martedì 25 giugno 2019

Trentasei stratagemmi

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I Trentasei stratagemmi sono un trattato di strategia militare cinese che descrive una serie di astuzie usate in guerra, in politica e nella vita sociale, spesso tramite mezzi non ortodossi e ingannevoli. Il testo è stato scritto probabilmente durante la Dinastia Ming (1366-1610).


Scoperta e storia del testo
Nel 1939 in un mercato dello Shaanxi nella Cina del nord, un ufficiale del Guomindang scopre un libro di ricette sull'immortalità. Alla fine dell'opera si trova un breve trattato di strategia militare intitolato I Trentasei Stratagemmi. Il testo fu pubblicato da un editore locale nel 1941, ma divenne di dominio pubblico con la revisione pubblicata dal Partito Comunista Cinese sul giornale Guangming Daily (光明日報/光明日报) il 16 settembre 1961. Fu quindi ristampata e distribuita con popolarità crescente.


Origine
Il nome della raccolta deriva dal settimo volume del Libro dei Qi: Biografia di Wáng Jìngzé (王敬則傳/王敬则传). Wáng era un generale della Dinastia Qi del Sud (479-502). In seguito ad una ribellione, l'erede al trono era fuggito. Wáng commentò che «dei trentasei stratagemmi di Tán, la ritirata era il suo meglio». Il riferimento era a Tan Daoji (?-436), un generale al servizio della Dinastia Liu Song (420-479) che fu costretto alla ritirata dopo aver fallito un attacco contro i Wei del nord. Wáng lo cita come esempio di codardia.


Autore
I Trentasei Stratagemmi sono stati attribuiti a Sun Tzu del Periodo delle primavere e degli autunni (770 a.C.-495 a.C.), oppure a Zhuge Liang del Periodo dei Tre Regni (220-280), ma non sono considerati i veri autori. L'opinione prevalente è che in origine il testo fosse una raccolta scritta e orale, con molte versioni differenti create da differenti autori durante il trascorrere dei secoli. Alcuni stratagemmi si riferiscono al tempo di Sun Bin, circa 150 anni dopo la morte di Sun Tzu.


Influenze letterarie
La raccolta è ispirata all'I Ching o Libro delle Mutazioni e alla filosofia legista. Il testo presenta influenze profonde di altre opere di primo piano della letteratura cinese come le favole di Han Fei Zi, la Storia dei Tre Regni e i proverbi Chengyu che fanno da titolo ai capitoli del trattato.


Struttura del testo
Il testo si apre con una breve introduzione intitolata "Sei per sei: trentasei" ed è diviso in sei capitoli a loro volta suddivisi in sei sottocapitoli. I primi tre capitoli descrivono stratagemmi per situazioni favorevoli, gli ultimi tre descrivono stratagemmi per situazioni sfavorevoli. Ogni proverbio è seguito da un breve commento che descrive come il proverbio sia applicabile alle tattiche militari. I trentasei proverbi sono collegati a trentasei battaglie della storia e del folklore cinese, in prevalenza del Periodo degli stati combattenti e dei Tre Regni.

Introduzione. Sei per sei: trentasei (六六三十六)
Il numero "trentasei" va inteso come una metafora per indicare un gran numero di stratagemmi e non si riferisce ad un numero specifico. Nell'I Ching il "sei" è il numero dello Yin, associato all'oscurità e in questa opera si riferisce, per estensione, ai metodi oscuri della strategia militare. I trentasei proverbi probabilmente sono stati creati dopo i fatti e l'opera è stata tramandata con il titolo "I detti di Wáng".


Capitolo 1. Piani per le battaglie già vinte (勝戰計)
1.1 Attraversa il mare senza che il cielo lo sappia (瞞天過海/瞒天过海, Mán tiān guò hai)
Preparati troppo e perdi la visione d'insieme; quello che vedi spesso non lo metti in dubbio. Yin (l'arte dell'inganno) è nello Yang (azione). Troppo Yang (trasparenza) nasconde Yin (vere astuzie).

Questo stratagemma si riferisce ad un episodio del 643, quando l'imperatore Tai Zong di Tang, rinunciò ad attraversare il mare per attaccare Goguryeo. Il suo generale Xue Rengui escogitò uno stratagemma per alleviare la paura della nausea dell'imperatore: in una giornata soleggiata, l'imperatore fu invitato ad incontrare un saggio. Attraverso una scura galleria giunsero in una sala dove si svolse un banchetto. Dopo molti giorni, l'imperatore ascoltò il suono delle onde e capì di trovarsi su una nave. Il generale Xue aprì le tende che coprivano la vista del mare e confessò che ormai lo avevano attraversato. L'imperatore allora decise di proseguire e alla fine concluse una campagna militare vittoriosa.

1.2 Assedia Wèi per salvare Zhào (圍魏救趙/围魏救赵, Wéi Wèi jiù Zhào)
Quando il nemico è troppo forte per essere attaccato direttamente, allora attacca qualcosa a lui caro. Sappi che non può essere invincibile. Da qualche parte deve avere un punto debole che può essere attaccato.

L'origine di questo proverbio risale al Periodo degli stati combattenti. Lo stato di Wèi attaccò Zhao e assediò la sua capitale Handan. Zhào chiese aiuto a Qí, ma Sun Bin, generale Qí, considerò una cosa da stolti affrontare l'esercito di Wèi direttamente, così attaccò invece la loro capitale Daliang. L'esercito di Wèi si ritirò disordinatamente e le truppe stanche caddero in un'imboscata e furono sconfitte nella Battaglia di Guiling, dove Pang Juan, generale di Wèi, fuggì dal campo di battaglia. Si noti che questa campagna è esplicitamente descritta nell'Arte della Guerra di Sun Bin.

1.3 Uccidi con una spada presa in prestito (借刀殺人/借刀杀人, Jiè dāo shā rén)
Attacca usando la forza di un altro. Spingi un alleato ad attaccare il nemico, corrompi un ufficiale o usa la forza del nemico contro di esso.

