giovedì 27 febbraio 2020

Kakizaki Kageie

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Kakizaki Kageie (柿崎 景家; 1513? – 1575) è stato un samurai del periodo Sengoku che servì il clan Uesugi della provincia di Echigo.
Fu uno dei generali più famosi e temuti di Uesugi Kenshin per la sua ferocia in battaglia e partecipò ad almeno tre battaglie di Kawanakajima. Nella battaglia più importante, la quarta, guidò l′avanguardia ed alcune fonti raccontano che fu lui ad uccidere Takeda Nobushige. Suo figlio, Kakizaki Haruie, fu mandato al castello di Odawara del clan Hōjō come ostaggio per suggellare l'alleanza con il clan Uesugi.
Per ragioni che non sono chiare Kenshin sospettò che complottasse con Oda Nobunaga contro di lui e ordinò la sua esecuzione pentendosene successivamente.

mercoledì 26 febbraio 2020

Pichangatti

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Il pichangatti è un'arma bianca originaria dell'India meridionale (diffusa principalmente nel Distretto di Kodagu). È un particolare coltello-pugnale a lama sostanzialmente dritta ad un solo filo. Il termine "pichangatti" in lingua tamil significa letteralmente "pugnale a mano". La lama, lunga circa 20 cm, è larga e piuttosto pesante; tende ad allargarsi verso la punta per poi restringersi con una forma a "clip point", simile a quella del bowie. L'impugnatura, che solitamente può essere costituita da due pezzi d'argento o di corno fissati al codolo, ha un pomolo rotondo e abbastanza sporgente ed è leggermente inclinata verso il lato tagliente della lama. Il fodero solitamente è dotato di un gancio nella parte superiore e di una catena, utile per attaccarvi l'arma. È in legno, spesso decorato, e presenta ornamenti d'ottone o d'argento. In alcuni esemplari di pregio sono presenti ornamenti d'oro.

martedì 25 febbraio 2020

Katsuya Miyahira

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Katsuya Miyahira (宮平 勝哉 Miyahira Katsuya; Nishihara, 8 agosto 1918 – 28 novembre 2010) è stato un artista marziale e karateka giapponese.

Biografia

Katsuya Miyahira nacque l'8 agosto 1918 a Nishihara nella prefettura di Okinawa dove le arti marziali sono sempre state popolari tra i residenti. Inizialmente imparò le arti marziali da suo padre, che si era laureato nella Scuola militare Toyama ed era abile nel kendō e nella ginnastica. Entrando nella scuola secondaria Miyahira iniziò a concentrarsi sul karate. Nel 1933 divenne studente presso il dojo di Chōsin Chibana, che si trovava a Nakijin Goten; lì fu soggetto all'influenza degli allievi anziani del dojo, come Kangi Shoya, Yasuyoshi Kamikosu, Tsuguyoshi Miyagi, Chozo Nakama e Shinji Tawada. Inoltre Miyahira studiò già karate anche alla scuola secondaria con Anbun Tokuda, che fu anche suo insegnante, e che gli insegnò che lo spirito delle arti marziali pone la gentilezza in mezzo al rigore. Sia Chibana che Tokuda sono stati tra i migliori studenti di Ankō Itosu, il maestro dello Shōrin-ryū. Ciò permise a Miyahira di imparare i kata tradizionali dello Shuri-te, sia nel dojo in città che a scuola.
Nel gennaio 1937 si addestrò con Motobu Chōki ma successivamente dovette interrompere la pratica del karate a causa della guerra. Venne infatti trasferito in Manciuria, dove lavorò come insegnante e dove insegnò difesa personale. Nel 1948, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, ottenne il grado di Shihan da Chibana e, in ottobre, aprì un dojo di karate nella sua città natale, Nishihara, con l'intenzione di formare i giovani ad essere persone forti che avrebbero potuto vivere attraverso le difficoltà di quel periodo. Miyahira impostò le regole del suo dojo come seguono:
  • Cercare di perfezionare il proprio carattere
  • Coltivare lo spirito di fare degli sforzi costanti
  • Ammonire il proprio ardore giovanile
  • Dare valore alle buone maniere
Chiamò il suo dojo Shōrin-ryū Shidōkan, la "Sala della via del guerriero", sperando di istruire i giovani che aspiravano a imparare la via del karate. Il nome Shido fu preso dai Dialoghi di Confucio, capitolo sette, verso sei, libro quarto del ventesimo volume:
  • Stabilisci nel tuo cuore di seguire sempre la via.
  • Rimani vicino al sole della virtù e non allontanarti.
  • Credi nel potere della benevolenza come supporto.
  • Prendi il piacere da queste abilità.
Dopo essersi trasferito a Naha, nel settembre 1952, continuò i suoi sforzi per diffondere lo Shuri-te, difatti visitò anche le Filippine per insegnare e diffondere il karate.
Nel 1956 Katsuya Miyahira costruì il dojo Shidōkan dietro casa sua nel quartiere di Tsuboya, e due anni dopo ricevette il titolo di Kyōshi dal Dai Nippon Butokukai. Nel 1967 gli venne attribuito il grado di 9° dan Hanshi e, due anni dopo, alla morte di Chibana , divenne presidente della Okinawa Shorin-ryu karate-do Association. Cercò di far crescere l'associazione, visitò le associazioni di Shorin Ryu Shidōkan brasiliana, argentina e nordamericana, per insegnare e diffondere il karate all'estero.
Nel giugno del 1974, Miyahira partecipò al primo Campionato del Mondo di karate e ricevette un premio per il suo servizio al karate. Quattro anni dopo venne premiato con il grado di 10° dan Hanshi. Nel 1982 divenne consigliere della Federazione giapponese di Karate e dedicò le sue energie per contribuire alla crescita del karate giapponese. Prese anche parte al Torneo internazionale di Arti marziali tra Cina e Giappone come leader del team giapponese, impegnandosi per la buona riuscita dello scambio.
Nella divisione karate del 42º Incontro di atletica nazionale nel 1987, la squadra di Okinawa, guidata da Miyahira, conquistò il primo posto e la vittoria fece guadagnare a Miyahira un premio speciale per il suo ottimo servizio, assegnatogli dall'Okinawa Amateur Sports Association.
Katsuya Miyahira morì di cancro il 28 novembre 2010, all'età di 92 anni.

