurati con due moschettoni alle campanelle del fodero. Agganciati alla cintura dei pantaloni, devono uscire dal lato sinistro sotto la giacca, oppure da apposita apertura praticata sotto la patta della tasca sinistra del soprabito impermeabile. Dragona: In cordone azzurro del diametro di 6 mm, con tre filettature d'oro poste in senso longitudinale. Viene applicata alla guardia della sciabola con nodo scorsoio.

Ufficiali dei Carabinieri
La sciabola ha la lama ricurva (saetta di curvatura massima di 25 mm). L'impugnatura è di tipo di avorio per gli Ufficiali Generali (o Colonnelli che rivestono il grado funzionale di Generale di Brigata), ebano per i restanti Ufficiali, con quattro scanalature nella parte interna per l'adattamento delle dita ed è rivestita esternamente da una cappetta di ferro nichelato. La guardia, anch'essa di ferro nichelato, è munita di tre branche, due delle quali oblique e ricurve, e di un incavo per il dito pollice: ha nella parte superiore un foro per assicurarvi la dragona. Il fodero della sciabola è di ferro o di acciaio nichelato e ha un'apertura lunga 25–30 mm, con una molla doppia nell'interno per tenere ferma la lama; è munito esternamente di due fascette con codetta, collocate l'una a circa 7 cm e l'altra a circa 15 cm dalla estremità superiore, a ciascuna delle quali è attaccato un anello scorrevole del diametro di 22 mm (campanella). Il fodero è munito nella parte inferiore di una cresta lunga, dalla parte del taglio della lama, 8–10 cm e dalla parte opposta 4–5 cm. Le fascette, gli anelli e la cresta sono di ferro o di acciaio nichelato come il fodero. La sciabola deve essere di lunghezza proporzionata alla statura dell'Ufficiale (da 100 a 115 cm). Gli Ufficiali che cessano di appartenere al Reggimento Corazzieri, dopo aver prestato servizio per cinque anni, sono autorizzati a fare uso della sciabola da Ufficiale dei Corazzieri.

Marescialli dei Carabinieri (a piedi)
È a lama ricurva con l'impugnatura in ebano zigrinato, avente guarnitura ricurva formata da una cappetta e da una guardia in acciaio divisa in due branche pressoché simmetriche. Il fodero, di acciaio, è munito di due fascette con campanelle collocate l'una a 7 e l'altro a 15 cm dalla bocchetta. Le parti metalliche dell'impugnatura (cappetta e guardia) e il fodero sono nichelati.

Marescialli dei Carabinieri (a cavallo)
È lunga, con l'impugnatura in noce, munita di fodero nichelato con due campanelle, con passante che va infilato nella cintura dei pantaloni.

Brigadieri, Appuntati e Carabinieri
È lunga, con l'impugnatura in noce, munita di fodero nichelato con una campanella, con passante che va infilato nella cintura dei pantaloni.

Reggimento Corazzieri
Ha la lama dritta. L'impugnatura è di ebano liscio divisa in settori mediante spire di filo metallico argentato ritorto ed è rivestita esternamente da una cappetta di metallo nichelato. La guardia, pure in metallo nichelato, è decorata a volute di fogliame e reca, nella parte anteriore, un trofeo d'armi, nella parte inferiore un incavo per il dito pollice; la guardia della sciabola da Ufficiale è più ampia di quella del restante personale. Il fodero, leggermente curvo, è di metallo nichelato e ha un'apertura di 36 mm circa con una molla doppia per tener ferma la lama; è munito esternamente di due fascette con codetta, collocate l'una a circa 70 mm e l'altra a circa 200 mm dalla estremità superiore, a ciascuna delle quali è attaccato un anello scorrevole del diametro di 22 mm circa (campanella). Il fodero è munito nella parte inferiore di una cresta lunga, dalla parte del taglio della lama, 80–100 mm e dalla parte opposta 40–50 mm. Le fascette, gli anelli e la cresta sono di metallo nichelato come il fodero. La lunghezza totale della sciabola è per tutti di 1.200 mm.

