«Il re Wēi (魏)
di Chǔ (楚) avendo sentito
di lui, inviò dei messaggeri con doni invitandolo a Chǔ affinché
ricoprisse l'incarico di Primo ministro. Zhuāngzǐ rise e rispose
loro: "... Andatevene non mi corrompete... Preferisco la
gioia della mia libera volontà"»
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(Shǐjì (史記,
Documenti storici), LXIII)
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Zhuāngzǐ (莊子,
庄子,
Zhuāngzǐ, Chuang-tzu; in lingua giapponese Sōshi;
in lingua coreana 장자,
in McCune-Reischauer: Changja, nella R.R.: Jangja; in
lingua vietnamita Trang tử; 369 a.C. circa – 286 a.C.
circa) è stato un filosofo e mistico cinese. Successivamente
considerato tra i fondatori del Daoismo, per metonimia si indica con
il suo nome anche il testo filosofico a lui attribuito.
La vita
I brevi cenni storici a nostra
disposizione su Zhuāngzǐ derivano dal sessantatreesimo capitolo
dello Shǐjì (史記,
Documenti storici) opera dello storico Sīmǎ Qiān (司馬遷,
145-90 a.C.). Il suo nome era Zhuāng Zhōu (莊周),
il termine collegato alla prima parte del suo nome, zǐ (子),
significa "maestro". Quindi il nome con cui è conosciuto:
Zhuāngzǐ, maestro Zhuāng. Secondo Mǎ Xùlún (馬敘倫,
1884-1970) Zhuāngzí nacque nel 369 a.C. e morì nel 286 a.C. ma
Guān Fēng (関锋) sostiene
che:
«Date così precise non si
possono provare. Permettono comunque di ritenere che Zhuāngzí
sia vissuto approssimativamente in quel periodo.»
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Così lo Shǐjì:
«Maestro Zhuāng (莊子)
era originario della città (城,
chéng) di Méng (蒙)
nello stato (國 guó)
di Sòng (宋). Il suo nome
personale era Zhōu (周).
Nella sua città natale era stato funzionario (吏,
lì) di una manifattura di lacca (漆园,
qīyuán). Il re Huì di Liáng (梁惠)
e il re Xuān di Qí (魏惠)
erano suoi contemporanei [...]»
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(Sīmǎ Qiān (司馬遷).
Shǐjì (史記,
Documenti storici), LXIII)
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Zhuāngzǐ visse dunque durante il
"Periodo dei regni combattenti", corrispondente alle "Cento
scuole di pensiero" cinesi, e fu originario della città di Méng
(蒙, forse si riferisce
all'attuale Shāngqiū, 商邱,
nello Henan) allora situata nello Stato di Sòng (宋國),
si trasferì quindi a Qīyuán (漆園)
dove ricoprì una carica statale, oppure fu un funzionario di una
manifattura della lacca sempre della città di Méng.
Sīmǎ Qiān nella sua opera aggiunse
che Zhuāngzǐ fu un maestro dalle vastissime conoscenza e un dotto
letterato con doti non comuni, critico della scuola confuciana e di
quella fondata da Mòzǐ (墨子,
470-390 a.C.) non fu apprezzato dai suoi contemporanei, si negò
qualsiasi carriera mondana e visse nell'oscurità seguendo solo la
sua mente-cuore.
L'opera
Il carattere cinese dào con il
suo ordine di scrittura. Il carattere 道
significa "via", ma anche "percorso". A
partire dalla Dinastia Zhou orientale (770-256 a.C.) ha iniziato a
significare la "via corretta" o la "via naturale".
Ma anche "mostrare la via" quindi "insegnare",
"metodo da seguire" e infine "dottrina". Nei
Lúnyǔ (論語) di
Confucio si dice che uno Stato "ha il 道
se è ben governato" o anche che il "re dedica sé
stesso al 道". Da notare
che il carattere 道 si compone
di 首 (qiú "testa"
quindi "principale") + una variante del carattere 止
( zhǐ nel significato arcaico di "piede")
combinata con 行 ( xíng,
"percorrere"): quindi "incedere sul percorso
principale".
Il testo daoista Zhuāngzǐ (莊子)
prende il nome dal suo autore. Dal 742 d.C., quando l'imperatore
daoista Xuánzōng (玄宗,
conosciuto anche come Lǐ Lóngjī, 李隆基,
regno: 712-56, appartenente alla Dinastia Tang) attribuì titoli
onorifici ai maggiori testi daoisti, è conosciuto anche come Nán
huā zhēn jīng (南華真經,
Il Vero Classico della Fioritura Culturale del Sud) con allusione
alla tradizione secondo cui Zhuāngzǐ fosse originario del Sud della
Cina.
L'opera è composta da trentatré
capitoli: i primi sette capitoli sono detti 內篇
(nèipiān, "capitoli interni"), i successivi
quindici capitoli sono detti 外篇
(wàipiān, "capitoli esterni") mentre gli
undici ultimi capitoli sono denominati come 杂篇
(zápiān, "capitoli misti").
