L'espressione
Buddhismo dei Nikāya è
stata coniata dalla storiografia contemporanea per indicare un
insieme eterogeneo di scuole buddhiste sorte nei primi secoli dopo la
morte del Buddha Śakyamuni (vedi anche Concili buddhisti) che si
riconoscevano in un corpo dottrinale e disciplinare, come il Canone
pāli, che non comprende quelle scritture indicate successivamente
come mahāyāna.
Il dibattito sull'espressione "Buddhismo dei
Nikāya" e sui termini alternativi. Origini delle scuole
Un termine sinonimo, sempre utilizzato
dagli studiosi, è quello di Buddhismo Hīnayāna. Va tuttavia tenuto
presente che quest'ultimo termine, Hīnayāna ("Piccolo veicolo"
o "Veicolo inferiore") era precedentemente utilizzato dai
seguaci del Buddhismo Mahāyāna in senso dispregiativo per indicare
i seguaci di quegli insegnamenti buddhisti che non riconoscevano la
canonicità degli insegnamenti riportati nei Prajñāpāramitā Sūtra
e nel Sutra del Loto, in particolar modo riferito ai seguaci della
scuola Sarvāstivāda.
D'altronde, utilizzare per queste
scuole la definizione di 'Primo Buddhismo' non rende ragione della
nascita al loro interno delle correnti che poi si denomineranno
Mahāyāna. L'utilizzo del termine Mahāyāna si è diffuso a partire
dal II secolo d.C. circa e si ritiene che la prima letteratura di
riferimento possa forse avere avuto origine nel I secolo a.C., ma non
si sa quando si siano formati i primi gruppi di monaci che
sottolineavano l'importanza e l'urgenza dell'insegnamento dello
śūnyatā e della prajñā, tratti caratteristici della dottrina
mahāyāna.
Di certo vi è stato fin dai primi
concili dibattito su quali fossero gli effettivi insegnamenti del
Buddha Śakyamuni, ma nei testi buddhisti più antichi pervenuti,
risalenti al I secolo d.C. e rinvenuti nella regione del Gandhara,
non c'è traccia di alcuna dottrina riconducibile a quelle mahāyāna.
Philippe Cornu azzarda una soluzione
interpretativa della nascita del Buddhismo Mahāyāna considerando
come possibile che il Buddha Śakyamuni abbia insegnato
«[...] la Prajnaparamita e altri argomenti del grande veicolo a un gruppo ristretto e particolarmente maturo, i cui discepoli rimasero una minoranza durante i primi secoli; le loro file si ingrossarono verso il primo secolo dell'era cristiana, rendendo possibile la diffusione del Mahāyāna alla luce del giorno tanto nel saṅgha monastico come tra i laici.» |
(Philippe Cornu, op. cit., p.358) |
Questo varrebbe come tesi speculativa,
non esistendo testimonianze letterarie, litografiche o archeologiche
né dirette né indirette a sostegno e scontrandosi invece con quanto
risulta nel canone pāli, il quale riferisce il Buddha negare al
monaco e attendente personale Ānanda l'aver mai tenuto insegnamenti
segreti o ristretti a monaci privilegiati. Inoltre autorevoli
studiosi ritengono i Prajñāpāramitā Sūtra delle opere tardive
rispetto a quelle delle scuole più antiche, dette
pratyekabuddhayāna.
Gli studiosi R. H. Robinson e W. L.
Johnson ritengono infatti il Mahayana il frutto successivo
dell'evoluzione delle prime scuole dottrinali buddhiste, dette del
nikaya, e considerano il Mahayana frutto anche dell'assorbimento di
diverse dottrine, riti e culti buddhisti diffusi in India al tempo
della sua formazione dottrinale.
