lunedì 13 gennaio 2020

Xiphos

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Lo xiphos (in greco antico: ξίφος) era la spada utilizzata dalle forze di fanteria della Grecia antica. Forma originaria della spada micenea nell'Età del Bronzo, nell'Età del Ferro divenne parte della panoplia dell'oplita greco, che la utilizzava come arma di seconda scelta, quando la dory (lancia) non era più utilizzabile. Aveva impugnatura ad una mano e lama a doppio taglio lunga anche 60 centimetri.
Gli opliti spartani svilupparono una variante dello xiphos corta (30 cm), atta a colpire solo di punta nelle serrate mischie della fanteria pesante ellenica.

Storia
Origini
Menzione dello xiphos si trova già nell'Iliade di Omero, ove il vocabolo compare con il significato di "spada" e trova riscontro nel vocabolo di lingua micenea qsiphos, ove indica appunto genericamente la spada. Lo xiphos sarebbe dunque stato il nome dato nell'Antica Grecia e nell'arcipelago Egeo alla prima tipologia di arma bianca manesca apparsa durante l'Età del Bronzo, mantenuto in uso con il medesimo significato nella successiva Età del Ferro.
Nello specifico, il qsiphos miceneo doveva essere arma atta a colpire prevalentemente di punta, una sorta di antenato dello stocco. La spada a lama diritta, affilata su ambo i lati, da utilizzarsi per colpire di punta e di taglio era invece il phasgana (phasganon) con lama a foglia. Nei secoli tardi dell'Età del Bronzo questa distinzione venne meno e la parola greca xiphos, derivata da qsiphos, passò ad indicare sia le spade a lama sottile sia quelle a lama più larga, atte ad una scherma più variegata.

La spada degli opliti
Tra VIII e VII secolo a.C., quando in Grecia si originò e diffuse lo schieramento a falange, lo xiphos, fosse esso con lama in bronzo o in ferro, venne inquadrato nella panoplia dell'oplita greco come arma di seconda scelta, da utilizzarsi nella mischia a distanza ravvicinata quando la pesante lancia da combattimento, la dory, era ormai troppo ingombrante.
Tra i ranghi degli hippikon (cavalleria), allo xiphos venne preferita un'altra tipologia di spada monofilare più adatta per i colpi di taglio, il makhaira.
(EL)
«ὡς δὲ τοὺς ἐναντίους βλάπτειν, μάχαιραν μὲν μᾶλλον ἢ ξίφος ἐπαινοῦμεν: ἐφ' ὑψηλοῦ γὰρ ὄντι τῷ ἱππεῖ κοπίδος μᾶλλον ἡ πληγὴ ἢ ξίφους ἀρκέσει.»
(IT)
«Ma per ferire i nemici, a mio parere, è molto meglio il makhaira che lo xiphos, perché venendo il colpo dall'alto più profonda sarà la ferita inferta dal makhaira, arma che ferisce di taglio, che dallo xiphos.»
(Senofonte, Sull'equitazione - XII, 11-12)

Gli Spartani svilupparono uno xiphos più corto, lungo circa 30 cm, utile nel combattimento ravvicinato tra le prime file dei due schieramenti di opliti[3]. L'arma ebbe larga diffusione tra gli eserciti greci a partire dalla Guerra del Peloponneso (431 a.C.-404 a.C.), come ben dimostrato dai disegni artistici di quel periodo. La variante lunga dell'arma restò comunque in uso, diffondendosi, unitamente al modello bellico greco, sulle coste del Mediterraneo e raggiungendo, tramite la Magna Grecia, gli Etruschi e gli Italici.
Nel corso del IV secolo a.C., il generale ateniese Ificrate, grande riformatore della falange oplitica, armò i suoi soldati nella Guerra di Corinto contro gli spartani con una variante più lunga dello xiphos.