lunedì 24 febbraio 2020

Katara (arma)

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Una katara, o katar (lingua Hindi कटार, "katara", lingua tamil கட்டாரி, "kaţţāri"), nota anche come suwaiya, jamadhar o pugnale Bundi, è un'arma bianca manesca del tipo spada corta (daga) originaria del subcontinente indiano ma diffusasi anche in altri paesi per la sua capacità di portare potenti e rapidi attacchi di punta. Arma precipua dei Rajput, consisteva di una solida lama immanicata su due stanghe collegate orizzontalmente dall'impugnatura.
Viene tuttora utilizzata in un'arte marziale indiana chiamata Kalari payat. Dalla katara sarebbe derivata un'altra peculiare arma indiana, il pata.

Precisazione onomastica
Il sostantivo "katara" viene utilizzato per indicare la daga a spinta indiana conseguentemente alla trascrizione del vocabolo di lingua hindi कटार eseguita dallo studioso britannico Egerton nel suo Indian and Oriental arms and armor (Londra, 1880). In epoca più recente lo studioso Pant, nel suo Indian arms and armour (Nuova Delhi, 1980) ha però suggerito che la trascrizione più corretta sia jamadhar, i.e. "dente della morte", parola composta delle radici sanscrite Yama, il dio della morte, e dadh, "dente".