La provenienza di questi capitoli non
sembra essere unica e la loro allocazione in un unico testo è
generalmente attribuita a una delle guide del movimento neodaoista
Guō Xiàng (郭象, ?-312
d.C.).
L'analisi critica del testo ritiene
generalmente che i primi testi siano più 'brillanti' ed esaurienti
le dottrine riportate nell'opera, risultando inoltre i più antichi
anche se, in quest'ultimo caso, non vi sono prove al riguardo. I
restanti capitoli, anche se contengono dei brani altrettanto
brillanti, risultano più 'verbosi' e, a volte, sembrano piuttosto
essere dei 'commentari' dei capitoli nèipiān. Altri ancora,
come il trentatreesimo, sono certamente opera di uno o più autori
non antecedenti al periodo in cui visse Guō Xiàng.
Insegnamenti
Per trasmettere i suoi concetti,
Zhuāngzǐ, utilizzava spesso degli aneddoti simili a storielle,
affinché il messaggio fosse recepito meglio dall'ascoltatore.
Zhuāngzǐ pensava infatti che se avesse parlato direttamente delle
sue intenzioni, gli studenti non le avrebbero mai accettate perché
generalmente nessuno vuole sentirsi dare dei consigli su come vivere
la propria vita.
In generale, la filosofia di Zhuangzi è
basata sul concetto della limitatezza della vita in confronto
all'infinitezza della conoscenza. Usare il limitato per raggiungere
l'illimitato, egli affermava, era impossibile. Il nostro linguaggio,
cognizione, percezione, sono una prospettiva personale delle
cose, per questo bisogna esitare prima di definire qualche
conclusione come universalmente vera e valida. Il pensiero di
Zhuangzi può essere considerato anche precursore del prospettivismo.
Il suo pluralismo lo ha portato anche a dubitare delle basi degli
argomenti pragmatici sino a mettere in discussione i presupposti che
la vita sia positiva e la morte negativa. Un altro esempio è quello
dell'inesistenza di uno standard universale di bellezza.
«Mao Qiang e Li Ji - due
belle cortigiane - sono ciò che la gente considera bello, ma
se le vedessero dei pesci nuoterebbero in profondità, se le
vedessero degli uccelli volerebbero via, se le vedessero dei
cervi, galopperebbero lontano. Tra questi quattro gruppi, chi è
che conosce l'ideale universale di bellezza?»
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La filosofia di Zhuangzi fu molto
influente nel Buddhismo cinese, specialmente Chán, che assimilò in
particolare i suoi precetti sulla limitatezza del linguaggio umano e
sull'importanza della spontaneità.
Quello
che piace ai pesci
Questo ideale del soggettivismo e della relatività è trattato
anche nell'episodio chiamato
Quello che piace ai pesci (
魚之樂,
yúzhīlè):
«Zhuangzi e Huizi stavano passeggiando nei
pressi della cascata di Hao quando Zhuangzi disse: "Osserva
come i pesci saltellano sull'acqua e poi si rituffano. Questo è
ciò che ai pesci piace realmente!" Huizi disse, "Tu
non sei un pesce — come puoi sapere quello che piace ai
pesci?" Zhuangzi replicò, "Tu non sei me, quindi,
come puoi sapere che io non so cosa piace ai pesci?" Huizi,
"Non sono te, e per questo non so di certo cosa tu
sai. D'altro canto, tu di certo non sei un pesce — quindi,
questo prova che tu non sai cosa piace ai pesci!" Zhuangzi
disse, "Torniamo alla domanda originale, per favore. Tu mi
hai chiesto come so cosa piace ai pesci —
quindi, tu già sapevi che lo sapevo quando mi hai posto quella
domanda. Io lo sapevo semplicemente stando qui vicino
all'Hao".»
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Sull'equivalenza di tutte le cose
Alcuni degli insegnamenti più celebri
del Daoismo contenuti nello Zhuangzi si trovano in questo capitolo.
All'origine dei mali dell'uomo risiederebbe il fatto che ciascuno
scelga una posizione e rifiuti di vedere il contrario, essendo invece
la realtà solo un'alternanza di contrari. Superare ogni personalismo
ed utilizzare l'empatia per mettersi nei panni degli altri sarebbe
dunque la sola salvezza dell'uomo illuminato.
