Con il sostantivo femminile sanscrito
ḍākinī (devanāgarī: डाकिनी;
pracrito: ḍāginī; cinese: 荼吉尼,
tújíní; giapponese: dakini; coreano: 다길니,
tagilni, vietnamita: đồ cát ni; tibetano: mkha’
’gro ma) si indicano degli spiriti femminili di tradizione
hindū, precisamente delle assistenti della dea Kālī use a nutrirsi
di carne umana.
Tale termine sanscrito compare nella
letteratura hindū a partire dal IV secolo d.C.
Nell'ambito del buddhismo mahāyāna,
segnatamente nel Bodhicaryāvatāra di Śāntideva, indica una
guardiana dell'inferno (narakapālā).
Nell'ambito proprio del buddhismo
tantrico indica invece degli spiriti femminili dotati di importanti
poteri spirituali.
Il termine sanscrito ḍākinī
è probabilmente correlato alla parola "tamburo" (ḍamaru)
che richiama le attività rituali proprie delle donne sciamane. I
termini correlati cinese, giapponese, vietnamita e coreano non sono
che adattamenti fonetici del termine sanscrito, diversamente il
termine utilizzato in lingua tibetana, mkha’ ’gro ma,
intende "coloro che attraversano il cielo", "coloro
che percorrono lo spazio" e potrebbe aver avuto origine dal
termine sanscrito khecara utilizzato nel Cakrasaṃvaratantra
(’Khor lo bde mchog gi rgyud, Toh. 413).
Le Dakini sono spesso rappresentate
come consorti nelle rappresentazioni Yab Yum. La forma maschile della
parola è Daka, che di solito è tradotto in tibetano come pawo
"eroe" (Wylie: dpa' bo).
La Dakini (e Daka) è descritta nelle
leggende medievali in India del Nord (così come nei testi Bhagavata
Purana, Brahma Purana, Markandeya Purana e
Kathasaritsagara) come un demone affine a Kālī, che si nutre
di carne umana. Le Dakini sono paragonabili a spiriti maligni e
vendicativi femminili di altre culture, come ninfe, fate, folletti
oppure come il peri persiano.
Figura chiave del tantra, la dakini
appare nel Tangmi della Vajrayana; la figura della
dakini si diffuse nella cultura giapponese attraverso il Buddismo
Shingon, evolvendo nel dakini-ten, legandosi all'iconografia delle
kitsune. La dakini appare in una formulazione vajrayanica del
Triratna buddhista, conosciuta come Tre Radici. Più comunemente essa
appare come protettrice del dharma, accanto a un guru e a un yidam.
Oppure può essere essa stessa un yidam.
L'origine della figura della dakini è incerta ma essa continua a
far parte anche oggi del folklore indiano, generalmente in forma
malevola, e permane in parte anche nel tantra hindu.
Nel
Buddhismo Tibetano
Anche se le dakini appaiono
nell'Induismo e nella tradizione Bön, esse svolgono un ruolo
importante soprattutto nel Buddhismo Vajrayana e in quello tibetano.
Il Khandroma, generalmente di temperamento aggressivo e iracondo,
agisce come musa per la pratica spirituale. Le dakini sono
manifestazioni di aspetti puri della mente in forma femminile, che
evocano il movimento dell'energia nello spazio. In tale contesto, il
cielo o lo spazio indicano la shunyata, la vacuità o
inconsistenza di tutti i fenomeni, che è allo stesso tempo
potenzialità di ogni possibile manifestazione.
Classi di dakini
Judith Simmer-Brown, basandosi sugli
insegnamenti ricevuti dai lama tibetani, individua quattro classi
principali di dakini. Questi insegnamenti seguono la tradizione del
linguaggio crepuscolare dell'esoterismo (in sanscrito
sāṃdhyābhāṣā) che si riferisce alle seguenti classi di
dakini: segrete, interne, esterne ed esterne-esterne.
La classe segreta è chiamata
Prajnàpàràmità (in tibetano yum chenmo), e rappresenta la
natura vuota della realtà secondo la dottrina Mahayana.
La classe interna è quella del
Mandala, una divinità di meditazione (in tibetano: yidam),
un Buddha completamente illuminato che aiuta il praticante a
riconoscere il proprio stato di Buddha.
La classe esterna è la forma
fisica della dakini, raggiunta attraverso una fase di completamento
delle pratiche tantra, proprio come nei Sei Yoga di Naropa, che
lavorano con i venti sottili del corpo sottile in modo che il corpo
del praticante sia compatibile con una mente illuminata.
La classe dakini esterna-esterna è
in forma umana. Si tratta di una Yogini nel suo pieno diritto, ma
può anche essere una karmamudrā, o consorte, di uno yogi o
mahasiddha.
Le Dakini possono anche essere
classificate in base alla Trikaya, o tre corpi di Buddha:
La Dharmakaya Dakini, che è una
Samantabhadri, rappresenta i dharmadhatu dove compaiono tutti i
fenomeni.
Le Dakini Sambhogakaya sono gli
yidam utilizzati come oggetti della meditazione per la pratica
tantrica.
Le Dakini Nirmanakaya hanno forma
umana e sono donne nate con potenzialità particolari; si tratta di
yogini realizzate, consorti di guru, o anche di donne in generale,
che possono essere classificate nelle cinque famiglie di Buddha.