Tipologie
La sciabola per Ufficiale di fanteria mantiene le caratteristiche della vecchia 1888 in versione vicina a quelle in uso negli anni precedenti il secondo conflitto. Impugnatura nera a tre denti di presa, lama dritta, con lungo tallone e sgusciata sui lati, incisa ad acido e con fregi comprendenti lo stemma della Repubblica. Fodero a due campanelle.
La sciabola per Ufficiale di Cavalleria è una reinterpretazione delle sciabole di cavalleria post 1900, con impugnatura nera munita di becco, leggermente rigonfia al centro; guardia a tre larghi rami e spacchi sottili, lama dritta (a richiesta e in deroga è possibile averla ricurva), tallone lungo, sgusciata sui lati e ornata come la precedente. Fodero dritto a due campanelle.
La sciabola per Ufficiale dei Bersaglieri ha la tradizionale testa di leone, munita di occhi in cristallo rosso; il bottone a forma di corona in uso nell'epoca del Regno è stato sostituito con uno cilindrico zigrinato; guardia in ottone dorato, impugnatura nera a tre denti di presa, lama e fodero analoghi a quelli per la fanteria ma più ricurvi.
La sciabola per Ufficiale dei Carabinieri ha la guardia a tre else e conchiglia per il pollice, calotta del tipo in uso già sui modelli del 1873 con bottone tondo, impugnatura in ebanite a becco, lama leggermente curva, robusta a un filo e punta, sgusciata sui lati e incisa ad acido con ornamenti a "fiamma" e stemma della Repubblica. Fodero a due campanelle.
La sciabola per Ufficiale di artiglieria a cavallo "Voloire": ispirata alla modello 1833 con guardia a tre rami larghi e spacchi sottili, impugnatura nera a settori zigrinati tipo 1855, calotta lunga, piatta e con bottone piatto ovale; lama larga, curva, sgusciata sui lati; fodero a due campanelle.
La sciabola per Ufficiale della Marina Militare: presenta un pomolo a forma di testa di leone, la guardia con ancora incrociata, munita di lembo mobile, bottone di forma cilindrica, piatto e zigrinato; calotta a testa di leone con occhi in cristallo rosso, impugnatura tipo pelle di squalo, lama dritta con lungo tallone, sgusciata sui lati, ornata come già detto; falso fodero in fibra rivestito di pelle nera, con tre fornimenti lavorati e dorati (cappa fascetta e puntale).
La sciabola per Ufficiale dell'Aeronautica militare si distingue invece per il pomolo a forma di testa d'aquila e la guardia decorata a ricordarne l'ala (e sono del pari dorati); il fodero in pelle nera con decorazioni dorate ai passanti è in stile con i motivi dell'Aeronautica Militare (aquile).
Sia in Marina Militare sia in Aeronautica Militare, la sciabola dei sottufficiali si distingue per assenza di decorazioni.
Anche dragona e pendaglio sono distinte, per ufficiali generali, ufficiali superiori, ufficiali subalterni e sottufficiali, in base a colori e particolari che variano a seconda della forza armata. Nell'Esercito Italiano, per esempio, il pendaglio per sottufficiali è azzurro con una striscia dorata al centro, a richiamare a colori invertiti il nastro del berretto rigido, mentre quello per ufficiali è color oro e quello per generali color argento; al pendaglio vengono poi applicati tanti passanti quanti quelli sul nastro del berretto rigido, a richiamo del grado. Per gli ufficiali generali, inoltre, l'impugnatura passa da nera a bianca.

Costruzione
La sciabola ha:
  • Lama monofilare ricurva, affilata sul lato convesso. L'angolo di curvatura è sempre inferiore a quello della scimitarra e manca il contro-taglio in prossimità della punta;
  • Impugnatura a una mano priva di pomolo, con guardia a bracci mai molto pronunciati, sviluppanti un para-mano o tramite coccia, integra o traforata, o tramite archetto;
  • A partire dal XIX secolo, il fodero interamente in metallo assicurato a una dragona da portarsi trasversalmente al petto.
Tipi di sciabole
  • Karabela - variante più corta della Szabla;
  • Katana - sciabola giapponese da fante;
  • Leppa - corta sciabola (50–60 cm) della Sardegna con impugnatura in corno o in legno rivestito di lamine di ottone; faceva parte del costume sardo e veniva portata infilandola entro la cintura. Reca sovente scritte come "Vincere o morire".
  • Palà - pesante sciabola persiana;
  • Pałasz - pesante sciabola a lama diritta diffusa nell'Europa Orientale, poi sostituita dalla shashka;
  • Sciabola d'abbordaggio;
  • Shashka - pesante sciabola caucasica con lama solo leggermente curva;
  • Szabla - sciabola ungaro-polacco a lama lunga (85 cm) e larga che funse da archetipo per lo sviluppo delle sciabole europee a lama ricurva;
  • Tachi - sciabola giapponese;
  • Wakizashi - corta sciabola giapponese da fante.


mercoledì 24 ottobre 2018

Ikigai

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L'ikigai (生き甲斐) è l'equivalente giapponese di espressioni italiane quali "ragione di vita", "ragion d'essere".