1.4 Attendi riposandoti mentre il nemico si fiacca (以逸待勞/以逸待劳, Yǐ yì dài láo)
È vantaggioso scegliere il momento e il luogo della battaglia. In questo modo sai quando la battaglia avrà luogo, mentre il tuo nemico no. Incoraggia il nemico a spendere le sue energie in ricerche inutili mentre tu conservi la tua forza. Quando è esausto e confuso, attacca energicamente e di proposito.

1.5 Saccheggia una casa che brucia (趁火打劫, Chèn huǒ dǎ jié)
Quando un paese è sconvolto da conflitti interni, quando pestilenza e carestia devastano la popolazione, quando corruzione e crimine sono dilaganti, allora sarà incapace di affrontare una minaccia esterna. Questo è il momento per attaccare.

1.6 Rumore ad est, attacco ad ovest (聲東擊西/声东击西, Shēng dōng jí xī)
In ogni battaglia l'elemento sorpresa può fornire un vantaggio schiacciante. Attacca il nemico dove meno se lo aspetti. Usa un diversivo per creare un'aspettativa nella sua mente.
L'idea è far concentrare le forze del nemico in un luogo e attaccare un punto poco difeso.


Capitolo 2: Piani per le battaglie indecise (敵戰計)
2.1 Crea qualcosa dal nulla (無中生有/无中生有, Wú zhōng shēng yǒu)
Fai credere al nemico che ci sia qualcosa quando in realtà non c'è niente.
Un metodo è creare l'illusione che qualcosa esista, mentre non esiste affatto. Un altro metodo è creare l'illusione che qualcosa non esista, mentre in realtà esiste.

2.2 Ripara pubblicamente la galleria, ma intrufolati attraverso il passaggio di Chengan (明修棧道,暗渡陳倉/明修栈道,暗渡陈仓, Míng xiū zhàn dào, àn dù chén cāng)
Inganna il nemico con un approccio ovvio che richiederà molto tempo, allora lo sorprenderai prendendo una scorciatoia. Mentre il nemico concentra l'attenzione dove hai voluto, non si accorgerà che gli starai addosso.
La frase trae origine dalla contesa Chu-Han, dove Liu Bang si ritirò nello Sichuan per prepararsi allo scontro con Xiang Yu. Una volta pronto, Liu Bang inviò uomini per riparare pubblicamente le gallerie che aveva distrutto, mentre muoveva segretamente le sue truppe verso Guanzhong attraverso la cittadina di Chencang. Quando Xiang Yu seppe che Liu Bang stava riparando le gallerie, pensò che non c'era più pericolo poiché i lavori di riparazione sarebbero durati anni. Questo permise Liu Bang di riprendere Guanzhong di sorpresa e alla fine portò alla sua vittoria su Xiang Yu e alla nascita della Dinastia Han.

2.3 Guarda il fuoco dall'altra riva (隔岸觀火/隔岸观火, Gé àn guān huǒ)
Ritarda l'entrata in battaglia fino a quando tutti i contendenti si sono logorati combattendosi a vicenda. Allora attacca con tutta la forza e raccogli i pezzi.

2.4 Nascondi una spada dietro un sorriso (笑裏藏刀/笑里藏刀, Xiào lǐ cáng dāo)
Incanta e ingraziati il nemico. Quando hai guadagnato la sua fiducia, muovi contro di lui in segreto.

2.5 Sacrifica il pruno per salvare il pesco (李代桃僵, Li dài táo jiāng)
Ci sono circostanze nelle quali devi sacrificare obiettivi a breve termine per ottenere lo scopo a lungo termine. Trova il capro espiatorio affinché tutti gli altri non soffrano le conseguenze.

2.6 Cogli l'opportunità di rubare la capra (順手牽羊/顺手牵羊, Shùn shǒu qiān yáng)
Mentre porti avanti i tuoi piani, sii sufficientemente flessibile per avvantaggiarti di ogni opportunità che si presenti, anche minima, e giovatene per trarne profitto, per quanto trascurabile.


Capitolo 3: Piani per attaccare (攻戰計)
3.1 Batti l'erba per spaventare il serpente (打草驚蛇/打草惊蛇, Dá cǎo jīng shé)
Compi qualcosa di inusuale ma spettacolare per provocare la risposta del nemico, affinché riveli i suoi piani o la sua posizione, oppure provocalo solamente.
Conosciuto maggiormente come "Non spaventare il serpente battendo l'erba". Un'azione imprudente svelerà la tua posizione o le tue intenzioni al nemico.

3.2 Prendi a prestito un cadavere per risuscitare lo spirito (借屍還魂/借尸还魂, Jiè shī huán hún)
Prendi un'istituzione, una tecnologia, un metodo o anche un'ideologia che è stata dimenticata o scartata e appropriatene per il tuo scopo. Riporta in vita qualcosa dal passato, idee, usi, tradizioni, dandogli un nuovo scopo o reinterpretandoli secondo i tuoi scopi.

3.3 Costringi la tigre a lasciare la sua tana di montagna (調虎離山/调虎离山, Diào hǔ lí shān)
Non attaccare direttamente il nemico che ha una posizione favorevole. Invece spingilo a lasciare la sua posizione favorevole così da separarlo dalla sua fonte di forza.

3.4 Per catturare, bisogna allentare (欲擒故縱/欲擒故纵, Yù qín gū zòng)
Prede chiuse in un angolo spesso lanciano un ultimo disperato attacco. Per evitarlo lascia credere al nemico che abbia una possibilità di libertà. La sua volontà di combattere è così indebolita dal desiderio di fuga. Quando alla fine il nemico comprenderà che la libertà è impossibile, il suo morale sarà abbattuto e si arrenderà senza combattere.