Nell'introduzione a "Storia del
Buddhismo indiano" lo studioso Paolo Taroni scrive che:
«Come è noto, il Mahāyāna venne contrapposto all'Hīnayāna,
il Piccolo Veicolo, dagli esponenti del Mahāsāṃghikā, più
riformatori e progressisti al problema del come si potesse
conseguire la Buddhità, in contrapposizione agli anziani
(Sthavirāḥ), i quali sostenevano invece che fosse necessario
osservare le regole e la disciplina (vinaya) per raggiungere
l'illuminazione. [...] I Mahāsāṃghikā - originari del
centro-sud dell'India - furono sconfitti; tennero quindi un
concilio separato, così da venire a delineare ormai la
demarcazione tra Mahāyāna e Hīnayāna. [...] All'incirca tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. iniziò dunque ad affermarsi - soprattutto grazie ai laici [...] - il buddhismo Mahāyāna, in aperta opposizione alla rigidità e all'arroganza dei monaci, che ormai avevano snaturato il pensiero del buddhismo originario e ne avevano dissolta tutta la carica rivoluzionaria, dissacrante e antiteoretica» |
Lo studioso Gregory Schopen è di
tutt'altro avviso notando che le iscrizioni archeologiche mahāyāna
sono quasi tutte monastiche, concludendo che:
«Il Mahāyāna era un movimento dominato dai monaci» |
(Gregory Schopen. Two problems in the history of Indian Buddhism: the layman/monk distinction and the doctrines of the transference of merit. In Studien zur Indologie und Iranistik. 1985, X, p. 26) |
Anche Paul Harrison e Sasaki Shizuka
ritengono che il movimento mahāyānista sia di stretta origine
monastica.
Paul Williams ricorda come i recenti
lavori di Paul Harrison sui frammenti della letteratura mahāyāna
nonché i suoi antichi sūtra conservati nel Canone cinese, e solo
recentemente studiati, nonché le conclusioni degli studi
archeologici effettuati da Gregory Schopen, possano far concludere
che il nucleo centrale del Mahāyāna sia certamente monastico e che
il punto centrale del Mahāyāna primitivo corrisponda
all'aspirazione della perfetta buddhità ovvero al voto del
bodhisattva da contrapporre a coloro che seguivano un sentiero
'inferiore' mirando alla liberazione della sola propria sofferenza
invece di mirare a quella di tutti gli esseri senzienti.
Questi monaci mahāyāna
corrisponderebbero a degli asceti della foresta tesi a tornare allo
spirito buddhista primitivo:
«Una certa spinta ai primi sviluppi del Mahāyāna venne dai monaci dimoranti nella foresta. Lungi dall'essere il prodotto di un movimento urbano, laico e devozionale, molti sūtra mahāyāna rivelano un radicale tentativo ascetico di ritornare all'ispirazione originaria del buddhismo: la ricerca della buddhità o della conoscenza risvegliata» |
(Paul Harrison.Searching for the origins of the Mahāyāna : what are we looking for? In Eastern Buddhist. 1995, XXVIII, 1, 65) |
Il fatto che i primi mahāyānisti
fossero dei monaci asceti delle foreste spiegherebbe, secondo
Harrison, la scarsità di testimonianze archeologiche nei loro
confronti.
La tesi di un Mahāyāna fondato da
monaci conservatori e asceti delle foreste sarebbe dimostrata,
secondo Gregory Schopen, anche dall'analisi di un sūtra mahāyāna
molto antico, il Maitreyamahāsiṃhanāda (Ruggito del Leone di
Maitreya), risalente al I secolo d.C. dove viene raccomandata
l'ascesi monastica nelle foreste, la svalutazione della vita laicale
e la denigrazione dell'adorazione degli stūpa.
