giovedì 9 ottobre 2025

Rena “Rusty” Kanokogi – La donna che cambiò per sempre il judo

 

Cresciuta tra le strade di Brooklyn, con le mani sbucciate e l’animo ribelle di chi non si arrende mai, Rena Glickman, conosciuta in tutto il mondo come Rusty Kanokogi, non fu solo una pioniera del judo femminile: fu una forza della natura. Una donna che sfidò pregiudizi, regole e istituzioni, portando la sua battaglia fin dentro i santuari più sacri di una disciplina che fino ad allora apparteneva soltanto agli uomini.

La sua storia non è una semplice cronaca sportiva, ma un manifesto di determinazione, coraggio e amore per la giustizia.

Rena nacque nel 1935 in una famiglia modesta del quartiere di Coney Island, New York. Fin da bambina mostrò una tempra fuori dal comune. Cresciuta in un contesto difficile, imparò presto a difendersi. Amava combattere, letteralmente: tirava di boxe con il fratello e si guadagnava il rispetto dei ragazzi di strada non per la sua bellezza o la sua dolcezza, ma per la sua forza.

Il matrimonio arrivò presto, ma anche la delusione. Dopo una breve unione da cui nacque il figlio Chris, la giovane madre si ritrovò sola. Poi, un giorno del 1955, un amico le mostrò alcune mosse di judo. Quella scintilla cambiò tutto.

Rena vide in quell’arte non solo una forma di difesa, ma un linguaggio di rispetto, disciplina e libertà. Decise che avrebbe imparato tutto ciò che poteva su quella disciplina nata in Giappone.

L’America degli anni Cinquanta non era pronta per una donna sul tatami. I dojo erano riservati agli uomini, e nei tornei ufficiali la partecipazione femminile era vietata. Ma Rena non era tipo da arrendersi.

Nel 1959, durante il campionato di judo della YMCA a Utica, trovò la soluzione più audace: si travestì da uomo. Si tagliò i capelli corti, fasciò il petto e si presentò sotto falso nome, “Rusty”.

Doveva solo essere una riserva, ma quando un compagno si infortunò, colse l’occasione. Salì sul tatami, combatté — e vinse. Non solo il suo incontro, ma l’intera squadra.

Il trionfo durò poco. Gli organizzatori scoprirono il suo segreto, la costrinsero a confessare e le tolsero la medaglia. Per molti, quella sarebbe stata la fine di un sogno. Per lei, fu solo l’inizio della rivoluzione.

Delusa dal sessismo dell’ambiente sportivo americano, Rena prese una decisione radicale: partire per Tokyo per studiare al Kodokan, la culla del judo mondiale fondata da Jigoro Kano.

Anche lì trovò muri invisibili. Le donne potevano allenarsi, sì, ma in sezioni separate e con meno opportunità. Ancora una volta, Rena rifiutò le limitazioni imposte. Grazie al suo talento e alla sua determinazione, divenne la prima donna ammessa ad allenarsi con gli uomini al Kodokan.

Fu in Giappone che incontrò Ryohei Kanokogi, judoka e allenatore. I due si sposarono nel 1964 e si trasferirono a New York, unendo le forze per diffondere la cultura del judo negli Stati Uniti.

Negli anni successivi, Rusty divenne una delle figure più influenti del judo americano. Allenava, organizzava tornei, e si batteva instancabilmente per ottenere riconoscimento e pari opportunità per le donne nel judo competitivo.

Il suo sogno prese forma nel 1980, quando decise di organizzare il primo campionato mondiale femminile di judo. Nonostante il disinteresse delle federazioni e la mancanza di sponsor, Rusty non si fermò. Arrivò a ipotecare la propria casa per finanziare l’evento, che si tenne al Madison Square Garden di New York.

Fu un successo storico. Per la prima volta, le donne del judo avevano un palcoscenico mondiale. Ma Rusty sapeva che non bastava: voleva le Olimpiadi.

Gli anni Ottanta furono una battaglia politica e morale. Rusty passava ore al telefono, scrivendo lettere, organizzando campagne, cercando appoggi tra le federazioni e le autorità sportive.

Arrivò persino a minacciare azioni legali contro il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) se non avesse incluso il judo femminile nei Giochi.

Alla fine, la sua tenacia vinse. Nel 1988, alle Olimpiadi di Seul, il judo femminile venne inserito come sport dimostrativo. Rusty fu nominata allenatrice della prima squadra femminile statunitense, e le sue atlete conquistarono una medaglia di bronzo.

Quel giorno non fu solo una vittoria sportiva: fu una consacrazione morale.

Negli anni successivi, Rusty Kanokogi ricevette numerosi riconoscimenti:

  • 1991: inserita nella International Women’s Sports Hall of Fame;

  • 2008: insignita dell’Ordine del Sol Levante, una delle più alte onorificenze giapponesi;

  • 2009: introdotta nella International Jewish Sports Hall of Fame.

Ma il premio più simbolico arrivò nello stesso anno, alla YMCA di New York, il luogo dove tutto era iniziato. Cinquant’anni dopo, le venne finalmente restituita la medaglia d’oro che le era stata tolta nel 1959.

Era il cerchio che si chiudeva: la giustizia che, anche se tardi, trionfa.

Poco dopo, Rusty dovette affrontare la sua ultima sfida: un melanoma multiplo. Anche nella malattia mostrò la stessa forza che l’aveva resa una leggenda. Morì nel novembre 2009, al Lutheran Medical Center di New York.

Ma il suo spirito, come quello di ogni grande guerriera, non è mai morto.

Rusty non amava definirsi “femminista”. Non lottava per le donne, diceva, ma per il judo stesso. Perché credeva che la disciplina dovesse essere pura, equa, rispettosa di chiunque la praticasse.

In un’epoca in cui il mondo sportivo era ancora dominato da uomini, lei non chiese privilegi: chiese giustizia. Voleva che ogni judoka — uomo o donna — fosse giudicato solo dal proprio valore sul tatami.

Oggi, ogni atleta femmina che veste il judogi e sale su un tatami olimpico lo fa anche grazie a Rusty Kanokogi.
È grazie a lei se il judo non è più una disciplina “per uomini”, ma una via per tutti.

La vita di Rusty Kanokogi è una parabola di coraggio, dedizione e amore per la verità.
Non cercava fama, né gloria personale. Cercava solo giustizia per la sua arte.

E l’ha trovata, con i calli sulle mani, il cuore pieno di passione e il sorriso di chi, dopo mille battaglie, può finalmente dire di aver cambiato il mondo.

Rena “Rusty” Kanokogi: la donna che insegnò al judo il significato della parità.







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