3.5 Getta un mattone per ottenere una gemma di giada (拋磚引玉/抛砖引玉, Pāo zhuān yǐn yù)
Alletta qualcuno facendogli credere di guadagnare qualcosa o fallo solo reagire all'idea, e ottieni qualcosa di importante da lui in cambio.
Questo proverbio si basa sulla storia di due famosi poeti della Dinastia Tang. C'era un grande poeta chiamato Zhao Gu e un poeta inferiore di nome Chang Jian. Mentre Chang Jian era in viaggio per Suzhou, seppe che Zhao Gu avrebbe fatto visita ad un tempio del luogo. Chang Jian desiderava imparare dal maestro e così ideò un piano: si recò al tempio in anticipo e poi scrisse una poesia sui muri del tempio con solo due versi su quattro completi, sperando che Zhao Gu lo avrebbe visto e terminato. E così avvenne.

3.6 Sconfiggi i nemici catturando il loro capo ((擒賊擒王/擒贼擒王, Qín zéi qín wáng)
Se l'esercito nemico è forte ma è legato al comandante solo per denaro, superstizione o minacce, allora concentrati sul capo. Se il comandante cade, il resto dell'esercito si disperderà o passerà dalla tua parte. Se invece sono legati al capo per lealtà, allora fai attenzione: l'esercito può continuare a combattere dopo la sua morte per vendicarlo.


Capitolo 4: Piani per le battaglie dalle molteplici possibilità (混戰計)
4.1 Rimuovi la legna da sotto il calderone (釜底抽薪, Fǔ dǐ chōu xīn)
Se qualcosa deve essere distrutto, allora distruggi la fonte.

4.2 Disturba l'acqua per catturare il pesce (渾水摸魚/浑水摸鱼 or 混水摸鱼, Hún shuǐ mō yú)
Crea confusione e usala per favorire i tuoi fini.

4.3 Muta la pelle dello scarabeo d'oro (金蟬脱殼/金蝉脱壳, Jīn chán tuō qiào)
Per scappare da un nemico dalle forze superiore, mascherati.

4.4 Chiudi la porta per catturare il ladro (關門捉賊/关门捉贼, Guān mén zhuō zéi)
Per catturare il nemico, devi pianificare con prudenza se vuoi riuscire. Non precipitarti nell'azione. Prima di muoverti, taglia le vie di fuga al nemico e ogni via di aiuto che possa giungergli da fuori.

4.5 Alleati con uno stato distante mentre attacchi uno vicino (遠交近攻/远交近攻, Yuǎn jiāo jìn gōng)
Le nazioni confinanti diventano nemiche, mentre le nazioni separate da grandi distanze stringono lunghe alleanze. Quando sei il più forte in un campo, la tua più grande minaccia proviene dal secondo più forte nel tuo campo, non dal più forte in un altro campo.
Questa politica è attribuita a Fan Sui di Qin (ca. 269 a.C.)

4.6 Ottieni un passaggio sicuro per conquistare Guo (假道伐虢, Jiǎ dào fá Guó)
Prendi a prestito le risorse di un alleato per attaccare un nemico comune. Una volta che il nemico è sconfitto, usa queste risorse contro l'alleato che te l'ha prestate.
Il proverbio si riferisce al duca Xian di Jin.


Capitolo 5: Piani per le battaglie di annessione (並戰計)
5.1 Sostituisci le travi con legno marcio (偷梁換柱/偷梁换柱, Tōu liáng huàn zhù)
Scompiglia la formazione nemica, interferisci nei loro metodi operativi, cambia le regole che sono soliti seguire, vai contro il loro addestramento regolare. In questo modo rimuovi la colonna portante, il legame comune che rende un gruppo di uomini una forza di combattimento coesa.

5.2 Punta al gelso mentre maledici l'acacia (指桑罵槐/指桑骂槐, Zhǐ sāng mà huái)
Per disciplinare, controllare o avvertire gli altri che sono in una posizione che esclude dal confronto diretto, fai analogie e allusioni. Quando i nomi non sono usati direttamente, chi è accusato non può rivalersi senza svelare la propria complicità.

5.3 Fingiti pazzo ma resta equilibrato (假痴不癲/假痴不癫, Jiǎ chī bù diān)
Nasconditi dietro la maschera dell'idiota, dell'ubriaco o del pazzo per creare confusione sulle tue intenzioni e motivazioni. Spingi il nemico a sottovalutare la tua abilità finché, presuntuosamente, abbasserà la guardia. Allora attaccalo.

5.4 Rimuovi la scala quando il nemico è salito sul tetto (上屋抽梯, Shàng wū chōu tī)
Con esche e inganni spingi il nemico su un terreno infido. Allora taglia le sue linee di comunicazione e vie di fuga. Per salvarsi deve combattere contro le tue forze e gli elementi della natura.

5.5 Adorna l'albero con fiori finti (樹上開花/树上开花, Shù shàng kāi huā)
Legare fiori di seta ad un albero morto dà l'illusione che l'albero sia in salute. Attraverso l'uso di artifici e travestimenti, rendi qualcosa di nessun valore importante, qualcosa di innocuo pericolo, qualcosa di utile inutile.

5.6 Scambia i ruoli dell'ospite e dell'invitato (反客為主/反客为主, Fǎn kè wéi zhǔ)
Impadronisciti del comando in una situazione dove sei di solito subordinato. Infiltrati nel campo avversario. All'inizio fingi di essere un invitato, ma cresci dall'interno e diventa in seguito il padrone.


Capitolo 6: Piani per le battaglie disperate (敗戰計)
6.1 La trappola della bella (美人計/美人计, Měi rén jì)
Invia al tuo nemico belle donne per generare discordia nel suo campo. Questo stratagemma può lavorare su tre livelli. Primo: il governante si innamora della bella donna e trascura i suoi doveri e allenta la vigilanza. Secondo: altri uomini a corte inizieranno a mostrare un atteggiamento aggressivo che infiamma piccole differenze ostacolando la cooperazione e distruggendo il morale. Terzo: altre donne a corte, motivate dalla gelosia e dall'invidia, cominciano ad ordire intrighi esacerbando ulteriormente la situazione.

