venerdì 3 gennaio 2020

Donna guerriera

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Quello della giovane donna guerriera è un'immagine archetipica raffigurante un personaggio femminile, spesso di sangue reale, con un carattere forte e coraggioso; qualità che, secondo la concezione comune, appartengono tipicamente al genere maschile, il che mette la donna guerriera allo stesso livello degli uomini più valorosi. È la rappresentazione antitetica della damigella in pericolo.

Caratteristiche
Secondo la tradizione letteraria medioevale della fanciulla o "vergine guerriera" questa appartiene ad una famiglia reale, o quantomeno dell'alta nobiltà, la quale assume provvisoriamente una funzione maschile di comando; requisito indispensabile perché possa essere accettata in questo ruolo è il rispetto della sua condizione di verginità: perdendo l'innocenza sessuale verrebbe privata del carisma necessario al comando diventando di colpo una donna come tutte le altre.
Solo dopo aver eseguito il proprio compito, al termine di tutte le battaglie assegnatele, ella può accettare di sposarsi con un uomo; ma sempre a condizione ch'egli riesca a superare una certa prova che ne dovrà dimostrare il valore.
Vi sono varie ipotesi a riguardo della formazione e sviluppo d'una tale figura, con diverse teorie circa la sua origine e l'importanza che questo concetto poteva avere. Si avanza l'idea che la società arcaica, dominata ancora dai culti rituali inneggianti alla Natura erano ancora essenzialmente matriarcali, potevano quindi creare modelli costituiti da personaggi femminili forti; la magia naturale e il paganesimo delle origini si sarebbe ad esempio riflettuto nelle immagini mitologiche delle Valchirie, le nove donne guerriere della mitologia norrena.
Un'indagine comparata sui miti arcaici d'Oriente ed Occidente divide i personaggi mitologici femminili in due categorie, da una parte la vergine guerriera e dall'altra la fanciulla destinata a diventare una brava moglie e madre; la prima categoria è costituita dalle ragazze che si trovano in una fascia d'età per lo più adolescenziale e che pertanto possono essere ancora per un tempo limitato assimilate al mondo e alla realtà dei giovani maschi, godendo di una relativa libertà sessuale associata al combattimento e all'esercizio nelle arti marziali o in alternativa in quelle intellettuali (Ganika nel mondo indo-ariano e la figura dell'Etera in quello greco).
L'incarnazione mitologica di tali gruppi sociali è rivelata anche dalle Apsaras induiste, dalle sorelle irlandesi Mórrígan e così via.
In certi casi possono giungere fino al punto di morire sul campo di battaglia; secondo questa versione l'immagine della fanciulla guerriera si trasforma nel ricordo in esempio che accompagna i soldati in guerra. Nella letteratura mondiale, ma soprattutto europea, vi è una chiara linea di successione tra le donne guerriere: gli antichi miti greci riguardanti le Amazzoni penetrano nel mondo medioevale per giungere fino al romanticismo e risorgere in nuove forme più moderne nel XX secolo. Lo stesso percorso di emancipazione e autonomia della donna, dal femminismo al lesbismo, è intriso dell'archetipo della donna guerriera.
Vi è un ramo separato del mito, ma degno di nota in quanto costituito da una certa originalità: le saghe riguardanti fanciulle guerriere sono una caratteristica distintiva della letteratura islandese: se in altre tradizioni letterarie si verifica sporadicamente l'apparizione di immagini femminili dominanti, nell'antica letteraria d'Islanda vi è un particolare tipo di genere di saghe cavalleresche. Storie basate su sovrane autocratiche che rifiutano in toto l'idea del matrimonio e quindi della sottomissione ad un uomo in quanto ciò minaccerebbe la solidità del regno, indebolirebbe il loro potere provocando una perdita di status sociale.
Nelle saghe cavalleresche per le eroine di queste storie vi è una designazione speciale, esse vengono difatti chiamate "meykongr" ovvero grande signore/sovrano ed esse stesse si definiscono sempre re-kongr e mai regine-drottning.

Mondo moderno
Lo stereotipo della "donna maschile, che si comporta come un uomo" all'interno della cultura popolare si è attivamente ampliato durante gli anni '70 del '900, a causa anche dello sviluppo del movimento femminista in tutto l'Occidente: cominciò a declinare la tipica protagonista femminile costituita dalla passiva e inerme fanciulla in pericolo, fortemente assimilata all'idea della necessità per essa di difesa maschile.
Lo stereotipo contemporaneo raffigura una donna eccezionale e indipendente, che si sforza di raggiungere da sola i propri obiettivi, posizionandosi così all'antitesi dei ruoli tipici creati all'interno del tradizionale modello patriarcale sociale. Quest'immagine si riverbera e può essere facilmente utilizzata anche nelle opere artistiche del mondo moderno, un esempio cinematografico è quello dato dal sottogenere Girls with guns.
A differenza di altre immagini di donne forti, la femme fatale o il maschiaccio, quello della vergine guerriera continua a sussistere nelle opere creative maschili, senza perdere nulla della propria essenziale femminilità. Inoltre la cultura di massa sembra aver perduto completamente l'ideale dell'amor cortese medioevale della principessa da salvare.