Significato del termine

Nella zona di Okinawa l'ikigai è visto come "una ragione per svegliarsi al mattino". La parola può inoltre indicare una persona di cui si è profondamente innamorati.
Tutti, secondo la cultura giapponese, avrebbero il proprio ikigai. Trovare quale sia la ragione della propria esistenza richiede però una ricerca interiore che può spesso essere lunga e difficile. Tale ricerca viene considerata molto importante e la sua conclusione positiva porta alla persona una profonda soddisfazione.
Oltre che aspetti positivi per chi segue il proprio 'ikigai possono esserci anche aspetti negativi: coloro che vivono la vita con estrema passione rischiano infatti di esserne consumati sino alla degradazione.

martedì 23 ottobre 2018

Sakugawa Kanga

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Sakugawa Teruya Kanga (佐久川親雲上寛賀, Sakugawa Teruya Kanga; 1733 – 1815) è stato un karateka giapponese.
Originario di famiglia nobile, fu spesso capo delle delegazioni inviate in Cina per il pagamento dei tributi; da questi viaggi tornò con una approfondita conoscenza del Kempo.
Con tutta probabilità fu il primo maestro a tentare la sistematizzazione del Tode, termine da lui coniato per individuare l'arte del combattimento a mano vuota, quindi più che tutto ebbe una fama leggendaria per il suo influsso nell'evoluzione del Karate. È ritenuto il maestro di Sokon Matsumura, purché non esistano prove certe che confermino questa tesi.

lunedì 22 ottobre 2018

Buddhismo Tendai

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Il Buddhismo Tendai (天台宗, Tendai-shū) è una scuola giapponese del Buddhismo Mahāyāna. Fondata da Saichō, discende della scuola buddhista cinese Tiāntái (天台宗, Tiāntái zong, Wade-Giles: T'ien-t'ai tsung), anche conosciuta come scuola del Sutra del Loto e fondata da Zhìyǐ (智顗) nel VI secolo.

Storia

I primi insegnamenti Tiāntái (天台宗) furono trasferiti in Giappone intorno alla metà dell'VIII secolo dal monaco cinese Jiànzhēn (鑑眞, giapp. Ganjin; 688-763) patriarca della scuola Ritsu (律宗 Ritsu shū).
Nell'805, il monaco giapponese Saichō (最澄, fondatore del Buddhismo Tendai e noto anche con il titolo postumo di Dengyō Daishi (傳教大師, cin. Chuánjiào Dàshī; 767-822) ritornò dalla Cina con ulteriori insegnamenti cinesi del Tiāntái e fece del tempio che aveva precedentemente eretto sul Monte Hiei (比叡山, giapp. Hieizan), denominato nell'823 come Enryaku-ji (延暦寺), un centro per lo studio e per la pratica di quello che divenne il Tendai, la versione giapponese della scuola cinese Tiāntái.
La scuola Tendai fondata da Saichō, seppur non deviando dal punto di vista dottrinale dalla scuola cinese Tiāntái, conserva delle importanti integrazioni con gli insegnamenti di altre scuole buddhiste. Saichō, infatti, riportò dalla Cina anche insegnamenti Chán, sia della scuola Beizōng (北宗, Chan settentrionale) che della scuola Niútóuchán (牛頭宗, Niútóu zōng, giapp. Gozu shū, scuola della Testa di Bufalo, fondata da Fǎróng, 法融, 594-657), e soprattutto insegnamenti esoterici (密教 mikkyō) della scuola Zhēnyán (眞言宗, Zhēnyán zōng, giapp. Shingon).
La tendenza ad includere via via una serie di insegnamenti di altre dottrine buddhiste, soprattutto esoterici (mikkyō) derivati dallo Shingon, divenne più marcata negli sviluppi del Tendai da parte dei successori di Saichō, come Ennin (圓仁, 794-864) ed Enchin (圓珍, 814-891).
Nei suoi primi secoli di vita la scuola Tendai fiorì sotto il diretto patronato della famiglia imperiale, divenendo dunque la forma più importante del Buddhismo giapponese, generando a sua volta buona parte delle scuole giapponesi tutt'oggi esistenti. Nichiren (日蓮, 1222-1282), Hōnen (法然, 1133-1212), Shinran (親鸞, 1173-1263), Eisai (榮西, 1141-1215) e Dōgen (道元, 1200-1253) – fondatori di alcune importanti scuole buddhiste giapponesi rispettivamente della Nichiren shū (法華宗), Jōdo shū (浄土宗), Jōdo shin-shū (浄土真宗), Zen Rinzai-shū (臨濟宗) e Zen Sōtō shū (曹洞宗), erano infatti tutti monaci ordinati nei monasteri Tendai. A causa del patronato imperiale e della sua popolarità sempre più crescente fra i ceti aristocratici, la scuola Tendai divenne politicamente e militarmente potente. Durante il Periodo Kamakura (鎌倉時代, Kamakura-jidai, 1185-1333), il Tendai utilizzò il suo potere per tentare di sopprimere la sviluppo di scuole antagoniste in particolar modo della Nichiren-shu che iniziava a diffondersi presso la borghesia e della Jōdo shū che si diffondeva presso le classi più povere. L'Enryaku-ji, il potente tempio costruito sul Monte Hiei, divenne un centro non solo frequentato da monaci asceti ma anche da brigate militari di monaci guerrieri (gli sōhei, 僧兵) che lottavano nell'interesse del tempio. Nel 1571 Enryaku-ji fu distrutto e i suoi monaci massacrati da Oda Nobunaga (織田信長, 1534-1582) in un progetto politico-militare testo alla riunificazione del Giappone. Il tempio Enryaku-ji fu ricostruito più tardi e continua a rappresentare oggi il maggiore tempio della scuola Tendai.

