"Disfatta organizzata." È
questa la frase che Bruce Lee usava spesso per descrivere le pratiche
più diffuse nel mondo delle arti marziali.
Lee aveva tutto un arsenale di critiche
colorite come questa e non aveva problemi a usarle quando doveva
polemizzare contro la direzione presa dalle arti marziali o esprimere
la sua opinione sul fatto che chi le praticava non stava facendo
altro che complicate coreografie, "tecniche artificiali
praticate in modo rituale per simulare un vero combattimento."
Vista la sua grande popolarità come
icona delle arti marziali, spesso si tende a dimenticare che le
opinioni molto critiche di Bruce Lee in materia non venivano prese
molto bene nell'ambiente, specie prima che Lee facesse successo al
cinema. All'inizio della sua carriera, quelle idee gli avevano
procurato la reputazione di "dissidente maleducato." Eppure
per quanto maleducate non erano opinioni prive di precedenti storici.
Per fare solo un esempio, oltre 150
anni prima di Bruce Lee, l'imperatore della Cina Jia Qing aveva
emanato un editto imperiale con cui esprimeva preoccupazione per gli
stili di combattimento diffusi all'epoca: "oggi le Wuyi [arti
marziali] nelle caserme dell'esercito sono composte da movimenti
elaborati, allo scopo di mettersi in mostra e non adatte all'uso
pratico." Negli anni Trenta, invece, lo storico delle arti
marziali cinesi Tang Han sosteneva la necessità di una riforma delle
arti marziali che mettesse al primo posto l'applicazione pratica e
riducesse l'aspetto dimostrativo.
Lo storico, l'imperatore e la star del
cinema stavano tutti esprimendo la stessa opinione: che l'aspetto
coreografico delle arti marziali era sempre più diffuso a scapito
dei loro aspetti pratici, che la componente effettivamente marziale
era sempre più accantonata e si allontanava sempre di più dalla
realtà del combattimento.
Con queste preoccupazioni in mente,
Bruce Lee aveva elaborato il suo approccio al "combattimento da
strada scientifico," promuovendo una visione delle arti marziali
basata sui fatti, sulla ricerca e sull'analisi e liberata dalla
mitologia e dall'esagerazione romantica che dominava la disciplina a
quell'epoca. Parlando di "combattimento da strada" invece
che di arti marziali stava mettendo l'enfasi sull'applicazione di
quelle tecniche nel contesto più marziale e meno artistico
possibile, ossia le risse, in cui "non esiste uno standard nelle
tecniche e il combattimento è 'vivo'."
Oltre 40 anni dopo la sua morte, le
idee di Bruce Lee sono ancora attuali nella storia delle arti
marziali e delle tensioni che la attraversano ancora nel 21esimo
secolo.
Quando era arrivato a San Francisco da
Hong Kong nel 1959, Bruce Lee aveva già una visione particolare
delle arti marziali, basata sulla sua esperienza diretta. Anche se
aveva solo 18 anni, veniva dai combattimenti clandestini sui tetti di
Hong Kong negli anni Cinquanta e vedeva
la disciplina come qualcosa che
riguardava più la strada che la pratica in palestra.
Il mondo dei combattimenti clandestini
a Hong Kong ruotava intorno alle tante scuole di kung fu che
affollavano la colonia inglese dopo la vittoria del Partito Comunista
nella Cina continentale nel 1949 e coinvolgeva un sacco di ragazzi
che si sfidavano in incontri di boxe a mani nude. Quando la polizia
aveva cominciato a criminalizzare la sottocultura, gli incontri si
erano spostati sui tetti della città, dove potevano svolgersi senza
interruzioni da parte delle autorità.
Da ragazzino, Bruce Lee non aveva solo
preso parte a questi incontri ma era regolarmente in prima fila a
guardarli e rifletteva sul modo in cui si svolgevano. Il suo maestro,
il celebre Ip Man, incoraggiava i suoi allievi a cercare di applicare
nel mondo reale le tecniche apprese in palestra. Come avrebbe
spiegato più tardi Hawkins Cheung, un amico e compagno di
allenamento di Lee, "Ip Man diceva sempre: 'Uscite e fate a
botte. Mettete in pratica tutto.'" Il periodo passato da Bruce
nella scena dei combattimenti clandestini di Hong Kong avrebbe
segnato il suo approccio al mondo delle arti marziali per il resto
della sua vita.
