La guerra Boshin (戊辰戦争
Boshin Sensō,
"guerra dell'anno del drago") fu una guerra civile
giapponese, combattuta nel 1868–1869 tra i sostenitori dello
shogunato Tokugawa e i fautori della restaurazione dell'imperatore
Meiji. La causa immediata della guerra fu la dichiarazione imperiale
di abolizione del bicentenario governo dello shogunato e
l'imposizione del governo diretto della corte imperiale. L'andamento
della guerra volse rapidamente a favore della più piccola, ma
relativamente modernizzata, fazione imperiale e dopo una serie di
battaglie sull'isola principale di Honshū che culminarono nella resa
di Edo, i resti delle forze dei Tokugawa si ritirarono nell'Hokkaidō,
proclamando l'unica repubblica nella storia del Giappone. Con la
battaglia navale di Hakodate, anche gli ultimi lealisti dei Tokugawa
furono sconfitti, lasciando tutto il Giappone sotto il controllo
della corte imperiale, completando la fase militare della
Restaurazione Meiji.
Il conflitto mobilitò circa 120.000
uomini e causò circa 3.500 vittime. Quando ebbe termine, la
vittoriosa fazione imperiale abbandonò l'obiettivo dell'espulsione
degli stranieri del Giappone, ma adottò, invece, una politica di
continua modernizzazione del paese, mirando a una rinegoziazione dei
trattati con le potenze straniere. Grazie all'insistenza di uno dei
principali leader della fazione imperiale, Saigō Takamori, si mostrò
clemenza verso i lealisti Tokugawa e molti dei leader della fazione
dello shogunato ricevettero incarichi nel nuovo governo.
La guerra Boshin testimoniò l'avanzato
stato di modernizzazione già raggiunto dal Giappone nei soli
quattordici anni trascorsi dall'apertura delle frontiere con
l'Occidente, l'alto grado di coinvolgimento delle nazioni occidentali
(specialmente Regno Unito e Francia) negli affari interni della
nazione e la restituzione del potere all'imperatore dopo secoli di
dittatura militare degli shogun. Nei decenni successivi, la guerra fu
romanticizzata dai giapponesi che giunsero a considerare la
Restaurazione come una "rivoluzione pacifica", nonostante i
morti causati.
Situazione
politica
Primo
dissenso verso lo Shogunato
Per i due secoli precedenti il 1854, il
Giappone chiuse i rapporti con le nazioni straniere, con le eccezioni
della Corea attraverso Tsushima, la Cina della dinastia Qing mediante
le isole Ryūkyū, e i Paesi Bassi mediante la stazione commerciale
di Dejima. Grazie all'interazione con l'Olanda, lo studio della
scienza occidentale continuò in questo periodo sotto il nome di
Rangaku, permettendo al Giappone di seguire e studiare lo sviluppo
della rivoluzione industriale.
Nel 1854, il commodoro Matthew Perry
costrinse il Giappone ad aprirsi al commercio internazionale sotto la
minaccia militare della sua flotta, dando inizio a un periodo di
rapido sviluppo del commercio con l'estero e di occidentalizzazione.
A causa soprattutto degli umilianti termini dei trattati ineguali
imposti dal commodoro Perry, lo shogunato si trovò ben presto ad
affrontare un'ostilità interna che si concretizzò in un movimento
radicale xenofobico, il sonnō jōi (letteralmente "Venera
l'Imperatore, espelli i barbari").
L'imperatore Osahito fece propri questi
sentimenti e, rompendo la secolare tradizione imperiale, incominciò
ad assumere un ruolo attivo negli affari di Stato: denunciò i
trattati, tentò di interferire nella successione dello shogunato e
nel 1863 diede l'«ordine di espellere i barbari». Lo shogunato non
rese esecutivo tale ordine, ispirando gli attacchi del movimento
xenofobo contro gli stranieri in Giappone e contro lo stesso
shogunato: l'incidente più famoso fu l'omicidio del commerciante
britannico Charles Lennox Richardson, per la cui morte il governo
Tokugawa dovette pagare un'indennità di centomila sterline
britanniche. Ebbero luogo altri attacchi, tra i quali il
bombardamento di navi straniere a Shimonoseki.