Il pellegrino cinese mahāyāna Yìjìng
(義淨, 635-713) registra
ancora nel VII secolo che varie scuole allora esistenti con cui era
entrato in contatto (Mahāsāṃghika, Vatsīputrīya, Sarvāstivāda
e Vibhajyavāda) avevano ancora tutte al loro interno monaci
Mahāyāna. Secondo alcuni studiosi ciò indicherebbe che le
divisioni tra monasteri, almeno fino al VII secolo, inerivano quindi
ancora alla disciplina monastica (Vinaya) piuttosto che alle dottrine
di riferimento. Altri studiosi rilevano invece come i codici della
disciplina monastica (Vinaya) che ci sono giunti siano invece molto
simili tra di loro, almeno per quanto riguarda le controversie dei
concili in cui le comunità si scontrarono tra loro, e che fu proprio
grazie a ciò che le comunità antiche, nonostante fossero divise
dalle loro interpretazioni della dottrina (in primo luogo
dell'Abhidharma), potevano convivere negli stessi monasteri. Infatti
anche gli studiosi R. H. Robinson e W. L. Johnson fanno risalire la
spaccatura tra le scuole dei Nikāya e il Mahāyāna alle reciproche
divergenze non disciplinari, ma relative all'Abhidharma.
Ritornerebbe quindi opportuno
l'utilizzo, come sostenuto da Richard H. Robinson e Williard L.
Johnson, del termine Hīnayāna. In questo ambito tuttavia occorre
ribadire che si intende come Buddhismo dei Nikāya quelle scuole, e
quei monaci di quelle scuole, che non si riconoscevano negli
insegnamenti dei Prajñāpāramitā Sūtra e nel Sutra del Loto,
essendo inoltre tra loro divisi da differenti Vinaya e differenti
Abhidharma.
Occorre poi precisare che l'attuale
scuola Theravāda non può essere considerata a pieno titolo una
scuola del Buddhismo dei Nikāya, o Hīnayāna, avendo essa stessa
subìto, nel corso dei secoli, degli sviluppi dottrinali che l'hanno
portata ad accogliere persino alcuni insegnamenti provenienti da
altri ambiti buddhisti e brahmanici.
Dal punto di vista storiografico è
difficile stabilire la "canonicità" di questa o di quella
scrittura buddhista. Di certo sia gli Āgama-Nikāya (testi a cui
fanno riferimento le scuole del Buddhismo dei Nikāya) che alcuni
Prajñāpāramitā Sūtra, come presumibilmente alcuni capitoli del
Sutra del Loto, sono stati messi per iscritto nello stesso periodo,
ovvero nel I secolo a.C., anche se studiosi fanno comunque risalire
l'origine delle Prajñāpāramitā ad un'epoca posteriore a quella
della formazione degli Āgama-Nikāya. Parte dei Nikāya del Canone
pāli è fatto risalire, secondo alcuni autori e grazie a
testimonianze indirette e studi letterari comparativi, al IV secolo
a.C., nonostante quello noto sia il frutto di un'edizione del V
secolo d.C. La situazione complessiva è tuttavia tale dal far
ritenere la ricostruzione dell'evoluzione storica dei testi buddhisti
pressoché impossibile. Tutte, o alcune, delle dottrine riportate
erano state precedentemente, e per secoli, trasmesse oralmente (e
forse, almeno in parte, anche per iscritto a partire dall'epoca del
sovrano Aśoka) da monaci chiamati bāṇaka. Non si ha contezza di
quale sia l'effettivo insegnamento del Buddha Śakyamuni lì
contenuto.
Generalmente si ritiene che gli
Āgama-Nikāya contengano molti degli insegnamenti del Buddha
storico, ma ciò secondo alcuni studiosi non esclude la stessa cosa
riguardo ai Prajñāpāramitā Sūtra più antichi, anche se di
questi ultimi non si hanno testimonianze, dirette o indirette,
precedenti il I secolo a.C., contrariamente a numerosi testi
appartenenti alle scuole del Buddhismo dei Nikāya presenti nel
Canone pāli e nel Canone cinese. È certo invece che sia gli
Abhidharma della scuola Theravāda e delle scuole Buddhismo dei
Nikāya che gli altri sūtra Mahāyāna siano successivi
all'insegnamento del Buddha storico e che non siano in alcun modo
riferibili ad esso, come invece la tradizione di queste scuole
sostiene.
