martedì 27 marzo 2018

Go

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Il go è un gioco da tavolo strategico per due giocatori.
È noto come wéiqí in cinese (圍棋, 围棋), igo (囲碁) o go () in giapponese e baduk in coreano (바둑, 圍棋, baduk, paduk). Il go ebbe origine in Cina, dove è giocato da almeno 2500 anni; è molto popolare in Asia orientale, ma si è diffuso nel resto del mondo negli anni recenti. È un gioco molto complesso strategicamente malgrado le sue regole semplici; un proverbio coreano dice che nessuna partita di go è mai stata giocata due volte, il che è verosimile se si pensa che ci sono 2,08×10170 diverse posizioni possibili su un goban 19×19.
Il go è giocato da due giocatori che collocano alternativamente pedine (dette pietre) nere e bianche sulle intersezioni vuote di una "scacchiera" (detta goban) dotata di una griglia 19×19. Lo scopo del gioco è il controllo di una zona del goban maggiore di quella controllata dall'avversario; a questo scopo i giocatori cercano di disporre le proprie pietre in modo che non possano essere catturate, ritagliandosi allo stesso tempo dei territori che l'avversario non possa invadere senza essere catturato.
A parte la dimensione del goban e delle posizioni di partenza, le regole sono state mantenute nei secoli, cosicché può essere considerato il gioco più antico ancora praticato.



Nome

In Cina viene chiamato 圍棋 (weiqi o wei-ch'i), da wei (), "accerchiare", e qi (), "pedina". Il termine cinese più antico per questo gioco è yi . Fino alla dinastia Tang la grafia di qi rimase incerta, in seguito la variante con il radicale di pietra rimase nel kanji giapponese mentre in cinese il radicale di legno, precedentemente scritto sotto la parte fonetica, fu scritto alla sua sinistra.
Il gioco è noto in Giappone come (go) o 囲碁 (igo), in Corea come 바둑 (baduk o paduk) e in Vietnam come cờ vây.
Nei paesi occidentali viene chiamato comunemente con il nome giapponese "go" (oppure "goe" per facilitarne la pronuncia agli anglofoni).

Storia

Nascita in Cina

Alcune leggende fanno risalire il gioco al leggendario imperatore cinese Yao (2337–2258 a.C.), che lo fece inventare dal suo consigliere Shun allo scopo di insegnare a suo figlio Danzhu la disciplina, la concentrazione e l'equilibrio. Altre teorie vogliono il go derivato dall'abitudine dei signori della guerra e generali tribali cinesi di usare pezzi in pietra per pianificare gli attacchi; è anche possibile che il materiale del gioco del go fosse inizialmente utilizzato per predire il futuro.
La prima testimonianza scritta del gioco è ritenuta quella presente negli annali intitolati Zuo Zhuan, risalenti probabilmente al IV secolo a.C., in cui è riferito un evento del 548 a.C. Esistono menzioni del gioco anche nel libro XVII dei Dialoghi di Confucio, risalente al III secolo a.C. circa, e in due dei libri di Mencio (III secolo a.C.). In tutti questi casi il gioco è chiamato (), una parola che oggi significa "giocare (a go)". Il primo trattato completo sul go fu scritto tra il 1049 e il 1054 col titolo di 棋经十三篇 (Qijing Shisanpian, "Classico del Weiqi in tredici capitoli").
Inizialmente il gioco era giocato su di una griglia 17 × 17, ma la griglia 19 × 19 divenne quella più comune all'epoca della dinastia Tang (618-907).
In Cina il go era considerato il gioco dell'aristocrazia, mentre lo xiangqi (gli scacchi cinesi) era il gioco del popolo. Il go era anche considerato una della quattro arti dello junzi (il gentiluomo cinese), assieme alla calligrafia, alla pittura e a suonare lo guqin.


Diffusione in Corea e Giappone

Forse il go raggiunse la Corea nel V secolo, ma esistono prove della sua diffusione a partire dal VII secolo. Nel frattempo il gioco aveva raggiunto anche il Giappone, dove nell'VIII secolo era molto popolare alla corte imperiale; entro l'inizio del XIII secolo era diffuso anche tra il popolo.
Nel 1603 Tokugawa Ieyasu ricreò un governo nazionale unificato in Giappone. Nello stesso anno nominò Godokoro ("Ministro del go") il miglior giocatore di go giapponese, il monaco buddhista Nikkai (nato col nome di Kano Yosaburo nel 1559); Nikkai assunse il nome di Honinbo Sansa e fondò la scuola di go Honinbo, mentre diverse altre scuole furono fondate in competizione poco dopo. Queste scuole, ufficialmente riconosciute e finanziate pubblicamente, incrementarono enormemente il livello di gioco e introdussero il sistema di classificazione dan/kyu dei giocatori.
I giocatori delle quattro scuole (Honinbo, Yasui, Inoue, Hayashi) gareggiavano nelle annuali "partite del castello", giocate alla presenza dello shogun.

In Occidente

Malgrado la sua ampia popolarità in Asia orientale, il go si è diffuso lentamente nel resto del mondo, a differenza di altri giochi di origine asiatica come gli scacchi. Schadler ipotizza che gli scacchi abbiano un fascino più diffuso in quanto nel gioco si utilizzano pezzi che possono essere resi congruenti con la cultura dei giocatori (si pensi alla Regina e all'Alfiere degli scacchi occidentali e al Consigliere e all'Elefante di quelli cinesi) e in quanto il go ha una fine anti-climatica, a differenza degli scacchi e del loro scacco matto, tanto che giocatori neofiti di go hanno difficoltà a capire quando una partita è terminata.
La prima descrizione dettagliata del go in una lingua occidentale fu il De circumveniendi ludo Chinensium ("Del gioco dei Cinesi dell'accerchiamento"), scritto in latino da Thomas Hyde e incluso nel suo trattato sui giochi da tavolo del 1694 De ludis orientalibus ("Dei giochi orientali"). Malgrado ciò, la diffusione in Occidente del go inizia verso la fine del XIX secolo, quando lo scienziato tedesco Oskar Korschelt scrisse un trattato sul gioco; per l'inizio del XX secolo il go si era diffuso negli imperi tedesco e austriaco. Nel 1905 Edward Lasker imparò il gioco mentre era a Berlino; quando si trasferì a New York, Lasker fondò il New York Go Club assieme (tra gli altri) ad Arthur Smith, che aveva imparato il gioco mentre viaggiava in Oriente e aveva pubblicato il libro The Game of Go nel 1908. Il libro di Lasker Go and Go-moku (1934) aiutò la diffusione del gioco per tutti gli Stati Uniti, cosicché nel 1935 fu fondata la American Go Association; due anni dopo, nel 1937, nacque l'Associazione tedesca di go.
La seconda guerra mondiale ostacolò la maggior parte delle attività goistiche, ma la diffusione del gioco riprese dopo la fine della guerra. Per gran parte del XX secolo la Nihon Ki-in, la federazione goistica giapponese, giocò un ruolo fondamentale nella diffusione del go al di fuori dell'Asia orientale, pubblicando la rivista in lingua inglese Go Review negli anni sessanta, fondando centro goistici negli Stati Uniti, in Europa e in America meridionale, e inviando spesso insegnanti professionisti in viaggio nelle nazioni occidentali. Nel 1982 fu fondata la International Go Federation ("Federazione internazionale di go"), che oggi raccoglie 71 paesi membri; alcune statistiche rivelano che nel mondo una persona su 222 gioca a go.

Regole del gioco

Sebbene vi siano delle piccole differenze tra le regole usate in diversi paesi, principalmente tra le regole cinesi e quelle giapponesi per calcolare il punteggio, queste non influenzano praticamente la tattica e la strategia del gioco.