Esempi storici
  • La regina ionica di Caria Artemisia I, che accompagnò Serse nella sua campagna contro i greci ed avuto un posto di comandante durante la battaglia di Salamina. Si ritiene che fu a causa sua se il persiano pronunciò la frase: i miei uomini son diventati donne, mentre le donne son come gli uomini.
  • Nel suo Sul coraggio delle donne lo storico greco-romano Plutarco descrive come le donne di Argo hanno combattuto contro re Cleomene I e gli spartani sotto il comando della poetessa Telesilla nel 510 a.C.
  • Le Amazzoni erano un'intera tribù, o addirittura un popolo secondo altri, di donne guerriere che sarebbero vissute nell'epoca più arcaica delle storia greca (prima della guerra di Troia). Il loro nome, assieme a quello delle loro regine, è divenuto eponimo per descrivere le donne mascoline, forzute ed atletiche.
  • Arpalice, una delle figlie di Arpalico, re degli Aminnei in Tracia; essendo rimasta orfana di madre in tenera età, fu cresciuta da suo padre con latte di mucca e di cavalla e addestrata come un maschio. Dopo la morte del padre andò a vivere nei boschi e divenne una brigantessa: era così veloce nel correre che i cavalli non erano in grado di starle dietro.
  • Nella mitologia britannica, la regina Cordelia ha sconfitto diversi pretendenti al trono e condotto direttamente l'esercito in battaglia.
  • Le regina britannica Boadicea e la Regina Gwendolen
  • Le sorelle guerriere vietnamite Trung (12-43) le quali guidarono la campagna di liberazione nazionale contro i cinesi.
  • Esempi di donna gladiatrice.
  • La regina di Palmira Zenobia, che ha combattuto contro l'impero romano.
  • La principessa cinese Zhao de Pingyang (598-623), che ha riunito e comandato l'esercito in battaglia.
  • Sajàh bint al-Harith ibn Suaeed, secondo la tradizione islamica una falsa profetessa, nonché leader militare, del VII secolo.
  • Ethelfleda, la figlia di Alfredo il Grande.
  • La regina Tomiri dei Massageti.
  • Giovanna d'Arco
  • La principessa musulmana Amina di Zaria.
  • Caterina Sforza, che ha guidato la difesa di Forlì contro le forze di Cesare Borgia.
  • Cia Ordelaffi, nobildonna italiana.
  • La principessa mongola Mandukhai Khatun.
  • Onna-bugeisha, donna-samurai, e Kunoichi, donna-ninja.
  • Tomoe Gozen (1157? – 1247) l'unica onna-bugeisha descritta nella letteratura epica della tradizione samurai
  • Nakano Takeko (1847–1868), onna-bugeisha del dominio Aizu
  • Stamira (prima del 1173-1174), la donna che si oppose all'imperatore Federico I di Hohenstaufen, detto il Barbarossa.
  • La cosacca Alena (Alyona) Arzamasskaya-Temnikovsky.
  • Nadežda Andreevna Durova, primo ufficiale donna dell'esercito russo.
  • Marija Leont'evna Bočkarëva, militare russa comandante dei battaglioni femminili della morte.
  • Vari ritrovamenti di donne norrene sepolte con armi.

Nella mitologia
  • La Dea guerriera sumera Inanna e la dea degli inferi Allat.
  • La babilonese Ishtar, uno dei suoi epiteti era "il guerriero".
  • L'induista Durgā.
  • Atena, la Minerva romana, Bellona.
  • Le egizie Anat e Sekhmet.
  • Le irlandesi Badb, Macha e Mórrígan.
  • La scandinava Freya.
  • L'iranica Anahita.
  • La greca Enio, furibonda compagna di Ares, e la sorella di Apollo, Artemide (vergine cacciatrice).
  • Atalanta (mitologia)
  • Le Valchirie del folklore nordico.
  • Ixchel, con una bocca spalancata che indicherebbe il cannibalismo.
In letteratura
  • Camilla, personaggio dell'Eneide, regina dei Volsci e alleata di Turno, re dei Rutuli. Morì in battaglia, uccisa da Arunte.
  • Brunilde, personaggio della Canzone dei Nibelunghi, ha promesso di sposare solo chi riuscirà a sconfiggerla in battaglia.
  • Scáthach ("Ombrosa") è un'eroina del Ciclo dell'Ulster nella mitologia irlandese.
  • Bradamante, personaggio del ciclo carolingio.
  • Marfisa, personaggio dellOrlando Innamorato di Matteo Maria Boiardo e dellOrlando furioso di Ludovico Ariosto
  • Clorinda, personaggio della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso.
  • Britomart, personaggio de La regina delle fate di Edmund Spenser.
  • Tutta l'opera La Valchiria di Richard Wagner è incentrata sulla figura della donna guerriera.
  • Hua Mulan, eroina dell'opera La ballata di Mulan
  • Yde, protagonista della chanson de geste Yde et Olive. Si traveste con abiti maschili per sfuggire al padre incestuoso, diventa un cavaliere e infine viene trasformata da un angelo in vero uomo.