6.2 La strategia del forte vuoto (空城計/空城计, Kōng chéng jì)
Quando il nemico è superiore di numero e ti aspetti di essere sopraffatto in qualsiasi momento, allora lascia cadere i preparativi e agisci con calma, così il nemico penserà che gli stai tendendo una trappola. Questo stratagemma deve essere usato con parsimonia e solo dopo aver sviluppato una reputazione di prodezza militare. Questo dipende anche dall'intelligenza del nemico che, intuendo una trappola, può progettare la sua reazione.

6.3 La trappola dell'agente doppio (反間計/反间计, Fǎn jiàn jì)
Mina la capacità del nemico di combattere causando segretamente discordia tra lui e i suoi amici, alleati, consiglieri, familiari, comandanti, soldati e popolazione. Mentre è occupato a comporre le dispute interne, la sua capacità di attacco o di difesa è compromessa.

6.4 Ferisciti per avere la fiducia del nemico (苦肉計/苦肉计, Kǔ ròu jì)
Fingere di essere feriti ha due possibili applicazioni. Primo: il nemico allenta la guardia poiché non ti considera più una minaccia immediata. Secondo: è un modo per ingraziarti il nemico fingendo che la ferita è stata causata da un nemico comune.

6.5 Stratagemmi intrecciati (連環計/连环计, Lián huán jì)
Nelle questioni importanti uno dovrebbe usare diversi stratagemmi contemporaneamente come una catena di stratagemmi. Tieni piani differenti operanti in uno schema generale. In questo modo se uno stratagemma fallisce, la catena si rompe e tutto lo schema fallisce.

6.6 Se tutto fallisce, ritirata (走為上/走为上, Zǒu wéi shàng)
Se diventa evidente che il susseguirsi degli eventi porterà alla sconfitta, allora ritirati e riorganizzati. Quando la tua parte sta perdendo, rimangono solo tre scelte da prendere: arrendersi, trovare un accordo, o scappare. La resa è la sconfitta completa, l'accordo è mezza sconfitta, ma la fuga non è sconfitta. Fino a quando non sei sconfitto, hai ancora una possibilità.




Nakano Takeko


In Giappone c’è una lunga tradizione di donne combattenti che hanno segnato la storia, le tradizioni e la cultura di quel paese.
Una di queste è Nakano Takeko. Nata nel 1847 a Edo, capitale del nascente Giappone moderno, fu istruita al combattimento e alle arti letterarie. Fu adottata dal suo maestro Akaoko Daisuke con cui lavorò come istruttore di arti marziali.
Entrò nel clan Aizu e subito si distinse per la sua bravura nel maneggiare la naginata. Durante la battaglia che porta il nome del suo clan di appartenenza le fu concesso l’onore di comandare un esercito totalmente femminile che agiva in modo autonomo rispetto all’esercito di Aizu poichè le donne non potevano far parte dell’esercito ufficiale.
Durante la seconda guerra Boshin, Nakano Takeko combattè con grande coraggio col suo clan a supporto dello Shogun. Sfondando le linee nemiche e uccidendo molti uomini. Fu colpita al petto da una freccia. A quel punto chiese a sua sorella Yuko di portare a termine il giuramento che si erano fatte. Takeko fece promettere a Yuko che se fosse stata colpita a morte lei avrebbe dovuto tagliarle la testa e riportarla a casa per poter essere adeguatamente onorata.Così fu fatto.
Nakano Takeko morì nel 1868, nella guerra tra l’Imperatore e lo Shogunato che decretò la sconfitta di quest’ultimo e la decadenza dei samurai.
Ancora oggi, nella città di Aizu, Nakano Takeko viene onorata in una processione in cui delle ragazze sfilano indossando la sua caratteristica hamaka a fasce bianche, in ricordo delle sue gesta e di quelle dell’Esercito femminile da lei guidato.

lunedì 24 giugno 2019

IL KOR KAPTAN DI SAN STAE: L'AMMIRAGLIO LAZZARO MOCENIGO (1624-1657)