Storia
La katara è una delle armi bianche più antiche e particolari della già particolarissima panoplia dei guerrieri del subcontinente indiano. Venne sviluppata per migliorare le capacità offensive del coltello-pugnale contro un avversario protetto da una solida corazza, nell'ottica di una scherma agile e acrobatica esercitata con due daghe da pugno o una katara e una spada (khanda nel caso dei Rajput), un modello di combattimento che può essere facilmente accostato al binomio spada-daga in uso nell'Italia del Rinascimento (v. Manosinistra e Spada da lato) o al daishō dei bushi giapponesi.
L'arma venne sviluppata dagli armaioli del Tamil Nadu, a quel tempo parte dell'Impero Vijayanagara (1336-1646), sull'altopiano del Deccan (India centrale) in epoca medievale e da lì si diffuse in tutto il subcontinente. Le forme tamil dell'arma presentavano una guardia a cocchia per proteggere il dorso della mano ma questa tipologia di "katara incappucciata" sparì nel XVII secolo.
La katara venne adottata dai guerrieri Rajput, Sikh e Moghul, divenendo rapidamente uno status symbol oltre che un'arma vera e propria. Nobili e magnati di queste etnie ostentavano la katara nelle loro apparizioni pubbliche, si facevano raffigurare con essa nei dipinti e, nel caso dei Moghul, se ne servivano anche per la caccia al cinghiale o, più raramente, alla tigre. Al tempo dell'Impero Maratha (1674-1818), le katara iniziarono ad essere realizzate riciclando la lama spezzata di spade più lunghe, anche di provenienza occidentale.
Durante l'occupazione britannica dell'India, le katara conobbero un notevole successo presso i collezionisti occidentali di reperti orientali. Conseguentemente, molti esemplari di quest'arma, spesso meramente decorativi e privi di efficacia bellica, vennero prodotti per il grande mercato coloniale. Questa moda venne confermata dai pregevoli esemplari con impugnatura rivestita da lamine in oro prodotti a Bundi (Rajasthan) per l'Expo 1851 al Crystal Palace di Londra che valsero alla katara la nomea di "Daga Bundi".

Costruzione
Arma molto particolare, la katara si compone di:
  • Lama in acciaio Wootz, massiccia e triangolare, affilata su ambo i lati. In alcuni esemplari è più lunga, diritta e con profonde scanalature parallele ai bordi, o fiammeggiante ("lama flambard"). In altri la lama è ricurva, simile a una variante più massiccia del khanjar. I maratti (XVI-XVII secolo) ricorrevano spesso a lame di produzione occidentale, imbullonate a delle proiezioni dell'impugnatura, con punta rinforzata per sfondare la maglia ad anelli dei Moghul (v. sfondagiaco).
  • Impugnatura perpendicolare all'asse dell'arma, stretta ai lati dalle due stanghe di metallo che dipartono dal forte della lama e assicurano la katara all'avambraccio dell'utente. In alcuni esemplari, noti come "katare incappucciate", un'elsa a coppa proteggeva il pugno dell'utente. Alcune katara "di rappresentanza" di produzione Moghul avevano impugnatura interamente realizzata in giada (un esemplare di questo tipo è oggi conservato al Louvre di Parigi).
La katara veniva riposta in un fodero di legno, coperto di cuoio o stoffa e impreziosito da ghiere metalliche, assicurato al cinturone del portatore.
Come nella daga occidentale del Rinascimento, anche la katara indiana sviluppò modelli a più lame (solitamente tre), divaricabili in un tridente da pugno, atto a spezzare la lama avversaria o eviscerare il nemico già colpito, tramite pressione su di meccanismo celato nell'impugnatura, solitamente composto da un manico a doppia sezione che, richiuso su sé stesso, sbloccava le lame. Queste armi a lama multipla erano note come Suwayah. In alcuni esemplari, due lame erano assicurate, usa sopra l'altra, alla medesima impugnatura.
Parimenti, alcuni esemplari museali dell'arma presentano uno o più meccanismi di sparo assicurati alla guardia (una katara con due pistole a canna corta è oggi conservata presso il City Palace Museum di Jaipur).
Gli esemplari a lama corta erano spesso decorati, su ambo i lati del "forte", da immagini sacre (interessante in questo senso l'esemplare oggi conservato nel museo della Torre di Londra, cat. XXVID.62): il dio Vishnu, i banchetti di Krishna con il dio-scimmia Hanuman, il dio Shiva abbinato a suo figlio Ganesha, ecc.

Media
La foggia particolare della katara le ha valso un discreto successo nelle opere di finzione moderne, quali videogiochi, fumetti, ecc.:
  • Nel videogioco Final Fantasy VIII, il personaggio temporaneo Kiros usa come armi due katara, per errore tradotti in "katal".
  • Nel MMORPG Ragnarok Online è l'arma utilizzata dai personaggi di classe assassino.
  • Nel MMORPG Last Chaos è il nome di uno dei server di gioco.
  • Nel manga e anime Fullmetal Alchemist, il protagonista Edward Elric è solito trasformare il suo braccio metallico in una katara, anche se non viene mai chiamato in tal modo.
  • Nel manga Berserk, uno dei personaggi, Shilat, utilizza la katara come sua arma principale.
  • Nel film ispirato all'omonimo videogioco Prince of Persia, il personaggio "Cacciatore" utilizza una katara incorporato nel braccio al posto della mano.
  • Nel videogiochi della serie Soulcalibur il personaggio Voldo è solito usare diverse varianti della katara.
  • Nel videogioco Diablo II è la prima arma del personaggio assassino, utilizzabile solo da questo.
  • Nel manga e anime Tutor Hitman Reborn è l'arma utilizzata dal quinto Boss della Famiglia Vongola.
  • Nel multiplayer del videogioco Assassin's Creed: Revelations il personaggio "Sentinella" utilizza come arma primaria una katara a lama lunga.