Regole di base

Due giocatori, Nero e Bianco, dispongono alternatamente una pietra (il pezzo del gioco) del proprio colore in un punto (intersezione) vuoto della griglia disegnata sul goban (la scacchiera del go). Normalmente Nero muove per primo; in caso di partita con handicap, quando uno dei due giocatori è molto più forte dell'altro, il più debole prende Nero e dispone due o più pietre di handicap sul goban, e Bianco muove per primo. La griglia ufficiale è composta da 19×19 linee, ma le regole si applicano a tutte le griglie; goban con griglie 13×13 e 9×9 sono quelli più diffusi nell'insegnamento ai neofiti, ma meno frequentemente vengono usate anche goban con griglie 32×32. Una volta giocata, una pietra non può essere spostata in un punto differente.
Pietre dello stesso colore che siano adiacenti orizzontalmente o verticalmente formano un gruppo, le cui libertà sono la somma delle libertà delle pietre da cui è composto e che non può essere diviso successivamente, formando a tutti gli effetti una pietra unica più grande. Solo le pietre che siano connesse una all'altra da linee disegnate sul goban formano un gruppo; le pietre vicine diagonalmente non sono connesse. I gruppi possono essere ingranditi giocando altre pietre su intersezioni loro vicine o connessi insieme giocando una pietra su di una intersezione che sia adiacente a due o più gruppi dello stesso colore.
La maggior parte delle regole non permette a un giocatore di giocare una pietra in modo che uno dei suoi gruppi rimanga senza libertà, una sorta di "suicidio", con un'unica eccezione: se la nuova pietra cattura una o più pietre avversarie, queste sono rimosse per prime, lasciando la pietra appena giocata con almeno una libertà. Si dice che questa regola "proibisca il suicidio".
I giocatori non possono effettuare una mossa che riporti il gioco alla posizione immediatamente precedente a quella dell'avversario; questa regola, detta "regola del ko" (dal giapponese , , "eone"), serve a prevenire ripetizioni infinite delle stesse mosse. Un esempio tipico dell'applicazione di questa regola è il caso in cui una prima pietra A cattura una seconda B e in cui rigiocare la pietra B farebbe ricatturare la pietra A: si avrebbe così una sequenza infinita di catture. Ciò che avviene in pratica è che se il secondo giocatore è interessato a catturare A, gioca la propria pietra altrove in modo da obbligare il primo a non rimuovere il ko per poi ricatturare A. La ripetizione di questo tipo di scambi – cattura del "ko", minaccia lontana, risposta alla minaccia, cattura del "ko" – prende il nome di "combattimento ko". Tutte le varianti delle regole concordano nella formulazione della regola del ko che impedisce di tornare alla posizione immediatamente precedente, ma si comportano differentemente nel caso in cui una mossa riporti ad una posizione ancora precedente.
Invece che giocare una pietra, un giocatore può passare: questo avviene, di norma, quando il giocatore ritiene che non gli restino altre mosse utili da giocare. Quando entrambi i giocatori passano consecutivamente, la partita termina e si calcola il punteggio.

Calcolo del punteggio

Ci sono due metodi di calcolo del punteggio per la determinazione del vincitore di una partita; solo occasionalmente questi due metodi portano a risultati differenti e ciascuno di questi metodi di conteggio ha vantaggi e svantaggi. Il primo metodo (detto conteggio giapponese) calcola il territorio controllato, ed è quello diffuso in Giappone e Corea, e, probabilmente, quello originariamente utilizzato in Cina; il secondo metodo (detto conteggio cinese), che calcola l'area occupata, è quello utilizzato in Cina a partire, si ritiene, dal XV secolo.
Nei paesi occidentali si utilizzano di norma le regole giapponesi, sebbene vi siano delle differenze tra paese e paese, specie a livello ufficiale. Se la Nuova Zelanda usa da parecchio tempo regole basate sull'area, le federazioni nazionali di go degli Stati Uniti, della Francia e del Regno Unito si sono orientate verso questo tipo di conteggio solo recentemente, adottando un tipo di conteggio che assomiglia molto a quello territoriale pur dando risultati uguale a quello basato sull'area, allo scopo di minimizzare i disagi del cambiamento.
Dopo che entrambi i giocatori hanno passato consecutivamente, le pietre ancora sul goban ma che non potrebbero evitare la cattura, le cosiddette pietre morte, sono rimosse. Di norma i giocatori esperti concordano sulle pietre che sono morte.
Con il conteggio basato sull'area, il punteggio di un giocatore è il numero di pietre del suo colore presenti sul goban più le intersezioni vuote circondate da queste.
Il punteggio basato sul territorio richiede che i giocatori conservino le pietre catturate, dette prigioniere, alle quali aggiungono le pietre morte alla fine della partita. Il punteggio è pari al numero di intersezioni vuote circondate dalle pietre del giocatore più il numero di pietre prigioniere. In base alle regole giapponesi e coreane, esistono punti vuoti, anche circondati da pietre dello stesso colore, che sono considerati neutrali: si tratta di una situazione particolare in cui quelle pietre sono dette "vive in seki".
Se i due giocatori non concordano sulle pietre morte, nel caso del conteggio basato sull'area riprendono semplicemente a giocare fino a risolvere la disputa. Nel caso del conteggio territoriale, ciò che avviene praticamente è che si segna la disposizione finale delle pietre e si riprende a giocare fino a risolvere la disputa, per poi tornare alla situazione finale e rimuovere le pietre morte; in realtà esistono regole complesse per risolvere la situazione.
Considerato il fatto che il numero di pietre che un giocatore ha sul goban è pari al numero di mosse effettuate meno i prigionieri che l'avversario ha preso, il risultato "netto", cioè la differenza tra il punteggio del Nero e quello del Bianco, è spesso uguale in entrambi i sistemi di conteggio e raramente differisce di più di un punto, infatti, considerando il caso ideale in cui i giocatori passino una unica volta uno dopo l'altro al termine della partita, le pietre giocate da ciascuno potranno al più differire di una unità a vantaggio di chi ha mosso per primo (il Nero). (Per es., al solo scopo di fissare le idee, se Nero ha giocato 10 pietre, Bianco ne ha giocate 10 e ha fatto 3 prigionieri, si ha (tralasciando la parte comune ai due tipi di conteggio, cioè il numero di intersezioni vuote circondate dalle pietre di un certo giocatore, che ovviamente non può influire essendo lo stesso criterio in entrambi i casi): per area Nero totalizza 7 (10-3) e Bianco 10 con un differenziale tra i due di 3 (10-7); per territorio Nero totalizza 0 e Bianco 3 con differenziale ancora di 3 (3-0)).
Ci sono stati tentativi di concordare un insieme di regole internazionale; le regole normalmente riconosciute dalla International Go Federation sono quelle utilizzate nel World Amateur Go Championship, basate sulle regole giapponesi, e quelle dei primi World Mind Sports Games dell'ottobre 2008, basate essenzialmente sulle regole cinesi, con qualche elemento di compromesso preso dalle regole giapponesi e coreane.

Vita e morte

Sebbene non sia menzionato nelle regole del go, per lo meno in quelle più semplici come quelle in vigore in Nuova Zelanda e negli Stati Uniti, il concetto di "gruppo vivo" è essenziale per una vera comprensione del gioco del go.
Quando un gruppo di pietre è quasi circondato e non ha la possibilità di connettersi con altre pietre dello stesso colore, può trovarsi in tre condizioni: "vivo", "morto" o in una condizione non ancora determinata. Un gruppo di pietre è "vivo" se non è possibile catturarlo anche se l'avversario può muovere per primo; al contrario, il gruppo è morto se è catturabile anche se il giocatore proprietario del gruppo ha la prima mossa. Nel caso in cui il destino del gruppo dipenda da quale giocatore ci giochi per primo, il gruppo è considerato né vivo né morto: in tal caso il giocatore che muove per primo può rendere il gruppo "vivo", se si tratta del possessore del gruppo, o "ucciderlo" se si tratta dell'avversario.
Affinché un gruppo sia vivo, deve essere in grado di creare almeno due "occhi" se minacciato. Un "occhio" è una intersezione libera circondata da pietre di quel giocatore in cui l'avversario non può giocare per la regola del "suicidio". Se un gruppo possiede almeno due occhi, l'avversario non potrà catturarlo, in quanto esso avrà almeno due libertà che non possono essere occupate da pietre avversarie. Un solo occhio non è sufficiente a garantire la vita di un gruppo, in quanto l'avversario può rimuovere prima tutte le altre libertà del gruppo e poi riempire l'occhio rispettando la regola del suicidio in quanto cattura l'intero gruppo.
La regola dei due occhi ha una rara eccezione, detta seki o "vita reciproca". Se due o più gruppi di diversi colori sono tra loro adiacenti e condividono le stesse libertà, è possibile che si verifichi una situazione in cui nessuno dei due giocatori rimuova per primo una libertà, in quanto questo permetterebbe all'avversario di catturare; il risultato è che i due gruppi, "vivi in seki", rimangono sul goban. Le situazioni più frequenti per un seki sono quella in cui ciascun giocatore ha un gruppo senza occhi e i due gruppi condividono due libertà o quella in cui ciascun gruppo ha un occhio ed entrambi coindividono la stessa libertà. I seki sono molto infrequenti e di norma sono il risultato del tentativo di invasione di un giocatore in un gruppo avversario quasi stabilizzato.