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La storia di Venezia è costellata da ammiragli, proveditor da mar e pure semplici sopracomiti capaci di rovesciare le sorti di una battaglia e portare alla vittoria la potentissima flotta della città lagunare. Nomi quali Antonio Zeno, Antonio Canal, Vincenzo Cappello, Carlo Zen e molti altri rifulgono nella storia della Serenissima, ma ben pochi hanno conseguito imprese coraggiose e al limiti della follia come Lazzaro Mocenigo.
Nato a Venezia il 9 luglio 1624, a San Stae, da Giovanni di Antonio, del ramo della Carità e da Elena di Antonmaria Bernardo, già vedova di Giorgio Contarini, Lazzaro Mocenigo non si sposò mai, nè si narra fosse stato mai trattenuto da affetti o interessi di studio, bensì dimostrò una dedizione quasi ascetica per la militanza marittima, e si dimostrò essere uno dei più coraggiosi ammiragli della Serenissima.
Allo scoppio dell'ennesima guerra contro i turchi, nel 1645, partì come Volontario nell'armata nel 1646, e, nominato vicegovernatore di galeazza a fine novembre del 1649, subito si distinse nello scontro di Nixia: sebbene colpito da una freccia turca al braccio sinistro e mutilato di un dito da un colpo di moschettata, il giovane continuò a combattere per l'intera giornata senza domandare cure ai compagni di bordo.
Nonostante una nomina come magistrato al Sale, presto Lazzaro s’imbarcò nuovamente, spinto dalla sua passione per il mare e per la guerra.
Lo si ritrova nel 1655 al comando di una galeazza, sotto gli ordini del proveditor d'Armata Francesco Morosini, alla spasmodica ricerca di uno scontro dinnanzi ai Dardanelli.
I rapporti con il suo superiore divennero tesi a causa dell'irruenza del Lazzaro, ma quando si giunse allo scontro, il 21 giugno, le ostilità tra i due lasciarono al posto alla lotta per la sopravvivenza, in una battaglia che si protrasse per 17 ore.
Lazzaro, disposte le navi nella prima insenatura dell’Ellesponto, investì le unità turche quando uscirono dallo stretto scompaginandone l’ordine e costringendo alla fuga lo stesso ammiraglio Mustafà: vi furono 3000 perdite tra i nemici e vennero presi molti cannoni, mentre le navi del Turco furono date alle fiamme e 3 vennero catturate. Nella consulta del 27, il giovane Mocenigo perorava un ulteriore attacco alle forze del Sultano, ma prevalse il parere di Morosini di procedere subito all’assedio di Malvasia.
Subentratogli nella carica Marco Bembo, continuò lo stesso a militare quale «venturiere» nella sultana (ossia un vascello di grandi dimensioni) S. Marco. Questa era tra le 66 unità schierate il 24 gennaio dal capitano generale da Mar Lorenzo Marcello a bloccare l’uscita dai Dardanelli. Il 23 giugno la flotta turca, forte di 94 unità, tentò, col favor del vento, di sfondare il blocco e la battaglia che ne seguì infuriò per 14 ore.
Stando a una relazione non ufficiale la squadra di Bembo si inoltrò sopravento e intercettò la rotta al Turco, gettando lo scompiglio tra le galere ammassate. La S. Marco con Lazzaro a bordo, che chiudeva il passo alle galee sottili nemiche, si ritrovò in mezzo alle navi in fuga. Per non soccombere alle maree nemiche e pure cannoneggiata, non poté riguadagnare il mare e toccò terra. Il suo capitano Giovanni Gottardo, prima che il nemico se ne impadronisse, decise di farla bruciare.
Ciò senza il consenso di Lazzaro, il quale, pur ferito da un colpo di moschetto a un occhio, non desistette dal combattere. A suo avviso, per quanto malandata, la nave era ricollocabile in mare; e, in effetti, Gottardo fu sottoposto a processo per la sua discutibile decisione,.
Fu a ogni modo una trionfale vittoria veneta: 10.000 turchi caduti e 5000 fatti prigionieri; 84 unità perse, alcune catturate, altre arse, altre affondate. Appena 3, di contro, le navi perse da Venezia, e tra questa la S. Marco; e appena 300 i caduti. Un successo strepitoso che era stato reso possibile anche grazie all'intraprendenza del Mocenigo, la cui nave nonostante un discutibile comando altrui, era riuscita a imbottigliare molti dei legni ottomani.
Imbarcato sulla capitana turca catturata, stracarica di trofei e di schiavi liberati, giunse il 1° agosto a Venezia, dove venne accolto dal festoso saluto di replicate cannonate a salve.
Qui – dove per tre giorni si cantò il Te Deum e per tre notti vi fu l’illuminazione a giorno – il Senato gli conferì il cavalierato di S. Marco e un collare del valore di 2000 ducati. E l’indomani il Maggior Consiglio lo promosse capitano generale da Mar.
Ripartito in novembre, il 20 dicembre giunse ad Argostoli, quindi il 26 febbraio 1657, si ricongiunse con l’armata di cui ora aveva il comando. Con 12 galee, si portò a Scio, base per le operazioni della caccia alle imbarcazioni turche. In quei mesi si trovò impegnato nella caccia alle sfuggenti navi ottomane, di cui ne catturò numerose e riuscì a vincere un contrattacco nella battaglia del canale di Scio.
Soprannominato dal nemico Kor Kaptan (ossia «capitano orbo»), in un rapporto del 19 maggio il Mocenigo esibì la cattura di 44 legni nemici mentre il giorno prima era avvenuta, quasi senza spargimento di sangue, la presa della piazza di Suazich, con considerevole bottino di polveri, munizioni e cannoni. Per Lazzaro era giunto il momento di puntare con una grande offensiva al Turco in difficoltà, da lui considerato allo sbando, con la flotta inattiva a Rodi, in parte vagante senza una strategia, in parte tremebonda «dentro de’ Castelli». Smanioso di un confronto definitivo, l'ammiraglio fece pressione per accelerare i tempi, insistendo sul fatto che l’ammiraglio ottomano, l’albanese Mehmed Köprülü, stesse allestendo una possente flotta adeguata a fronteggiare l’armata da lui capitanata. Se, da un lato, esprimeva il desiderio di prendere congedo, anche in ragione delle conseguenze della perdita dell’occhio, dall'altro lato voleva chiudere in bellezza, con un memorabile trionfo.
La flotta si spostò allora di fronte ai Dardanelli: contava, annoverando le maltesi e le pontificie, 68 unità, di contro alle 53 unità della flotta ottomana con circa 150 imbarcazioni minori. Questa, attestatasi ai Castelli, azzardò l’uscita dai Dardanelli, ma con l'unico risultato di aver perse 5 navi e 5 maone. Nel mentre, i venti compromisero la disposizione a semicerchio voluta da Lazzaro a sbarramento del canale. Un blocco che la furia dei venti contrari e il mare agitato resero, il 18 e il 19 luglio, insostenibile. In una giornata di pioggia e vento fortissimo, quindi, iniziò la battaglia. Nel caos che ne seguì con incredibile sorpresa le navi veneziane risultarono vincitrici e i turchi, forse intimoriti dalla presunta invincibilità della armate veneziane, si diedero alla fuga. Il Mocenigo, conscio che tutto si sarebbe giocato in poche ore, pur essendo quasi sera e avendo attorno a sé appena 10 navi, ordinò l'assalto, ma una burrasca bloccò l'azione che venne rinviata alla mattina successiva. La mattina trascorse senza vento e, alla sera, quando finalmente s'alzò, la flotta riprese la navigazione. Le batterie costiere tempestarono senza effetto l'avanzata delle navi e ormai Costantinopoli era quasi in vista quando accadde la disgrazia che mutò il corso dell'intera guerra. Un colpo di cannone colpì una velatura che, cadendo, fratturò il cranio di Mocenigo, che morì sul colpo; pochi secondi dopo un ulteriore colpo centrò la polveriera della nave, facendola saltare in aria.
L'avanzata si fermò e la notte portò al cessare delle ostilità.
Il nuovo ammiraglio era Lorenzo Renier, un ultrasettantenne che non aveva mai avuto un vero comando e che era giunto lì solo per anzianità. Timoroso per il morale della truppa decise di ritirarsi, concludendo in un nulla di fatto la campagna
Valutando le perdite inflitte al Turco, questo fu sconfitto. Vittoria veneta, dunque; una «vittoria grandissima», insistono i rapporti veneti, «in faccia» al cuore dell’Impero nemico, il pieno tripudio per la quale è però trattenuto dal cordoglio per la morte del Mocenigo. Non era soltanto la perdita dell'unico ammiraglio veneto che era stato capace quasi di raggiungere la Sublime Porta e attaccare una Istanbul vicina al collasso, bensì era stata la morte di uno dei più grandi eroi delle armate della Serenissima.