domenica 23 febbraio 2020

Trishula

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Il trishula è un tipo di tridente originario dell'India meridionale, ma lo si più ritrovare anche nel Sudest asiatico. È comunemente usato come un simbolo religioso induista-buddista. La parola significa "tre lance" in lingua sanscrita e lingua pāli.
In India e in Thailandia, il termine si riferisce spesso ad un'arma a manico corto che può essere montato su un danda o "bastone da passeggio" personale. Ma a differenza del Sai, il Trishula è spesso dotato di lame. In malese, "trisula" di solito si riferisce specificamente ad un tridente dal manico lungo, mentre una delle sue versioni minoritarie è conosciuta come tekpi.

Simbologia
Il simbolismo del Trishula è polivalente e ricco. Il Trishula è abitualmente utilizzato dal dio indù Shiva e si dice che sia stato adoperato per tagliare la testa originale di Ganesha. Anche la sua sposa terrifica Durgā detiene un Trishula, come una delle sue molte armi. Ci sono inoltre vari altri dei e divinità, che detengono la stessa arma.
Le tre punte hanno vari significati ed importanza, e, comuni a religione indù, hanno molte storie alle spalle riguardanti la loro origine. Esse sono comunemente identificate come una rappresentare della divinità della creazione, della conservazione e della distruzione, (rispettivamente il passato, presente e futuro, i tre Guṇa-attributi raffigurati dalla Trimurti costituita da Brahmā-Vishnu e Shiva).
Quando viene considerato come arma di Shiva, il Trishula è detto che possa giungere a distruggere i tre mondi: il mondo fisico, il mondo degli antenati (che rappresentano la cultura tratta dal passato) e il mondo della mente (che rappresentano i processi di percezione e di azione). I tre mondi dovrebbero essere distrutti da Shiva per arrivare ad un unico piano di esistenza non-duale, cioè fatto di sola beatitudine.
Nel corpo umano, il Trishula rappresenta anche il luogo dove le tre nadi (yoga) principali, o canali energetici (Ida, Pingala e shushmana) si incontrano frontalmente. Shushmana, il canale o nodo centrale, continua verso l'alto fino al 7º chakra, o centro di energia (il sahasrāracakra posto alla sommità del capo), mentre le altre due estremità volgono in direzione della fronte, ove si trova posizionato il 6º chakra (ājñācakra, il plesso cavernoso fra le due sopracciglia). Il Punto centrale del trisula rappresenta Shushmana, ed è per questo che è più lungo rispetto agli altri due, che rappresenta invece ida e pingala.

Altri usi
  • Il Trishula a volte può anche indicare il simbolo buddista del Triratna o "Tre gioielli" (il Buddha, il Dharma e il Sangha)
  • Il Trishula è uno degli attributi della dea della mitologia induista denominata Durgā, avendo ricevuto questa ed altre armi celesti sia da Shiva che da Vishnu.
  • In Nepal, il Trishula è il simbolo d'elezione del Partito Comunista del Nepal (marxista unito).
  • Una parola simile, Trishul , indica in Lingua romaní la parola 'croce'.
  • Nel gioco di Carte e serie Manga-Anime Yu-Gi-Oh!, Trishula è un mostro tricefalo che può bandire una carta rispettivamente dalla mano dell'avversario (futuro), dal campo (presente) e dal cimitero (passato)


sabato 22 febbraio 2020

Zhǎnmǎ dāo

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Lo zhǎnmǎ dāo (斬馬刀 in caratteri cinesi tradizionali, zhǎn mǎ dāo in Pinyin, letteralmente "scimitarra taglia-cavallo") era una spada a due mani in uso alle truppe di fanteria cinesi durante il regno della Dinastia Song (960-1279).