Equipaggiamento

Sebbene sia possibile giocare a go con una scacchiera di carta e monete o pedine di plastica come pietre, l'equipaggiamento economico più diffuso consiste di goban in compensato o truciolato e pietre in plastica o vetro. Più costosi sono i goban e le pietre in materiali tradizionali, sebbene siano ancora diffusi tra i giocatori.

Equipaggiamento tradizionale

Il goban tradizionale è in legno massiccio, spesso tra i 10 e i 18 cm. Il legno più pregiato tra quelli tradizionalmente impiegati in Giappone è la Torreya nucifera, detta Kaya in giapponese, caratterizza da una tinta dorata: i goban più costosi sono costruiti con legname proveniente da alberi vecchi fino a 700 anni. Più recentemente si sono diffusi esemplari costruiti in Torreya californica, il cui successo è dovuto al colore chiaro, agli anelli più sbiaditi, al suo prezzo inferiore e alla maggiore disponibilità. Tra i legni utilizzati per goban di qualità ci sono il Thujopsis dolabrata (Hiba in giapponese), il Cercidiphyllum japonicum (Katsura), l'Agathis (Kauri) e i Picea; quest'ultimo ha il nome commerciale di Shin Kaya ("nuovo Kaya"), sebbene le due specie non siano imparentate. Nella tradizione giapponese, le pietre sono contenute in coppe di legno massiccio, sono lenticolari e sono fatte di conchiglia (quelle bianche) e ardesia (le nere). La dotazione è di solito di 181 pietre nere e 180 bianche. Tradizionalmente l'ardesia per le pietre da go è ricavata dalle miniere della prefettura di Wakayama, mentre la conchiglia è quella della varietà Hamaguri, ma, dato il ridotto numero di pietre ottenibili da questa fonte, recentemente si utilizzano conchiglie che si trovano in Messico. Come conseguenza della diffusione del gioco, le risorse naturali giapponesi non sono più in grado di provvedere alla fornitura di un numero sufficiente di equipaggiamenti da gioco: sia le conchiglie che il legno di kaya richiedono molto tempo per crescere fino alla dimensione necessaria, e stanno diventando rare, incrementando così fino a valori molto elevati il prezzo dei prodotti finiti.
In Cina il gioco è giocato tradizionalmente con pietre yunzi, che hanno un lato convesso e l'altro piatto, e provengono dalla provincia dello Yunnan. Storicamente le pietre più prestigiose erano fatte di giada, spesso date in dono dall'imperatore.
Le pietre yunzi sono piatte da un lato; possono quindi essere rovesciate sul lato convesso durante l'analisi di fine-partita per segnare le mosse cambiate durante l'analisi.
Nelle associazioni e durante i tornei, quando è necessario avere disponibili un gran numero di goban e di pietre, normalmente non si usano gli equipaggiamenti tradizionali. In queste circostanze si usano di solito goban alti appena 1–5 cm, senza gambe, pietre in plastica o vetro e contenitori delle pietre in plastica, se quelli in legno non sono disponibili.
I goban giapponesi sono ricoperti da una griglia larga 1,5 e lunga 1,4 shaku (455×424 mm) con dello spazio ulteriore per permettere di giocare le pietre sul bordo e agli angoli. Il goban non è quindi un quadrato, ma un rettangolo i cui lati sono nel rapporto 15:14, in modo che quando il giocatore vi si siede davanti, il suo punto di vista angolato accorci la griglia tendendo a renderla quadrata. Inoltre le pietre nere sono tradizionalmente un po' più larghe di quelle bianche, di modo da contrastare l'illusione ottica che porta le pietre bianche a sembrare un po' più grandi di quelle nere di uguale dimensione.
I contenitori per le pietre sono di forma semplice, tipicamente sferica con la parte inferiore appiattita; il coperchio è fatto in modo che non chiuda ermeticamente e normalmente è rovesciato sul tavolo prima della partita, di modo da appoggiarvi le pietre avversarie catturate. Sebbene i contenitori siano normalmente di legno lavorato al tornio, esiste l'alternativa economica di origine cinese di contenitori in paglia intrecciata.

Tecnica di gioco

Il modo tradizionale di giocare una pietra a go consiste nel prelevarla dal contenitore, tenendola tra indice e medio (il medio sopra la pietra, l'indice sotto), e di porla nella intersezione libera desiderata. Le abitudini di rigirare le dita nel contenitore o di tenere più pietre contemporaneamente in mano non sono molto apprezzate, in quanto sono rumorose e possono disturbare l'avversario; è quindi ritenuto educato prendere una sola pietra alla volta e solo dopo che si è deciso dove giocarla.
È assolutamente accettato giocare con fermezza la pietra sul goban in modo che faccia un suono secco; le proprietà acustiche del goban sono infatti considerate importanti. I goban tradizionali, costruiti con un certo spessore, sono tradizionalmente dotati di un incavo piramidale detto heso sulla faccia inferiore. La tradizione vuole che per mezzo di questo incavo il goban abbia una migliore risonanza quando si gioca una pietra; la spiegazione più verosimile, però, è che l'heso permette al legno del goban, che è comunque sensibile all'umidità, di non deformarsi e di rispondere in maniera elastica alle pietre giocate.

Gestione del tempo di gioco

Una partita di go può essere cronometrata utilizzando un orologio da go. Le prime misurazioni del tempo in partite professionistiche furono introdotte negli anni 1920 e furono controverse. Le interruzioni delle partite e le mosse registrate furono regolamentate negli anni 1930. Oggi i tornei di go utilizzano regole per la gestione del tempo molto differenti; tutti i metodi principali prevedono un ammontare di tempo principale che il giocatore può gestire a proprio piacimento, ma si differenziano per la gestione del tempo supplementare. Nelle partite professionistiche i giocatori hanno dei collaboratori che tengono traccia del tempo impiegato, per non distrarsi dalla partita.
Il sistema più diffuso per la gestione del tempo supplementare prende il nome di byoyomi (in giapponese "lettura dei secondi"). Le due varianti principali del byoyomi sono i seguenti.
Byoyomi standard
Al termine del tempo principale, il giocatore ha a propria disposizione un certo numero di periodi di tempo della durata tipica di una trentina di secondi. Dopo ciascuna mossa, è contato il numero di periodi utilizzati per intero dal giocatore e questo valore viene sottratto dalla sua disponibilità. Un giocatore che abbia tre periodi da trenta secondi e che impieghi quarantacinque secondi per una mossa si vedrà ridotto il proprio tempo supplementare a due periodi; se impiega meno di trenta secondi avrà ancora a disposizione tutti e tre i periodi, mentre se la mossa dovesse richiedere più di novanta secondi il giocatore perderebbe la partita "per tempo".
Byoyomi canadese
Al termine del tempo principale, il giocatore ha a propria disposizione un certo periodo di tempo per effettuare un certo numero di mosse. Ad esempio, può avere cinque minuti per effettuare venti mosse. Se il tempo termina prima che abbia giocato tutte le mosse previste, il giocatore perde la partita "per tempo".

