Sagaris
è la parola che in greco antico
indica la scure d'arcione utilizzata dalle popolazioni nomadi che
abitavano le steppe euro-asiatiche e l'altopiano dell'Iran: Saka,
Sciti, Medi, Persiani, Parti, Kushan, Tocari e Mossineci. Stando a
diversi autori greci (Diodoro Siculo, Strabone ecc.), la sagaris
sarebbe stata arma d'elezione anche delle leggendarie Amazzoni.
I reperti archeologici, soprattutto
iconografici, in nostro possesso, descrivono la sagaris come un'ascia
d'armi dal manico lungo 70-80 cm e la testa piccola, con lama di
scure da una parte e "penna" a becco di piccone
dall'altra.
Alcuni ritrovamenti (teste di martello invece che lame di scuri) porterebbero a supporre che il termine sagaris venisse utilizzato dai greci per indicare non un'arma specifica ma una tipologia di armi bianche d'arcione aventi forma più o meno simile in uso ai cavalieri della steppa.
Alcuni ritrovamenti (teste di martello invece che lame di scuri) porterebbero a supporre che il termine sagaris venisse utilizzato dai greci per indicare non un'arma specifica ma una tipologia di armi bianche d'arcione aventi forma più o meno simile in uso ai cavalieri della steppa.
La sagaris può ad oggi essere
considerato l'archetipo da cui svilupparono le varie armi bianche
d'arcione del maturo Medioevo europeo. Non a caso, già gli autori
del Rinascimento (es. il bavarese Giovanni Aventino, autore del
chronicon Annales Bojorum) indicarono nelle Amazzoni gli inventori
della scure d'arcione, diffusasi in Europa partendo dalle steppe
orientali.
Seppur veicolata alla nostra memoria da
fonti greche, nella cultura ellenica la sagaris fu sempre arma
barbara, non greca, brandita da guerrieri provenienti da una realtà
bellica "aliena" dominata non dalle forze di fanteria
pesante ma dalla cavalleria. Numerosi storici dell'Antica Grecia e
dell'Impero romano, confermano l'uso della scure d'arcione nota come
sagaris da parte delle popolazioni della steppa eurasiatica, come i
Sarmati e gli Sciti, le origini dei quali sono sempre fatte risalire
alle Amazzoni, donne guerriere il cui esercito era composto
prevalentemente da forze di cavalleria leggera armata di arco
composito ed ascia.
Dai nomadi della steppa, la sagaris
passò in dotazione alla cavalleria pesante dell'Impero persiano che
se ne servì per gli scontri nelle mischie. Narrando la vita di
Alessandro Magno, lo storico Plutarco ci informa che, durante la
Battaglia del Granico (334 a.C.), il Macedone rischiò di essere
ucciso proprio da un colpo di scure vibratogli dal satrapo persiano
Spitridate:
(EL)
«συμπεπτωκότων δ’ αὐτῶν, ὁ
Σπιθριδάτης ὑποστήσας ἐκ πλαγίων
τὸν ἵππον καὶ μετὰ σπουδῆς
συνεξαναστάς, κοπίδι βαρβαρικῇ
κατήνεγκε, καὶ τὸν μὲν λόφον ἀπέῤῥαξε
μετὰ θατέρου πτεροῦ, τὸ δὲ κράνος
πρὸς τὴν πληγὴν ἀκριβῶς καὶ μόλις
ἀντέσχεν, ὥστε τῶν πρώτων ψαῦσαι
τριχῶν τὴν πτέρυγα τῆς κοπίδος.» |
(IT)
«I due caddero a terra avvinghiati e Spitridate, di lato, con
il cavallo ritto sulle zampe posteriori, egli stesso ritto sul
cavallo, menò giù un fendente con la sua scure barbarica: spezzò
il cimiero con una delle penne mentre l'elmo a stento resistette
al colpo, tanto che il filo della scure sfiorò i primi capelli.» |
(Plutarco, Vite Parallele - Alessandro, 16) |
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Successivamente, la sagaris passò in
dotazione ai catafratti, la cavalleria pesante persiana nata dal
sincretismo culturale dell'Impero di Alessandro mescolante
caratteristiche degli hetairoi macedoni e della cavalleria sogdiana
di Dario III.
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