Storia
Creatore della zhǎnmǎ dāo sarebbe stato, secondo il manuale bellico dell'XI secolo Wujing Zongyao, l'imperatore Cheng Di (51 a.C.–7 a.C.). I dati storici in nostro possesso non possono però confermare un utilizzo diffuso di quest'arma prima del regno della Dinastia Song (960-1279), quando entrò in dotazione alle forze di fanteria per contrastare le cariche della cavalleria nel più generale contesto dell'aumentato numero di attacchi e scorrerie da parte di mongoli e tatari ai danni dell'impero.

Costruzione
Seppur il nome dello zhǎnmǎ dāo richiami la scimitarra tradizionale sino-mongola (il dao), i pochi esemplari superstiti di quest'arma presentano una notevole similitudine con particolari modelli di spada giapponese: nodachi e nagamaki.
La similitudine estetica tra lo zhǎnmǎ dāo e le spade in uso ai bushi giapponesi costituisce la più interessante caratteristica di quest'arma. Nei secoli successivi, soprattutto al tempo della Dinastia Ming (1368-1644), gli armaioli cinesi presero a prestito modelli giapponesi, sostanzialmente il nodachi ed il katana, per sviluppare diverse forme di spada: chang dao, miao dao e wodao. Lo zhǎnmǎ dāo può quindi essere inquadrato come uno dei primi significativi esempi di contaminazione tecnologico-culturale cino-nipponica, in cui il centro di promanazione non era più il Celeste Impero, bensì il Giappone.


venerdì 21 febbraio 2020

Koppōjutsu

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Koppōjutsu (骨法術) è un'arte marziale, ufficialmente riconosciuto dalla Dai Nippon Butoku Kai come cultura giapponese, il cui obiettivo è quello di attaccare l'osso per mezzo di leve e ictus. Le sue origini risalgono al XII secolo ed è stato influenzato dal kung fu.


giovedì 20 febbraio 2020

Kukishinden Ryû

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La scuola di arti marziali Kukishinden Ryû deriva dalla scuola Kukishin Ryû ed è stata creata nel XIV secolo. Il primo Sōke è stato Izumo Kanja Yoshiteru mentre l'attuale 28° Sōke è Masaaki Hatsumi.

Storia
Il nome Kuki fu concesso dall'imperatore Andare-Daigo (Tenno) a Kurando Yakushimaru per aver liberato dal rapimento Ashikaga Takauji durante l'epoca Kamakura dell'era Engan-Ganmen (1336). La sua lotta come un Dio Demonio durante la liberazione fu denominata Kuki. Kurando fonda la scuola col nome di Kukishin Ryû. La scuola fu trasmessa di famiglia in famiglia finché arrivò nelle mani di Izumo Kanja Yoshiteru, che fondò, con la conoscenza anche di altri stili, le scuole Kukishinden Ryû e Shinden Fudô Ryû.

Caratteristiche
Nello studio dello stile della Kukishinden Ryû si possono trovare gli insegnamenti di Amatsu Tatara (Porta del Cielo) dove la traduzione metaforica è l'accesso alla residenza di Dio. Hichi Buko Goshin Jutsu Ryû è la tradizione segreta dell'apertura del fiore per la difesa di sé, in questa tradizione noi troviamo come l'importante studio dell'Amatsu Tatara ha molti aspetti relazionati con le arti, la medicina, la filosofia, la religione, le arti marziali e le strategie.
In Kukishinden Ryû si possono trovare quattro punti base di studio.
  • Kumo Kiri Hibo (cambiando il tempo)
  • Rikujintsu Hibo (modo di migliorare i 5 sensi)
  • Fudô Kanashibari non il jutsu.
  • Kishi di Kiai non il jutsu
Questi punti sono riferiti, per aspetti diversi, nello studio di Amatsu Tatara. La cui parte medica è insegnata a tre membri Bujinkan: Chris Roworth, Dennis Bartram e Doolan Willy. Loro hanno ricevuto il Kaiden (diritto d'insegnamento) come insegnamenti di Hichi Buko Goshin Jutsu Ryû per mano del sōke Masaaki Hatsumi.