All'arrivo di Bruce Lee negli Stati
Uniti, le arti marziali asiatiche erano all'inizio della loro ascesa
in Occidente. Una buona parte dell'interesse che le circondava si
basava su una visione eurocentrica e romantica del mondo orientale.
Molti giovani americani consideravano le arti marziali come degli
stili segreti di combattimento dal sapore esotico e mistico. Mentre
alcuni maestri sfruttavano a loro vantaggio quest'idea, Lee la
condannava: "Già in Cina l'80 percento di quello che insegnano
è senza senso. Qui in America è il 90 percento."
Poco dopo aver iniziato a studiare a
Seattle, Lee era stato sfidato per la prima volta dopo aver detto in
pubblico che il kung fu era un sistema di combattimento più efficace
del karate. Il campione di karate locale, Yoiche Nakachi, aveva 10
anni più di Lee, faceva karate fin da quando viveva in Giappone da
bambino ed era noto per le tante vittorie conseguite in risse e
combattimenti da strada. Bruce Lee l'aveva battuto in 11 secondi,
lasciandolo per terra privo di sensi e con una frattura al cranio. A
quel punto le critiche a Lee non erano diminuite, anzi.
A partire dal 1962, Bruce Lee aveva
cominciato a gravitare sempre più spesso intorno a Oakland, in
California, dove collaborava con James Lee e con il suo innovativo
gruppo di maestri di arti marziali. Negli anni precedenti James si
era fatto una reputazione come combattente di strada a Oakland e
gestiva una palestra—ricavata nel suo garage—in cui l'attenzione
era data a tecniche immediatamente applicabili nei combattimenti in
strada.
"Funziona?" era la semplice
domanda che si ponevano Bruce, James e i loro amici quando dovevano
valutare una nuova tecnica. Testavano stili di combattimento con
analisi metodiche applicate a diversi contesti e scenari. Secondo
Bruce Lee, se i combattimenti di strada erano "vivi" allora
doveva esserlo anche la preparazione. "Non succederà mai che
una persona ti affronti per strada usando tecniche precise e
coreografiche. Troppi studenti di arti marziali non fanno che
applicare ciecamente gli stessi movimenti e gli stessi colpi."
A Oakland, l'innovazione era vista come
l'antidoto alla routine. In un periodo in cui la maggior parte dei
maestri considervano un errore il fatto che il loro studenti si
allontanassero da un preciso sistema di combattimento, a Oakland si
accoglieva la possibilità di mescolare vari stili nati
dall'esperienza collettiva. L'approccio era espansivo quanto
analitico: si guardavano filmati di incontri di boxe, si discutevano
combattimenti di strada precedenti. In questo processo, Bruce Lee
aveva cominciato a pensare a un nuovo sistema.
Al Long Beach Tournament del 1964, di
fronte a una platea internazionale di appassionati di arti marziali,
Bruce Lee aveva dato una dimostrazione in cui criticava uno stile
molto praticato descrivendo come poco pratico ("c'è stabilità
ma poca mobilità"). Si era invece espresso a favore di un
approccio individualista in cui lo studente, e non il sistema, avesse
la priorità. L'opinione della platea si era divisa. Alcuni
consideravano Lee un visionario mentre altri lo ritenevano un eretico
(o uno "stronzo arrogante" come aveva detto uno dei
partecipanti al torneo).
Mentre Bruce Lee causava queste
tensioni, a Oakland si continuava a predire il futuro delle arti
marziali moderne. Dal suo garage, James Lee gestiva una casa editrice
di libri sulle arti marziali e designava equipaggiamento da
allenamento personalizzato. Durante la sua successiva apparizione al
Long Beach Tournament, Bruce Lee avrebbe indossato un nuovo tipo di
equipaggiamento protettivo che lo rendeva in grado di partecipare sia
alle gare di sparring con contatto sia alle competizioni di arti
marziali, in netto contrasto con le competizioni senza contatto e
basate sui punti che erano tipiche di quel periodo.
In tutto questo, Bruce Lee aveva
cominciato a usare l'espressione "combattimento da strada
scientifico" nei suoi discorsi pubblici e durante le
dimostrazioni delle tecniche che sviluppava. Inevitabilmente, questo
aveva contribuito ad aggravare le già forti divergenze che aveva con
l'ambiente delle arti marziali di San Francisco, dove un maestro di
kung fu l'aveva definito, appunto, "un dissidente maleducato."