Registrazione delle partite e notazione

La registrazione delle partite di go avviene attraverso il kifu, un diagramma raffigurante il goban con sopra le pietre giocate numerate in ordine di mossa; se una mossa è stata giocata nello stesso punto di una precedente, si appone una annotazione a fianco del diagramma del tipo "57 in 51", per indicare appunto che la mossa 57 è stata giocata nel punto occupato dalla mossa 51. Un'altra notazione è simile alla notazione algebrica degli scacchi. Comunemente si usano numeri per entrambi gli assi, invece che numeri per uno e lettere per l'altro, in modo che il punto "3-4" sia quello sulla terza riga e quarta colonna dall'angolo. Poiché il goban è simmetrico, non c'è bisogno di specificare l'origine del sistema di riferimento.
Il formato digitale più diffuso per la registrazione delle partite di go è lo Smart Game Format (estensione: sgf); sono disponibili più di 50.000 file sgf di partite tra professionisti, e i principali server di go permettono di salvare le partite in questo formato.

Competizioni

Gradi e punteggi

Nel go esistono dei gradi che indicano la bravura del giocatore, che tradizionalmente sono divisi in gradi kyu e dan, un sistema recentemente adottato anche nelle arti marziali; più recentemente hanno iniziato a diffondersi sistemi basati su punteggi calcolati matematicamente, simili al sistema Elo. Questi sistemi di punteggio sono spesso accompagnati da una formula che permette di convertire il punteggio di un giocatore nel suo grado kyu o dan. I gradi kyu, abbreviati con 'k', sono considerati livelli per studenti, e decrescono al crescere della forza del giocatore, con 1k (primo kyu) corrispondente al livello più alto. I gradi dan, abbreviati con 'd', sono considerati i gradi dei maestri, e crescono da 1d (primo dan) a 7d. Il grado di shodan ("primo dan"professionale) corrisponde alla cintura nera delle arti marziali orientali. I giocatori professionisti hanno una serie di gradi dan loro riservata, che va da 1p (primo dan professionista) a 9p. A livello amatoriale, una differenza di un grado corrisponde ad una pietra di handicap; a livello professionistico, la pietra di handicap corrisponde, grossolanamente, a tre livelli di differenza. Per esempio, in una partita tra un 1k e un 5k sarebbero necessarie quattro pietre di handicap per rendere uguali le possibilità di vincita.

Regole dei tornei e delle partite

Durante i tornei sono utilizzate delle regole che possono influenzare il gioco senza far parte delle regole del gioco, e che possono essere diverse a seconda del torneo. Le regole del torneo che possono influenzare il gioco riguardano il valore del komi (il punteggio di compensazione per il giocatore bianco), la disposizione delle pietre di handicap e i parametri delle norme sul tempo. Le norme dei tornei che non influenzano il gioco riguardano il sistema del torneo, le strategie di accoppiamento e i criteri di formazione della classifica.
I sistemi più diffusi per l'organizzazione di tornei di go sono il sistema McMahon, il sistema svizzero, il sistema a gironi all'italiana e quello ad eliminazione diretta; in alcuni tornei si usa una combinazione di più sistemi, come nel caso dei tornei professionistici, in molti dei quali si adotta un sistema a gironi all'italiana seguito da un sistema ad eliminazione diretta.
Le regole del torneo determinano anche:
  • il komi, la compensazione per il giocatore bianco che gioca per secondo, e che nei tornei è normalmente equivalente a 5/8 punti, più, solitamente, mezzo punto per evitare i pareggi;
  • le pietre di handicap poste sul goban all'inizio della partita per compensare la differenza di forza tra due giocatori di grado diverso, allo scopo di avere comunque una partita dal risultato aperto;
  • il superko, una regola introdotta per evitare alcune situazioni molto complesse, come il "ko triplo" o la "vita eterna", che porterebbero a partite di durata infinita che non sono coperte dalla normale regola del ko.

Il go nell'informatica e nella matematica

Diversi aspetti del gioco, anzitutto il numero elevato di mosse possibili nelle fasi iniziali del gioco (circa 1,67 × 1010 solo per le prime quattro mosse, ovvero i primi due turni) che impediscono il metodo della forza bruta, fanno sì che – contrariamente al gioco degli scacchi – non si riesca a far giocare un computer con tale metodo a un livello superiore a quello di un buon dilettante. Ciò ha dato vita ad un ramo di ricerca collegato all'intelligenza artificiale. Il primo software capace di battere un maestro umano è stato AlphaGo, sviluppato da Google DeepMind, che nell'ottobre 2015 ha sconfitto Fan Hui.
Il 9 marzo 2016 si è tenuta la prima di una serie di 5 partite fra Lee Sedol (vincitore di 18 titoli internazionali) e AlphaGo con in palio $1.000.000. La partita è stata trasmessa in diretta su youtube.com. AlphaGo ha vinto la prima partita. Ha poi vinto la seconda e la terza, venendo battuto però nella quarta.
Elwyn Berlekamp e David Wolfe hanno sviluppato una teoria matematica dei finali basata sulla teoria dei giochi di John Horton Conway. Benché non abbia generalmente un'utilità nella maggior parte delle partite, aiuta notevolmente l'analisi di alcune classi di posizioni.

Proverbi sul go

Esistono vari proverbi sul go che descrivono delle pratiche utili ad ottenere vantaggi, ma non costituiscono in alcun caso regole assolute (a parte alcuni, legati soprattutto alle problematiche di gioco di vita e morte).

Proverbi di carattere generale

  • «Il mondo è una partita di go, le cui regole sono state inutilmente complicate» (proverbio cinese).
  • «Le regole del go sono così eleganti, organiche e rigorosamente logiche che se esiste in qualche parte dell'universo una forma di vita intelligente, essa deve certamente saperci giocare» (Emanuel Lasker, campione di scacchi).
  • «Una partita di go si svolge in tre tappe: il fuseki, la metà partita e l'abbandono.»
  • «L'Atari è una malvagità.»
  • «I muri hanno forse orecchie, ma non hanno sempre degli occhi.»
  • «Prima di dire di aver messo la pietra in un punto sbagliato, verificate che un 9° dan non l'abbia mai giocata.»
  • «Il go è un gioco di scambi: si fanno territori e si fanno scambi.»
  • «Non si fanno territori sui muri contro cui l'avversario si spinge.»
  • «Una giocata non è mai buona o cattiva – è il modo in cui ci si serve di quella pietra che è buono o cattivo.»
  • «Una pietra non porta mai rancore – ma piange, quando si sabota il suo lavoro.» (Eio Sakata)
  • «Il punto vitale del nemico è il mio punto vitale.»
  • «Non ci sono punti al centro.»
  • «Io non gioco per vincere, io gioco a go.» Kajiwara Takeo, IX dan (citato da R. Rinaldi, "Sull'arte del go"; in Yasunari Kawabata "Il maestro di go"; SE srl Milano, 2001)

Proverbi tecnici e strategici

  • «A uno tsuke, si risponde con un hane.»
  • «A un boshi, si risponde con un keima.»
  • «A un keima, si risponde con un kosumi.»
  • «L'angolo vuoto è una brutta cosa.»
  • «Si va a caccia armati di keima.»
  • «Un tobi non è mai male.»
  • «L'hane porta spesso alla morte.»
  • «Un ponnuki vale 30 punti.»
  • «Un muro non serve a fare territorio.»
  • «Si riduce un moyo con un colpo alle spalle.»
  • «Se non si può fare il drago si fa la tigre.»
  • «Un drago non può attaccare senza attraversare le nuvole.»
  • «Con un avversario che fa sia il drago che la tigre, resta uomo.»
  • «Non bisogna aver paura di morire.»
  • «Un boshi non si pinza in nessun modo.»
  • «Chi non rispetta l'equilibrio ne paga le conseguenze.»