Nel 1864 tali azioni furono
vittoriosamente contrastate da rappresaglie armate delle potenze
straniere, come il britannico bombardamento di Kagoshima e
l'internazionale bombardamento di Shimonoseki. Contemporaneamente le
forze del Dominio di Chōshū, insieme con i rōnin xenofobi,
scatenarono la ribellione di Hamaguri, cercando d'impossessarsi di
Kyoto, dove risiedeva la corte dell'imperatore. Il futuro shogun
Tokugawa Yoshinobu guidò la spedizione punitiva, costringendo i
ribelli a ritirarsi. La resistenza dei leader di Chōshū conobbe
quindi un periodo di pausa, ma l'anno successivo lo shogunato si
dimostrò incapace di mantenere il pieno controllo della nazione,
dopo che molti daimyō avevano incominciato a ignorare gli
ordini e le richieste provenienti da Edo.
Assistenza
militare straniera
Nonostante il bombardamento di
Kagoshima, il dominio di Satsuma era diventato uno stretto alleato
del Regno Unito, con il sostegno del quale fu in grado di
modernizzare la propria marina e il proprio esercito. Esperti
militari anglo-americani possono essere stati coinvolti direttamente
in tale modernizzazione. L'ambasciatore britannico Harry Smith Parkes
sostenne le forze ostili allo shogunato al fine di stabilire un
governo imperiale legittimo e unificato in Giappone. In questo
periodo i capi delle regioni meridionali, come Saigō Takamori del
Dominio di Satsuma e Hirobumi Ito e Inoue Kaoru del Dominio di
Chōshū, coltivarono rapporti diplomatici con i britannici, tra cui
Ernest Mason Satow.
Anche lo shogunato stava preparandosi
al conflitto modernizzando le proprie forze. In linea con i progetti
di Parker, i britannici incominciarono a dimostrarsi riluttanti nel
fornire assistenza allo shogunato, del quale erano stati fino ad
allora gli alleati principali. I Tokugawa pertanto si affidarono
principalmente all'esperienza francese, confortati dal prestigio
militare di Napoleone III, acquisito nella guerra di Crimea e nella
seconda guerra di indipendenza italiana. Lo shogunato si impegnò
intensamente nell'ammodernamento e rafforzamento della forze armate.
In particolare, la marina divenne subito la più potente dell'Asia,
dopo la costruzione di un primo nucleo composto da otto navi da
guerra a vapore. Nel 1865 fu costruito a Yokosuka, sotto la guida
dell'ingegnere francese Léonce Verny, il primo arsenale navale
moderno del Giappone.
Colpo di Stato (1866-'68)
Dopo che a Chōshū era tornata al
potere la fazione più radicale nella lotta contro lo shogun,
quest'ultimo si preparò a guidare un'altra missione punitiva per
soffocare la nuova rivolta. Il Dominio di Chōshū si premunì
alleandosi segretamente con il Dominio di Satsuma e fu in grado
d'infliggere una grave sconfitta alle truppe dello shogunato nel
giugno del 1866, ottenuta in virtù della superiorità delle moderne
armi rispetto a quelle antiquate in dotazione alle armate alleate con
Edo. Lo shogun Iemochi morì nell'agosto del 1866 e
l'imperatore Osahito nel gennaio successivo, e subentrarono
rispettivamente Tokugawa Yoshinobu e l'imperatore Meiji.
Fu Yoshinobu a negoziare la tregua con
i daimyo ribelli di Chōshū, ma la sconfitta aveva incrinato
definitivamente il potere militare e il prestigio dello shogunato.