Durante una dimostrazione pubblica a Chinatown nel 1964, Lee aveva
criticato l'atteggiamento dei maestri di arti marziali locali, che
chiamava "vecchie tigri sdentate." Ovviamente era stato
sfidato.
La sfida, avvenuta tra Bruce Lee e il
giovane studente di arti marziali di Chinatown Wong Jack Ma, si era
svolta a Oakland ed è probabilmente l'incontro più famoso della
storia delle arti marziali moderne. In quell'occasione Bruce Lee non
aveva tenuto del tutto fede alle aspettative. Aveva fatto fatica a
battere il suo avversario, senza mostrarsi così incomparabilmente
superiore come era stato a Seattle qualche anno prima. Comunque,
aveva vinto.
Ma invece che riposare sugli allori
dopo una vittoria poco soddisfacente, Lee aveva trasformato
quell'incidente di percorso in uno stimolo per far evolvere
ulteriormente lo stile di combattimento che stava sviluppando, il
Jeet Kune Do, che presto aveva assunto una forma tangibile. Nel suo
stile, Lee aveva sintetizzato tutte le sue molte influenze, con un
approccio che nasceva dai principi di innovazione e utilità
propagandati a Oakland e che si concentrava su un modo di combattere
semplice, diretto e lontano dai canoni classici. Anche se il Jeet
Kune Do ha rappresentato il culmine di una ricerca durata oltre dieci
anni, non si tratta di una struttura fissa ma è in costante
evoluzione. Più di 50 anni dopo, i suoi principi di base sono ancora
molto rilevanti.
Tang Hao è considerato il primo
storico delle arti marziali moderne e il padre dello studio fattuale
delle arti marziali. Il suo lavoro è ancora attuale, perché molti
dei miti che ha cercato di smantellare esistono e prosperano ancora a
distanza di quasi un secolo, ma la maggior parte delle persone che
praticano arti marziali non sanno quasi chi sia.
Gli studi di Tang Hao risalgono agli
anni Venti quando, nel bel mezzo di un'esplosione di letteratura sul
tema, le arti marziali cinesi erano pronte per un approccio sobrio e
oggettivo. Di mestiere avvocato, Tang Hao praticava arti marziali e
ha scritto numerosi libri e articoli sul tema in cui ha cercato di
dissipare il folclore che circondava le arti marziali cinesi.
Nel 1920 ha pubblicato Study of Shaolin
and Wudang, in cui affrontava lo scarto esistente tra la realtà
fattuale e il folclore nella storia delle arti marziali cinesi,
prendendo di mira, per dirla con lo storico delle arti marziali Ben
Judkins, "quante più vacche sacre possibile." Nel libro
Tang Hao smontava la mitologia che circondava il tempio Shaolin e
criticava gran parte del misticismo che all'epoca andava di pari
passo con le arti marziali.
Per il suo tracciare una linea precisa
tra mitologia e fatti, il lavoro di Tang Hao non era stato accolto in
modo positivo dalla comunità cinese delle arti marziali. Non c'era
stato interesse ma piuttosto ostilità e come avrebbe scritto più
tardi un suo amico in un articolo su di lui, "alcuni
sconsiderati studenti di Wudang e Shaolin avevano messo a punto un
piano per aggredirlo e picchiarlo." L'aggressione era stata
evitata solo per l'intervento di una terza parte a favore di Tang
Hao. Nonostante tutte queste tensioni Tang Hao avrebbe continuato a
scrivere sul tema e a promuovere un approccio scientifico alla storia
delle arti marziali cinesi.
Quasi un secolo dopo, il suo lavoro è
ancora attuale anche se è probabile che Tang Hao sarebbe sconvolto
nel vedere che nel 21esimo secolo così tanti moderni studenti di
arti marziali si aggrappano ancora alla mitologia e all'idea che gli
stili di combattimento asiatici siano nati nel tempio Shaolin.
Secondo la leggenda, nel quinto secolo il semi-mitologico maestro
Bodhidharma avrebbe rivelato una serie di tecniche ad alcuni monachi
Shaolin per favorire il loro benessere psicofisico. Ovviamente ci
sono molteplici prove storiche che mettono in dubbio questa versione,
ad esempio il fatto accertato che gli stili di combattimento a mani
nude si siano diffusi in Cina solo intorno al 16esimo secolo, eppure
la leggenda di Bodhidharma persiste ancora nel 2017. Anche se
equivale più o meno a un atleta che citi Zeus come primo
organizzatore delle Olimpiadi.