domenica 23 giugno 2019

TRAINING



In ogni attività fisica è essenziale l'allenamento. In una complessa attività come la pratica delle arti marziali l'allenamento è continuo, non finisce mai.
Essendo un lavoro di corpo e mente in sintonia, quando si finisce con l'allenare il corpo, la mente continua ad "allenarsi" continuando a tenere presenti e vivi i concetti appresi.

TRAINING DEL CORPO E DELLA MENTE
Essenzialmente allenarsi, ripetendo le varie tecniche un certo numero di volte finché non si riescono ad eseguire correttamente e con una certa disinvoltura, si chiama attività di educazione neuromuscolare. Dobbiamo far memorizzare al nostro cervello delle sequenze di movimenti, a volte decisamente complessi, tenendo conto degli input che ci danno i nostri sensi. Il senso che più è da sviluppare e da tenere presente durante la pratica delle arti marziali è l'equilibrio. La capacità di sfruttare un equilibrio dinamico (cioè restare in piedi, o cadere in maniera voluta) durante l'esecuzione di una tecnica varia da persona a persona ed è uno dei fattori discriminanti di bravura tra individui diversi. Come tanti altri fattori umani la capacità di gestione dell'equilibrio dinamico è naturalmente più sviluppata in alcuni soggetti, e meno in altri, ma un buon allenamento può migliorarla sensibilmente.
L'allenamento serio e continuato che presenti varietà di esercizi, un buon riscaldamento, e una certa attività aerobica è sicuramente una panacea per il nostro organismo e per il benessere della nostra mente. Non ha senso allenarsi così, senza pensare a quello che si sta facendo. E' essenziale avere degli obiettivi da raggiungere. Prima di tutto focalizzate quello che volete ottenere da questa pratica, quindi ponetevi delle mete da raggiungere.
Inoltre è essenziale allenarsi con un compagno per svariati motivi tutti fondamentali alla stessa maniera:

Motivazione: un compagno sarà uno stimolo costruttivo alla vostra attività e sarà un giudice dei vostri progressi.

Apprendimento: Chi tenta di imparare un'attività fisica dai libri (specialmente un'arte marziale) senza nemmeno provare una singola tecnica con una persona sta perdendo tempo nella maniera più idiota che esista. Le arti marziali sono basate sulle sensazioni che l'interazione con un altro essere umano genera (anche il dolore... fondamentale per imparare).
Ricordate inoltre che allenare il proprio corpo per sopravvivere ad uno scontro fisico è una grossa responsabilità.

RISCALDAMENTO & STRETCHING
Inutile dire che il riscaldamento è fondamentale. Eppure c'è sempre qualche facilone che si fa male durante gli allenamenti perché "non si è scaldato bene", oppure perché qualche istruttore dell'ultimo minuto pensa che far ruotare il polso con un bastone in mano è un riscaldamento decente per i polsi e tutto il corpo. Si va dritti dal fisioterapista con dei riscaldamenti "filippini tradizionali" di questo tipo.
Un'attività leggera, bastano 8-10 minuti se fatti bene, tenendo conto di TUTTI i gruppi muscolari, e ci preverremo la maggior parte dei traumi legati all'abuso di movimento in muscoli freddi.
Molti diranno: per strada non ho tempo di riscaldarmi! Devo agire e subito! Vero. Infatti nessuno ha mai detto che reagire ad una situazione di aggressione non comporti dei danni collaterali dovuti a lesioni di muscoli freddi.
Triste, ma vero. Meglio un muscolo del trapezio stirato che una coltellata al ventre? Comunque in questi casi interviene anche il famoso fattore "flessibilità" ed "allenamento". Se facciamo regolarmente esercizi di stretching, abbiamo dei muscoli tonici ed allenati, i problemi sopraccitati si
riducono, non spariscono, ma abbiamo meno possibilità che avvengano.