giovedì 2 gennaio 2020

Tomoi

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Il Tomoi è uno stile malese di arti marziali. Il nome Tomoi si riferisce a siku lutut, che in malese significa "gomiti e ginocchia".

Etimologia
La parola tomoi deriva da dhoi muay o dhee muay che in tailandese significa pugilato e in generale il combattimento coi pugni. Originariamente fu il termine con il quale ci si riferiva alle vecchie forme di combattimento della Muay Thai, ora nota anche come Muay Boran (boxe tradizionale).

Storia
Non è chiaro esattamente dove le varie forme indo - cinesi di kickboxing hanno avuto origine, ma sicuramente sono basate su tecniche cinesi con qualche influenza dalle arti marziali indiane; Il Tomoi era un passatempo popolare prima del risveglio islamico inizio nel 1980. Dopo la venuta al potere, il governo ha vietato diverse tradizioni culturali malesi per i loro "elementi non- islamici ", tra balli come mak yong e ombre cinesi o Wayang kulit. Il Tomoi è stato anche messo fuori legge nel 1990, principalmente a causa del rituale danza di guerra animista che precede la lotta, ma anche a causa della violenza. Alcuni professionisti Tomoi gareggiavano nel pugilato, kickboxing e muay thai circuito al di fuori della Malaysia, e la popolarità del Tomoi raggiunse il suo punto più basso. Nel 2006 il divieto è stato abolito e il Tomoi è tornato ad essere praticato sotto il nome di moi Kelate che significa " Kelantan boxe " nel dialetto locale; il nome utilizzato dai promotori è " freestyle kickboxing " ma la maggior parte di malesi ancora lo chiamano Tomoi.

Tecniche e combattimento
Il Tomoi ha tecniche di combattimento praticamente simili a quelle della Muay Thai thailandese, vengono infatti usati colpi di pugno, calcio, gomiti, ginocchia; l'abbigliamento standard consiste di pantaloncini, guanti boxe, bracciali e pezzi di cotone sui piedi. I bracciali sono stati tradizionalmente iscritti con preghiere per la vittoria, ma al giorno d'oggi non sempre è così. Il combattimento dura di solito cinque round, ciascuno della durata di tre minuti, con un periodo di riposo di due minuti. Mordere, colpire all'inguine, tenersi alle corde, attaccare un avversario caduto, e colpire l'avversario quando è voltato è proibito. Durante il match, la musica tradizionale è suonata con il gendang (batteria), serunai (oboe) e altri strumenti. La musica rallenta e accelera secondo il ritmo di combattimento e la vittoria è di solito ottenuta ai punti, ma il 20% dei combattimenti finisce con un ko che si verifica quando l'avversario è caduto e non si rialza dopo che l'arbitro conta fino a dieci come nella boxe occidentale.


mercoledì 1 gennaio 2020

Meihuazhuang

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Meihuazhuang (pinyin), 梅花桩, Mei hua chuang (Wade-Giles), tradotto in italiano "Pali del fiore di prugno", è un termine che sta ad indicare un esercizio di arti marziali cinesi che viene eseguito sui pali. Il nome è dovuto al fatto che il modello più comune di disposizione dei pali nel terreno è detto proprio Meihua perché si compone di 5 pali, 4 agli angoli di un quadrato ed il quinto al centro. Tale parola sta anche ad indicare un ramo di Meihuaquan il cui nome più completo è Ganzhi Wushi Meihuazhuang

Meihuazhuang nel Cinema
  • Nel 1977 è stato prodotto a Taiwan il film Fang Shiyu Da Po Meihuazhuang (方世玉大破梅花樁, Fang Shiyu infligge una grande sconfitta sui Pali del Fiore di prugno), più conosciuto in occidente con il titolo Secret of the shaolin poles e considerato un classico del genere Kungfu.



martedì 31 dicembre 2019

Buddhismo dei Nikāya

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L'espressione Buddhismo dei Nikāya è stata coniata dalla storiografia contemporanea per indicare un insieme eterogeneo di scuole buddhiste sorte nei primi secoli dopo la morte del Buddha Śakyamuni (vedi anche Concili buddhisti) che si riconoscevano in un corpo dottrinale e disciplinare, come il Canone pāli, che non comprende quelle scritture indicate successivamente come mahāyāna.