I 10 comandamenti del go (Hideo Otake, 9º dan)

  1. «La gola non porta alla vittoria.»
  2. «Si penetra la sfera avversaria gentilmente e semplicemente.»
  3. «Se attacchi il tuo avversario, presta attenzione alle tue spalle.»
  4. «Abbandona il bottino facile, e combatti per l'iniziativa.»
  5. «Lascia che il piccolo cada, concentrati sul grosso.»
  6. «Se sei in pericolo, abbandona qualcosa.»
  7. «Sii prudente, non vagare a casaccio qua e là sul goban.»
  8. «Se necessario, rendi colpo per colpo.»
  9. «Se il tuo avversario è forte, proteggiti.»
  10. «Se il tuo gruppo è isolato al centro di un'influenza avversa, scegli la via pacifica.»


È rimasta celebre una partita di go giocata a Hiroshima il giorno in cui fu sganciata la bomba atomica sulla città.

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lunedì 26 marzo 2018

Dan

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Dan ( livello, grado) è un termine giapponese che, nell'ambito dal sistema di valutazione Dan-i, identifica i diversi livelli di abilità o d'esperienza che si possono acquisire in una disciplina, principalmente nelle arti marziali.
Il termine Dan viene utilizzato anche in altre pratiche tradizionali giapponesi come l'ikebana, il go o la cerimonia del tè.
Le regole base per l'ottenimento dei dan:
  1. I livelli possibili sono tradizionalmente in ordine crescente di abilità dal primo al decimo.
  2. Il primo dan corrisponde al momento in cui, nelle scuole tradizionali, il candidato all'apprendistato finisce il suo periodo di prova e viene considerato come degno di ricevere il vero insegnamento. Parlando in senso stretto, il primo dan è il grado di debuttante, mentre il decimo dan è in generale riservato al fondatore dell'arte marziale, e non può essere conferito se non da lui stesso. Questa situazione ha portato alla scomparsa di questo grado da alcune arti marziali.
  3. I primi dan possono essere generalmente ottenuti conquistando una sufficiente quantità di punti nelle competizioni ufficiali oppure sostenendo degli esami.
  4. I gradi più elevati richiedono anni ed anni di esperienza e tramite l'insegnamento o la ricerca occorre fornire un importante contributo nella disciplina delle arti marziali.
  5. I gradi più elevati non possono essere conferiti che dal titolare di un grado superiore rappresentante una istituzione centrale.
Prima di raggiungere il 1º grado dan occorre aver conseguito il livello kyū più alto.
Nella maggior parte delle arti marziali, la qualità di detentore di un grado dan (yūdansha) è evidenziato dall'indossare una cintura nera.

Storia

Il sistema di classificazione e valutazione Dan-i fu ideato nel go da Honinbo Dosaku (1645–1702), un giocatore professionista di go del periodo Edo. Prima della sua invenzione, la classificazione era valutata con la comparazione degli handicap e tendeva ad essere vaga. Dosaku valutò il titolo più alto come Meijin 9º Dan. Egli fu probabilmente ispirato da un antico sistema cinese di classificazione dei gradi go (9 Pin Zhi) e da un sistema più corto di gradi (sistema dei nove gradi), anche se i numeri più bassi sono quelli di maggior valore in quei sistemi.
Il sistema di classificazione dei dan fu trasferito alle arti marziali da Kanō Jigorō (1860–1938), il fondatore del judo. Kanō partì con il sistema moderno di gradi nel 1883 quando premiò con il shodan (il grado più basso di dan) due dei suoi studenti anziani (Shirō Saigō e Tsunejirō Tomita). Precedentemente, le scuole di arti marziali premiavano meno frequentemente con licenze menkyo o pergamene segrete.

Nelle arti marziali giapponesi

In tempi moderni, un praticante di livello dan di uno stile è solitamente riconosciuto come artista marziale che ha superato i kyū, o i gradi basilari. Essi, possono diventare anche degli istruttori autorizzati nelle loro arte. In molti stili, tuttavia, il raggiungimento di un livello dan significa che uno non è più da considerarsi un principiante, ma non è neanche un esperto. Più che altro significa che uno ha imparato le basi.
Il numero totale di gradi dan è specifico dello stile (dal 1° fino al 5° e dal 1° fino al 10° sono comuni nelle arti marziali giapponesi). I livelli di dan inferiori possono normalmente essere raggiunti attraverso un esame o, alle volte, mediante una competizione. I livelli più elevati di dan richiedono anni di esperienza ed il contributo alla relativa arte marziale moderna. Questo può avvenire attraverso l'insegnamento o la ricerca e la pubblicazione. Questi livelli possono solamente essere assegnati da graduati elevati rappresentanti principali del dojo o, talvolta da un comitato direttivo.

Gradi in giapponese

In alcune arti marziali le cinture nere vengono indossate in ogni livello di dan. In altre, invece, per il grado più alto (10º dan) si indossa una cintura di colore rosso. Nel Judo, dal 6° all'8° dan si indossa una cintura con colori rosso e bianco, mentre dal 9° al 10° si indossa la sola cintura rossa.

Arti marziali coreane

Nelle arti marziali coreane mancava un sistema di classificazione dei gradi sino all'occupazione giapponese (1910–1945) durante la quale una varietà di arti marziali giapponesi furono introdotte nel sistema scolastico coreano, in particolare judo karate - do e kendo. Dopo la fine dell'occupazione emersero nuove arti marziali taekwondo, tang soo do, soo bahk do e hapkido adottando i gradi di dan (, ) e geup (, ). Il sistema di classificazione dei dan è anche usato fra i giocatori di baduk. Oggigiorno, la Korea Taekkyon Association rilascia i gradi di dan anche ai praticanti di taekkyeon.
Chi ha ricevuto un grado dan viene chiamato yudanja (유단자, 有段者). Qualcuno che ha ricevuto un "elevato" dan (dal 6° Dan in su) è chiamato "godanja" (고단자, 高段者).

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domenica 25 marzo 2018

Incidente di Honnō-ji

Honnō-ji Incident - Wikipedia

L'incidente di Honnō-ji si riferisce al suicidio forzato del daimyo giapponese Oda Nobunaga, avvenuto il 21 giugno 1582 per mano del suo generale Akechi Mitsuhide. Honnō-ji è un tempio a Kyoto. Con la morte di Nobunaga morì anche il suo sogno di unificare il Giappone e tenerlo sotto il suo controllo.

Situazione storica

Oda Nobunaga era al massimo del suo potere, avendo distrutto lo stesso anno il clan Takeda. Aveva il controllo di tutto il Giappone centrale e gli unici avversari rimasti (i clan Hōjō, Uesugi e Mōri) erano indeboliti da lotte interne. Dopo la morte di Mōri Motonari, suo nipote, Mōri Terumoto voleva mantenere lo status quo, aiutato dai suoi due zii, per volontà dello stesso Motonari. Hōjō Ujiyasu, capo degli Hōjō, morì lasciando il clan nelle mani del figlio Ujimasa, mentre la morte di uno dei più grandi generali Uesugi Kenshin lasciò il clan Uesugi ricolmo di lotte interne e sempre più debole. Approfittando di questa situazione a lui favorevole, Nobunaga iniziò ad inviare truppe in tutte le direzioni per conquistare nuovi territori. Ordinò a Hashiba Hideyoshi di attaccare il clan Mori; a Niwa Nagahide di preparare l'invasione di Shikoku; a Takigawa Kazumasu di tenere d'occhio il clan Hōjō; e a Shibata Katsuie di invadere la provincia Echigo, terra in mano al clan Uesugi. Nobunaga ricevette la richiesta di inviare alcuni rinforzi da Hashiba Hideyoshi, le cui forze erano bloccate durante l'assedio del castello Takamatsu. Nobunaga fece dunque i preparativi per andare in soccorso di Hideyoshi. Ordinò anche ad Akechi Mitsuhide di andare in aiuto ad Hideyoshi. Mentre passava per Kyoto, Nobunaga si fermò per riposarsi nel tempio di Honnō-ji. Con sé non aveva un esercito, ma solo mercanti e funzionari di corte.