Questi eventi «...resero una tregua inevitabile». Nel gennaio 1867
arrivò una missione militare francese per riorganizzare l'esercito
dello shogun e creare una forza di élite; fu
acquistata negli Stati Uniti la CSS Stonewall, una
rivoluzionaria nave da guerra corazzata costruita in Francia. A causa
però della neutralità dichiarata delle potenze occidentali, gli
Stati Uniti si rifiutarono di consegnare la nave; quando cessò la
neutralità, il vascello sarebbe stato consegnato invece alla fazione
imperiale, che lo avrebbe impiegato nella battaglia di Hakodate con
il nome Kōtetsu (letteralmente «corazzato in ferro»).
La strada della modernizzazione e
dell'apertura all'occidente intrapresa dagli shogun, e in
particolare da Yoshinobu, diede ai feudi di Chōshū e Satsuma
l'opportunità di rovesciare la secolare dittatura militare dei
Tokugawa. Fin dalla sua istituzione all'inizio del XVII secolo, lo
shogunato aveva diffidato dei domini di Chōshū e Satsuma. Se da un
lato aveva concesso loro un buon grado di autonomia in virtù della
loro influenza, i membri dei due clan erano stati sistematicamente
emarginati dagli incarichi di governo principali del bakufu e
ciò aveva creato un crescente risentimento, che aveva quindi origini
lontane. L'indebolimento dello shogunato, evidenziato dalla crisi
innescata dal commodoro americano Perry, si era inoltre accentuato
con le lotte di potere all'interno dello stesso shogunato e il
tentativo fatto in quegli anni di stringere un'alleanza con la corte
imperiale era naufragato. I samurai nazionalisti di Chōshū
trovarono inizialmente l'appoggio del Dominio di Tosa nel dare vita
al movimento anti-Tokugawa e si autodefinirono "uomini di alti
propositi" (shishi).
Le loro attività volte a rovesciare lo shogunato s'incanalarono nel
rifiutare l'apertura all'occidente e nell'appoggio dato alla causa
imperiale.
Il 9 novembre 1867, l'imperatore Meiji
inviò un ordine segreto ai daimyo di Satsuma e Chōshū, che
comandava «...l'uccisione del suddito traditore Yoshinobu».
L'autenticità dell'ordine è dibattuta, a causa del linguaggio
violento utilizzato e del fatto che, nonostante fosse siglato con il
pronome imperiale chin, non portava la firma di Meiji.
L'ordine fu sospeso in seguito alla proposta del daimyo di
Tosa, la cui intermediazione convinse lo shogun Yoshinobu a
rassegnare le dimissioni e a riconsegnare l'autorità all'imperatore,
convocando un'assemblea generale dei daimyo per creare un
nuovo governo. Ebbe così fine lo shogunato Tokugawa.
La resa di Yoshinobu aveva creato un
vuoto di potere a livello governativo, ma il suo apparato di Stato
continuava a esistere. Inoltre il governo dello shogunato, e in
particolare la famiglia Tokugawa, era rimasta una forza prominente
nell'evolvente ordine politico e manteneva molti poteri esecutivi,
una realtà che i sostenitori della linea dura di Satsuma e Chōshū
trovavano intollerabile. Gli eventi culminarono nel colpo di Stato
incominciato il 3 gennaio 1868, quando questi ultimi occuparono il
palazzo imperiale di Kyoto e spinsero il quindicenne sovrano Meiji a
dichiarare, il giorno successivo, la piena restaurazione del potere
politico dell'imperatore. Sebbene la maggioranza dell'assemblea
consultiva imperiale si sentisse appagata della formale dichiarazione
e fosse favorevole a continuare la collaborazione con i Tokugawa (con
il concetto di "giusto governo" (公議政体派
kōgiseitaiha)), il
daimyo di Satsuma Saigō Takamori minacciò l'assemblea obbligandola
a proclamare l'abolizione del titolo di shogun e la confisca
delle terre di Yoshinobu.
