martedì 21 ottobre 2025

Perché molti pugili medi disprezzano le arti marziali: una questione di realtà vs. mito

 

Se siete appassionati di sport da combattimento, vi sarete chiesti almeno una volta: perché tanti pugili medi hanno una cattiva opinione delle arti marziali tradizionali? La risposta non è semplice, ma parte da una premessa chiara: molte arti marziali non vengono insegnate come dovrebbero, e questo crea una discrepanza tra percezione e realtà.

Quando pensiamo a un karateka o a un judoka, spesso immaginiamo un atleta elegante, agile e in grado di sconfiggere avversari fisicamente più forti grazie a tecnica e disciplina. I media e i film hanno consolidato questa immagine: il maestro snello che domina l’avversario robusto grazie a movimenti fluidi e colpi apparentemente letali.

Peccato che, nella realtà, questa immagine sia spesso lontana dal vero combattimento. Per molti praticanti di arti marziali tradizionali, soprattutto nelle scuole meno rigorose, l’allenamento si limita a esercizi coreografici, forme (kata) e sparring controllato. Gli studenti vengono lasciati entrare in Kumite freestyle o sessioni di combattimento improvvisato senza aver interiorizzato le basi, dando vita a giochi di rincorsa più simili a una danza che a un combattimento reale.

I pugili medi tendono a sottovalutare le arti marziali non per ignoranza, ma perché vedono la differenza tra realtà e mito. Un pugile allenato sa che i colpi devono avere potenza, precisione e timing per essere efficaci. Non importa quanto sia bella la forma di un calcio o di un pugno: senza radicamento, gioco di gambe equilibrato e abilità di contatto reale, il colpo non funziona.

Le arti marziali tradizionali spesso vengono insegnate in maniera incompleta:

  • Gli studenti saltano passaggi fondamentali di Kihon-Oyo (tecnica applicata) e kata radicati, senza interiorizzare la biomeccanica dei colpi.

  • Il Kumite viene introdotto troppo presto, senza preparare il corpo e la mente alla pressione del contatto reale.

  • La cultura di alcune scuole enfatizza il rispetto e la forma estetica più della funzionalità in combattimento.

Il risultato? Un praticante che sembra agile e veloce ma che, in un vero scontro, non ha né potenza né efficacia. Per un pugile abituato al contatto reale, questa discrepanza è evidente e frustrante.

Nonostante le critiche, il karate e altre arti marziali tradizionali possono essere estremamente efficaci, se insegnate correttamente. Ho assistito personalmente a dimostrazioni di incredibile potenza:

Nel 1978, osservai una cintura marrone colpire un uomo con un calcio frontale allo stomaco così potente che i piedi dell’avversario si sollevarono da terra. L’uomo cadde in ginocchio, e il karateka continuò con uno shuto alla nuca, fermandosi solo quando il combattente fu incapace di reagire. Questo episodio dimostra due concetti chiave:

  1. Radicamento e potenza: un colpo efficace deriva dalla capacità di trasferire energia dal suolo al bersaglio.

  2. Controllo e applicazione tecnica: il karate non è solo spettacolo; quando eseguito correttamente, può neutralizzare un avversario rapidamente.

Molte scuole di arti marziali oggi hanno perso contatto con la realtà del combattimento. I motivi principali sono:

  • Focalizzazione sull’estetica: forme coreografate, kata spettacolari, spettacoli e dimostrazioni.

  • Kumite precoce e libero: studenti non preparati vengono messi a combattere, riducendo la disciplina a una semplice attività ludica.

  • Mancanza di contatto reale: pochi insegnanti integrano sparring tecnico e contatto pieno con correzione costante.

In sostanza, molte scuole trasmettono illusione di abilità piuttosto che competenza reale. Da qui nasce il disprezzo di alcuni pugili: vedono esercizi carini ma inutili in uno scenario reale.

Non tutte le arti marziali sono perdute: il karate, il taekwondo, il kung fu e altre discipline conservano tecniche estremamente valide per il combattimento reale. Tuttavia, serve un approccio rigoroso:

  1. Allenamento tecnico radicato: ogni movimento deve essere praticato fino a diventare automatico e potente.

  2. Sparring progressivo: iniziare con contatto controllato e aumentare gradualmente l’intensità.

  3. Uso del makiwara e altre attrezzature: sviluppare potenza, precisione e resistenza del corpo.

  4. Comprensione della biomeccanica: il corpo deve sapere come generare forza in modo efficiente.

  5. Integrazione di combattimento reale: combinare colpi con difesa, gioco di gambe e capacità di adattamento all’avversario.

Quando queste basi vengono rispettate, un karateka ben preparato può essere più pericoloso di molti pugili medi, soprattutto se integra tecniche di calcio, ginocchio e gomito, che un pugile potrebbe non saper gestire.

Oltre alla tecnica, la mentalità è cruciale. I pugili che disprezzano le arti marziali spesso hanno esperienza reale di contatto e sanno riconoscere chi è pronto a combattere sul serio e chi no. Molti praticanti di arti marziali tradizionali:

  • Sottovalutano la resistenza fisica richiesta.

  • Trascurano l’adattamento tattico sotto pressione.

  • Credono che la forma perfetta sostituisca l’esperienza di combattimento.

Per un pugile, questi dettagli sono evidenti: non basta essere “tecnicamente belli” per sopravvivere a uno scontro reale.

Se vogliamo ridare credibilità alle arti marziali tradizionali, bisogna ritornare alle radici del combattimento reale, come avveniva nel karate del passato:

  • Kihon-Oyo praticato fino all’automatismo

  • Sparring con contatto pieno e progressivo

  • Enfasi su potenza, equilibrio e radicamento

  • Integrazione di combattimento a terra e difesa da attacchi multipli

Inoltre, guardare alle MMA e al Krav Maga non come rivali ma come fonti di insegnamento pratico può aiutare: molti sistemi moderni hanno incorporato il karate e altre arti marziali per aumentare efficacia e adattabilità.

Il motivo per cui molti pugili medi disprezzano le arti marziali tradizionali non è casuale: la maggior parte delle scuole insegna finzione invece di combattimento reale. Senza radicamento, sparring progressivo e applicazione concreta, i colpi restano inutili in una situazione reale, mentre un pugile allenato li riconosce immediatamente.

Detto questo, le arti marziali hanno il potenziale per essere letali e funzionali se praticate con disciplina, rigore e contatto reale. Il futuro del karate, del kung fu e di altre discipline tradizionali passa attraverso la restituzione della credibilità tecnica e l’integrazione con metodi di allenamento moderni.

Solo allora potranno smettere di essere percepite come “gioco estetico” e guadagnare il rispetto che meritano nel mondo reale del combattimento.


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