Gli storici delle arti marziali vedono
un unica linea di pensiero riformista che si sviluppa nelle carriere
di Tang Hao e Bruce Lee. Come ha scritto lo storico Brian Kennedy,
"molti stili di arti marziali cinesi erano diventati, per citare
la famosa espressione di Bruce Lee, 'appesantiti e distorti' da un
sacco di ritualità, diversi titoli, teorie con poche o nessuna base
sulla realtà, false mitologie e toni pseudo-religiosi. Tang Hao,
così come Bruce Lee, volevano alleggerire le arti marziali da tutti
questi pesi."
Un esempio recente del problema che i
riformisti come Bruce Lee e Tang Hao hanno cercato di affrontare sono
i video in cui combattenti di MMA sconfiggono in modo umiliante gli
studenti di kung fu in competizioni organizzate.
In un match tenutosi in
Malesia, ad esempio, si vede un maestro di kung fu Wing Chun
messo a terra e sottomesso da un combattente di MMA in meno di 30
secondi. Guardando quello che accade prima dell'inizio del
combattimento appare chiaro come il maestro di kung fu sia più
attento alla postura e alle pose corrette che non a prepararsi per
affrontare il combattimento vero e proprio.
Il video in cui questi problemi
emergono più chiaramente però è quello del recente match di alto
profilo tenutosi in Cina
tra il combattente di MMA Xu
Xiaodong e il celebre mistico e maestro di dai chi Wei Lei, che
ha visto prevalere molto rapidamente—in circa dieci secondi—il
primo. L'esito del combattimento, nato dopo un confronto acceso e uno
scambio di accuse da Wei Lei e Xu Xiaodong, ha fatto notizia e aperto
un dibattito sull'effettiva validità ed efficacia nel mondo reale
dei sistemi di combattimento promossi dalle arti marziali.
Da un punto di vista storico,
combattimenti di questo tipo non sono niente di particolarmente
nuovo. Lo storico delle arti marziali Ben Judkins di recente
ha pubblicato sul suo sito una
testimonianza d'archivio
che descrive un match simile in
cui un maestro di tai chi aveva perso dopo un combattimento pubblico
tenutosi in Cina nel 1928. Ma la cosa sconvolgente del combattimento
tra Xu Xiaodong e Wei Lei non stata è tanto la vittoria del primo
quando quello che è successo dopo, che illustra molto bene la
diffusa riluttanza esistente nel mondo delle arti marziali a
distaccarsi dalla mitologia che le circonda e ad abbracciare un nuovo
approccio più moderno.
Dopo la sua vittoria, Xiaodong è stato
criticato pubblicamente da più parti, compresa la Chinese Boxing
Association e l'emittente di stato Xinhua. La Chinese Wushu
Association ha affermato che il combattimento "ha violato le
morali delle arti marziali" (nonostante i due contendenti
abbiano partecipato di loro spontanea volontà e nonostante il match
si sia svolto alla presenza di un arbitro). Le autorità politiche
cinesi hanno chiuso il blog di Xiaodong e censurato tutti gli
articoli riguardo al match. La reazione del pubblico in Cina è stata
così dura che Xiadong si è ritirato dalla scena pubblica.
Anche considerando l'atteggiamento
provocatorio di Xu Xiaodong, le conseguenze dell'incidente sembrano
far traspirare un tentativo di silenziare lui e la concezione di arti
marziali che incarna. Come Bruce Lee, infatti, anche Xiadong per il
suo approccio può essere considerato un "dissidente
maleducato." Eppure la sua "maleducazione" non
cancella i suoi meriti e il tentativo di screditarlo è l'ennesimo
esempio di quello che capita a chi come Bruce Lee cerca di
modernizzare le arti marziali.
Il dibattito che è seguito alla
sconfitta di Wei Lei ha tirato in ballo questioni che sono estese e
variegate almeno quanto le stesse arti marziali. La salute e il
benessere sono le ragioni più diffuse (e sono ragioni perfettamente
legittime) per cui la gente pratica arti marziali nel 21esimo secolo.
Eppure quando si parla di combattimenti e specie di combattimenti
come il suddetto, non c'è modo di evitare di farsi domanda
sull'efficacia delle arti marziali. La stessa domanda che si ponevano
Bruce Lee e i suoi amici di Oakland: "funziona?"