Dopo aver appreso le determinazioni
dell'assemblea, il 17 gennaio 1868 Yoshinobu dichiarò che «...non
sarebbe stato vincolato alla proclamazione di Restaurazione e chiese
alla corte di rescinderla.» Il 24 gennaio, Yoshinobu annunciò un
attacco contro Kyoto occupata dalle forze di Satsuma e Chōshū,
decisione presa dopo che erano stati appiccati diversi incendi a Edo,
a partire dalle fortificazioni esterne del castello di Edo, la
principale residenza dei Tokugawa. La responsabilità degli incendi
fu attribuita a un ronin di Satsuma, che quel giorno aveva
attaccato un ufficio governativo. Il giorno successivo, le forze
dello shogunato attaccarono la residenza a Edo del daimyo di
Satsuma, dove si erano rifugiati molti oppositori dello shogunato
agli ordini di Takamori. Il palazzo fu dato alle fiamme e tutti gli
oppositori uccisi o successivamente giustiziati.
Indebolimento
del fronte shogunale
Battaglia
di Toba-Fushimi
Il 27 gennaio 1868, le forze dello
shogunato si scontrarono con quelle di Chōshū e Satsuma nelle
località di Toba e Fushimi, alla periferia meridionale di Kyoto.
Parte dei 15.000 uomini dello shogunato era stata addestrata da
consiglieri militari francesi, ma la maggior parte consisteva nei
tradizionali samurai, dotati di armi obsolete. Le forze di Chōshū e
Satsuma erano sopravanzate di 3 a 1, ma avevano a disposizione
equipaggiamenti più moderni. Dopo un inizio inconcludente, il
secondo giorno di battaglia l'imperatore diede il suo stendardo
ufficiale alle truppe di Chōshū e Satsuma e nominò generale in
capo il proprio parente Komatsumiya Akihito (小松宮彰仁親王,
1846-1903), investendo le sue forze del titolo ufficiale di esercito
imperiale (官軍
kangun).
Diversi feudatari della zona, fino ad allora fedeli allo shogun,
si unirono all'esercito imperiale; tra questi vi furono il daimyo
di Yodo (淀藩), il 5 febbraio,
e quello di Tsu (津藩), il
giorno successivo, che fecero pendere la bilancia militare in favore
della fazione imperiale.
Il 7 febbraio, Tokugawa Yoshinobu,
contrariato dal consenso imperiale alle azioni di Satsuma e Chōshū,
abbandonò Osaka a bordo della nave da guerra Kanrin Maru,
ritirandosi a Edo. Demoralizzate dalla sua fuga e dal tradimento di
Yodo e Tsu, le forze dello shogunato si ritirarono, nonostante
avessero una superiorità numerica, che avrebbe loro permesso di
vincere la battaglia.
Il castello di Osaka, dal quale
Yoshinobu aveva diretto le proprie truppe, fu espugnato il 1º marzo,
mettendo fine alla battaglia di Toba-Fushimi.
Il 28 gennaio 1868 si svolse la
battaglia navale di Awa tra la marina dello shogunato e quella di
Satsuma. Fu la prima in Giappone tra flotte moderne, ebbe
un'incidenza minima sulle sorti del conflitto e fu vinta dalle forze
dello shogunato.
Appoggio
occidentale a Meiji
Sul fronte diplomatico, i ministri
delle nazioni straniere, raccolti nel porto aperto di Hyogo (Kōbe)
dall'inizio di febbraio, emisero una dichiarazione congiunta nella
quale lo shogunato veniva ancora considerato il solo governo
legittimo del Giappone, dando la speranza a Tokugawa Yoshinobu che i
loro governi, in particolare quello francese, avrebbero potuto
intervenire in suo favore. Pochi giorni dopo, una delegazione
imperiale visitò i ministri dichiarando che lo shogunato era stato
abolito, che i porti sarebbero stati aperti in conformità ai
trattati internazionali e che gli ospiti stranieri sarebbero stati
protetti. I ministri riconobbero quindi il nuovo governo.