La dottrina dell'enyū santai (圓融三諦) e il Sutra del Loto (妙法蓮華經)

Il Tendai conserva molti insegnamenti della scuola Tiāntái cinese fondata nel VI sec. da Zhìyǐ. In particolar modo si fonda sulla dottrina della Triplice verità (giapp. enyū santai, cin. 圓融三諦 yuánróng sāndì), un originale sviluppo cinese della scuola madhyamaka indiana fondata da Nāgārjuna. Questa dottrina sostiene che dal punto di vista della Verità assoluta (sans. paramārtha-satya o śūnyatā-satya, cin. 空諦 kōngdì, giapp. kūtai) tutta la Realtà che ci appare è vuota di proprietà inerente: essa è impermanente dal punto di vista temporale e, nel contempo, non c'è un fenomeno che non dipenda dagli altri fenomeni. Questa vacuità (sans. śūnyatā, cin. kōng, giapp. ) della Realtà si poggia tuttavia sulla Verità convenzionale (sans. saṃvṛti-satya, cin. 假諦 jiǎdì, giapp. ketai) dove i singoli fenomeni vengono percepiti nella loro singolarità. La sintesi esperienziale di queste due Verità, apparentemente contraddittorie, porta alla realizzazione della terza verità, la Verità di mezzo (sanscrito mādhya-satya, cin. 中諦 zhōngdì, giapp. chūtai).
Il Tendai sostiene, inoltre, che essendo tutti gli esseri espressioni della natura di Buddha (sans. buddhatā, tathāgatagarbha, cin. 佛性 fóxìng, giapp. busshō) che soggiace all'intera Realtà, il Buddha Śākyamuni non era che una manifestazione realizzata di questa natura. Tale natura di Buddha è realizzabile da tutti gli esseri mediante l'Illuminazione (sanscrito bodhi, cin. 菩提 pútí, giapp. bodai) in questo corpo e in questa vita.
Come per il Tiāntái anche per il Tendai, il Sutra del Loto (sanscrito Saddharmapundarīkasūtra, giapp. 妙法蓮華經 Myōhō renge kyō o Hokkekyō) è il testo che conserva gli insegnamenti più profondi e completi della dottrina buddhista (dottrina perfetta, giapp. engyo). Altra caratteristica del Tendai è quello di risultare sincretico nelle dottrine e nelle pratiche e ha teso, lungo i secoli, ad assorbire ed elaborare numerosi insegnamenti buddhisti. Coerentemente con alcuni insegnamenti dell'antico Buddhismo dei Nikāya, la scuola Tendai consente ai propri seguaci giapponesi di fare offerte alle divinità locali (, Kami) proprie dello Shintoismo viste anch'esse nella propria natura di Buddha.
Infine l'insegnamento Tendai, per cui il mondo fenomenico e mondando se ben compreso alla luce della Triplice Verità non è distinto dal Dharma buddhista in quanto tutte le cose e tutta la Realtà additano all'Illuminazione, lascia spazio alla riconciliazione dell'estetica, e della vita ordinaria, con più ascetici insegnamenti buddhisti. La poesia, ad esempio, può essere considerata come un mezzo che conduce al perfezionamento spirituale. La contemplazione della poesia è semplicemente contemplazione del Dharma. Ciò può essere affermato per ogni altra forma d'arte, di studio e di attività.

La dottrina dell'ichinen sanzen (一念三千)