Costruzione
Il testo omerico, narrante fatti ipoteticamente databili al 1250 a.C. ma redatto in età più recente, fornisce ampia descrizione dello xiphos, o meglio, delle tipologie di xiphos contemporanee all'autore (IX-VIII secolo a.C.) ma da lui inscritte nelle panoplie degli eroi achei e troiani:
  • La lama poteva essere diritta e sottile o larga, in foggia di foglia, nel modello phasganon. In epoca storica, lo xiphos aveva lama "a foglia di salice" allungata o leggermente lanceolata, onde garantire efficacia sia ai colpi di taglio che alle stoccate;
  • L'impugnatura, ad una mano, poteva presentare un ricco fornimento. Omero parla di una spada dal manico inanellato d'oro per Agamennone di Micene e di chiodi d'argento ornanti lo xiphos di Achille brandito da Patroclo nel suo scontro mortale con il troiano Ettore. Negli esemplari del V secolo a.C., l'impugnatura dello xiphos ha caratteristica impugnatura a "T";
  • Il fodero, come l'impugnatura, poteva essere in metallo pregiato ma era più spesso in legno.
In epoca storica, lo xiphos veniva portato dagli opliti sul fianco sinistro, il fodero assicurato ad un balteo che correva sul petto del guerriero.


domenica 12 gennaio 2020

Taijiquan famiglia Yang forma con la sciabola Poema delle 13 mosse

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Forme Taijiquan

Il Taijiquan non ha molte armi. Principalmente si dividono in due gruppi: armi lunghe e corte. Le armi corte sono la spada (in cinese , in pinyin jiàn) e la sciabola in cinese , in pinyin dāo).


Durata
La forma con la sciabola 13 mosse, sequenza del Taijiquan Stile Yang, generalmente viene eseguita in 2 minuti.

Poema delle 13 mosse per la forma con la sciabola stile Yang
La forma con la sciabola della famiglia Yang, a differenza delle forme a mani nude Forma 103 e Forma 49, delle forme abbreviate Forma 13 e Forma 16 e della forma con la spada è descritta da un poema che in cinese consiste di 13 linee di 7 caratteri ognuna.
Quelli che seguono sono i nomi in cinese, in pinyin e tradotti in italiano, come usati dagli attuali insegnanti di Taijiquan della famiglia Yang.
Di seguito il poema tradotto dalla traduzione inglese di Audi Peal:



Nome in cinese pinyin Nome in italiano
1 七星跨虎交刀势 Qī xīng kuà hŭ jiāo dāo shì Sette stelle e cavalcare la tigre, maneggiando la spada
2 腾挪闪展意气杨 Téng nuó shăn zhăn yì qì yáng Fare pulito a fondo, stordire e colpire con volontà e spirito elevato
3 左顾右盼两分张 Zuŏ gù yòu pàn liăng fēn zhāng Guardare a sinistra, fissare a destra, le due parti si espandono
4 白鹤晾翅五行掌 Bái hè liàng chì wŭ xíng zhăng La gru bianca apre le ali, palmo dei cinque elementi
5 风卷荷花叶里藏 Fēng juăn hé huā yè lǐ cáng Il vento gira il fiore di loto e lo nasconde tra le foglie
6 玉女穿梭八方势 Yù nǚ chuān suō bā fāng shì La dama di giada lancia la spola nelle otto direzioni
7 三星开合自主张 Sān xīng kāi hé zì zhŭ zhāng Tre stelle si aprono, si chiudono, si estendono a loro volontà
8 二起脚来打虎势 Èr qǐ jiăo lái dă hŭ shì Calcio doppio e colpire la tigre
9 披身斜挂鸳鸯脚 Pī shēn xié guà yuān yang jiăo Drappeggia il corpo in obliquo e calcia come anatra rimbambita
10 顺水推舟鞭作篙 Shùn shuǐ tuī zhōu biān zuò gāo Spingi la barca seguendo la corrente, la frusta fa da pertica
11 下势三合自由招 Xià shì sān hé zì yóu zhāo Posizione bassa, combina tre volte movimenti liberi
12 左右分水龙门跳 Zuŏ yòu fēn shuǐ lóng mén tiào Fendere le acque a sinistra e a destra, saltare la porta del drago
13 卞和携石凤还巢 Biàn hé xié shí fèng huán cháo Il vecchio Bian-He recupera la sua pietra e la fenice torna al nido








sabato 11 gennaio 2020

Ascia barbuta

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L'ascia barbuta (Long-bearded axe in lingua inglese, Skeggöx in lingua norvegese) era una particolare tipologia di ascia da battaglia usata dai Vichinghi sin dall'Età del ferro germanica. Rispetto alla normale scure da guerra, aveva lama con bordo superiore quasi diritto e bordo inferiore allungato, quasi parallelo al manico di legno, terminante in un uncino. La forma particolare della testa garantiva sia maggior efficacia al colpo di taglio, sia la possibilità, per l'utente, d'impegnare l'avversario con una scherma variegata garante della possibilità di agganciare, tramite l'uncino, il bordo dello scudo o un lembo del vestiario/usbergo.