I capi del Ryu (scuola)
  1. Yasushimasu, Takazane (1336)
  2. Izumo, Kanja Yoshiteru ( )
  3. Izumo, Koshirô Terunobu ( )
  4. Izumo, Matsushirô Teruhide ( )
  5. Izumo, Bungorô Yoshiteru ( )
  6. Izumo, Kanja Yoshitaka ( )
  7. Izumo, Kanja Yoshiteru ( )
  8. Ohkuni, Kisanda Fukasumi ( )
  9. Tsutsumi, Hoki no Kami Noriyama( )
  10. Yozan Ukan Genchôbô( )
  11. Arima, Kawachinosuke Masayoshi ( )
  12. Ohkuni, Ogenta Yukihisa ( )
  13. Kazama, Shinkuro Hidechika ( )
  14. Ohkuni, Kihei Shigenobu ( )
  15. Ohkuni, Yakuro ( )
  16. Ohkuni, Tatodayu ( )
  17. Ohkuni, Kihyoe ( )
  18. Ohkuni, Yozaemon ( )
  19. Nakayama, Jinnai ( )
  20. Ohkuni, Buzaemon ( )
  21. Hakayama, Kamemon ( )
  22. Ohkuni, Kamahura ( )
  23. Yagi, Jigero Hisayashi ( )
  24. Fujita, Togoro ( )
  25. Mizuta, Tadefuza ( )
  26. Ishitani, Takagage Matsutaro ( ) ( - 1907)
  27. Takamatsu, Toshitsugu (1907) (1888.03.01 - 1972)
  28. Hatsumi, Masaaki (1968) (1931.12.02 - )


mercoledì 19 febbraio 2020

Moraingy

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Il Moraingy è un'arte marziale tradizionale del Madagascar.

Storia
Il Moraingy ha avuto origine nella costa occidentale del Madagascar durante la dinastia Maroseranana (dal 1675 al 1896) del regno dei Sakalava. Con il tempo si è diffusa in tutto il Madagascar, prevalentemente nelle zone costiere, ma la sua popolarità ha sconfinato anche nelle vicine isole come Riunione, Comore, Seychelles e Mauritius.
Arte marziale riguardante unicamente l'uso delle mani nude, il Moraingy era inizialmente praticato solamente da giovani di ambo i sessi, generalmente con un'età compresa tra i 10 ed i 35 anni, mentre ora viene praticato da gente di ogni età: nonostante ciò tuttora i lottatori vengono chiamati kidabolahy (uomini giovani) o kidabo mpanao moraingy (giovani che praticano Moraingy).
Essere lottatore di Moraingy in alcune zone del Madagascar è anche uno status symbol e chi pratica tale disciplina ha generalmente il rispetto da parte della popolazione.

Caratteristiche tecniche
Il Moraingy generalmente riguarda scontri tra lottatori di differenti villaggi. Si combatte in ampi spazi all'aperto come campi da calcio e il combattimento è generalmente accompagnato da musica tradizionale come il Salegy.
Il Moraingy viene organizzato in competizioni a più incontri uno-contro-uno, e prima dell'inizio dell'evento i lottatori si radunano per scegliere ognuno il proprio avversario.
È un'arte marziale che prevede esclusivamente colpi, principalmente pugni ma è possibile anche calciare l'avversario. Le tecniche più utilizzate sono il pugno diretto (mitso), il gancio (mandraoky), il pugno basso (vangofary) e il montante (vangomioriky). In fase di difesa si tiene la guardia e si effettuano schivate.
L'incontro prevede un solo round e la vittoria può avvenire se una delle seguenti condizioni si avvera:
  • uno dei due lottatori esce dall'area di combattimento
  • svenimento di uno dei contendenti
  • impossibilità da parte di uno dei lottatori di continuare l'incontro per infortunio
  • manifesta inferiorità di un lottatore sull'altro.


martedì 18 febbraio 2020

Jueyuan

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Jueyuan 觉远(cinese) (...) è un insegnante cinese.
Jueyuan (觉远) è un personaggio delle arti marziali cinesi vissuto a cavallo della fine dell'epoca della dinastia Song meridionale e gli inizi della dinastia Yuan. Da alcuni è collocato nel lignaggio dello Shaolinquan in epoca della dinastia Ming. È considerato l'Antenato del Rinascimento di Shaolin (Zhongxing Zhi Zu,中興之祖) perché la tradizione vuole che egli fosse un grande conoscitore di svariati sistemi di pugilato e che abbia riordinato la pratica marziale di Shaolin secondo i precetti religiosi Buddisti. In particolare gli è attribuita l'espansione dei Luohan Shiba Shou in 72 tecniche. Secondo una tradizione orale ripresa nel 1911 dal testo Shaolin zongfa, egli viaggiò insieme a Bai Yufeng nella città di Lanzhou nel Gansu dove si incontrarono con Li Sou (李叟), un esperto di Hongquan, per poi fare ritorno al tempio Shaolin dove le 72 tecniche divennero 170 e dove essi crearono il Wuxingquan. Jueyuan è poi anche un personaggio dei romanzi epici marziali Shen Diao Xia Lu (神雕俠侶) e Yitian Tulong Ji (倚天屠龍記).