Come molti hanno fatto giustamente
notare, la sconfitta di un maestro
non implica necessariamente
l'inefficacia totale di un qualsiasi sistema. Ma se la questione in
gioco è la componente marziale delle arti marziali, non c'è proprio
alcun modo di evaderla senza confrontarsi con i risultati ottenuti da
chi le pratica sul ring. Da questo punto di vista, c'è un precedente
positivo da considerare.
Nel 1922, il pugile inglese Carl "KO"
Morris si è recato alle Hawaii e ha sfidato diversi praticanti di
arti marziali sul ring. Morris aveva la reputazione di essere
piuttosto condiscendente riguardo alle arti marziali asiatiche e la
sua sfida è stata considerata un insulto alla grande comunità di
immigrati giapponesi delle Hawaii—dove, all'epoca, si stava
formando la prima grande comunità internazionale di arti marziali.
Insieme agli immigranti attratti dalle
possibilità economiche offerte dalle isole sono arrivate alle Hawaii
un sacco di tecniche di combattimento che presto hanno cominciato a
fondersi tra loro. "Le Hawaii sono state il primo grande punto
di contatto tra le varie arti marziali asiatiche," mi ha
spiegato l'eclettico maestro di arti marziali Dan Inosanto, "i
cinesi insegnavano ai giapponesi, i giapponesi ai cinesi, i cinesi ai
filippini, finché anche gli stessi hawaiani non si sono fatti
coinvolgere."
Il primo combattente giapponese a
sfidare Morris era stato sconfitto al primo round. Ma la comunità
giapponese delle arti marziali si era rifiutata di considerare la
sconfitta come una prova di qualcosa e aveva fatto appello a
combattenti in grado di incarnare la natura sfaccettata delle arti
marziali hawaiane.
Uno di questi era Seishiro Okazaki.
Discendente da una famiglia di samurai, Okazaki si era trasferito
alle Hawaii da ragazzo attratto dalle opportunità che offrivano le
isole con le loro coltivazioni estensive di canna da zucchero. Lì, a
19 anni, aveva cominciato a studiare il jujitsu. Aveva passato i 12
anni successivi a praticare il jujitsu, di cui aveva appreso tre
stili, insieme a qualsiasi altra arte marziale che riuscisse a farsi
insegnare. Aveva appreso il kung fu da un maestro cinese di 78 anni,
il karate da un maestro di Okinawa, le tecniche filippine di lotta
con i coltelli, il wrestling occidentale e il lua, l'arte marziale
nativa delle Hawaii.
Dopo aver accettato la sfida, Okazaki
si era preparato facendo ricerca sia teorica che pratica su quali
tecniche avrebbe potuto applicare contro un pugile della stazza e
delle capacità di Morris. Aveva osservato agli incontri di boxe tra
i militari americani di stanza sull'isola e ricercato una tecnica in
grado di mettere
in difficoltà un pugile. Dopo
settimane di ricerche, Okazaki aveva sviluppato uno stile basato sul
mantenere un baricentro molto basso, osservando che i pugili
dell'epoca erano poco abituati a tirare pugni verso il basso.
Il 19 maggio 1922 Okazaki aveva
affrontato Morris sul ring. All'inizio del primo round Okazaki, dopo
aver valutato male un colpo di Morris, si era rotto il naso. Aveva
continuato a combattere ed era riuscito a buttare il pugile giù dal
ring per ben due volte. In un round seguente, Okazaki aveva buttato
Morris a terra rompendogli un braccio. Dopo la vittoria, Okazaki
sarebbe andato a trovare Morris all'ospedale e più tardi Morris si
sarebbe messo a studiare jujitsu da Okazaki.
La sfida di Xu Xiaodong alla comunità
cinese della arti marziali non è molto diversa da quella lanciata da
Morris 90 anni fa alla comunità giapponese delle Hawaii. Invece che
censurare il punto di vista di Xu e avanzare ogni genere di scusa per
giustificare la sconfitta di Wu Lei, la comunità delle arti marziali
tradizionali cinesi dovrebbe cercare ovunque un nuovo combattente da
mettere sul ring contro Xiaodong. Al momento questo non sta
accadendo.
Seishiro Okazaki non ha sconfitto Carl
Morris appellandosi alla tradizione o alla mitologia. Ha vinto grazie
alle sue ricerche, al suo approccio analitico, all'osservazione di
diversi stili di combattimento. Ha vinto, insomma, grazie a quelle
tecniche che Bruce Lee avrebbe reso famose con il nome di
"combattimento da strada scientifico." Che resta rilevante
tanto oggi quanto allora.
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