Il diffondersi nel Paese di sentimenti
xenofobi fu alla base dei molti attacchi operati contro gli stranieri
nei mesi successivi. L'8 marzo 1868, undici marinai francesi della
corvetta Dupleix furono uccisi da samurai della Provincia di
Tosa sulle strade di Kyoto.
Resa di Edo
A partire da febbraio, con l'aiuto
dell'ambasciatore francese Léon Roches, fu formulato un piano per
fermare l'avanzata delle truppe imperiali a Odawara, l'ultimo punto
strategico prima dell'ingresso a Edo, ma Yoshinobu fu contrario al
piano e Roches presentò le dimissioni. All'inizio di marzo, sotto
l'influenza del ministro britannico Harry Parkes, le nazioni
straniere firmarono un patto di stretta neutralità, accordandosi che
non sarebbero intervenute e non avrebbero consegnato forniture
militari a nessuna delle due fazioni fino alla risoluzione del
conflitto.
Saigō Takamori condusse
vittoriosamente le forze imperiali nel Giappone settentrionale e
orientale, vincendo la battaglia di Koshu-Katsunuma. Circondò Edo
nel maggio 1868 e costrinse alla resa incondizionata Katsu Kaishu,
ministro dell'esercito dello Shogun. Alcuni gruppi
continuarono a combattere dopo la resa, ma furono sconfitti nella
battaglia di Ueno. Il comandante in capo della marina dello Shogun,
Enomoto Takeaki, si rifiutò di consegnare le navi e fuggì a nord
con i resti della marina (otto corazzate a vapore): Kaiten,
Banryū, Chiyodagata, Chōgei, Kaiyō Maru, Kanrin Maru, Mikaho e
Shinsoku) e 2.000
marinai, nella speranza di organizzare un contrattacco insieme con i
daimyo settentrionali. Fu accompagnato da una manciata di
consiglieri militari francesi (tra cui Jules Brunet), che avevano
dato rassegnato formali dimissioni dall'esercito francese per
accompagnare i ribelli.
Resistenza della Coalizione Settentrionale
Dopo la resa di Yoshinobu, la maggior
parte del Giappone accettò il governo dell'imperatore, ma un nucleo
di sostenitori dello shogunato, condotti dal clan di Aizu, continuò
la resistenza nel settentrione. In maggio, diversi daimyo
settentrionali dei feudi di Sendai, Yonezawa, Aizu, Shonai e Nagaoka,
per un totale di circa 50.000 truppe, si allearono nella
Coalizzazione Settentrionale (奥羽越列藩同盟
Ouetsu Reppan
Domei), per
opporsi alle truppe imperiali.
Sebbene la Coalizione Settentrionale
fosse numerosa, era male equipaggiata e si affidava a metodi di
combattimento essenzialmente tradizionali. Gli armamenti moderni
erano scarsi e si tentò all'ultimo momento di costruire cannoni in
legno, rinforzati con corde, per sparare proiettili di pietra. Questi
cannoni, installati su postazioni difensive, potevano sparare solo
quattro o cinque proiettili, prima di disfarsi. Il daimyo di
Nagaoka riuscì a procurarsi due delle tre mitragliatrici Gatling
esistenti allora in Giappone, così come 2.000 fucili francesi
moderni e, nella battaglia di Hokuetsu del maggio 1868, inflisse
pesanti perdite alle truppe imperiali che attaccavano il suo
castello. Malgrado la resistenza offerta, il castello capitolò l'8
luglio. Dopo questa importante vittoria, l'esercito imperiale si
assicurò il controllo di tutta la costa affacciata sul mare del
Giappone, costringendo quello che restava delle forze della
coalizione a rifugiarsi a est.
Le truppe imperiali continuarono ad
avanzare, sconfiggendo il 6 ottobre nella battaglia del passo Bonari
le residue forze nemiche composte da 700 uomini, tra cui i membri
della Shinsengumi e della Denshutai, i corpi scelti dello shogunato.