lunedì 17 febbraio 2020

Phurba

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Il phurba in sanscrito detto Kīla, è un pugnale tibetano o nepalese, costituito da tre lame e da un'impugnatura, sovente decorata, usato per i rituali, ma non per i sacrifici. Il phurba è, molto spesso, impugnato da terrifiche divinità buddhiste.


Etimologia

La maggior parte delle conoscenze sul pugnale indiano, lo si deve alla cultura tibetana. Studiosi come F. A. Bischoff, Charles Hartman e Martin Boord, hanno mostrato che la letteratura tibetana ritiene che la parola sanscrita per il termine "phurba" sia "kīlaya". Comunque, lo stesso Brood afferma che, "tutti i dizionari e opere in sanscrito concordano sul fatto che la parola sia 'kīla' o 'kīlaya'. La discrepanza è dovuta all'uso indiscriminato, da parte dei tibetani, del singolare dativo 'kīlaya'. Questa forma è comune nel semplice saluto 'namo Vajrakīlaya', omaggio a Vajrakīlaya, dal quale potrebbe avere avuto origine, data la poca familiarità con il sanscrito, poiché il nome della divinità è in realtà, Vajrakīlaya invece di Vajrakīla. Dovrebbe anche essere notato che il termine (vajra)kīlaya si riscontra frequentemente nei testi sanscriti, così come in quasi tutti i kīlamantra, legittimamente usato come verbo, il cui significato è: 'pungere', 'trafiggere', 'Inchiodare', ecc."

Fabbricazione e componenti

Il Phurba viene realizzato secondo stili e materiali diversi. Essendo dotato principalmente di tre parti distinte, pomo, manico e lama, i phurba sono spesso segmentati su entrambi gli assi orizzontali e verticali, anche se si possono trovare importanti eccezioni. Questa disposizione compositiva mette in evidenza l'importanza numerologica e l'energia spirituale legata ai valori numerici interi del tre e del nove. Questo pugnale inoltre può essere costituito e costruito di diversi materiali, come legno, metallo, argilla, osso, gemme, corno o in cristallo. I Kīla o Phurba in legno sono preferiti dagli sciamani in quanto ritenuti conferire benefici energetici e curativi. Come la maggior parte dei tradizionali strumenti tibetani di metallo, vengono spesso realizzati in ottone e ferro meteorico più specificatamente tectiti, aventi spesso un alto contenuto di ferro. Il ferro meteorico era molto apprezzato in tutta l'Himalaya, dove venne incluso in sofisticate leghe polimetalliche, come la Panchaloha ad uso rituale. Il pomo del Phurba viene intagliato per rappresentare diversi simbolismi: più spesso con le tre facce della divinità Vajrakīla: una gioiosa, una pacifica, una arrabbiata, oppure con uno degli otto simboli fondamentali del buddhismo tibetano conosciuti come Ashtamangala, ancora, con il volto della divinità, Ishtadevata, conosciuta anche come Ydam, infine, tra le altre possibilità, con il muso di un leone o con un modellino in scala di stupa. Il manico viene spesso rappresentato con dei vajra, o con delle decorazioni geometriche. Il pugnale in genere ha una forma triplice, comune sia nel pomo che nella lama, solitamente formata da tre aspetti triangolari o facce, che si congiungono in punta. Questi aspetti rappresentano il potere della lama di trasformare le energie negative, note come "tre veleni" o "radice avvelena", in sanscrito, mula klesha: ignoranza, desiderio/attaccamento e avversione/rabbia.