Il tradimento di Mitsuhide

Akechi Mitsuhide, che aveva intenzione di ribellarsi al suo signore, capì che questa era l'opportunità migliore per colpire, in quanto Nobunaga nel tempio di Honnō-ji non era preparato a subire un attacco e il grosso del suo esercito, così come i suoi migliori generali, erano al fronte. Mitsuhide guidò le sue truppe attraverso Kyoto, con la scusa di una parata militare voluta dallo stesso Nobunaga, non estraneo a questo tipo di richieste, e una volta giunti presso Honnoji gridò: "Il nemico aspetta ad Honnoji!" (Teki wa Honnōji ni ari! 敵は本能寺にあり). Prima dell'alba, le truppe di Mitsuhide circondarono il tempio. Nobunaga e i servitori cercarono di resistere, ma invano. Alla fine, Nobunaga si suicidò. Le sue ultime parole furono: "Ran! Fa' in modo che non entrino!". Si riferiva al suo giovane seguace Mori Ranmaru, che era riuscito ad incendiare il tempio, cosicché nessuno delle truppe di Mitsuhide potesse entrare e reclamare la testa di Nobunaga. Mitsuhide, catturato il tempio di Honnoji, attaccò anche Oda Nobutada, figlio di Nobunaga, che come il padre commise suicidio. Successivamente, cercò di persuadere sia i vassalli di Nobunaga sia la corte imperiale a riconoscerlo come nuovo signore del clan.

Dopo l'incidente

Concludendo rapidamente la pace con il clan Mori, Hideyoshi ritornò dopo una decina di giorni. Riunì le file delle sue truppe con le rimanenti del clan Oda e s'incontrò con Niwa Nagahide ed Oda Nobutaka a Sakai. Marciando verso Kyoto, riuscì a cogliere di sorpresa Mitsuhide ed a sconfiggerlo nella battaglia di Yamazaki: lo stesso Mitsuhide fu ucciso mentre cercava di ritirarsi. Nessuno degli ufficiali di Nobunaga aveva le capacità e le risorse di Hashiba Hideyoshi, che divenne quindi il successore spirituale di Oda Nobunaga.


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sabato 24 marzo 2018

Mori Ranmaru

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Mori Ranmaru (森 成利; 1565 – Kyōto, 21 giugno 1582), nato con il nome di Mori Nagasada (森 成利), era il figlio di Mori Yoshinari (1523-1570), e aveva cinque fratelli in totale, della provincia di Mino. Era un membro del clan Mori, discendenti di Seiwa Genji.

Biografia

Fin da piccolo, fu affidato al servizio di Oda Nobunaga. Riconosciuto per il suo talento e la sua fedeltà, Nobunaga gli affidò importanti cariche. Presso Ōmi, gli furono dati 500 koku e, dopo la morte di Takeda Katsuyori, venne insignito di 50.000 koku al Castello di Iwamura. Ranmaru ed i suoi fratelli minori perirono durante l'Incidente di Honnoji, difendendo il loro signore Oda Nobunaga. Le ultime parole di Nobunaga furono: Ran! Fa' in modo che non entrino!. Il suo giovane seguace era riuscito ad incendiare il tempio di Honnō-ji, cosicché nessuno delle truppe del traditore Akechi Mitsuhide potesse entrare e reclamare la testa di Nobunaga.
Il coraggio e la devozione di Ranmaru sono ricordati in tutta la storia, e soprattutto durante il periodo Edo per il suo volere di commettere Seppuku e seguire il suo maestro perfino nella morte. Il rapporto tra Nobunaga e Ranmaru era molto forte e, nella letteratura d'epoca, è spesso riferito che i due avessero una relazione sessuale, molto comune a quei tempi.

Influenza nella cultura di massa

Mori Ranmaru è presente, come molte altre figure del Giappone Feudale, nella serie di videogiochi targata KOEI, Samurai Warriors, dove viene raffigurato come un giovane di bellissimo aspetto, quasi femminile.


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venerdì 23 marzo 2018

Minamoto no Tametomo

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Minamoto no Tametomo (源 為朝; 1139 – 23 aprile 1170) è stato un samurai del tardo periodo Heian che combatté nella ribellione di Hōgen del 1156. Era figlio di Minamoto no Tameyoshi e fratello di Yukiie e Yoshitomo.
Tametomo è noto nelle cronache epiche come un potente arciere e si dice che una volta abbia affondato un'intera nave dei Taira con una sola freccia perforandone la chiglia sotto la linea di galleggiamento. In molte leggende si aggiunge anche che il suo braccio sinistro fosse circa 10 cm più lungo di quello destro, permettendogli una trazione più lunga della freccia e colpi più potenti. Combatté per difendere Shirakawa-den, a fianco di suo padre, contro le forze di Taira no Kiyomori e Minamoto no Yoshitomo, suo fratello. Il palazzo fu dato alle fiamme, e Tametomo fu costretto a fuggire.
Dopo la ribellione di Hōgen, i Taira tagliarono i tendini del braccio sinistro di Tametomo, limitando l'uso del suo arco, e fu poi esiliato nell'isola di Ōshima nelle Isole Izu. Tametomo alla fine si uccise squarciandosi l'addome, ovvero commettendo seppuku. È alquanto probabile che egli sia il primo guerriero a commettere seppuku nelle cronache.

Chūzan Seikan

Nel Chūzan Seikan (1650) di Shō Shōken, la prima storia di Ryūkyū, si menziona che durante il suo esilio scese a Okinawa e generò il primo capo conosciuto di Chūzan, Shunten.
Scritta dopo l'invasione di Ryūkyū (1609), questa narrazione fu probabilmente costruita per collegare e legittimare il rapporto della famiglia imperiale giapponese con le Isole Ryūkyū. Durante il periodo Meiji il mito era considerato come un fatto ufficiale e storico per la "legittimità" e il "diritto sovrano" dell'annessione del Regno delle Ryūkyū nel 1879. 

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giovedì 22 marzo 2018

Hwarang segi

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I Hwarang segi (hangeul: 화랑세기, hanja: 花郞世記; lett. Annali degli Hwarang) sono un insieme di 16 volumi coreani antichi che riportano storie e racconti epici dei cavalieri Hwarang. Si dice siano stati scritti dallo storico del periodo Silla Kim Dae-mun durante il regno di Seongdeok di Silla (702-737).
I Hwarang segi sono sopravvissuti fino al tempo in cui Kim Bu-sik (1075-1151) scrisse i Samguk Sagi, ma si crede siano andati perduti nel tredicesimo secolo perché non vi viene più fatto riferimento dopo il testo del 1215 del monaco Gakhun Haedong goseung jeon. Due manoscritti di un testo intitolato Hwarang segi sono stati trovati nel 1989 a Gimhae, Corea del Sud. Il primo manoscritto, reso pubblico nel 1989, è in genere chiamato "estratto" (balchwebon, 발췌본, 拔萃本), e contiene una prefazione e una breve registrazione dei primi quindici leader degli Hwarang (pungwolju, 풍월주, 風月主). Il secondo manoscritto, reso pubblico nel 1995, è di solito chiamato "testo madre" (mobon, 모본, 母本). Poiché la prima parte del manoscritto è danneggiata e mancante, inizia con una registrazione frammentata, ma più completa, dei quattro leader, continua con un elenco dettagliato degli altri quindici e conclude con il trentaduesimo e ultimo leader. Entrambi i manoscritti sono scritti da Bak Changhwa (1889–1962). La validità storica di questi Hwarang segi è oggetto di notevoli controversie tra gli storici coreani, alcuni dei quali pensano che si tratti di un falso, mentre altri sostengono la sua autenticità.