La nuova sconfitta costrinse i superstiti a dirigersi a nord per
unirsi alla flotta del Bakufu, comandata da Enomoto Takeaki, che
aveva raggiunto il porto di Sendai il 26 agosto. Con il crollo della
coalizione, il 12 ottobre 1868 la flotta lasciò Sendai per
l'Hokkaidō, dopo aver acquisito le navi Oe-大江
e Hou-Ou, precedentemente prestate dal feudo di Sendai
allo shogunato, e circa 1.000 altre truppe che comprendevano quanto
restava della Denshutai, al comando di Otori Keisuke, della
Shinsengumi, al comando di Hijikata Toshizo e di Yugekitai al comando
di Katsutaro Hitomi, così come numerosi altri consiglieri militari
francesi (Fortant, Garde, Marlin, Bouffier).
Le forze imperiali, ormai padrone della
situazione, mossero quindi alla conquista del castello di
Aizuwakamatsu, dove le forze del Dominio di Aizu erano rimaste le
sole a combattere per lo shogun nell'isola di Honshu, trovandosi
isolate a respingere l'attacco. La battaglia di Aizu ebbe inizio in
ottobre e, dopo un mese di combattimenti, il castello capitolò il 6
novembre. L'evento spinse il corpo di giovani guerrieri Byakkotai
("Corpo della Tigre Bianca") a commettere un suicidio di
massa. Dopo che i suoi vertici si arresero, il Dominio di Aizu cessò
di esistere, a oltre due secoli dalla fondazione, e i samurai
sopravvissuti furono deportati come prigionieri di guerra. La
capitale Edo fu ribattezzata Tokyo il 26 ottobre, data che segna
l'inizio dell'Era Meiji.
Campagna dell'Hokkaidō
Repubblica di Ezo
In seguito alla sconfitta nell'Honshu,
le ultime forze dello shogunato, guidate dall'ammiraglio Enomoto
Takeaki, fuggirono nell'Hokkaidō, dove il 25 dicembre proclamarono
la fondazione della Repubblica di Ezo, l'unica mai esistita in
Giappone, sull'esempio del modello statunitense ed Enomoto ne fu
eletto presidente con una larga maggioranza. La repubblica tentò di
stabilire contatti con le legazioni straniere di Hakodate, tra cui
quelle di Stati Uniti, Francia e Russia, ma non riuscì a raccogliere
nessun sostegno o riconoscimento internazionale. Enomoto offrì allo
shogun Tokugawa il territorio della repubblica, posta sotto il
controllo del governo imperiale, ma la proposta fu declinata dal
Consiglio Imperiale Governante.
Durante l'inverno, le difese intorno
alla penisola meridionale di Hakodate furono fortificate e al centro
fu eretta la nuova fortezza di Goryokaku. Le truppe furono
organizzate con un comando franco-giapponese: il comandante in capo
fu Otori Keisuke, assistito dal suo vice, il capitano francese Jules
Brunet. Al loro comando c'erano quattro brigate, ognuna comandata da
un ufficiale francese (Fortant, Marlin, Cazeneuve, Bouffier) e divisa
in due semibrigate poste sotto il comando giapponese.
Sconfitta e
resa finale
Il 20 marzo, la Marina Imperiale
raggiunse il porto di Miyako, ma, anticipandone l'arrivo, i ribelli
di Ezo organizzarono un audace piano per impossessarsi della nuova
potente nave da guerra Kotetsu. Tre navi da guerra furono
inviate per un attacco a sorpresa, in quella che divenne nota come
battaglia navale di Miyako. A causa del maltempo, di problemi a un
motore e al decisivo uso di una mitragliatrice Gatling contro le
squadre di abbordaggio, la battaglia terminò con la vittoria
imperiale.