La lettura del Sutra del Loto alla luce della elaborazione, di impronta madhyamaka, della Triplice verità porta la scuola Tendai (come già la scuola Tiāntái) ad elaborare la dottrina dello ichinen sanzen ("tremila mondi in un istante di vita", cin. 一念三千 yīniàn sānqiān ). Questa dottrina esprime un complesso olismo e omnicentrismo radicale che caratterizza l'unicità dell'insegnamento Tiāntái e Tendai nel panorama delle dottrine buddhiste. Essa sostiene che, dal punto di vista del pensiero, tutti i mondi (le singole esperienze e la individuazione dei singoli oggetti di esperienza) esistono certamente, ma la pratica meditativa consente di scorgerne la loro ambiguità, la loro indeterminatezza. Essi esistono solo in quanto la mente li delimita in modo arbitrario sia dal punto di vista spaziale che da quello temporale. Visti nella loro continuità temporale e nel loro condizionamento reciproco questi 'mondi' non possono essere considerati che 'vuoti', privi di una identità inerente. Ma il pensiero, ovvero la vita, non si accontenta della loro vacuità, soffrendo d'altro canto per la loro incostante 'esistenza' (ogni fenomeno appare, esiste e scompare): è l'ambiguità di questi 'mondi' a generare la sofferenza negli esseri senzienti (sanscrito sattva, cin. 衆生 zhòngshēng, giapp. shūjō) ed è il continuo esercizio di consapevolezza (pratica dello shikan, 止觀) sulla dottrina dello ichinen sanzen che può portare la salvezza da questa condizione.
Le realtà possibili in un solo pensiero (sans. eka-kṣaṇa, cin. 一念 yīniàn, giapp. ichinen) indicati in questa dottrina, sono tremila (sanscrito tri-sāhasra, cin. 三千 sānqiān, giapp. sanzen) in quanto inglobano tutte le condizioni esperibili: 10 sono le condizioni esistenziali (Dieci mondi, 十界 cin. shíjiè, giapp. jùkai) che vanno dalla condizione infernale (sanscrito apāya-bhūmi, 地獄 cin. dìyù, giapp. jigoku) allo stato di Buddha (cin. , giapp. butsu), tali condizioni esistenziali vanno moltiplicate per se stesse in quanto tutte queste condizioni, da quella infernale a quella buddhica, implicano potenzialmente le altre nove esistenze al loro stesso interno. Queste cento potenziali esistenze vanno poi moltiplicate per le 10 talità (vera natura dei dharma, sans. tathātā , 如是實相 cin. rúshì shíxiàng, giapp. nyoze jissō) indicate nel Sutra del Loto e che corrispondono a: caratteristiche, natura, essenza, forza, azione, causa, condizione, retribuzione, frutto e uguaglianza di tutte queste talità tra loro. Questi mille dharma vanno poi moltiplicati per i tre mondi (sans. loka, cin. shì, giapp. se) ovvero per i cinque aggregati (sans. pañca skandha, 五蘊 cin. wǔyùn, giapp. goun), per gli esseri costituiti dai cinque aggregati (sanscrito sattva, cin. 衆生 zhòngshēng, giapp. shūjō) e per il luogo in cui essi vivono (sanscrito talima, cin. , giapp. ji), raggiungendo il numero di tremila mondi (sanscrito tri-sāhasra, cin. 三千 sānqiān, giapp. sanzen).
La vita può manifestarsi in queste tremila condizioni cambiando costantemente anche a seconda dei vissuti della mente, ma questi tremila mondi sono, per la dottrina Tiāntái, tutti immancabilmente vuoti (sans. śūnyatā, cin. kōng, giapp. ) e non sono né esistenti né non esistenti.

La dottrina dell'hongaku (本覺)

Altro elemento dottrinario tipico della scuola Tendai è la concezione dell'hongaku (本覺, illuminazione originaria) che, seppur già presente nel Dàshéng qǐxìn lùn (大乘起信論, giapp. Daijō kishin ron, Il risveglio nella fede del Mahayana), sutra di probabile origine Huáyán (華嚴宗,Huáyán zōng), fu ulteriormente sviluppato dai monaci del Monte Hiei alla luce della Triplice Verità e del Sutra del Loto. Tale attenzione su questa particolare dottrina deriva probabilmente dal fatto che lo stesso fondatore del Tendai, Saichō, era un monaco Kegon, ovvero seguace della scuola che rappresentava la versione giapponese dello Huáyán cinese. È molto probabile che Saichō, prima di ritirarsi sul Monte Hiei, ebbe modo di studiare il Dàshéng qǐxìn lùn e il suo commento Dàshéng qǐxìn lùn yìjì (大乘起信論義記, giapp. Daijō kishinron giki T.D. 1846.44.240-287), opera del patriarca cinese Huáyán, Fāzàng (法藏, 643–712).
La dottrina dell'hongaku (hongaku-shiso) sostiene che ogni cosa possiede una illuminazione intrinseca, originaria (giapp. hongaku), unitamente all'illusione (不覺 fugaku, che dipende tuttavia strettamente dall'hongaku) e che la relazione tra queste due può produrre l'illuminazione realizzata (始覺, shigaku). Tale dottrina vuole radicalizzare la vacuità (śunyātā, giapp. ) anche nella percezione dell'illuminazione che non deve essere mai distinta dall'illusione pena la creazione di una discriminazione tra le due e quindi una ricaduta nell'illusione discriminante così criticata da Nāgārjuna e da Zhìyǐ. Quindi per il Tendai tutti gli aspetti duali del mondo poggiano in realtà, sempre e comunque, sulla non-dualità. Il mondo va sempre affermato come espressione stessa della buddhità. Non c'è altra illuminazione al di fuori del mondo e delle sue apparenze. Così Ennin nel Shoji kakuku sho (Vita e morte come illuminazione): "Il meraviglioso giungere del non giungere, la vera, la vera vita della non vita, il perfetto andare del non andare, la grande morte della non morte, l'unità di vita e morte, la non dualità di vacuità ed esistenza". Un brano che riecheggia lo Yuándùn zhǐguān (圓頓止觀, giapp. Endon shikan) del patriarca cinese di scuola Tiāntái, Guàndǐng (灌頂, 561-632), quando, già nel VI secolo, affermava: "Poiché tutti gli aggregati e le forme di sensibilità sono la realtà così come è, non c'è alcuna sofferenza da cui liberarsi. Poiché la nescienza e le afflizioni sono identiche al corpo illuminato, non c'è alcuna origine della sofferenza da sradicare. Poiché i due punti di vista estremi sono il Mezzo e le visioni erronee sono la Verità, non c'è alcun percorso da praticare. Poiché il saṃsāra è identico al nirvāṇa, non c'è alcuna estinzione della sofferenza da realizzare". La concezione dell'hongaku venne ripresa, seppur in modo critico, sia negli insegnamenti di Dōgen (fondatore dello Zen Sōtō) che da quelli di Nichiren (fondatore del Buddhismo Nichiren).