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mercoledì 21 marzo 2018

Naitō Masatoyo

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Naitō Masatoyo (内藤 昌豊; 1522 – 29 giugno 1575) è stato un samurai giapponese del periodo Sengoku.
Conosciuto anche come Naitō Masahide (内藤 政秀) o come Kudō Sukenaga, era il secondo figlio di Kudō Toratoyo, un vecchio servitore di Takeda Nobutora.
Quando Toratoyo perse il favore di Nobutora e venne ucciso da quest'ultimo, Sukenaga e suo fratello fuggirono dal clan Takeda e, secondo le teorie più accreditate, si diedero al vagabondaggio nel Kantō. Dopo che Nobutora fu esiliato dal figlio Takeda Shingen, i fratelli Kudō vennero richiamati, e furono restituite loro le terre di appartenenza. Shingen si scusò formalmente inviando una lettera di scuse e denaro alla famiglia. Inoltre ai Kudō fu garantito il grado di samurai-taishō (侍大将) venne loro assegnato il comando di cinquanta cavalieri.
Nel 1566 gli fu assegnato il castello di Minowa dopo che cadde nelle mani dei Takeda.
Nella battaglia di Mikatagahara guidò la carica alle file Tokugawa e fu in prima linea a Nagashino nel 1575. Si oppose all'attacco di Nagashino e, nel corso della battaglia, fu colpito da numerose frecce e decapitato da Asahina Yasukatsu. È ricordato per il suo carattere cordiale e le sue altrettanto impressionanti doti nella guerra e nell'amministrazione. Mentore del giovane Takeda Katsuyori, quarto figlio di Takeda Shingen. A Nagashino, anche se in disaccordo con Katsuyori, si precipitò in battaglia, ricevendo una morte onorevole.
È anche conosciuto come uno dei ventiquattro generali di Takeda Shingen.

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martedì 20 marzo 2018

Collaborazioni tra blogger per far crescere il blog

Risultati immagini per i love blogger


In molti giornalmente ci chiedete se siamo disponibili a collaborare con altri blog.
Ogni blogger è concentrato giustamente sul proprio blog, sulla creazione dei contenuti e sulla promozione.
Oggi vi spieghiamo come i blogger interessati ad una collaborazione possono collaborare con Noi, quali sono i vantaggi e come iniziare.

Vantaggi di collaborare tra blogger

Creazione dei contatti
Collaborando con altri blogger tutte le parti interessate potranno espandere la loro rete di contatti e, questo è uno degli elementi di successo nella vita professionale di un blogger. Ovviamente bisogna scegliere bene la persona con la quale collaborare per raggiungere un obiettivo comune.

Promozione del blog
Se si realizza un progetto comune, non solo si potrà condividere il pubblico con altri blogger, presentando i propri contenuti a vicenda, ma ci si potrà far conoscere da lettori che ancora non ci conoscono e attirarli sul proprio sito. Non bisogna avere paura di condividere il pubblico!
Non abbiamo ancora visto un blogger lamentarsi di un calo del pubblico dopo la realizzazione di progetti comuni!

Creazione di prodotti o di servizi che da soli non si potrebbero fare perché mancano le competenze
È inutile sottolineare che non sappiamo fare tutto, ma unendo le forze possiamo fare di più!

Acquisizione di nuove conoscenze nei settori nei quali sei più debole
Quando si inizia a realizzare un progetto che richiede competenze diverse, per forza ci si deve immergere un po’ nelle conoscenze dell’altra persona e ciò ci porterà ad iniziare ad ampliare ulteriormente le nostre competenze.

Che tipi di collaborazioni tra blogger ci possono essere?

Evidenzio tre tipologie, ma sicuramente ne potrete consigliare molte di più!
1 - Due blogger con capofila
Hai in mente un progetto e intraprendi le collaborazioni con gli altri.
Un classico sui blog sono le serie di interviste su degli argomenti specifici. Come esempio vi posso citare una rubrica dove intervistare gli esperti del settore.

2 - Due blogger con pari coinvolgimento
I progetti o collaborazioni intraprese da due blogger sono abbastanza semplici da realizzare.
La differenza rispetto al punto 1. sta nell’idea che in questo caso è sviluppata in comune e portata avanti assieme con (più o meno) pari coinvolgimento nelle attività e nelle responsabilità. I blogger possono essere complementari oppure in apparenza concorrenti.

3 - Più di due blogger
Inizia a essere complesso perché mettere d’accordo più persone non è semplice e si rischia di cadere nel caos. Per questo è auspicabile che l’idea sia comunque portata avanti da tutti, ma guidata da una persona sola, che fa da capofila. È lei che organizza le attività, le assegna agli altri blogger, verifica le scadenze, i prodotti intermedi e mette assieme i pezzi. Vi dico la verità, è un impegno importante, ma se fatto bene, anche il risultato può essere importante.
I progetti comuni che coinvolgevano più blogger ai quali ho partecipato ha coinvolto quasi 40 blogger all’estero, ma è venuto benissimo!.

Cosa si può realizzare assieme?

Prodotti comuni. Agenda, calendario, ebook con racconti di vita o di viaggi, ricette, quaderni con gli esercizi, guide, check-list.

Guest post. Si possono ospitare altri blogger sul proprio blog oppure diventarne l’ospite. Un’indicazione che mi sento di darvi è, se sei ospite è di verificare che questo sia comunque almeno in linea con la tua tematica.

Serie di approfondimenti da parte di esperti. Se c’è un fil rouge tra gli articoli in un futuro potrebbero diventare anche un ebook!

Collaborazioni complementari. Due blogger appartenenti a categorie diverse scrivono dello stesso tema, ma con due punti di vista diversi e in fondo all’articolo rimandano all’articolo del blogger collaboratore.

Gestione comune di un gruppo su Facebook che riguarda la stessa tematica o complementare. Il gruppo è un impegno enorme e poterlo condividere con altri può portare tanti benefici.

Corsi di formazione, non solo on-line, webinar, podcast su una determinata tematica comune oppure complementare.

Progetti comuni da proporre per esempio agli enti e imprese per la valorizzazione del territorio. Un progetto proposto da un gruppo di blogger che sanno evidenziare i vantaggi per l’ente e dare maggiore visibilità in rete anche grazie alla complementarietà tra di loro sono decisamente più forti rispetto ad un solo blogger. Sono gli stessi blogger che diventano i promotori di sé stessi e propongono un’idea. Certo che per proporre un’idea valida bisogna conoscere il territorio al quale si propone un progetto.

Elementi fondamentali per una collaborazione vincente?

Valore aggiunto
Prima di iniziare dovete chiedervi come questa collaborazione potrà contribuire a raggiungere l’obiettivo generale del blog e se porta i vantaggi a te e ad altri blogger. Se non ti avvicina neanche minimamente e non ci sono i vantaggi neanche discreti, non perdere il tuo preziosissimo tempo!

Tempo per mantenere la parola
I progetti che siano guidati da te, fatti da due o più blogger richiedono tempo e energie. Chiediti se tu hai questo tempo da dedicare, se potrai rispettare le scadenze e partecipare attivamente. Il tuo essere sfuggente potrebbe farti finire sulla lista nera dei blogger con i quali non si vuole collaborare. Tutto il mondo è paese, anche la blogosfera.

Saper essere il miglior promotore dell’altro blogger
Non abbiate paura di citare gli altri, di condividere i post, di parlare bene e si, di raccomandare, anche dopo la fase operativa della collaborazione! Fa parte delle relazioni e della buona riuscita del progetto.

Come individuare i blogger con i quali collaborare?

Dipende dall’iniziativa.
Se è un’iniziativa tua nella quale coinvolgi altri blogger ti basta osservare la realtà virtuale e individuare con chi vorresti intraprendere una collaborazione. Alcuni non ti diranno subito di si, altri non ti diranno mai si, per i più disparati motivi. Non escludere mai nessuno perché troppo famoso oppure troppo impegnato. Chi sono le persone giuste in questo caso? Quelle che possono essere interessanti per il tuo blog.