Storia
Differentemente dalla grande ascia danese, l'ascia barbuta, tanto quanto la francisca, costituisce una tipologia di ascia da battaglia sviluppata dalle popolazioni germaniche che ebbe larga diffusione in Europa nel corso dell'Alto Medioevo e che non legò il suo nome unicamente ai vichinghi che pur ne fecero largo uso. Reperti archeologici di teste di scure in ferro battuto, databili al tempo del Regno longobardo (VI-VII secolo), sono state infatti rinvenute in Italia ben prima delle incursioni vichinghe del IX secolo.
L'ascia barbuta, ancora oggi in uso in carpenteria per squadrare e spaccare tavole di legno, seppur in una versione più piccola, ad una mano, era poi arma ibrida. Si trattava infatti di un attrezzo che, all'occorrenza, poteva essere riqualificato quale arma vera e propria.

Costruzione
  • Caratteristica peculiare della Skeggöx era la sua testa in ferro battuto, con lama a ventaglio dal profilo superiore quasi diritto, allungantesi verso il basso, parallelamente al manico, non più nel consueto "corno" ma in una "barba" lunga diversi centimetri. Il filo, negli esemplari prettamente bellici, era irrobustito con dell'acciaio ad alta percentuale di carbonio, come nella grande ascia danese. La nuca della barba era larga e solida e si sviluppava, nella parte terminale, in un uncino atto ad agganciare lo scudo o le vesti dell'avversario.
  • Nei modelli destinati alla lotta, il manico in legno (frassino o rovere) aveva un'impugnatura a due mani. Nell'attrezzo da carpenteria il manico è invece solitamente ad una mano, seppur, come in tutte le scuri, la lunghezza dell'astile permetta facilmente la presa a due mani.


venerdì 10 gennaio 2020

Yaqin

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Yaqin (یقین) è generalmente tradotto come certezza ed è considerata la massima fra le molte stazioni di cui che completano il sentiero walaya (talvolta tradotto Santità). In essa si racchiude l'esperienza della liberazione nell'Islam. Dal punto di vista esoterico la Certezza corrisponde alla vita religiosa nella sua perfezione (ehsân), ovvero all'adorazione di Allah secondo i dettami della Rivelazine; seguendo questa via si adempie al pilastro dell'Islam riguardante le pratiche esteriori, fondamenta della fede (iman) nell'interiore. Infatti l'ihsân (comportamento corretto) fornisce alla pratica esteriore della religione il suo vero significato e alla fede i suoi reali valori.
La Certezza(al-yaqîn) comprende tre gradi.

Fasi
Ilm al-yaqîn (conoscenza della Certezza)
Il primo grado è chiamato ‘ilm al-yaqîn (conoscenza della Certezza), che indica come la Certezza sia il risultato della conoscenza. A questo livello l'oggetto della Certezza è la conoscenza così come lo scopo della conoscenza è la Certezza. Entrambe si trovano nell'anima, essendo la Certezza il primo grado della vita spirituale e la conoscenza l'ultimo dell'esperienza speculativa. Questo particolare grado del yaqîn mistico è il risultato di teofanie divine in atto al livello dell'esistenza ed anche di teofanie di luci di natura al livello della gnosi.

Ayn al-yaqîn (L'Occhio della Certezza)
Il secondo grado di yaqîn è ciò che si chiama nella terminologia Sufi ayn al-yaqîn (L'Occhio della Certezza), ovvero Certezza come conseguenza di contemplazione e visione. A questo livello, l'oggetto della Certezza è presente dinnanzi allo gnostico e non è solo un concetto speculativo. Qui la conoscenza viene comunemente chiamata 'ilm-e-huzuri’' (Presenza di conoscenza), ed è questo il secondo aspetto della Certezza sulla via spirituale e nell'esperienza della liberazione. Con questo tipo di conoscenza, l'uomo della Via si distingue dai filosofi e dagli studiosi. Questo particolare grado di Certezza spirituale è il risultato di divine teofanie degli Attributi a livello dell'esistenza, come a livello di gnosi è il risultato di teofanie di luci dell'intelletto.