Le dottrine del taimitsu (台密)

A differenza di Zhìyǐ e dei maestri cinesi del Tiāntái, Saichō proclamò l'equivalenza tra le pratiche meditative e dottrinali Tiāntái e il Buddhismo esoterico (密教 Mikkyō) da lui appreso in Cina dal maestro di scuola Zhēnyán (眞言宗), Shunxiao (順曉, n.d.) e, in Giappone, dal fondatore della scuola Shingon (真言宗 Shingon-shū), Kūkai (空海, 774-835) e che ha fondamento nel Mahāvairocanāsūtra o Mahāvairocanābhisaṃbodhi-vikurvitādhiṣṭhāna-vaipulyasūtra (Il sutra di Mahavairocana, 大日經 cin. Dàrì jīng, giapp. Dainichikyō). Tale equivalenza era stabilita da Saichō anche sul piano della salvezza personale la quale, seguendo una di queste due vie, poteva realizzarsi in questa stessa vita (sokushin jobutsu). Tali vie rappresentavano delle vie immediate (直道 jikidō, cin. zhídào) all'illuminazione (bodai). Tuttavia Saichō, differentemente da Kūkai che riteneva l'esoterismo prevalente sulla dottrina e la meditazione, non ritenne superiore una via sull'altra. Ennin (圓仁, 794-864) quarto patriarca Tendai, recatosi in Cina nell'838, dove risiedette per otto anni sul Monte Wǔtái (五臺山, oggi nella provincia dello Shanxi), tornò in Giappone portando con sé le dottrine del nembutsu (念佛) e ulteriori dottrine esoteriche che denominò taimitsu (台密) per distinguerle da quelle denominate tōmitsu (東密) di derivazione Shingon. Ennin eseguì rituali taimitsu al cospetto della Corte imperiale e ciò permise al Tendai di superare in popolarità lo stesso esoterismo dello Shingon. Il successore di Ennin, Enchin (圓珍, 814-891), recatosi anche lui in Cina nell'852, dove risiedette sui Monti Tiāntái e a Chang'an per sei anni, tornò con ulteriori insegnamenti che permisero al Tendai di superare definitivamente in popolarità lo Shingon, consentendo inoltre al monastero Miidera (三井寺, conosciuto anche come 園城寺 Onjoji), di cui Enchin era abate, di essere affiliato direttamente all'Enryaku-ji. Morto Ennin, nell'868 Enchin divenne abate dell'Enryaku-ji e quinto patriarca Tendai.

Le sottoscuole Jimon (持門) e Sanmon (山門)

Dopo la morte di Ennin e di Enchin, nel corso del IX e del X secolo la scuola Tendai crebbe in numero di seguaci e di templi diffusi in tutto il Giappone. Presto tra i due templi principali, l'Enryaku-ji e il Miidera si avviarono dei conflitti inerenti alla preminenza. Il primo si designò come Sanmon (山門, Ordine della montagna, con riferimento al Monte Hiei) rivendicando Ennin come punto di riferimento, il Miidera si denominò Jimon (持門, Ordine del tempio, con riferimento al tempio Miidera) indicando Enchin come capostipite. La nomina di abate Tendai poteva venire da ambedue le sottoscuole, ma il fatto che tale nomina riguardò fino al 989 solo la Sanmon fu motivo di rivalsa per l'altra scuola. Ambedue le scuole arrivarono a confrontarsi con dei conflitti armati, istituendo la figura dei sōhei, monaci guerrieri pronti ad uccidere e ad incendiare i templi delle altre fazioni. La nomina ad abate di Ryōgen (良源, 912-985) nel 966, il quale cercò di restituire la dignità religiosa di un tempo alla scuola Tendai, ristabilendo principi e precetti, fu tuttavia destinata al fallimento. Così la nomina ad abate, nel 989, di Yokei (余慶, 919–991). appartenente alla scuola Jimon fu causa di ulteriori conflitti che finirono, nel 993, per procurare una divisione nella scuola Tendai dove la sottoscuola Jimon elevò il Miidera a sua sede principale, lasciando il Monte Hiei. Le due scuole finirono più volte anche nell'allearsi per guerreggiare con gli sōhei della scuola Hossō. Occorrerà aspettare il periodo Kamakura per un risveglio spirituale del Tendai, quello che poi porterà numerosi monaci di questa scuola a fondare nuove scuole. Tra questi monaci vanno ricordati: Eisai, Dōgen, Hōnen, Shinran e Nichiren, tutte figure religiose che risentiranno profondamente delle dottrine insegnate sul Monte Hiei.