CONDIZIONAMENTO MUSCOLARE
Lo sviluppo muscolare è il naturale adattamento del nostro corpo all'incremento di un'attività fisica. I muscoli, debitamente stimolati, tentano di affrontare al meglio lo sforzo "ricostruendosi" più forti di volta in volta. E' un processo non propriamente veloce, molto dipendente dal corredo genetico individuale, dalla dieta e, naturalmente, dal tipo di attività. In generale un corpo da body-builder non è molto utile nella pratica delle arti marziali, dove la velocità e la coordinazione sono doti preferite alla pura potenza muscolare. Ma è anche vero che senza una certa dose di "forza fisica" le tecniche adottate possono risultare poco efficaci. Spesso si sente dire, ad esempio, che il Judo è l'arte del più debole di sconfiggere il più forte, il più grosso, attraverso sofisticate tecniche di sbilanciamenti e proiezioni che sfruttano al meglio l'energia generata dall'avversario nell'attaccare. Ma perché allora tutti gli atleti di Judo hanno dei fisici scolpiti con dei muscoli a dir poco paurosi? E hanno a che fare sul tatami con gente che dovrebbe rispettare delle regole.
Senza un minimo di muscoli non si va da nessuna parte seriamente. Non servono comunque bicipiti grossi come pagnotte o addominali scolpiti per essere efficaci. Basta allenarsi con costanza ed eseguire ad ogni sessione esercizi a corpo libero, se siamo troppo pigri per scomodare dei pesi.
Detto questo si deve anche dire i lati negativi dell'allenamento in generale delle arti marziali.
Traumi a parte, che fanno parte dei "rischi del mestiere" di qualsiasi sportivo serio, il Kung Fu è un'attività tremendamente lesiva per il nostro sistema muscolo-scheletrico. Se praticato con assiduità, ma con poco buon senso, può provocare microtraumi ripetuti a livello lombo-sacrale, ed alle articolazioni sollecitate quali le spalle, i polsi e le ginocchia.
Con l’andar del tempo la continua pratica errata porta a possibili sollecitazioni a livello dell’arto superiore ed in particolare della spalla causando una possibile impotenza funzionale che comprometterebbe la pratica dell’allenamento per settimane. Il movimento di colpire attraverso le traiettorie degli angoli con bastone e coltello portano ad un sovraccarico della muscolatura della regione dorsale che può avere frequentissime e dolorosissime contratture. L'uso specifico solo di un braccio può portare a squilibri muscolari che si ripercuoterebbero a livello posturale, in particolare a livello della colonna vertebrale. Le ginocchia dal canto loro, sono sottoposte ad un carico eccessivo ed improprio durante i movimenti di footwork esasperati.
Essere marzialisti, soprattutto, significa essere persone con una conoscenza molto accurata del corpo umano ed essere in grado di "sentirlo" quando un acciacco affiora nel nostro organismo.
Detto per inciso: ci si fa male nelle maniere sopraccitate anche senza per forza fare un'arte marziale, quindi, se possiamo scegliere, facciamolo almeno nella maniera più gradita a noi!

sabato 22 giugno 2019

IL RE PACIFICATORE: LE LOI (1385-1433)

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All'alba dell'anno 1400 la dinastia Ho aveva rimpiazzato la dinastia Tran e si apprestava a riformare il Dai Viet (Vietnam), ma un pretendente della vecchia dinastia convinse l'imperatore Yongle a far intervenire gli eserciti della Cina Ming per supportare la sua pretesa al trono. L'esercito cinese conquistò il paese, che passò sotto l'amministrazione diretta dei Ming, tolti di mezzo i Tran, come già era avvenuto 500 anni prima sotto la dinastia Tang.
Il governo cinese trovò un limitato supporto, in quanto in molti accusarono gli occupanti di compiere ruberie di artefatti, preziosi e tesori a danno dei viet. Anche se le rivolte che scoppiarono per supportare gli ultimi Tran fallirono, aiutarono a spargere il sentimento di rivalsa che sarebbe stato decisivo pochi anni dopo. Le Loi era un nobile feudatario di Lam Son nato probabilmente nel 1385 che appoggiò le rivolte dei Tran, ma anche dopo la loro sconfitta non smise di sognare l'indipendenza del paese. Per questo nel 1418 venne denunciato come ribelle e fu costretto a a rifugiarsi sulle montagne, dove iniziò la sua ribellione.
Nella sua provincia natale di Thanh Hóa la ribellione poté crescere grazie al supporto delle importanti famiglie dei Trinh e dei Nguyen, oltre che del popolo ansioso di scacciare i Ming. All'inizio venne scelto un discendente dei Tran come simbolo della rivolta, ma nel giro di breve Le Loi venne scelto quale nuovo capo, chiamato dai suoi il Re Pacificatore. All'inizio le forze vietnamite dovettero limitarsi a condurre azioni di guerriglia contro gli occupanti, non avendo ancor abbastanza forze per sfidarli in battaglia. Braccati e costretti spesso a nutrirsi dei loro animali, i guerriglieri furono quasi annientati più di una volta. In un'occasione, trovandosi circondati in cima a una montagna, il fedele amico del leader ribelle, Le Lai, indossò l'armatura di Le Loi e guidò una carica suicida contro i Ming per dare agli altri il tempo di fuggire grazie al suo eroico sacrificio. Nel 1421 il re Lan Kham Deng del regno di Lan Xang inviò delle truppe a supporto dei guerriglieri vietnamiti, ma i cinesi diedero fondo ai loro forzieri per comprare la lealtà dei laotiani. Costretto a combattere contro due nemici contemporaneamente, la situazione era così disperata che Le Loi accettò un'offerta di tregua e si ritirò sulle montagne.
Ma con la morte dell'imperatore Yongle i cinesi si disinteressarono del Vietnam a causa delle spese eccessive che l'occupazione comportava. Con un esercito rafforzato rispetto alla prima fase, i ribelli poterono tendere una serie di imboscate agli occupanti, per poi batterli in campo aperto e costringerli a rifugiarsi nelle fortezze del nord. All'inizio del 1426 la ribellione si era talmente estesa che Le Loi poté assediare Dong Kinh (Hanoi) e sconfiggere un'armata di 50.000 uomini mandata in soccorso della città. Per offrire ai Ming un'uscita dignitosa dal conflitto, Le Loi proclamò imperatore il principe Tran Cao, dato che i cinesi erano intervenuti con il pretesto di rendere il trono ai Tran. Ma a causa dell'intransigenza dei viet lealisti, il conflitto continuò e i cinesi si rinchiusero nelle fortezze rimaste mentre i ribelli controllavano ormai l'intero paese. Quando nell'ottobre del 1427 i rinforzi cinesi furono annientati in un'imboscata presso il passo di Chi Lang, al governatore Ming non rimase altra scelta che arrendersi. Nell'aprile del 1428, dopo dieci anni di lotta, Le Loi divenne imperatore del Dai Viet, un paese formalmente tributario dei Ming ma indipendente. I cinesi lasciarono i loro vassalli a sé stessi e autonomi per i secoli successivi, e Le Loi, il primo imperatore della dinastia Le, venne glorificato come il perfetto esempio del regnante saggio, capace e giusto.
Secondo le leggende, Le Loi giunse alla vittoria anche grazie alla spada magica "Volontà del Cielo", donatagli dal semidio Long Vuo'ng, il Re Drago. Un anno dopo esser asceso al trono, mentre era in barca sul lago Ho Luc Thuy, la tartaruga dal guscio dorato Kim Qui emerse dalle acque e con voce umana gli chiese di rendere la spada al Re Drago, in quanto ormai il Dai Viet era libero. Il re lanciò la spada al rettile che la afferrò con la bocca e la riportò al suo signore, che vive in quello che ancora oggi è chiamato Ho Hoan Kiem, il Lago della Spada Riportata.