Il dibattito sull'espressione "Buddhismo dei Nikāya" e sui termini alternativi. Origini delle scuole
Un termine sinonimo, sempre utilizzato dagli studiosi, è quello di Buddhismo Hīnayāna. Va tuttavia tenuto presente che quest'ultimo termine, Hīnayāna ("Piccolo veicolo" o "Veicolo inferiore") era precedentemente utilizzato dai seguaci del Buddhismo Mahāyāna in senso dispregiativo per indicare i seguaci di quegli insegnamenti buddhisti che non riconoscevano la canonicità degli insegnamenti riportati nei Prajñāpāramitā Sūtra e nel Sutra del Loto, in particolar modo riferito ai seguaci della scuola Sarvāstivāda.
D'altronde, utilizzare per queste scuole la definizione di 'Primo Buddhismo' non rende ragione della nascita al loro interno delle correnti che poi si denomineranno Mahāyāna. L'utilizzo del termine Mahāyāna si è diffuso a partire dal II secolo d.C. circa e si ritiene che la prima letteratura di riferimento possa forse avere avuto origine nel I secolo a.C., ma non si sa quando si siano formati i primi gruppi di monaci che sottolineavano l'importanza e l'urgenza dell'insegnamento dello śūnyatā e della prajñā, tratti caratteristici della dottrina mahāyāna.
Di certo vi è stato fin dai primi concili dibattito su quali fossero gli effettivi insegnamenti del Buddha Śakyamuni, ma nei testi buddhisti più antichi pervenuti, risalenti al I secolo d.C. e rinvenuti nella regione del Gandhara, non c'è traccia di alcuna dottrina riconducibile a quelle mahāyāna.
Philippe Cornu azzarda una soluzione interpretativa della nascita del Buddhismo Mahāyāna considerando come possibile che il Buddha Śakyamuni abbia insegnato
«[...] la Prajnaparamita e altri argomenti del grande veicolo a un gruppo ristretto e particolarmente maturo, i cui discepoli rimasero una minoranza durante i primi secoli; le loro file si ingrossarono verso il primo secolo dell'era cristiana, rendendo possibile la diffusione del Mahāyāna alla luce del giorno tanto nel saṅgha monastico come tra i laici.»
(Philippe Cornu, op. cit., p.358)
Questo varrebbe come tesi speculativa, non esistendo testimonianze letterarie, litografiche o archeologiche né dirette né indirette a sostegno e scontrandosi invece con quanto risulta nel canone pāli, il quale riferisce il Buddha negare al monaco e attendente personale Ānanda l'aver mai tenuto insegnamenti segreti o ristretti a monaci privilegiati. Inoltre autorevoli studiosi ritengono i Prajñāpāramitā Sūtra delle opere tardive rispetto a quelle delle scuole più antiche, dette pratyekabuddhayāna.
Gli studiosi R. H. Robinson e W. L. Johnson ritengono infatti il Mahayana il frutto successivo dell'evoluzione delle prime scuole dottrinali buddhiste, dette del nikaya, e considerano il Mahayana frutto anche dell'assorbimento di diverse dottrine, riti e culti buddhisti diffusi in India al tempo della sua formazione dottrinale.
Nell'introduzione a "Storia del Buddhismo indiano" lo studioso Paolo Taroni scrive che:
«Come è noto, il Mahāyāna venne contrapposto all'Hīnayāna, il Piccolo Veicolo, dagli esponenti del Mahāsāṃghikā, più riformatori e progressisti al problema del come si potesse conseguire la Buddhità, in contrapposizione agli anziani (Sthavirāḥ), i quali sostenevano invece che fosse necessario osservare le regole e la disciplina (vinaya) per raggiungere l'illuminazione. [...] I Mahāsāṃghikā - originari del centro-sud dell'India - furono sconfitti; tennero quindi un concilio separato, così da venire a delineare ormai la demarcazione tra Mahāyāna e Hīnayāna. [...]
All'incirca tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. iniziò dunque ad affermarsi - soprattutto grazie ai laici [...] - il buddhismo Mahāyāna, in aperta opposizione alla rigidità e all'arroganza dei monaci, che ormai avevano snaturato il pensiero del buddhismo originario e ne avevano dissolta tutta la carica rivoluzionaria, dissacrante e antiteoretica»
Lo studioso Gregory Schopen è di tutt'altro avviso notando che le iscrizioni archeologiche mahāyāna sono quasi tutte monastiche, concludendo che:
«Il Mahāyāna era un movimento dominato dai monaci»
(Gregory Schopen. Two problems in the history of Indian Buddhism: the layman/monk distinction and the doctrines of the transference of merit. In Studien zur Indologie und Iranistik. 1985, X, p. 26)
Anche Paul Harrison e Sasaki Shizuka ritengono che il movimento mahāyānista sia di stretta origine monastica.
Paul Williams ricorda come i recenti lavori di Paul Harrison sui frammenti della letteratura mahāyāna nonché i suoi antichi sūtra conservati nel Canone cinese, e solo recentemente studiati, nonché le conclusioni degli studi archeologici effettuati da Gregory Schopen, possano far concludere che il nucleo centrale del Mahāyāna sia certamente monastico e che il punto centrale del Mahāyāna primitivo corrisponda all'aspirazione della perfetta buddhità ovvero al voto del bodhisattva da contrapporre a coloro che seguivano un sentiero 'inferiore' mirando alla liberazione della sola propria sofferenza invece di mirare a quella di tutti gli esseri senzienti.
Questi monaci mahāyāna corrisponderebbero a degli asceti della foresta tesi a tornare allo spirito buddhista primitivo:
«Una certa spinta ai primi sviluppi del Mahāyāna venne dai monaci dimoranti nella foresta. Lungi dall'essere il prodotto di un movimento urbano, laico e devozionale, molti sūtra mahāyāna rivelano un radicale tentativo ascetico di ritornare all'ispirazione originaria del buddhismo: la ricerca della buddhità o della conoscenza risvegliata»
(Paul Harrison.Searching for the origins of the Mahāyāna : what are we looking for? In Eastern Buddhist. 1995, XXVIII, 1, 65)
Il fatto che i primi mahāyānisti fossero dei monaci asceti delle foreste spiegherebbe, secondo Harrison, la scarsità di testimonianze archeologiche nei loro confronti.
La tesi di un Mahāyāna fondato da monaci conservatori e asceti delle foreste sarebbe dimostrata, secondo Gregory Schopen, anche dall'analisi di un sūtra mahāyāna molto antico, il Maitreyamahāsiṃhanāda (Ruggito del Leone di Maitreya), risalente al I secolo d.C. dove viene raccomandata l'ascesi monastica nelle foreste, la svalutazione della vita laicale e la denigrazione dell'adorazione degli stūpa.
Il pellegrino cinese mahāyāna Yìjìng (義淨, 635-713) registra ancora nel VII secolo che varie scuole allora esistenti con cui era entrato in contatto (Mahāsāṃghika, Vatsīputrīya, Sarvāstivāda e Vibhajyavāda) avevano ancora tutte al loro interno monaci Mahāyāna. Secondo alcuni studiosi ciò indicherebbe che le divisioni tra monasteri, almeno fino al VII secolo, inerivano quindi ancora alla disciplina monastica (Vinaya) piuttosto che alle dottrine di riferimento. Altri studiosi rilevano invece come i codici della disciplina monastica (Vinaya) che ci sono giunti siano invece molto simili tra di loro, almeno per quanto riguarda le controversie dei concili in cui le comunità si scontrarono tra loro, e che fu proprio grazie a ciò che le comunità antiche, nonostante fossero divise dalle loro interpretazioni della dottrina (in primo luogo dell'Abhidharma), potevano convivere negli stessi monasteri. Infatti anche gli studiosi R. H. Robinson e W. L. Johnson fanno risalire la spaccatura tra le scuole dei Nikāya e il Mahāyāna alle reciproche divergenze non disciplinari, ma relative all'Abhidharma.
Ritornerebbe quindi opportuno l'utilizzo, come sostenuto da Richard H. Robinson e Williard L. Johnson, del termine Hīnayāna. In questo ambito tuttavia occorre ribadire che si intende come Buddhismo dei Nikāya quelle scuole, e quei monaci di quelle scuole, che non si riconoscevano negli insegnamenti dei Prajñāpāramitā Sūtra e nel Sutra del Loto, essendo inoltre tra loro divisi da differenti Vinaya e differenti Abhidharma.
Occorre poi precisare che l'attuale scuola Theravāda non può essere considerata a pieno titolo una scuola del Buddhismo dei Nikāya, o Hīnayāna, avendo essa stessa subìto, nel corso dei secoli, degli sviluppi dottrinali che l'hanno portata ad accogliere persino alcuni insegnamenti provenienti da altri ambiti buddhisti e brahmanici.