La pratica dello shikan (止觀)

Alla base delle pratiche meditative della scuola Tendai si pone la tecnica dello shikan (止觀), che si riferisce alla tecnica meditativa indiana del śamatha-vipaśyanā così come insegnata nella scuola buddhista cinese Tiāntái la quale a sua volta fa particolare riferimento alle opere Móhē Zhǐguān (摩訶止觀, Grande trattato di calma e discernimento, giapp. Maka Shikan, T.D. 1911) e Tóngméng Zhǐguān (童蒙止觀, Trattato di calma e discernimento per principianti; in giapponese 小止観 Shō Shikan, Piccolo trattato di calma e discernimento; T.D. 1915) di Zhìyǐ dove questa pratica meditativa viene descritta. Tale pratica meditativa permetterebbe, secondo questa scuola, di penetrare la Triplice verità (giapp. enyū santai) e raggiungere l'illuminazione (sans. bodhi, giapp. bodai) risolvendo tutte le ambiguità della propria presenza nel mondo senza dover rinviare tale risposta ad una divinità trascendente (sans. deva, giapp. tennin (天人); critica già operata nel Buddhismo dei Nikāya), senza dover rifuggire il mondo delle illusioni e della vita ordinaria (sans. saṃsāra, giapp. 輪廻 rinne; critica nei confronti del Buddhismo Hīnayāna) e senza dover contemplare la vacuità della Verità assoluta rinunciando alla propria soggettività (critica ad alcune scuole del Mahāyāna). Lo shikan prevede l'applicazione costante e coordinata dei suoi due aspetti (śamatha e vipaśyanā) in quanto, sostiene Zhìyǐ): «Praticare la concentrazione soltanto senza tenere in considerazione il discernimento produce ottusità, praticare il discernimento senza tenere in considerazione la concentrazione produca infatuazione, e anche se questi sono difetti relativamente minori, contribuiscono a generare opinioni errate». Quindi secondo Zhìyǐ bisogna praticare il śamatha-vipaśyanā (shikan) insieme: «similmente alle due ruote del carro e alle due ali di un uccello. Praticarli parzialmente è male». Inoltre lo «shikan - sostiene ancora Zhìyǐ- è facile da predicare ma molto difficile da praticare».

La disciplina monastica nel Tendai

Dal punto di vista della disciplina monastica, la scuola Tendai (come anche le scuole Zen) segue solo i 58 precetti mahayana indicati nel Brahmājālasūtra (cin. 梵網經 Fànwǎng jīng, giapp. Bonmō kyō). In questo si differenzia dalla scuola cinese Tiāntái che invece segue la doppia ordinazione, quella del vinaya Dharmaguptaka, il Cāturvargīya-vinaya (Quadruplici regole della disciplina, 四分律 pinyin: Shìfēnlǜ, giapp. Shibunritsu) e quella indicata nel Brahmājālasūtra. Tale scelta Tendai origina dal suo stesso fondatore, il monaco Saichō che pur avendo ricevuto lui stesso la doppia ordinazione nel tempio Tōdai-ji (東大寺) decise di impartire solo quella mahāyāna ai suoi successori.

Il lignaggio Tendai

  • Patriarchi cinesi del Tiāntái: 1. Huìwén (慧文, V sec.) 2. Huìsī (慧思, 515-577) 3. Zhìyǐ (智顗, 538-597) 4. Guàndǐng (灌頂, 561-632) 5. Zhìwēi (智威?-680) 6. Huìwēi (慧威, 634-713) 7. Xuánlǎng (左溪, 673-754) 8. Zhànrán (湛然, 711-782) 9. Dàòsuì (道邃, n.d.).
  • Patriarchi (座主, zasu) giapponesi: 1. Saichō (最澄, 767-822) 2. Gishin (義眞, 781–833) 3. Encho (圆澄, 771-836) 4. Ennin (圓仁, 794-864) 5. Enchin (圆珍, 814 – 891)




domenica 21 ottobre 2018

Vaiśravaṇa

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Vaiśravaṇa — dal sanscrito "colui che ode distintamente", pāli Vessavaṇa, cinese Weishamen-tian (畏沙門天, Wèishāmén Tiān) o Duowen-tian (多聞天, 多闻天, Duō Wén Tiān), giapponese Tamon-ten (多聞天) o Bishamon-ten (畏沙門天), coreano Damun Cheonwang (다문천왕), tibetano rnam.thos.sras — è il più importante dei Quattro Re Celesti del Buddhismo, equivalente del dio induista Kubera.

Attributi

La figura di Vaiśravaṇa è basata sulla divinità indù Kubera, ma ha assunto nella tradizione buddhista caratteristiche ed epiteti autonomi, con propri significati e propri miti; inoltre, in molti paesi anche non a maggioranza buddhista, la sua figura è stata assimilata dalla religione popolare, generando culti e miti locali.