Ciononostante va precisato che già
durante la vita del Buddha Śakyamuni esisteva la figura del
Buddhavācana, ovvero di colui che, realizzata l'"illuminazione",
poteva parlare con la "voce" del Buddha, altrimenti detta
il "ruggito del leone", avendone avuto l'autorizzazione o
l'invito a farlo. Seguendo questa antica tradizione è comprensibile
come, nel corso dei secoli, sia le scuole del Buddhismo dei Nikāya e
del Buddhismo Theravāda che del Buddhismo Mahāyāna abbiano
attribuito al Buddha storico degli insegnamenti (come gli Abhidharma
o i sutra Mahāyāna) di "illuminati" contemporanei. Tutto
questo alla luce di un'ulteriore considerazione che fa riferimento,
ad esempio, al Nettippakaraṇa (122-4), antica guida extracanonica
all'Abhidhamma del Canone pāli. In questo testo si stabilisce così
la canonicità di un insegnamento: «Con che cosa il sutra deve
concordare? Con le Quattro nobili verità. Con che cosa il vinaya
deve concordare? Con il controllo della cupidigia, della avversione e
dell'illusione. Con che cosa il Dharma deve concordare? Con
l'insegnamento della coproduzione condizionata». Ne segue che ciò
che rispetta queste caratteristiche possa essere considerato
canonico. Analoghe considerazioni si trovano nella letteratura
buddhista sanscrita del Mahāpadesasūtra. Questa lettura, più
filosofica che storica della canonicità di un testo, ha consentito
l'ingresso in tutti i canoni buddhisti di testi che non possono
essere riferiti "storicamente" al Buddha Śakyamuni. Anche
se certamente la scuola Theravāda (come le scomparse scuole del
Buddhismo dei Nikāya) ha cercato di attenersi maggiormente, rispetto
alle scuole Mahāyāna, ad un'interpretazione storica del criterio
piuttosto che a quella dottrinaria.
Dopo la morte (parinirvāṇa) del
Buddha Śakyamuni, il monachesimo buddhista si diffuse presto per
tutto il subcontinente indiano.
A questa diffusione corrispose anche
una lenta ma graduale differenziazione nella interpretazione degli
insegnamenti, all'epoca riportati oralmente, attribuiti allo stesso
Buddha Śakyamuni.
La prima divisione registrata
all'interno della comunità buddhista (saṅgha) risale alla metà
del IV secolo a.C. quando la maggioranza della comunità denominatasi
Mahāsāṃghika si divise dagli Sthaviravāda, una minoranza che si
autodenominò come gli "anziani" (in sanscrito: sthavira,
l'appellativo rivolto ai bhikṣu più vecchi e venerabili),
maggiormente fedeli, secondo costoro, all'insegnamento autentico del
Buddha.
Il gruppo degli Sthaviravāda rimase
unito fino al III secolo a.C. quando da esso si separò un gruppo
denominato Vatsīputrīya che sosteneva l'esistenza di un pudgala
(persona; e per questo conosciuti anche come Pudgalavāda)
all'interno di ciascuno essere vivente, dottrina che evidentemente
contraddiceva, per i suoi oppositori, l'anātman insegnato dallo
stesso Buddha Śakyamuni.
Alcuni decenni dopo questo scisma, se
ne produsse uno nuovo e la comunità Sthaviravāda si suddivise in
due: Vibhajyavāda e Sarvāstivāda.
All'inizio del II secolo a.C. dalla
comunità Vibhajyavāda sorsero due ulteriori scuole: i Dharmaguptaka
e i Mahīśāsaka. Mentre nello stesso periodo dalla scuola
Sarvāstivāda sorse la scuola Sautrantika.
Poco si sa di un'ulteriore scuola, i
Kāśyapīya, che sembra sintetizzare le posizioni dottrinali dei
Sarvāstivāda con quelle Vibhajyavāda.