Uso rituale

Nel 2008 Cantwell e Mayer hanno analizzato una serie di testi recuperati da diversi manoscritti ritrovati nel sito di Dunhuang che descrivono l'utilizzo rituale del Phurba. Secondo questi il pugnale è una delle variegate rappresentazioni iconografiche di divini "attributi simbolici" posseduti sia da divinità del Buddhismo Vajrayana che da divinità Indù. Quando tale pugnale viene consacrato, e associato per l'uso, la Kīla diviene manifestazione del Nirmanakaya di Vajrakīlaya. Uno dei principali rituali con il Kīla al fine di realizzare la sua "essenza-qualità" consiste nel perforare la terra. Comune nelle tradizioni sciamaniche himalayane, è il penetrare verticalmente in un paniere, in una ciotola di riso, se il kīla è fatto di legno. Notare che i termini impiegati per la divinità e per lo strumento sono intercambiabili. Alcuni studiosi ritengono che, per la maggior parte della cultura sciamanica Nepalese, il Kīla sia collegato all'"albero del mondo". Il pugnale viene inoltre utilizzato in un rituale atto a consacrare un terreno alla preghiera. L'energia del Kīla, infatti, è feroce, arrabbiata, acuta, penetrante, paralizzante.

Il simbolismo e l'Akasha

Il Kīla simbolicamente collega lo spazio della conoscenza, in sanscrito, Akasha, con la terra, creando un continuum energico. Il Kīla, in particolare quelli in legno, sono utilizzati nei rituali di guarigione sciamanica, per armonizzare l'energia della cura, e spesso fanno riferimento a due Nāgas intrecciate sul manico, elementi che ricordano la figura di Esculapio, del Caduceo, e di Hermes. Il pugnale rituale riporta spesso immagini di Ashtamangala, di svastiche, e/o altri simboli sacri tibetani, iconografie e/o motivi Tantrici o Indù. Come strumento di esorcismo, il Kīla può essere impiegato per trattenere sul posto demoni o forme pensiero, in modo che possano essere riorientati e tramutati.

L'esoterismo del Phurba

Da un punto di vista esoterico, il Kīla può servire per individuare e definire energie negative provenienti dal flusso mentale di una forma-pensiero, compresa la forma-pensiero generata da un gruppo. Il Kīla come rappresentazione iconografica è direttamente correlata a Vajrakilaya, una divinità furiosa del buddismo tibetano, che spesso è visto con la consorte di Diptacakra. Questa divinità è incarnata nel Kīla come mezzo di distruzione, nel senso di finalizzazione e quindi liberare violenza, odio e aggressività, mentre il pomello possa essere impiegato nelle benedizioni. Quindi il Kīla non viene materialmente considerata un'arma, ma un mero complemento spirituale.

Il Diamantine Dagger of emptiness

Il Kīla viene associato all'epiteto di "Diamantine Dagger of emptiness". La magia del Magical Dagger proviene dall'effetto che l'oggetto materiale possiede sul regno dello spirito. L'arte di maghi o lama tantrici risiede nella loro capacità visionaria per comprendere l'energia spirituale dell'oggetto materiale e volontariamente si concentrano in una determinata direzione nell'uso tantrico del phurba: questo comprende la cura della malattia, l'esorcismo, l'uccisione dei demoni, la meditazione, le consacrazioni o puja, e le meteo-realizzazioni. La lama del Phurba viene utilizzata anche per la distruzione delle potenze demoniache. L'estremità superiore della phurba viene utilizzato dai maestri tantra per le benedizioni.



Il guru scorpione

Nella biografia di Padmasambhava si racconta di come il Maestro abbia ricevuto le Siddhi da un gigantesco scorpione dotato di nove teste, diciotto pinze e ventisette occhi. Questo Scorpione rivela da un testo scritto la presenza di un Kīla da una finestra di pietra triangolare, nascosti sotto una roccia nel cimitero. Come Padmasambhava legge questo testo realizza spontaneamente la comprensione simbolica dello scorpione, rivelato quale veicolo o yanas di realizzazione spirituale. Nella città indiana di Rajgriha, al Maestro Padmasambhava viene attribuito il titolo di "Guru Scorpione", e in una delle sue otto forme di "Drago guru", "Drago Pema", "Loto Irato", viene raffigurato con uno Scorpione nella sua mano sinistra. Come emblema della trasmissione del "Kīla irato", l'immagine dello scorpione ha assunto una forte significato simbolico nel precoce sviluppo della Nyingma, l'antica scuola del buddismo tibetano.