Haqq al-yaqîn (la totale realtà della Certezza)
Infine l'ultimo grado di yaqîn è chiamato haqq a1-yaqîn (la totale realtà della Certezza), ovvero Certezza come suprema verità. Qui la Certezza ha un particolare colore: è il frutto di un'esperienza omnicomprensiva perché l'oggetto della Certezza è identico a colui che lo sperimenta, essendo la conoscenza trasformata in una reale esperienza e la reale esperienza nella conoscenza. In questa fase infatti, la conoscenza non è limitata dall'intelletto, né alla visione di chi la contempla, ma diventa una con l'essere umano. Questa è la fase finale del yaqîn, l'apoteosi del viaggio spirituale e intellettuale. Questo alto grado della Certezza per i Sufi è l'effetto dell'Emanazione delle divine teofanie nell'Essenza nel suo piano esistenziale e della diffusione della Luce delle luci al livello delle teofanie della gnosi.


giovedì 9 gennaio 2020

Fattoria della bile

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Fattoria della bile è il nome con cui vengono comunemente chiamati gli allevamenti intensivi di orsi tibetani, detti anche orsi della luna, nel sud-est asiatico, dove tali animali vengono rinchiusi in gabbie strettissime per estrarne la bile, ingrediente utilizzato nella medicina tradizionale cinese.

Storia
Da sempre considerata un ingrediente importante per la medicina tradizionale cinese, la bile era un tempo estratta da orsi precedentemente uccisi. Durante gli anni settanta l'orso tibetano (principale specie che viene utilizzata per l'estrazione) divenne specie protetta in quanto in via d'estinzione e se ne proibì la caccia. Fu allora ideato questo processo più economico e veloce in quanto un singolo orso durante tutto l'arco della sua vita, che dura mediamente intorno ai 20 anni, produce molto più materiale sfruttabile di un esemplare ucciso.

Prelievo e sue conseguenze
Gli orsi subiscono prelievi quotidiani attraverso cateteri di metallo inseriti nella cistifellea in condizioni igieniche pessime che causano spesso infezioni e tumori. Inoltre, per stimolare la produzione di bile, vengono alimentati con pastoni privi di numerosi nutrienti e vitamine normalmente necessari per la loro buona salute, portando spesso a fenomeni di denutrizione. Infine, a causa delle dimensioni ridotte delle gabbie di detenzione (si parla mediamente di circa 2 m³, per animali che possono raggiungere anche l'altezza di più di 2 m) sono comuni piaghe e deformazioni ossee che portano alla paralisi. Gli orsi che riescono a sopravvivere a tali torture impazziscono, arrivando spesso a compiere pratiche autolesioniste che possono portare alla morte prematura dell'animale. Per evitare questo, è pratica comune tra gli allevatori estirpare denti e artigli.

Iniziative
Nel 1993, la prima persona ad interessarsi attivamente alla questione degli orsi della luna fu l'inglese Jill Robinson che fondò l'Animal Asia Foundation nel 1998 e successivamente il Centro di Recupero degli orsi salvati nel 1999. Le trattative con il governo cinese per la completa e definitiva chiusura di questi luoghi sono tuttora in fase di realizzazione.


mercoledì 8 gennaio 2020

Yun (Street Fighter)

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Storia e descrizione
Yun Lee è il fratello gemello di Yang, nonché allievo di Gen, il quale ha insegnato loro l'arte del Kung Fu. Gen è stato anche il maestro di Chun-Li, considerata quindi da loro una specie di "zia".
Risiedenti in Hong Kong, entrambi i fratelli vengono considerati i protettori della città e sono proprietari di un famoso ristorante, in cui lavorano. Yun partecipa al torneo di Street Fighter per testare le sue abilità e per sconfiggere Gill, il capo della setta degli Illuminati.
In Super Street Fighter IV Arcade Edition (ambientato precedentemente rispetto al terzo capitolo), dopo la partenza di Chun-Li, parte a sua volta in compagnia del fratello, mosso dalla curiosità di scoprire verso quale avventura sta viaggiando la ragazza.
Nel suo filmato finale in Street Fighter III: Third Strike, lo si vede imprecare contro il dio Gill per fargli rendere conto che le sue idee sono da criminale e gli dice di lasciare in pace la loro città e così tutto il resto della popolazione.
Suo fratello Yang gli è rivale, e il fatto di non riuscire a superarlo crea in lui un senso d'inferiorità. Difatti nel dialogo d'intermezzo di Yang nella modalità Arcade che avviene prima del combattimento, si legge che vorrebbe sfidarlo per testare solo i suoi miglioramenti, ma in realtà vorrebbe batterlo per essere considerato il più forte tra i due.
In tutte le serie (escludendo SFIII e SSFIV: AE) Yang fa da partner a Yun in determinate situazioni durante i combattimenti (quali Super Moves e Special combos).
Nei loro rispettivi filmati, dopo aver sconfitto Gill, tornano a casa da Houmei e Shaomei, due sorelle che lavorano con loro al ristorante, le quali covano dell'amore nei loro confronti.
Yun e Yang inoltre appaiono nel filmato introduttivo di Chun-Li in Street Fighter IV, per poi essere stati aggiunti come personaggi giocabili nell'aggiornamento Super Street Fighter IV Arcade Edition.