Canonicità delle scritture del Buddhismo dei Nikāya
Dal punto di vista storiografico è difficile stabilire la "canonicità" di questa o di quella scrittura buddhista. Di certo sia gli Āgama-Nikāya (testi a cui fanno riferimento le scuole del Buddhismo dei Nikāya) che alcuni Prajñāpāramitā Sūtra, come presumibilmente alcuni capitoli del Sutra del Loto, sono stati messi per iscritto nello stesso periodo, ovvero nel I secolo a.C., anche se studiosi fanno comunque risalire l'origine delle Prajñāpāramitā ad un'epoca posteriore a quella della formazione degli Āgama-Nikāya. Parte dei Nikāya del Canone pāli è fatto risalire, secondo alcuni autori e grazie a testimonianze indirette e studi letterari comparativi, al IV secolo a.C., nonostante quello noto sia il frutto di un'edizione del V secolo d.C. La situazione complessiva è tuttavia tale dal far ritenere la ricostruzione dell'evoluzione storica dei testi buddhisti pressoché impossibile. Tutte, o alcune, delle dottrine riportate erano state precedentemente, e per secoli, trasmesse oralmente (e forse, almeno in parte, anche per iscritto a partire dall'epoca del sovrano Aśoka) da monaci chiamati bāṇaka. Non si ha contezza di quale sia l'effettivo insegnamento del Buddha Śakyamuni lì contenuto.
Generalmente si ritiene che gli Āgama-Nikāya contengano molti degli insegnamenti del Buddha storico, ma ciò secondo alcuni studiosi non esclude la stessa cosa riguardo ai Prajñāpāramitā Sūtra più antichi, anche se di questi ultimi non si hanno testimonianze, dirette o indirette, precedenti il I secolo a.C., contrariamente a numerosi testi appartenenti alle scuole del Buddhismo dei Nikāya presenti nel Canone pāli e nel Canone cinese. È certo invece che sia gli Abhidharma della scuola Theravāda e delle scuole Buddhismo dei Nikāya che gli altri sūtra Mahāyāna siano successivi all'insegnamento del Buddha storico e che non siano in alcun modo riferibili ad esso, come invece la tradizione di queste scuole sostiene.
Ciononostante va precisato che già durante la vita del Buddha Śakyamuni esisteva la figura del Buddhavācana, ovvero di colui che, realizzata l'"illuminazione", poteva parlare con la "voce" del Buddha, altrimenti detta il "ruggito del leone", avendone avuto l'autorizzazione o l'invito a farlo. Seguendo questa antica tradizione è comprensibile come, nel corso dei secoli, sia le scuole del Buddhismo dei Nikāya e del Buddhismo Theravāda che del Buddhismo Mahāyāna abbiano attribuito al Buddha storico degli insegnamenti (come gli Abhidharma o i sutra Mahāyāna) di "illuminati" contemporanei. Tutto questo alla luce di un'ulteriore considerazione che fa riferimento, ad esempio, al Nettippakaraṇa (122-4), antica guida extracanonica all'Abhidhamma del Canone pāli. In questo testo si stabilisce così la canonicità di un insegnamento: «Con che cosa il sutra deve concordare? Con le Quattro nobili verità. Con che cosa il vinaya deve concordare? Con il controllo della cupidigia, della avversione e dell'illusione. Con che cosa il Dharma deve concordare? Con l'insegnamento della coproduzione condizionata». Ne segue che ciò che rispetta queste caratteristiche possa essere considerato canonico. Analoghe considerazioni si trovano nella letteratura buddhista sanscrita del Mahāpadesasūtra. Questa lettura, più filosofica che storica della canonicità di un testo, ha consentito l'ingresso in tutti i canoni buddhisti di testi che non possono essere riferiti "storicamente" al Buddha Śakyamuni. Anche se certamente la scuola Theravāda (come le scomparse scuole del Buddhismo dei Nikāya) ha cercato di attenersi maggiormente, rispetto alle scuole Mahāyāna, ad un'interpretazione storica del criterio piuttosto che a quella dottrinaria.

