martedì 7 ottobre 2025

Forgiare la Propria Lama: Come Nasce uno Stile Personale nel Kenjutsu e nella Scherma Storica

Nel mondo delle arti marziali, poche domande dividono tanto quanto questa: è possibile creare un proprio stile di kenjutsu o di scherma? È un interrogativo che affascina praticanti, istruttori e studiosi da secoli, perché tocca il cuore stesso del rapporto tra tradizione e innovazione. Da un lato, c’è la fedeltà alle scuole antiche, ai maestri e ai principi che hanno attraversato i secoli; dall’altro, c’è la naturale spinta dell’essere umano a esplorare, contaminare, reinterpretare.

Creare un proprio stile non significa inventare qualcosa di completamente nuovo, ma interiorizzare ciò che si è appreso e poi lasciare che, attraverso l’esperienza, emerga un modo personale di combattere. È un processo organico, quasi naturale.

1. Il punto di partenza: imparare la lingua della spada

Ogni arte, prima di essere trasformata, va compresa. Nessuno scrive poesia senza conoscere la grammatica, e nessuno crea un proprio stile di scherma senza aver prima imparato la lingua del combattimento.

Nel kenjutsu, come nella scherma occidentale, esistono strutture precise: guardie, traiettorie, tempi, principi di distanza e linee d’attacco. Questi elementi costituiscono la “grammatica” della spada. Solo dopo averli padroneggiati si può iniziare a parlare con accento proprio.

Una lama risponde alle stesse logiche fondamentali: equilibrio, leva, peso, centro di gravità, velocità. Ciò che cambia non è la funzione dell’arma, ma il modo in cui l’uomo la interpreta.

2. Le scuole come fondamenta, non come gabbie

Ogni scuola di scherma — giapponese o occidentale — è un linguaggio. Le ryūha del Giappone feudale, così come i sistemi di Fiore dei Liberi, Liechtenauer o Roworth in Europa, rappresentano sintesi di esperienze e filosofie. Nessun maestro è mai partito da zero: ognuno ha reinterpretato ciò che lo precedeva, aggiungendo un tassello personale.

Creare un proprio stile, dunque, non significa rigettare la tradizione, ma diventare tradizione vivente.
Il problema nasce quando si confonde la libertà con la mancanza di struttura.
Chi “inventa” uno stile prima di avere basi solide non sta creando: sta solo improvvisando.
Il maestro, invece, crea attraverso la padronanza.

Nel kenjutsu, la differenza tra un innovatore e un eretico è sottile ma cruciale: il primo conosce le regole e le piega con consapevolezza; il secondo le ignora e le sostituisce con arbitrarietà.

3. Assimilazione e contaminazione

Dopo anni di pratica in un sistema, è naturale sviluppare un modo di combattere che non appartiene esclusivamente a quella scuola, ma la contiene e la arricchisce con esperienze parallele.
Ogni praticante esperto finisce per sviluppare un “dialetto marziale”, una serie di scelte, preferenze e riflessi che lo distinguono dagli altri, pur restando all’interno dello stesso sistema.

Questo vale anche nel kenjutsu: il kendōka che ha studiato iai svilupperà un approccio più fluido; il praticante di katori shintō ryū che ha esperienza di jūjutsu interpreterà i movimenti in modo più circolare e meno lineare.
Lo stile personale è il risultato di esperienze incrociate, non di teorie astratte.

4. Il valore della contaminazione: quando le tradizioni si incontrano

È importante comprendere come influenze di scuole diverse possano essere integrate senza perdere coerenza. Tecniche e principi di sistemi differenti possono rafforzare la comprensione complessiva del combattimento.

Anche nel Giappone feudale, i samurai più esperti studiavano più scuole contemporaneamente, fondendo kenjutsu, iai e jūjutsu per ottenere una comprensione più profonda del combattimento.
Non è un caso che molte scuole antiche siano nate proprio da queste sintesi.
La Tenshin Shōden Katori Shintō Ryū, ad esempio, influenzò decine di altre tradizioni, ognuna delle quali reinterpretò i suoi principi adattandoli alle proprie esigenze.

In Europa accadde lo stesso: dal Rinascimento all’Ottocento, la scherma fu un continuo dialogo tra culture, tecniche e filosofie. Gli italiani influenzarono i francesi, i francesi gli inglesi, gli inglesi gli ungheresi, e così via.
Il risultato non fu la perdita dell’identità, ma la nascita di una lingua universale della lama.

5. Personalità marziale: il temperamento come stile

Ogni spadaccino sviluppa nel tempo una propria “personalità marziale”.
C’è chi ama la distanza lunga e il gioco di filo, chi preferisce il bind e il corpo a corpo, chi cerca il colpo risolutivo, chi lavora di logoramento.
Queste scelte non sono casuali, ma rispecchiano la natura dell’individuo: la sua fisicità, la sua mente, il suo modo di percepire il rischio.

Lo stile personale non è una regola codificata, ma una risposta spontanea e coerente alla realtà del combattimento.
Quando il corpo si muove secondo la propria logica, non più per imitazione ma per convinzione, nasce l’autenticità.

6. Il potere dei limiti: la forma nasce dalla restrizione

Un concetto fondamentale: la libertà nasce dal limite.
Allenarsi con restrizioni — regole specifiche, distanze ridotte, mani legate, armi non affilate — costringe il cervello a trovare nuove soluzioni.
È proprio questa disciplina imposta che permette alla creatività di emergere in modo strutturato.

I samurai lo chiamavano shugyō: la pratica ascetica volta a cercare l’essenza attraverso la ripetizione e la privazione.
Il principio è identico in tutte le culture: solo attraversando il rigore si può arrivare alla fluidità.

Il maestro moderno che vuole sviluppare un proprio stile deve dunque allenarsi in molte condizioni, osservare cosa rimane efficace in ogni scenario e lasciare che la funzionalità guidi l’estetica.

7. Quando un “modo di combattere” diventa uno stile

Lo stile personale non nasce da un manifesto o da un nome.
Nasce quando la tecnica smette di appartenere al maestro e diventa una naturale estensione di sé stessi.
Il vero stile è quello che emerge quando guardia, tempo e colpo raccontano chi sei, senza parole.

Chi ha uno stile personale non sente il bisogno di proclamare la propria “scuola”.
È la padronanza naturale e coerente del movimento che rende unico ogni praticante.

8. Tradizione e identità: il filo invisibile

Nel kenjutsu e nella scherma storica, il dilemma tra fedeltà e innovazione non ha mai avuto una risposta definitiva.
La verità è che entrambe le forze devono coesistere.
Senza tradizione, lo stile personale diventa improvvisazione.
Senza individualità, la tradizione si irrigidisce e muore.

Ogni spadaccino, a un certo punto, si trova davanti a una scelta: ripetere o interpretare.
Ma la via più alta è quella che unisce le due dimensioni — la tradizione come radice, l’individualità come fiore.

Creare il proprio stile non significa fondare una nuova scuola, ma trovare la propria voce all’interno di una lingua antica.
Ogni colpo, ogni passo, ogni parata è una parola; ogni duello, un dialogo tra due grammatiche che si incontrano.

Alla fine, ciò che conta davvero non è se il tuo stile ha un nome, ma se la tua lama parla con sincerità.
Perché, come scriveva un antico maestro giapponese:

“Quando la spada è pura, essa taglia il cielo e la mente nello stesso istante.”

In quel momento, non esistono più scuole, etichette o sistemi.
Esisti solo tu, la tua arma e il flusso del movimento — la tua verità.



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