Nelle iniziative portate avanti da due blogger dipende dagli obiettivi del progetto comune. Spesso succede che le idee nascano da una chiacchierata tra le persone che si conoscono già da tempo, oppure si conoscono solo di vista anche se solo virtualmente e ad un certo punto in una delle due nasce un’idea che condivide con l’altra persona. In questo caso l’impegno deve essere reciproco e continuativo. Può essere anche una prima esperienza per entrambi.



Ovvio che per trarre i vantaggi comuni i due blogger dovrebbero essere più o meno allo stesso livello calcolando un assieme di elementi: contatti, visibilità, conoscenze, competenze e capacità organizzative. Uno può avere più visibilità, l’altro più competenze in una tematica specifica di interesse per entrambi. Non è semplice, lo ammetto, in rete nascono tante joint venture casuali, che in un batter d’ali nascono e muoiono senza concludere le iniziative. La strada maestra è osservare.

Un vero impegno è la gestione di un progetto che coinvolge più blogger. Se sei il promotore metti degli step d'ingresso! L’esperienza insegna che la più bella iniziativa può essere rovinata perché chi ci doveva essere ha deciso di non esserci. Le attività si fanno assieme, le scadenze si rispettano e la promozione si fa congiuntamente. Se nel gruppo che porta avanti il progetto ci sono le persone serie, questo aumenta le probabilità di successo!

Chi sono queste persone?
  • chi pubblica con regolarità sul proprio blog,
  • chi pubblica con regolarità su Facebook, Youtube o Instagram, insomma sui social.
  • chi dimostra capacità di coinvolgimento dei propri lettori
  • chi possiede esperienze pregresse di partecipazione in progetti con gli altri blogger
  • chi possiede competenze specifiche che potranno aumentare le probabilità di successo
Ovviamente tutto dipende dal progetto proposto, dagli obiettivi e dai risultati che si vogliono ottenere!

In tutti i casi è importante stabilire le regole del gioco fin dall’inizio: cosa facciamo, come lo facciamo, chi fa che cosa e chi sarà il proprietario dei risultati. Se decidete di fare un e-book e un'indomani qualcuno lo vorrebbe commercializzare, sarà possibile?

Quali programmi utilizzare per gestire una collaborazione?

Per la gestione delle varie fasi del progetto. Meglio se gratuiti con delle schede dei progetti che potranno essere condivise con più persone. Così tutti sapranno cosa bisogna fare ed entro quando.

Last but non least do – no follow link da aggiungere ai post scritti nell’ambito di una collaborazione. Sapere quando farlo e quando invece evitare?
Ora ci potete dire se avete mai fatto delle collaborazioni con altri blogger e come sono state queste esperienze. Oppure forse, vi abbiamo ispirato?

Non ci seguite ancora su Youtube? Potete sempre iniziare a farlo :-).
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lunedì 19 marzo 2018

PANCRAZIO cosi lottavano gli antichi


 IL TAO DEL GUERRIERO: Pancrazio: l'arte degli Dei

"...un po' di pugilato, ma si utilizzano anche i piedi.
Un po' di lotta libera. Senza regole, o quasi. Ma alla base c’è una rigida disciplina morale.
Ecco cosa bisogna sapere per scoprirlo..."


IL COMBATTIMENTO NELL'ANTICHITÀ

PUGILATO DEI CESTI (o etrusco-romano): solo colpi di mano a bersaglio integrale
PIGMACHIA (o pugilato greco): colpi di mano a bersaglio integrale
ORTEPALE (lotta eretta): abbattimenti, sollevamenti, leve, strangolamenti, prese ai genitali
ORTOMACHIA (combattimento eretto): colpi di mano, gomito, testa, gamba a bersaglio integrale, sollevamenti, abbattimenti,
PANCRAZIO (combattimento eretto e a terra): colpi come sopra

Le forme di combattimento (senza l’uso delle armi) che derivano sia dalla tradizione greca da quella etrusca e romana sono tre: il pugilato, la lotta ed il pancrazio (dal greco pankratos, pan = tutto, kratos = forza).
Il pancrazio, che oggi viene recuperato come attività da palestra, è definito dagli storici greci, come un’unione di lotta e pugilato.
In origine si trattava di un tipo di lotta estremamente violento e duro, che prevedeva anche ginocchiate, testate e addirittura strangolamenti. Morsi e graffi erano consentiti a Sparta, vietati invece ad Atene e ad Olimpia. Ma per quanto possa apparire contraddittorio, lealtà e assoluto rispetto del proprio avversario erano comunque elementi fondamentali. Il Pancrazio, già conosciuto e praticato in Egitto e in tutta l’Asia Minore fin dal II millennio a.C., incontrò grande successo in Grecia.

LE REGOLE
In teoria le regole di combattimento sono pressoché assenti, visto che fra i due avversari vale qualsiasi colpo, compresa la presa ai genitali. Fanno eccezione i graffi e i colpi nelle parti molli, ad esempio negli occhi che sono proibiti.
Non ci sono categorie di peso ma, anche se può sembrare strano, non vincono necessariamente i più robusti, ma spesso chi tecnicamente e fisicamente è meglio preparato. Gli istruttori devono trasmettere agli allievi l’autocontrollo, scoraggiare chi non ha la determinazione per combattere e chi non ha predisposizione al contatto fisico, ma anche gli esibizionisti e gli esagitati. Fondamentale è trasmettere il rispetto assoluto per l’avversario. Prima di iniziare a combattere si deve creare un certo cameratismo, uno spirito di famiglia in palestra. I regolamenti tecnici (inclusa la durata del combattimento ) sono in fase di studio e dovrebbero essere codificati entro il duemila. 

LA TECNICA
In ambito agonistico il pancrazio prevede tre categorie, nelle quali le difficoltà crescono progressivamente.
La TIRONEA, per i principianti. I combattimenti sono a contatto controllato e gli atleti indossano speciali protezioni. Tutti gli amatori possono cosi divertirsi e fare un’adeguata esperienza senza incorrere in alcun rischio.
La PROLUSIA per chi ha già una buona esperienza nella categoria precedente. 
Il contatto aumenta (è previsto anche il K.O.) ma si continuano ad utilizzare le protezioni.
La PRIMARIA è riservata ai più esperti.
Il praticante viene gradualmente messo in condizione di sviluppare le sue capacità psico - attitudinali, fisiche e tecniche senza rischiare inutilmente. Anche nell’antichità l’approccio era graduale .Infatti per quasi 600 anni (dal 200 a.C. al 396 d.C. anche i bambini romani e greci partecipavano alle gare di pancrazio, pugilato e lotta. E fra i praticanti, oltre alle donne, c’era anche il filosofo Platone. Non c’era e non c’è la cultura del massacro. Infatti gli atleti avevano carriere lunghissime. Scoprivano gradualmente le tecniche che portavano a livello avanzato, senza arrivare subito al contatto più violento.

PER IMPARARE
Come allora, anche oggi tutti possono imparare. Due i programmi fondamentali:
nell’APOLLINEO il contatto viene mantenuto leggero e si sperimentano tutte le tecniche disponibili:
nel DIONISICO, che si affronta quando si vuole passare all’attività agonistica, si fanno una serie di esami con un vero e proprio rito di iniziazione in modo da valutare la predisposizione dell’atleta al contatto con gli altri (non farsi male, non fare male all’avversario….....)
Nel pancrazio cosi come oggi viene proposto, gli atleti indossano un paio di pantaloncini, un caschetto, un paio di guanti imbottiti e un paradenti.
I termini tecnici utilizzati derivano tutti dal greco e dal latino. Per le esibizioni si sta cercando di riprodurre l’equipaggiamento originale utilizzato nell’antichità.

PERCHÉ’ SCOMPARVE
ll Pancrazio scomparve con la caduta dell’Impero romano, e il conseguente smantellamento di palestre e terme. Atleti ed insegnanti non trovarono più sostegno economico. E, più in generale ,anche questa disciplina pagò l’avversione del Cristianesimo a tutto quanto rappresentava il mondo pagano.



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