Divisione delle scuole
Dopo la morte (parinirvāṇa) del Buddha Śakyamuni, il monachesimo buddhista si diffuse presto per tutto il subcontinente indiano.
A questa diffusione corrispose anche una lenta ma graduale differenziazione nella interpretazione degli insegnamenti, all'epoca riportati oralmente, attribuiti allo stesso Buddha Śakyamuni.
La prima divisione registrata all'interno della comunità buddhista (saṅgha) risale alla metà del IV secolo a.C. quando la maggioranza della comunità denominatasi Mahāsāṃghika si divise dagli Sthaviravāda, una minoranza che si autodenominò come gli "anziani" (in sanscrito: sthavira, l'appellativo rivolto ai bhikṣu più vecchi e venerabili), maggiormente fedeli, secondo costoro, all'insegnamento autentico del Buddha.
Il gruppo degli Sthaviravāda rimase unito fino al III secolo a.C. quando da esso si separò un gruppo denominato Vatsīputrīya che sosteneva l'esistenza di un pudgala (persona; e per questo conosciuti anche come Pudgalavāda) all'interno di ciascuno essere vivente, dottrina che evidentemente contraddiceva, per i suoi oppositori, l'anātman insegnato dallo stesso Buddha Śakyamuni.
Alcuni decenni dopo questo scisma, se ne produsse uno nuovo e la comunità Sthaviravāda si suddivise in due: Vibhajyavāda e Sarvāstivāda.
All'inizio del II secolo a.C. dalla comunità Vibhajyavāda sorsero due ulteriori scuole: i Dharmaguptaka e i Mahīśāsaka. Mentre nello stesso periodo dalla scuola Sarvāstivāda sorse la scuola Sautrantika.
Poco si sa di un'ulteriore scuola, i Kāśyapīya, che sembra sintetizzare le posizioni dottrinali dei Sarvāstivāda con quelle Vibhajyavāda.
Intorno III secolo a.C. alcuni gruppi di Sthaviravāda-Vibhajyavāda si stabilirono nell'India meridionale giungendo da qui nello Sri Lanka. Essi adottarono come lingua canonica il dialetto pracritico pāli e convissero accanto a comunità Mahīśāsaka che possedevano un vinaya simile. Si denominarono Theravāda che è la traduzione in pāli del sanscrito Sthaviravāda.
Anche questa comunità si divise sul suolo cingalese in due monasteri che adottarono diversi canoni: il Mahāvihāra (che promosse la scuola Theravāda) e l'Abhayagiri (che invece accolse gli insegnamenti riportati nei sutra Mahāyāna e Vajrayāna). Una terza corrente sorse intorno al IV secolo d.C. presso il monastero Jetavana.
Secondo le cronache redatte all'epoca da monaci theravāda, gli Abhayagirivasa e gli Jetavanyasa scomparvero nel XII secolo a causa di una controversia tra esponenti dei monasteri interessati che fu vinta dal monaco theravada Jotipāla, del monastero di Mahāvihāra. In seguito a tale sconfitta, sempre secondo le cronache theravada, le scuole che facevano capo ai monasteri Abhayagiri e Jetavanagiri persero la loro popolarità e i monaci di questi due monasteri «desistettero dal loro orgoglio e vissero in sottomissione al Mahāvihāra.». Secondo gli storici del Buddhismo, invece, tale scomparsa fu dovuta all'imposizione di una riforma del saṅgha da parte del re cingalese Parakkamabahu I, il quale avrebbe costretto tutti i monaci dell'isola ad aderire alle dottrine del Mahāvihāra (Theravāda) pena l'allontanamento dai monasteri. Tale atto di riforma ecclesiastica portato avanti con l'appoggio del sovrano non impedì tuttavia che culti Mahāyāna continuasse ad essere praticato nello Sri Lanka, tanto che sono note fonti che evidenziano come la devozione alla divinità Natha, che è stata identificata con Avalokiteśvara, fiorisse nel XV secolo e che godette del pieno appoggio e protezione di diversi sovrani singalesi.
Tuttavia anche questo culto fu incorporato nel sistema di credenze della scuola Theravāda singalese e considerato come altre divinità popolari assimilabile dalla sua tradizione. È difficile stabilire con contezza la distribuzione geografica di tutte queste antiche scuole. Le iscrizioni ci dicono poco sulla presenza di quella o dell'altra scuola, perché un'iscrizione di una scuola non esclude la presenza di un'altra che non ha lasciato iscrizioni. Tuttavia sulla distribuzione geografica di queste scuole possediamo la preziosa testimonianza dei pellegrini cinesi Xuánzàng (玄奘, 602-664) e Yìjìng che viaggiarono lungo il sub-continente indiano intorno al VII secolo. Queste testimonianze ci dicono che non vi era una distribuzione omogenea, ma certamente tutte le scuole sembrano essere state presenti nel bacino del Gange dove si situavano i più importanti siti di pellegrinaggio. Anche nell'India orientale (Bengala) convivevano due grandi gruppi di scuole: Mahāsāṃghika e Sthaviravāda. Nel VII secolo la scuola Vibhajyavāda prossima se non identica al Theravāda controllava tutta la regione Tamil dell'India meridionale ed era presente anche sulla costa a Nord di Bombay. I Mahīśāsaka sono a Nord-Ovest sulle rive del Fiume Kṛṣṇa ma anche in Sri Lanka; i Dharmaguptaka sembrano essere presenti sono nell'India nord-occidentale come i Kāśyapīya; i Sarvāstivāda dominano invece tutta l'India settentrionale dal III secolo a.C. fino ad almeno il VII secolo.
Tutte le scuole buddhiste oggi esistenti derivano da queste scuole antiche ma con degli specifici sviluppi dottrinali.