«Come ha potuto il Tao oscurarsi al punto che vi debba
essere distinzione tra il vero e il falso? Come ha potuto la
parola offuscarsi al punto che vi debba essere distinzione tra
l'affermazione e la negazione? Dove, dunque, il Tao non è? E
quando, dunque, la parola non è plausibile? Il Tao è offuscato
dalla parzialità. La parola è offuscata dall'eloquenza. (...) Si
sostiene la teoria della vita, ma in realtà la vita è anche la
morte e la morte è anche la vita. Il possibile è anche
impossibile, e l'impossibile è anche possibile. (...) C'è
davvero una distinzione tra l'altro e se stesso, o non c'è
affatto? Che l'altro e se stesso cessino di opporsi, questo è il
perno del Tao»
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Il sogno di
Zhuangzi
Un altro racconto molto significativo
si trova nel capitolo Sull'Organizzazione delle Cose. Questa
sezione, comunemente chiamata Zhuangzi sognò di essere una
farfalla (莊周夢蝶 Zhuang
Zhou meng die), racconta che una notte, Zhuangzi sognò di essere una
farfalla che volava leggera e spensierata. Dopo essersi svegliato era
confuso, si domandò come potesse determinare se era veramente
Zhuangzi quando aveva appena finito di sognare di essere una farfalla
o una farfalla che aveva appena iniziato a sognare di essere
Zhuangzi. Ciò suggerisce molte domande sulla filosofia della mente,
del linguaggio e sulla gnoseologia. Zhuangzi, mentre sognava,
per la proprietà della condensazione, si vedeva farfalla, ma allo
stesso tempo era anche essere umano. L'episodio ci fa pensare che
esiste una dimensione dove gli opposti sembrano non esserci, dove i
contorni non sono nitidi e un'altra dove bisogna dare i nomi alle
cose affinché non ci si senta perduti. Il primo piano è quello del
sogno e il secondo è quello della veglia. Il fatto che esista un
piano di non distinzione, riesce a risolvere problemi come quello
della paura della morte.
La
morte della moglie di Zhuangzi
Un amico vuole andare a visitare
Zhuangzi e porgergli il cordoglio per la morte di sua moglie. Quando
arriva dentro la casa di Zhuangzi, lo trova sul pavimento intento a
suonare un tamburo e cantare. L'amico, fervente confuciano, rimane
scandalizzato perché non rispetta il rito del lutto e chiede a
Zhuangzi perché si stia comportando così. Risponde che anche lui
aveva avuto un periodo di lutto in cui era stato distrutto dal
pianto, ma poi aveva compreso una cosa: c'era stato un periodo in cui
la moglie non era nata ed era sotto forma di Qi (soffio vitale in
circolo nell'universo), poi ha preso forma, ha vissuto la sua vita
come moglie di Zhuangzi, è morta ed è ridiventata qi.
Zhuangzi quindi ha smesso di piangere,
ha capito che non è una perdita definitiva, non perché abbia fatto
un ragionamento logico o razionale, ma perché non ha sublimato le
sue emozioni, è arrivato al culmine dell'angoscia ed esso ha
generato il suo contrario: la calma, l'accettazione.
L'intagliatore
Qing
Un sovrano aveva commissionato
all'intagliatore Qing un piano in legno per campane entro quindici
giorni. I primi giorni Qing sembra essersi dimenticato del tutto del
compito, si dedica ad altre cose, digiuna, non si preoccupa del tempo
che passa. Durante una passeggiata però ecco l'illuminazione: alla
vista di un albero particolare Qing esclama di aver trovato il legno
esatto e, tornato nel suo studio, conclude il suo compito in poco
tempo. Il sovrano rimane esterrefatto dalla bellezza del supporto.
Questa storia esemplifica due concetti:
wang (oblio) e shen (spirito). Qing è riuscito nel suo
lavoro perché la sua mente ha dimenticato il lavoro stesso. L'oblio
permette di imparare, perché se uno pensa troppo alle regole o al
risultato finale, non riesce nel suo intento. Le regole comunque non
si dimenticano, sono in un "serbatoio" a cui possiamo
sempre attingere, uno spirito che si risveglia nel momento propizio.
Esso è lo shen che è un inconscio collettivo che memorizza
tutto anche se non ce ne accorgiamo. Un esempio pratico è quello del
musicista: quando improvvisa non pensa a che scala sta suonando, a
come si fa un certo accordo, ma esegue e basta attingendo dal
bagaglio di conoscenze che aveva formato all'inizio della sua
carriera.
Traduzioni
Lo Zhuangzi è considerato
portatore di una raffinata poetica, e in esso viene fatto sfoggio del
linguaggio cinese in molte delle sue sfaccettature e in differenti
modi. Questo ne fa un'opera estremamente difficile da tradurre. Vi
sono molte traduzioni in inglese di tutti i trentatré capitoli
dell'opera, e alcune traduzioni parziali dei soli primi sette
capitoli (considerati di grande importanza dai sinologi per il loro
contenuto filosofico e speculativo, e perché parrebbero costituire
il nucleo originale dell'opera): tra di esse quelle che hanno avuto
maggiore risonanza in ambito accademico e divulgativo sono state
quella pioneristica di James Legge, quella dallo stile altamente
poetico di Burton Watson, e la traduzione filologicamente autorevole
a opera di A.C. Graham.