Le forze imperiali consolidarono
rapidamente il loro controllo delle isole principali e nell'aprile
1869 inviarono contro Ezo la flotta, con una forza di fanteria di
7.000 uomini, incominciando la battaglia di Hakodate. Le forze
imperiali vinsero il confronto, che fu la prima battaglia navale
giapponese su larga scala tra marine moderne. Circondarono poi la
fortezza di Goryokaku in cui rimanevano soli 800 difensori. Sebbene
Enomoto avesse deciso di combattere fino alla fine e avesse inviato i
suoi oggetti di valore al suo avversario perché fossero tenuti al
sicuro), Otori lo convinse che arrendersi e sopravvivere alla
sconfitta era la scelta veramente coraggiosa: «Se veramente vuoi
morire puoi farlo in qualunque momento». Enomoto si arrese il 18
maggio 1869 e accettò il governo dell'imperatore Meiji. La
Repubblica cessò di esistere il 27 giugno 1869.
Conseguenze
Perdono
e occidentalizzazione
Successivamente alla vittoria, il nuovo
governo proseguì nell'unificazione del Paese sotto un unico,
legittimo e potente governo imperiale. Fu progressivamente esautorato
il potere politico e militare dei vari feudi, che furono trasformati
in prefetture (abolizione del sistema han) e a molti samurai furono
assegnate responsabilità amministrative. Grazie al ruolo decisivo
che ebbero nel vittorioso conflitto, i daimyo di Satsuma,
Chōshū e Tosa occuparono per decenni i posti chiave nel governo,
una situazione a volte definita oligarchia Meiji e formalizzata con
l'istituzione del Genrō.
I principali sostenitori dello shogun
furono imprigionati in attesa di giudizio e riuscirono in seguito a
evitare la pena capitale grazie all'insistenza di Saigo Takamori e
Iwakura Tomomi, consigliati dall'inviato britannico Parks. Secondo
alcune fonti, quest'ultimo disse a Saigo: «...la severità verso
Keiki Yoshinobu e i suoi sostenitori, soprattutto riguardo alle
punizioni personali, avrebbe danneggiato la reputazione del nuovo
governo presso le potenze europee». Dopo due o tre anni, la maggior
parte fu liberata e chiamata a servire nel nuovo governo, dove alcuni
ebbero brillanti carriere; l'ammiraglio Enomoto Takeaki, precedente
leader delle forze dello shogunato, divenne inviato
diplomatico in Russia e in Cina e ministro dell'Educazione.
La fazione imperiale non perseguì
l'iniziale obiettivo di espellere gli interessi stranieri in
Giappone, ma assunse invece una politica più progressista, mirata
alla radicale modernizzazione del Paese e alla successiva
rinegoziazione dei trattati ineguali con le potenze straniere, sotto
il motto Ricca nazione, forte esercito (富国強兵
fukoku kyōhei).
Questo cambiamento avvenne durante le prime fasi della guerra civile:
l'8 aprile 1868 furono esposti cartelli a Kyoto (e successivamente in
tutto il Paese) che ripudiavano la violenza contro gli stranieri.
Durante il conflitto, l'imperatore Meiji ricevette personalmente gli
inviati europei, prima a Kyoto e in seguito a Osaka e Tokyo.
Particolare fu l'accoglienza riservata al duca Alfredo di
Sassonia-Coburgo-Gotha, che l'imperatore definì come «suo pari
di sangue».
All'inizio dell'Era Meiji si distesero
le relazioni tra la corte imperiale e i poteri stranieri, ma i
rapporti con i francesi si irrigidirono a causa del sostegno che
questi avevano dato allo shogun. Una seconda missione militare
francese fu comunque inviata in Giappone nel 1874 e una terza nel
1884. Una stretta collaborazione riprese nel 1886, quando la Francia
aiutò il Giappone a costruire la sua prima marina moderna, sotto la
direzione dell'ingegnere navale Louis-Émile Bertin. La
modernizzazione del Paese era già stata diffusamente incominciata
durante gli ultimi anni dello shogunato (il periodo "Bakumatsu")
e il governo Meiji adottò infine la stessa politica, che fu in grado
di mobilitare più efficientemente l'intera nazione verso la
modernizzazione.
