lunedì 13 giugno 2011

La metropoli




Il cielo di Tōkyō, dove il tempo scorre dilatato, mi accoglie plumbeo e immutato.
Per la strada sfrecciano automobili di ogni forma, colore e dimensione. Volante a destra, a sinistra, cambio manuale, automatico, alettoni posteriori, specchietti laterali sul cofano, Porsche, Cadillac, Nissan Skyline, Toyota Lexus, Dodge, per citare alcune. Poi i taxi verdi e gialli, ma anche rossi, gialli e rossi, bianchi e blu, arancioni e blu etc, niente a che vedere con la piattezza monocromatica cui siamo abituati in Italia.
Per la strada si incrociano barcollanti ragazze esili dalle mise tutt'altro che sobrie, su tacchi talmente vertiginosi da far temere che si cappottino alla prima folata di vento. Qualcuna, sulle scale mobili, si cappotta sul serio, e tu sghignazzi trattenendoti per non farlo più forte, che non è educato.
Mastodontici corvi dall'apertura alare di un condor che gracchiano continuamente il loro cra-cra sguaiato e beffardo. Tu temi che prima o poi qualcuno ti piombi in picchiata sulla crapa e, nella migliore delle ipotesi, ti faccia uno shampoo di bellezza al guano.
Bimbe fashion che neanche le teenager italiane, vestite come bamboline trendy, brandiscono finti cellulari imitando le liceali alla moda e preparandosi con largo anticipo per l'ora del debutto in società. Tu pensi cinicamente che tanto il tempo passerà inesorabile e spietato anche per loro, non serve avere fretta, perchè in men che non si dica si troveranno a rimpiangere i giorni spensierati dell'infanzia, in cui si giocava a essere grandi senza, per fortuna, esserlo davvero.
Salarymen in gessato che mordono la polvere collassati sull'asfalto dei marciapiedi, vittime del sake e del domani sempre più uguale al presente.
Coppie miste composte da belle ragazze dagli occhi a mandorla e da mezzi cessi occidentali passeggiano mano nella mano, e ti dici che il fascino dello straniero qui non smetterà mai di mietere vittime fra il gentil sesso.
Gigantografie di botuliniche attrici americane fanno bella mostra dei ritocchi nei cartelloni in aeroporto, in metropolitana e sui megaschermi delle vie più trafficate dei quartieri giovani.
Distinti signori in kimono nero che ti si siedono vicino in metropolitana e iniziano a tirare su rumorosamente con il naso, perché si sa, qui soffiarselo in pubblico è considerato scortese.
Senti i ragazzi parlare come negli anime e non te ne capaciti. Ovviamente è il contrario, è negli anime che parlano come loro, ma in quel momento non ci fai caso.
Programmi dal valore discutibile e pubblicità ridicole ti fanno constatare quanto la TV giapponese sia pesantemente trash, e ti chiedi mesto come tu abbia potuto dimenticarlo negli ultimi anni. Mi sorprendo perchè, prima di scacciarlo spaventato, il pensiero che quella italiana sia meglio mi attraversa per una frazione di secondo l'anticamera del cervello.
Invece, una cosa che non ho dimenticato e che sono felice di aver ritrovato è il water nipponico, con i suoi getti d'acqua ad hoc e la ciambella riscaldata.
Il tipico odore degli adolescenti giapponesi mi solletica il naso, mentre vago fra gli scaffali del Toranoana. L'olfatto è un senso potente, evocativo, anche più immediato della vista, eppure non saprei dire esattamente cosa ricordo, se più il latte o più il formaggio, unito forse a una leggera nota di sudore in sottofondo. Descrivere gli odori è un'impresa ardua, ma sono proprio loro i primi a darti la percezione di trovarti realmente in un determinato luogo, o a riportarti alla memoria i ricordi del passato. E quest'odore mi fa realizzare prepotentemente che io, a Tōkyō, ora ci sono.
Zelanti commessi che mi irasshaimasano senza pietà direttamente nell'orecchio, facendomi sobbalzare quando mi colgono di sorpresa perchè ho abbassato la guardia ammirando rapito l'ultimo modello di cellulare della Docomo, in esposizione da Yodobashi Camera. Tu, da brava sfinge, ti asciughi la bavetta derivante dalla contemplazione del suddetto oggetto dei desideri, li fanculizzi mentalmente in tutte le lingue conosciute e gli sorridi amabile, inchinandoti appena col capo perchè, anche se normalmente vengono ignorati dai nativi, un po' ti dispiace che tutto quello sgolarsi non abbia riscontro. Dopotutto sono un gaijin, facciamoci riconoscere.
Li Ringrazio per avermi appena spaccato un timpano.
Per fare una telefonata, controllo che ore sono in Italia e mi stupisco una volta in più perchè da queste parti si vive proprio nel futuro. Qui l'ora locale è domani.
Mi vedo riflesso nei finestrini della metro e penso che mi è mancato tutto questo.
So che ogni cosa è destinata a finire presto, che ho i giorni contati prima di tornare implacabilmente alla mia routine.
Ma non adesso.
Adesso ci siamo solo io e Lei, la grande metropoli che mi chiama così forte da non riuscire a prendere sonno la notte.
Per un istante, mi illudo che possa durare per sempre.

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