Buddhismo Mahāyāna

Nel buddhismo Mahāyāna, Vaiśravaṇa è il guardiano del Nord, ed ha dimora nel quadrante nord dello strato più alto della parte inferiore del Monte Sumeru, da dove regna sugli yakṣa che abitano le pendici del Monte Sumeru.
È spesso ritratto con la faccia giallastra, con un ombrello o parasole (chatra, simbolo di regalità), talvolta al fianco di una mangusta (che si ciba di serpenti, simbolo di avidità e odio), e spesso con gioielli che fuoriescono dalla sua bocca (simbolo di generosità).

Buddhismo Theravāda

Nel Canone Pali della tradizione Theravāda, Vaiśravaṇa è indicato col nome "Vessavaṇa", e regna, come membro dei Quattro Re Celesti (Cātummahārājāno), il quadrante Nord; secondo alcuni sutta, il suo nome deriva dal regno di Visāṇa. Vessavaṇa governa inoltre sul popolo degli yakkha. La sua famiglia è composta dalla moglie Bhuñjatī, e da cinque figlie, Latā, Sajjā, Pavarā, Acchimatī, e Sutā; ha anche un nipote yakkha, Puṇṇaka, sposo della nāga Irandatī. Il suo carro è chiamato Nārīvāhana, e la sua arma era il gadāvudha (in sanscrito gadāyudha), ma vi ha rinunciato aderendo alla fede buddhista.
Secondo alcune versioni, "Kuvera" (sanscrito Kubera) era il suo nome nella sua vita mortale, in cui era un ricco brahmino che diede in beneficenza tutta la produzione di uno dei suoi sette mulini, garantendo il sostentamento dei bisognosi per i successivi ventimila anni; come ricompensa per il buon kamma (sanscrito karma) si reincarnò nel paradiso Cātummahārājikā.
Secondo un'altra tradizione, Vessavaṇa non è un nome di persona ma un titolo vitalizio, concesso di volta in volta a un mortale, ma essendo questi un abitante del Cātummahārājika la sua aspettativa di vita è di circa 90.000 anni (secondo altre fonti fino a nove milioni di anni); il Vessavaṇa di turno è incaricato di assegnare agli yakkha i luoghi da proteggere sulla terra (ad esempio laghi o foreste). Secondo alcuni, il posto di Vessavaṇa è occupato dallo yakkha Janavasabha, reincarnazione del re di Magadha Bimbisāra.
Alla nascita di Gautama Buddha, Vessavaṇa divenne suo seguace, giungendo allo stadio di sotāpanna (sanscrito srotaāpanna), cioè a sole sette reincarnazioni dall'illuminazione. Spesso agiva come intermediario portando al Buddha messaggi da parte delle divinità, ma anche da protettore; ad esempio insegnò al Buddha e ai suoi seguaci i versi Āṭānāṭā, che i buddhisti in meditazione nelle foreste possono usare per proteggersi dagli attacchi degli yakkha e delle altre creature soprannaturali.
Agli inizi del buddhismo, a Vessavaṇa erano dedicati come altari degli alberi, ed era venerato da coloro che desideravano concepire figli.

Buddhismo tibetano

In Tibet, Vaiśravaṇa è considerato un dharmapāla, cioè protettore della fede (dharma), oltre al suo ruolo classico di Re del Nord, ed è anche una divinità della ricchezza.
Le sue rappresentazioni si trovano spesso sugli ingressi dei templi; in esse regge un cedro, frutto del jambhara, il cui nome rimanda ad un altro suo nome, Jambhala (pronunciato come Zambala in tibetano) e che aiuta a distinguere le sue raffigurazioni da quelle di Kubera. Inoltre spesso è rappresentato come corpulento e ricoperto di gioielli, e quando è raffigurato seduto il suo piede destro è a terra poggiato su un fiore di loto insieme a una conchiglia.
Secondo i buddhisti di scuola tibetana l'associazione di Jambhala con la ricchezza è un mezzo per portare alla liberazione, fornendo prosperità in modo da consentire di concentrarsi sul cammino della spiritualità invece che sulle problematiche materiali.



Giappone

In Giappone, Bishamonten (anche solo "Bishamon") è un dio della guerra e dei guerrieri, punitore dei malvagi, tradizionale custode dei templi shinto, generalmente rappresentato in armatura, con una lancia in una mano ed intento a sorreggere con l'altra mano una pagoda dorata rappresentante il forziere divino, il cui contenuto egli al contempo protegge e distribuisce.
È anche noto come Tamonten (anche solo "Tamon"), che significa "colui che ascolta molti insegnamenti", poiché è considerato protettore dei luoghi in cui il Buddha ha predicato. La sua dimora è a metà delle pendici del Monte Sumeru.
Nello Shintō, egli è una delle Sette Divinità della Fortuna.