Dopo la sua incoronazione, Meiji
promulgò il Giuramento dei cinque articoli, che promuoveva la
costituzione di assemblee deliberative, prometteva nuove opportunità
per i sudditi, aboliva le «malvagie tradizioni del passato» e
promuoveva la conoscenza nel mondo «per rinforzare le fondamenta del
governo imperiale.» Tra le importanti riforme del governo Meiji vi
fu l'abolizione del sistema han nel 1871, che rimpiazzò i domini
feudali e i loro governanti ereditari con l'istituzione di prefetture
guidate da governatori incaricati dall'imperatore. Fu introdotta
l'istruzione obbligatoria e abolite le distinzioni di classe. Le
riforme culminarono con l'emanazione della Costituzione Meiji nel
1889.
Nonostante il sostegno dato alla corte
imperiale, i samurai furono penalizzati da molte delle prime riforme
Meiji: la creazione di un esercito di coscritti tratti dalle classi
comuni, così come la perdita dei privilegi e degli stipendi
ereditari, inimicarono al governo buona parte dei samurai. Le
tensioni erano particolarmente acute nel sud e portarono alla
ribellione di Saga del 1874 e alla ribellione di Chōshū nel 1876.
Ex-samurai di Satsuma, guidati da Saigo Takamori, che aveva lasciato
gli incarichi governativi in opposizione alle politiche di apertura
verso gli stranieri, incominciarono la ribellione di Satsuma nel
1877. Combattendo per il mantenimento della classe dei samurai e per
un governo più virtuoso, il loro slogan fu «Nuovo governo, alta
moralità» (新政厚徳
Shinsei Kōtoku).
Alla fine subirono un'eroica ma decisiva sconfitta nella battaglia di
Shiroyama.
Successive descrizioni della guerra
Nei testi moderni la restaurazione
Meiji viene spesso descritta come una rivoluzione senza spargimenti
di sangue, che condusse alla modernizzazione del Giappone. In realtà,
per la guerra Boshin furono mobilitate 120.000 truppe e vi furono
circa 3.500 morti. Oltre alle armi e alle tecniche di guerra
tradizionali, entrambe le fazioni utilizzarono armamenti, incluse
corazzate e mitragliatrici Gatling e tecniche di combattimento
moderne apprese dai consiglieri militari stranieri.
Le successive descrizioni giapponesi
della guerra tendono a essere romanticizzate, mostrando la fazione
pro-shogun che combatte con metodi tradizionali, contro una fazione
imperiale già modernizzata. In Giappone sono state realizzate
diverse opere sulla guerra Boshin. Jirō Asada ne ha tratto un
romanzo in quattro volumi Mibu Gishi-den. Basati sul romanzo
sono stati tratti un film diretto da Yōjirō Takita, Quando
l'ultima spada è estratta (壬生義士伝
Mibu gishi den)
e un programma televisivo della durata di dieci ore con protagonista
Ken Watanabe.
Il film del 2003 L'ultimo samurai
combina in un unico racconto situazioni narrative appartenenti sia
alla guerra Boshin sia alla ribellione di Satsuma del 1877. Le
sequenze del film pertinenti la prima modernizzazione delle forze
militari giapponesi, così come il diretto coinvolgimento di
stranieri (soprattutto francesi) sono correlate alla guerra Boshin e
ai pochi anni che la precedettero. La resistenza suicida delle forze
samurai tradizionali condotte da Saigō Takamori contro l'esercito
imperiale modernizzato sono invece relative alla successiva
Ribellione Satsuma.
L'espansione Tramonto dei Samurai
del gioco Total War: Shogun 2 tratta proprio di questo
periodo. Essendo una simulazione di guerra estremamente realistica,
entrambe le fazioni sono modernizzate.
Il manga Kenshin samurai vagabondo
fa riferimenti alla guerra Boshin; il protagonista, che è un noto
samurai di Satsuma, l'ha combattuta e diversi personaggi
realmente esistenti dell'epoca appaiono sia nei flashback sia
nelle vicende dell'era Meiji, come Saito Hajime e Yamagata Aritomo.