lunedì 30 dicembre 2019

Kempo Hakku

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Il Kempo Hakku è un passaggio che si trova nel Bubishi in cui ci sono scritti otto precetti per il corpo e per la mente. Questi precetti sono insegnamenti di tipo militare e marziale (come d'altronde l'intero Bubishi), con alla base una metodica filosofica. Il Kempo Hakku è famoso per aver dato origine al nome di uno stile di karate: il Gōjū-ryū. Il termine GoJu, ideato dal maestro Chōjun Miyagi (fondatore del Gōjū-ryū), fu tratto da questo precetto del Kempo Hakku: <>, che significa "La legge dell'universo respira dura e morbida". GoJu pertanto vuol dire "duro" (go) e "morbido" (ju), ovvero uno stile che abbina tecniche dure a tecniche morbide.
Gli otto passaggi del Kempo Hakku sono questi:

SCRITTURA KANJI (HANZI') - TRASLITTERAZIONE CINESE - TRASLITTERAZIONE GIAPPONESE - TRADUZIONE ITALIANA
  • 人心同天地 - rén xīn tóng tiān dì - Jinshin wa tenchi ni onaji - La mente è un tutt'uno col cielo e con la terra.
  • 血脉似日月 - xuè mài shì rì yuè - Ketsumyaku wa nichigetsu ni nitari - Il ritmo circolatorio del corpo è simile al ciclo del Sole e della Luna.
  • 法刚柔吞吐 - fâ gāng róu tūn tû - Ho wa gojyu wo tondo su - La legge dell'universo respira dura e morbida.
  • 身随时应变 - shēn suí shí yìng biàn - Mi wa toki ni shitagai hen ni ozu - Agisci in modo conforme al tempo e al cambiamento.
  • 手逢空则入 - shôu féng kōng zé rù - Te wa ku ni ai sunawachi hairu - Le tecniche si verificano in assenza di pensieri coscienti.
  • 码进退离逢 - mǎ jìn tuì lí féng - Shintai wa hakarite riho su - I piedi devono avanzare e arretrare, separarsi e incontrarsi.
  • 眼要视四向 - yân yào shì sì xiàng - Me wa shiho wo miru wo yosu - Gli occhi non perdono nemmeno il minimo cambiamento.
  • 耳则听八方 - êr zé tīng bā fāng - Mimi wa yoku happo wo kiku - Le orecchie ascoltano attentamente in tutte le direzioni.


domenica 29 dicembre 2019

Scuola Cheng di Baguazhang

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La Scuola Cheng di Baguazhang (程派八卦掌, Chengpai Baguazhang) è un ramo dello stile Baguazhang creato da Cheng Tinghua. Viene anche chiamato anche Chengshi Baguazhang (程氏八卦掌, Baguazhang del cognome Cheng). In questo stile viene utilizzata un atteggiamento del palmo detto Longzhaozhang (龙爪掌, Palmo ad Artiglio di Drago). Anche questa branca ha come base i Bamuzhang (八母掌, Otto Palmi Madre) e, siccome il suo fondatore era molto esperto nello Shuaijiao, caratterizzato dalla presenza di numerose tecniche di caduta. Dei Bamuzhang, si ritiene che solamente le prime tre tecniche di Palmo siano state insegnate da Cheng Tinghua e perciò sono chiamate Laosanzhang (老三掌, I tre palmi antichi). Essi sono:
  • danhuanzhang (單換掌, Cambio singolo di palmo);
  • shuanghuanzhang (雙換掌, Cambio doppio di palmo);
  • shunshizhang (順勢掌, Palmo della forza scorrevole).
Secondo il maestro Liu Jingru (刘敬儒) è dal 1949 attraverso scambi con le altre branche di Baguazhang che la Scuola Cheng utilizza tutti i Badazhang. Questo è un elenco secondo gli insegnamenti di Cheng Youlong (程有龙): 1) danhuanzhang (单换掌); 2) shuanghuanzhang (双换掌); 3) shunshizhang (顺势掌); 4) beishenzhang (背身掌, il palmo dietro la schiena); 5) fanshenzhang (翻身掌, il palmo ruotando in senso contrario); 6) moshenzhang (磨身掌, il palmo del muovere lentamente il corpo); 7) zhuanshenzhang (转身掌, il palmo girando il corpo); 8) huishenzhang (回身掌, palmo del corpo sinuoso).


sabato 28 dicembre 2019

Baba Nobuharu

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Baba Nobuharu (馬場 信春?; 1514/15 – 29 giugno 1575) è stato un samurai e generale giapponese del periodo Sengoku.
Chiamato anche Baba Nobufusa (馬場 信房), è conosciuto come uno dei ventiquattro generali di Takeda Shingen. Baba combatté nelle battaglie di Mikatagahara e Nagashino, nella quale guidò l'avanguardia destra di Takeda Katsuyori.
Quando Takeda Shingen prese il castello di Fukashi (oggi castello di Matsumoto) nel 1550, lo affidò a Baba. Nel 1573 a Mikatagahara incalzò i sopravvissuti dell'esercito di Tokugawa Ieyasu che si stava ritirando verso il castello di Hamamatsu; vedendo le porte del castello aperte ed i bracieri accesi sospettò una trappola e non seguì ulteriormente l'esercito in fuga. Fu ucciso tre anni più tardi a Nagashino quando due samurai lo attaccarono contemporaneamente decapitandolo.
Il Kōyō Gunkan racconta che Shingen consultava spesso Nobuharu sulle questioni importanti. Prima di Nagashino, si ritiene che Nobuharu abbia combattuto in 21 battaglie senza ricevere una singola ferita.