Aspetto e carattere
Il suo simbolo di riconoscimento è il suo amato capello blu, dal quale non si separa mai. Indossa un abito cinese con bottoni ocra, uguale a quello del fratello tranne che per il colore (bianco il suo, rosso quello di Yang), dei larghi pantaloni neri e delle scarpe da ginnastica del medesimo colore. Ama andare sullo skateboard e fare ironia, inoltre è abbastanza presuntuoso e molto sicuro di sé.

Comparse
Appare nei seguenti titoli:
-Street Fighter III (New Generation, Second Impact, Third Strike)
-Street Fighter Alpha 3 Max
-Capcom VS Snk 2
-Capcom Fighting Evolution
-Super Street Fighter IV Arcade Edition

Attacchi
Le mosse speciali di Yun sono:
- You Hou (Super Art 1 in Street Fighter III: 3rd Strike; Ultra Combo 1 in Super Street Fighter IV: Arcade Edition)
- Sourai Rengeki (Super Art 2 in Street Fighter III: 3rd Strike; Ultra Combo 2 in Super Street Fighter IV: Arcade Edition)
- Genei Jin (Super Art 3 in Street Fighter III: 3rd Strike; Super Combo in Super Street Fighter IV: Arcade Edition)
La sua mossa caratteristica, oltre che la più famosa, è il Genei Jin, che gli permette per un tempo limitato di effettuare combo altrimenti impossibili e di muoversi molto velocemente acquistando un'aura verde acqua che lascia una scia durante i suoi movimenti.

Curiosità
  • Yun è esteticamente ispirato allo skater Kien Lieu e al personaggio Duo Maxwell dell'anime Gundam Wing.
  • ユン(Yun) in giapponese significa nuvola bianca.


martedì 7 gennaio 2020

Monti Wudang

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Monti Wudang (in cinese: 武当山, Wǔdāng Shān), conosciuti anche col nome di Wu Tang Shan o semplicemente Wudang, sono una piccola catena montuosa che si trova nella provincia di Hubei, in Cina, poco a sud della città di Shiyan. Sono monti sacri e mete di pellegrinaggio per i fedeli taoisti e rappresentano una delle mete più rilevanti per il turismo cinese.
Queste montagne sono luoghi importanti sin dai tempi antichi per la presenza dei numerosi monasteri taoisti che vi si trovano, famosi come centri accademici di ricerca, insegnamento e pratica della meditazione, delle arti marziali cinesi, della medicina tradizionale cinese e delle pratiche e arti connesse all'agricoltura taoista. Già durante la dinastia Han le montagne attrassero l'attenzione dell'imperatore (fra il I e il III secolo). Durante la dinastia Tang (fra il 618 e il 907) venne costruito il primo tempio. Nel 1994 i templi delle montagne Wudang vennero inclusi nell'elenco dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.
Nel 1956 una grande quantità di statue antiche raffiguranti divinità e santi vennero fuse. Durante la rivoluzione culturale (1966 - 1976), con la quale venne attuata una capillare destituzione ed eliminazione delle religioni, i templi vennero svuotati, danneggiati, molti distrutti e dimenticati per decenni. Le attività religiose sono riprese di recente con il revival del Taoismo, alcuni templi, ricostruiti o restaurati, stanno tornando attivi e si stanno costituendo nuove comunità di monaci. Alcuni monasteri si sono organizzati in un'associazione, la Chiesa taoista dei monti Wudang. Nel giugno 2005 numerose comunità monastiche e maestri spirituali che si trasferirono in Taiwan per sfuggire alle persecuzioni sono stati autorizzati a fare ritorno presso i templi.
Fra gli edifici, costruiti ed ampliati soprattutto durante la dinastia Ming, si trovano costruzioni risalenti al VII secolo. Il complesso templare ha una grande valenza artistica, in quanto esprime l'apogeo raggiunto dall'arte e architettura cinese in un periodo di circa 1.000 anni.