Intorno III secolo a.C. alcuni gruppi
di Sthaviravāda-Vibhajyavāda si stabilirono nell'India meridionale
giungendo da qui nello Sri Lanka. Essi adottarono come lingua
canonica il dialetto pracritico pāli e convissero accanto a comunità
Mahīśāsaka che possedevano un vinaya simile. Si denominarono
Theravāda che è la traduzione in pāli del sanscrito Sthaviravāda.
Anche questa comunità si divise sul
suolo cingalese in due monasteri che adottarono diversi canoni: il
Mahāvihāra (che promosse la scuola Theravāda) e l'Abhayagiri (che
invece accolse gli insegnamenti riportati nei sutra Mahāyāna e
Vajrayāna). Una terza corrente sorse intorno al IV secolo d.C.
presso il monastero Jetavana.
Secondo le cronache redatte all'epoca
da monaci theravāda, gli Abhayagirivasa e gli Jetavanyasa
scomparvero nel XII secolo a causa di una controversia tra esponenti
dei monasteri interessati che fu vinta dal monaco theravada Jotipāla,
del monastero di Mahāvihāra. In seguito a tale sconfitta, sempre
secondo le cronache theravada, le scuole che facevano capo ai
monasteri Abhayagiri e Jetavanagiri persero la loro popolarità e i
monaci di questi due monasteri «desistettero dal loro orgoglio e
vissero in sottomissione al Mahāvihāra.». Secondo gli storici del
Buddhismo, invece, tale scomparsa fu dovuta all'imposizione di una
riforma del saṅgha da parte del re cingalese Parakkamabahu I, il
quale avrebbe costretto tutti i monaci dell'isola ad aderire alle
dottrine del Mahāvihāra (Theravāda) pena l'allontanamento dai
monasteri. Tale atto di riforma ecclesiastica portato avanti con
l'appoggio del sovrano non impedì tuttavia che culti Mahāyāna
continuasse ad essere praticato nello Sri Lanka, tanto che sono note
fonti che evidenziano come la devozione alla divinità Natha, che è
stata identificata con Avalokiteśvara, fiorisse nel XV secolo e che
godette del pieno appoggio e protezione di diversi sovrani singalesi.
Tuttavia anche questo culto fu
incorporato nel sistema di credenze della scuola Theravāda singalese
e considerato come altre divinità popolari assimilabile dalla sua
tradizione. È difficile stabilire con contezza la distribuzione
geografica di tutte queste antiche scuole. Le iscrizioni ci dicono
poco sulla presenza di quella o dell'altra scuola, perché
un'iscrizione di una scuola non esclude la presenza di un'altra che
non ha lasciato iscrizioni. Tuttavia sulla distribuzione geografica
di queste scuole possediamo la preziosa testimonianza dei pellegrini
cinesi Xuánzàng (玄奘,
602-664) e Yìjìng che viaggiarono lungo il sub-continente indiano
intorno al VII secolo. Queste testimonianze ci dicono che non vi era
una distribuzione omogenea, ma certamente tutte le scuole sembrano
essere state presenti nel bacino del Gange dove si situavano i più
importanti siti di pellegrinaggio. Anche nell'India orientale
(Bengala) convivevano due grandi gruppi di scuole: Mahāsāṃghika e
Sthaviravāda. Nel VII secolo la scuola Vibhajyavāda prossima se non
identica al Theravāda controllava tutta la regione Tamil dell'India
meridionale ed era presente anche sulla costa a Nord di Bombay. I
Mahīśāsaka sono a Nord-Ovest sulle rive del Fiume Kṛṣṇa ma
anche in Sri Lanka; i Dharmaguptaka sembrano essere presenti sono
nell'India nord-occidentale come i Kāśyapīya; i Sarvāstivāda
dominano invece tutta l'India settentrionale dal III secolo a.C. fino
ad almeno il VII secolo.
Tutte le scuole buddhiste oggi
esistenti derivano da queste scuole antiche ma con degli specifici
sviluppi dottrinali.