Artemisia I
di Caria (in greco antico:
Aρτεμισία, Artemisía;
Alicarnasso, fine VI secolo a.C. – V secolo a.C.) dopo la morte del
marito, di cui è ignoto il nome, divenne sovrana delle città di
Alicarnasso, in Asia minore, e dei territori annessi di Coo, Nisiro e
Calinda.
È ricordata soprattutto per la sua
partecipazione alle battaglie di Capo Artemisio e di Salamina (480
a.C.) come alleata dell'Impero achemenide contro la coalizione greca,
nel corso della seconda guerra persiana. Artemisia, unica donna col
grado di comandante nella flotta di Serse, era alla guida di cinque
triremi, che avevano un'ottima reputazione fra tutte le navi del Re
dei Re, seconda solo a quella delle navi di Sidone.
Artemisia, il cui nome deriva dalla dea
della caccia Artemide, nacque da Ligdami I (in greco antico:
Λύγδαμις, Lygdamis), il satrapo di
Alicarnasso,
e da una donna cretese, della
quale non si conoscono i dati anagrafici.
Dopo la morte del marito (il cui nome ė
ignoto), Artemisia salì al trono come tutrice del figlio Pisindeli
(in greco antico: Πισίνδηλις,
Pisìndelis), a causa della sua minore età. Il suo regno, che
dipendeva formalmente dall'impero achemenide, si estendeva per la
regione della Caria, nell'odierna Turchia, e comprendeva la capitale
Alicarnasso, la città alleata di Calinda e le isole di Coo e di
Nisiro.
Da regina, Artemisia preferiva la
navigazione e la guerra alla vita di corte. Polieno riporta infatti
che la regina era solita cambiare repentinamente le insegne e i
colori della sua trireme, fingendosi una nave greca o persiana a
seconda delle imbarcazioni incrociate quando navigava in acque
internazionali, per ingannare così gli equipaggi delle altre navi ed
allontanarsi indisturbata o attaccare di sorpresa a seconda delle
circostanze.
Secondo la testimonianza di Tessalo,
figlio di Ippocrate, quando Serse chiese agli abitanti dell'isola di
Coo di sottomettersi a lui, avendo ricevuto un netto rifiuto, inviò
Artemisia a conquistare l'isola, a dimostrazione della fiducia che
nutriva in lei.
Polieno riporta che quando Artemisia
volle conquistare la città di Eraclea al Latmo, fece nascondere i
suoi soldati vicino alla città e si recò invece lei stessa in
processione, con altre donne, eunuchi e musicisti, alla tomba della
Madre degli dèi, che si trovava a sette stadi dalla città. Gli
abitanti, incuriositi, seguirono il corteo per assistere al
sacrificio lasciando sguarnite le mura difensive e consentendo così
ai soldati di Artemisia di prendere facilmente la città.
Battaglia di Capo Artemisio
Quando Serse I di Persia invase la
Grecia nel 480 a.C., dando inizio alla seconda guerra persiana,
Artemisia partecipò alla spedizione in quanto alleata e vassalla del
gran re. La regina partì al comando delle sue cinque triremi e si
unì al resto dell'imponente flotta persiana, che contava oltre mille
navi. Secondo Erodoto, Artemisia era l'unica comandante di sesso
femminile di tutte le forze armate radunate da Serse e le sue triremi
avevano la miglior reputazione di tutta la flotta, seconda solo a
quella delle navi provenienti da Sidone.
Artemisia partecipò alla battaglia di
Capo Artemisio contro la coalizione ellenica, guidata dall'ateniese
Temistocle e dallo spartano Euribiade. Questa battaglia navale, che
fu combattuta contemporaneamente alla battaglia delle Termopili
nell'agosto del 480 a.C., si risolse senza né vinti né vincitori.
Artemisia, secondo Erodoto, si distinse in essa in modo "non
inferiore" agli altri comandanti persiani.
Dopo la battaglia di Capo Artemisio,
Mardonio, il comandante supremo delle forze armate persiane, convocò
tutti i comandanti dell'esercito persiano per chiedere loro
consiglio, su mandato di Serse, se attaccare via mare o via terra.
Tutti i generali, secondo il racconto di Erodoto, consigliarono di
procedere con un'altra battaglia navale, con la sola eccezione di
Artemisia, che invece suggeriva uno scontro campale fra i rispettivi
eserciti.
Artemisia sosteneva infatti che, mentre
la superiorità dell'esercito di Serse era schiacciante, sul mare
erano i Greci a dimostrarsi superiori. Inoltre, secondo la regina,
Serse avrebbe fatto meglio a risparmiare le sue navi, tenendole
vicino a riva o al limite muovendosi verso il Peloponneso.
Un'eventuale sconfitta navale, secondo Artemisia, avrebbe seriamente
compromesso i rifornimenti e il morale delle truppe. Inoltre, in caso
di scontro in mare, il re non avrebbe probabilmente potuto contare
sulle navi alleate che provenivano dall'Egitto, dalla Panfilia, da
Cipro e dalla Cilicia, che la regina riteneva non completamente
affidabili per una battaglia navale.