Nello Dzogchen
Se considerata come una fase del
percorso Vajrayana, la dakini è la fase finale: la prima è il guru,
che corrisponde alla prima realizzazione della vera condizione della
realtà, così come questa è introdotta dal guru durante
l'empowerment, se il discepolo ottiene quello che i Tantra Interni
chiamano peyi yeshe (Wylie: dpe yi ye shes) o chiarezza
del shunyata. La seconda è il devata, che corrisponde alla
meditazione in quanto si tratta del metodo utilizzato per produrre lo
stato di scoperta nella realizzazione iniziale della vera condizione
della realtà. La terza fase è la Dakini in quanto origine delle
attività basate sull'empowerment del guru e sulla meditazione del
devata.
Nello Dzogchen queste tre fasi
corrispondono a: tawa (lta ba), gompa (sgom pa) e chopa
(spyod pa): la prima è la visione diretta della vera natura
della realtà in contrapposizione ad una visione intellettuale; la
seconda è la continuità di questa visione in sessioni di
meditazione; e la terza è la continuità di questa visione nelle
attività quotidiane. Come nella pratica tantrica, le imperfezioni
sono utilizzate per rendere la visione ininterrotta. Le dakini sono
energia vitale, le attività di praticanti esperti ed attività
inerti di maestri realizzati.
Nell'Induismo
Nella leggenda hindu medievale, un daka
(femminile dakini) è uno spirito maligno e malevolo. Il
termine shaka è talvolta usato come sinonimo.
Il dio principale che ha il controllo
su tali divinità è Hanuman. L'inno Vichitra Veer Hanuman
Stotram, cantato in lode a Vichitra Veer Hanuman, una forma
feroce di Hanuman, elenca gli elementi negativi sui quali Hanuman ha
il controllo, tra cui le dakini. Ci sono molti mantra che Hanuman usa
per conquistare una dakini, tra i quali sono famosi il Panchamukhi
Hanuman Kawacham ed il Saptamukhi Hanuman Kawacha. Gli indù recitano
inoltre il Sri Sudarshana Kawacha, una canto di lode shloka o kawacha
in sanscrito a Vishnu, che prese il nome della sua arma Sudarshana
Chakra, per ottenere protezione dalle dakini. Devi Kavacham è un
canto di lode a Durga.
Secondo una leggenda Dakini e Shakini
erano le mogli di Tripurasura. Dopo che Tripurasura fu ucciso da
Shiva, questi concesse alle sue mogli di poter vivere nella foresta
senza alcuna minaccia; la gente avrebbe dovuto cantare il loro nome
prima di poter entrare nel Tempio Bhimashankara. Perciò la foresta
intorno al tempio divenne nota come Foresta delle Dakini.
Nel tantra hindu, Dakini, Shakini,
Kakini e Kamini sono nomi di poteri o shakti che controllano i
differenti cakra. Così, le dakini vengono viste come "guardiani
dei misteri più profondi di sé", ed è attraverso loro che i
segreti della trasformazione interiore vengono rivelati. Un volta che
una persona è in grado di risvegliare l'energia Kundalini e
spostarla sulla sua base, il Muladhara sopra il Sahasrara, diventa
uno Yogi.
Nel
Buddhismo Giapponese
Anche se la figura della dakini sembra
essersi diffusa in Giappone mediante l'introduzione Kukai del
Buddhismo tantrico nella scuola Shingon durante l'inizio del IX
secolo, essa appare più come la dakini nell'iconografia hindu che
quella del Buddhismo Tibetano.
Alla fine del Periodo Heian, l'immagine
della dakini si mischiò con le immagini di volpi e donne seminude,
acquisendo i nomi di Dakini-ten (荼枳尼天
Divinità
Dakini),
Shinkoō-bosatsu (辰狐王菩薩
Volpe Regina delle
Stelle-Bodhisattva)
e Kiko-tennō (貴狐天王
Nobile
Volpe-Sovrana Celeste).
Nel Medioevo l'Imperatore del Giappone cantava davanti ad un'immagine
della volpe Dakini-ten durante la sua cerimonia d'incoronazione,
inoltre sia il monarca che gli shogun dovevano rendere onore alla
Dakini-ten. Era un credenza comune che nel momento in cui cessasse di
rendere omaggio a Dakini-ten, il proprio dominio sarebbe caduto in
rovina. Sebbene si dicesse che Dakini-ten fosse una potente divinità
buddista, le immagini e le storie che la concernevano nel Giappone
medievale ed anche moderno le davano i tratti della kitsune,
una creatura a forma di volpe della mitologia locale. La credenza
popolare moderna, spesso rappresentata in libri sulla religione, è
che l'immagine della volpe fosse un sostituto dello sciacallo
indiano, ma lo sciacallo non è sempre associato alla dakini.
All'inizio dell'era moderna i riti
della dakini erano delegati in varie magie chiamate Dakini-ten,
Izuna, ed Akiba. Le persone che avessero ricevuto un torto nel loro
villaggio, andavano da uno yamabushi corrotto che praticava la
magia nera, ed ottenevano da lui la trappola per catturare una
kitsune da dividere con lo stregone. Resoconti della
possessione divennero specialmente comuni durante i periodi Edo e
Meiji, sotto il nome di kitsunetsuki.