Negli anni ’60, Bruce Lee non era ancora l’icona mondiale del cinema che conosciamo oggi. Era invece un giovane artista marziale rivoluzionario, impegnato a sfidare l’establishment delle arti marziali tradizionali cinesi a San Francisco. Tra i confronti che segnarono la sua carriera, quello con Wong Jack Man rimane il più discusso e controverso. La vicenda è stata ricostruita con precisione storica da Charles Russo nel suo libro del 2016, Striking Distance: Bruce Lee and the Dawn of Martial Arts in America, che resta oggi la fonte più affidabile sull’episodio.
L’incontro tra Bruce Lee e Wong Jack Man avvenne nel contesto della Chinatown di San Francisco, epicentro delle arti marziali cinesi negli anni ’60. La disputa nacque da una divergenza filosofica: Lee sosteneva che le arti marziali dovessero essere aperte a tutti, inclusi gli occidentali, e praticate in modalità full contact, mentre Wong Jack Man, rappresentante dell’establishment tradizionale, voleva preservarne i metodi classici e riservati. L’incontro fu quindi concordato come occasione per dimostrare la visione di Lee, ma a porte chiuse, con pochi testimoni presenti.
La presenza confermata fu di sole cinque persone: Bruce Lee, Wong Jack Man, Linda Lee, moglie di Bruce, James Lee, studente e amico dell’artista, e William Chen, istruttore di Tai Chi e amico di Wong. Diverse fonti collocano fino a quindici spettatori, ma le testimonianze più attendibili indicano solo questi cinque presenti.
Secondo Linda Lee, l’incontro durò appena cinque minuti. Wong Jack Man adottò una posizione difensiva classica, mentre Bruce Lee, ancora allenato nel Wing Chun, sferrò una serie di pugni rapidi e diretti. Wong indietreggiò, cercando di fermare l’attacco, ma Lee lo inseguì con determinazione, scaraventandolo a terra e continuando a colpirlo fino a che Wong, demoralizzato, implorò la fine dell’incontro. James Lee confermò che Bruce vinse facilmente, mentre William Chen descrisse l’esito come un pareggio tecnico, sottolineando però che Wong era caduto durante la ritirata. L’unico a rivendicare una vittoria personale fu Wong Jack Man stesso, ma nessun altro presente condivise tale opinione.
Lo scontro segnò un punto di svolta nella carriera di Lee. Convinto che le arti marziali dovessero servire alla sopravvivenza reale e non a sfide rituali o spettacoli pubblici, Lee decise di abbandonare questi incontri e di rivoluzionare il proprio stile. L’episodio con Wong Jack Man lo portò a comprendere i limiti del Wing Chun e a sviluppare il Jeet Kune Do, un approccio flessibile e interdisciplinare che integrava elementi di boxe occidentale, Muay Thai, judo, wrestling e altre discipline.
In seguito, Lee intraprese collaborazioni fondamentali, come quella con Jhoon Rhee, dal quale apprese tecniche di taekwondo, e con Gene LeBell, con cui affinò il grappling. Queste esperienze consolidarono la filosofia del Jeet Kune Do: adattarsi all’avversario usando qualsiasi tecnica efficace, senza vincoli stilistici. Lee non insegnava semplicemente tecniche, ma un metodo di sopravvivenza e applicazione pratica delle arti marziali.
Molti racconti successivi hanno cercato di reinterpretare lo scontro tra Lee e Wong Jack Man. Alcuni libri, come Showdown in Oakland: The Story Behind the Wong Jack Man – Bruce Lee Fight di Rick Wing, basano la loro narrazione quasi esclusivamente sul punto di vista di Wong, ignorando testimonianze dirette di chi era presente o di chi sosteneva Bruce Lee. Il risultato è un resoconto parziale e di parte, che contrasta con le indagini approfondite di Russo, basate su oltre 100 interviste e documenti d’epoca.
Le testimonianze concordi indicano che Wong Jack Man cadde durante la ritirata, e che Bruce Lee non solo vinse l’incontro ma ne trasse lezioni fondamentali per la sua evoluzione. L’episodio non fu un momento di gloria personale fine a se stesso, ma un catalizzatore per il cambiamento radicale nelle arti marziali, spingendo Lee a creare uno stile moderno, efficace e universale.
L’incontro con Wong Jack Man segnò l’inizio di una rivoluzione nel concetto stesso di combattimento. Bruce Lee fu uno dei primi a sostenere l’allenamento polivalente, il contatto pieno e l’integrazione di discipline diverse. La sua filosofia influenzò direttamente lo sviluppo delle arti marziali miste (MMA), tanto che Dana White, presidente dell’UFC, lo definì “il padre delle arti marziali miste”.
Artisti marziali moderni come Jerome Le Banner e Ben Saunders hanno ammesso di essersi formati nel Jeet Kune Do, dimostrando come l’approccio di Lee rimanga rilevante nelle competizioni di oggi. La sua visione andava oltre lo spettacolo e la tecnica: era un insegnamento sulla preparazione mentale, fisica e strategica al combattimento reale, anticipando concetti che oggi sono standard nelle MMA e nel combattimento funzionale.
Il confronto tra Bruce Lee e Wong Jack Man non fu solo una semplice sfida fisica. Fu il catalizzatore di un cambiamento radicale nelle arti marziali, che portò alla nascita del Jeet Kune Do e, indirettamente, delle MMA moderne. Lee dimostrò che le arti marziali non sono rigidità stilistica o prestigio tradizionale, ma adattabilità, efficienza e applicazione pratica. Wong Jack Man, pur rivendicando la vittoria, non cercò mai una rivincita, lasciando a Lee il compito di trasformare l’arte del combattimento in qualcosa di universale e accessibile.
La storia di quel breve ma decisivo scontro rimane oggi più chiara grazie alle ricerche di Charles Russo, che hanno messo ordine tra miti, leggende e racconti di parte. Oggi sappiamo con certezza che Bruce Lee non fu solo un attore iconico: fu prima di tutto un maestro, un innovatore e un filosofo delle arti marziali, capace di cambiare per sempre la visione del combattimento.
Le testimonianze dirette, la documentazione storica e la logica stessa degli eventi confermano che Bruce Lee vinse quell’incontro, trasformando una sfida personale in un’innovazione globale. E il mondo delle arti marziali non sarebbe mai stato lo stesso.
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