Secondo il racconto di Erodoto, Serse
tenne in grande considerazione il discorso di Artemisia, che stimava
molto, ma preferì dar retta al resto dei comandanti, che spingevano
invece per la battaglia navale, convinto che questa volta i suoi
avrebbero avuto la meglio, sapendo che il re in persona avrebbe
assistito alla battaglia da un trono situato sul Monte Egaleo. La
flotta persiana mosse quindi verso l'isola di Salamina, dove la
flotta greca, guidata ancora da Temistocle e da Euribiade, la stava
aspettando al varco (settembre 480 a.C.).
Nonostante l'inferiorità numerica, la
flotta greca ebbe la meglio su quella persiana, grazie alla strategia
vincente dei suoi comandanti. Quando ormai la sorte della flotta
persiana era segnata, Polieno racconta che Artemisia, vistasi ormai
perduta, mise in atto il suo stratagemma che aveva già usato in
altre occasioni, per salvare la sua vita e la sua nave ammiraglia.
Ordinò quindi ai marinai di sostituire prontamente le insegne della
nave, che riportavano i colori e i simboli della flotta persiana, con
altri contrassegni, preventivamente preparati allo scopo, che
riportavano invece i colori e i simboli della flotta greca. In questo
modo, le navi greche che si erano avvicinate alla sua ammiraglia, la
scambiarono per una trireme loro alleata, evitando quindi di
attaccarla. Per perfezionare l'inganno, Artemisia ordinò al suo
equipaggio di attaccare la nave che si trovava a lei vicina, ovvero
la trireme comandata dal re di Calinda, Damasitimo (in greco antico:
Δαμασίθυμος, Damasithymos), suo
suddito e alleato.
La nave di Damasitimo, colta di
sorpresa, fu rapidamente affondata e il re di Calinda trovò la morte
in mare, ucciso dalla sua stessa comandante. Secondo il racconto di
Erodoto, Artemisia aveva probabilmente un conto in sospeso con
Damasitimo, tanto che lo storico di Alicarnasso insinua che
l'affondamento della nave alleata potesse essere in realtà una
manovra del tutto intenzionale da parte della regina, che avrebbe
così colto un'occasione d'oro per eliminare lo scomodo subalterno.
In ogni caso, nessuno della nave
affondata da Artemisia sopravvisse per poterla poi accusare
formalmente.
Aminia, il trierarca ateniese che
Artemisia aveva di fronte nel momento dell'affondamento della nave di
Damasitimo, ingannato dallo stratagemma della regina si allontanò
dirigendosi verso un altro settore dello scontro navale. Erodoto
sottolinea che Aminia sicuramente non aveva riconosciuto la nave
della regina, in quanto gli Ateniesi avevano promesso una ricchissima
ricompensa di diecimila dracme a chi avesse ucciso Artemisia, dato
che reputavano del tutto intollerabile che una donna muovesse guerra
contro Atene.
Secondo lo storico di Alicarnasso,
Serse, osservando dal suo trono in terraferma la manovra di Artemisia
e la contemporanea e completa disfatta della sua flotta, esclamò: "I
miei uomini sono diventati donne e le mie donne sono diventate
uomini".
Plutarco testimonia che Artemisia,
ritirandosi dal teatro dello scontro navale, riconobbe in mare il
cadavere di Ariamene (in greco antico: Ἀριαμένης,
Ariaménes), il fratello di Serse caduto in battaglia. Ne recuperò
quindi il corpo e lo riportò al re per gli onori funebri.
Dopo la battaglia di Salamina
Secondo la testimonianza di Erodoto,
Serse, dopo la sconfitta di Salamina, chiese consiglio ad Artemisia
su come continuare la guerra, ovvero se guidare l'esercito
personalmente contro i Greci oppure ritirarsi in Persia e lasciare il
comando a Mardonio. Artemisia suggerì al Re dei Re quest'ultima
ipotesi: secondo la regina di Caria, infatti, se Mardonio avesse
vinto la guerra, il merito sarebbe andato a Serse, mentre se avesse
perso, il Re dei Re sarebbe stato al sicuro a casa e la colpa della
sconfitta sarebbe caduta sul generale. Serse seguì il consiglio di
Artemisia e tornò in Persia, lasciando il comando a Mardonio che
sarebbe stato definitivamente sconfitto a Platea dalla coalizione
greca guidata da Pausania. Il re dei re ricompensò Artemisia con una
armatura greca per il coraggio dimostrato e la inviò ad Efeso a
prendersi cura dei suoi figli illegittimi.
Le fonti antiche non registrano altre
notizie su Artemisia, se non una leggenda tarda, riportata da Fozio,
secondo la quale si sarebbe gettata in mare dalla rocca di Leucade
per essere stata respinta da un uomo chiamato Dardano.
Le succedette sul trono di Caria il
figlio Pisindeli, a sua volta padre di Ligdami II, il re che era al
potere quando Erodoto, che era originario di Alicarnasso, lasciò la
città per recarsi a Samo.
Artemisia I di Caria è interpretata
dall'attrice di Guernsey Anne Wakefield nel film L'eroe di Sparta
(The 300 Spartans) del 1962 e dall'attrice francese Eva Green nel
film 300 - L'alba di un impero del 2014.