venerdì 21 giugno 2019

Forze speciali e arti marziali

Navy SEALs, Delta Force, Green Berets...
Ogni anno che passa è sempre peggio. Si apre una rivista di Arti Marziali e quando si trova una pubblicità di un istruttore/maestro di qualche disciplina marziale quale Jeet Kune Do, Kali Filippino e Pencak Silat (che di solito è di moda far andare tutte e tre a braccetto), ecco che questi dichiara di aver insegnato (o di aver appreso alla perfezione) il programma di addestramento di combattimento a mani nude dei S.E.A.L.S., Rangers, Delta Force, S.W.A.T., FBI (i più colti scrivono HRT, l'unità antiterrorismo -recupero ostaggi- dell'FBI), D.E.A., Green Berets... Non si salva nessuna branca delle Forze Speciali USA.
Ma alle nostre Forze Speciali non insegna nessuno? Magari che i GIS o i NOCS sono totalmente a digiuno di programmi di difesa personale? Nei loro curriculum questi istruttori/Maestri si limitano a dire in ambito italiano di aver insegnato a molti Body Guard, e a qualche agente di Polizia.
E' brutto, per farsi pubblicità, attaccarsi a sedicenti nomi di spicco delle forze armate americane, che sinceramente, se uno vuole imparare a menar le mani di brutto, non gliene frega niente dove ha insegnato/imparato tali tecniche questo tizio. Poi se notate, molto spesso, queste pubblicità chiedono "Vuoi diventare istruttore di kali, Jeet Kune ecc...?".
Ma a nessuno viene in mente che qualcuno vorrebbe imparare e basta senza velleità di insegnare a qualcuno qualcosa che ha impiegato magari 40 misere ore ad "imparare"?
Partiamo dal presupposto che i militari non hanno nè il tempo nè la motivazione per imparare un sistema di combattimento in maniera completa e da zero. Devono imparare cose semplici, rapide e risolutive. Certo, certe arti marziali si prestano più di altre da questo punto di vista e se da questo addestramento qualche soldato abbandona il suo corpo d'appartenenza per andare in giro a fare stages e guadagnarsi da vivere è perfettamente normale. Un tipico esempio è l'-ex SEAL Frank Cucci che va in giro per il mondo ad insegnare le sue tecniche di bastone-coltello-mani nude essenzialmente basate sul Kali filippino del metodo Inosanto. I militari seguono anche loro le mode. Negli anni sessanta-settanta negli USA veniva insegnato il Karate, il Judo, il Ju Jitsu.
Addirittura prima, negli anni quaranta, andava di moda il Defendu, un'arte marziale codificata dal famoso Cap. Fairbarn, che era essenzialmente un Judo con degli elementi di boxe cinese. Poi negli anni ottanta il boom delle arti marziali filippine con una strizzata d'occhio al combattimento con il coltello. Greg Walker docet.
Tenendo conto che i SEALS, almeno negli anni ottanta, per essere accettati dovevano superare una rigorosa selezione, il più gracile di loro pesava 80Kg, con poco grasso corporeo addosso (almeno al momento della selezione). Persone così, non propriamente mansuete, non hanno bisogno di una sofisticata preparazione marziale per essere efficaci anche a mani nude. Quindi che abbiano affrontato un intero programma di Kali Filippino sembra un pò strano. Che gli abbiano insegnato qualche "trucchetto" di buon senso, può darsi.         In Italia?
Un pò come in tutto il mondo. Si chiama per addestrare i propri uomini chi ci da più fiducia.
La bibliografia di ex-istruttori militari americani che dicono la loro sull'argomento è praticamente infinita. Tecniche a mani nude, di bastone singolo o doppio, di coltello, baionetta innestata sul fucile... Ma davvero un soldato delle Forze Speciali sa tutte queste tecniche? Anche qui gli italiani latitano, eppure abbiamo soldati in gamba nel nostro paese, non capisco perchè nessun ex istruttore di combattimento corpo a corpo non si mette a scrivere un manuale tecnico o a fare un bel video. Mi piace pensare che non lo fanno perchè sono persone serie. Un pò come quel sottufficiale della Marina Italiana che era istruttore di combattimento a mani nude degli Incursori di Marina (i nostri SEALS, insomma) che aveva una solidissima base di Ju Jitsu, ma praticamente insegnava ai suoi soldati a muoversi in fretta e far male sul serio al primo colpo, ma che ha solo sentito nominare i vocaboli come Jeet Kune Do o Kali.
In carcere si spera che i detenuti non girino armati di coltello, e in tal caso ho sempre consigliato di usare la Beretta di ordinanza, poi perquisirli meglio. Con i poliziotti invece totale muro di indifferenza. Se c'è da menare applicano sempre la regola del tre contro uno. Tre poliziotti con una persona. Carabinieri? Ancora peggio. Fatte le solite eccezioni di elementi isolati appartenenti alle forze dell'ordine che hanno delle ottime basi di marzialisti, la stragrande maggioranza di essi fa troppo affidamento sull'uniforme, i propri muscoli (chi li ha), e sulla fortuna.
Ogni tanto si legge sul giornale locale di qualche poliziotto ben massacrato di botte da qualche ubriaco: e per fortuna che la pistola ce l'hanno assicurata alla cintura con il cavo! Altrimenti quante Beretta 9X19 in mano alle mani sbagliate. Mi chiedo: ma come mai tutti questi istruttori che si sono fatti le ossa oltreoceano addestrando i professionisti più duri dell'esercito americano non sono in grado di proporre a livello nazionale un corso fatto bene e completo per le nostre forze di polizia?
E' innegabile pensare che non potrebbe che aumentare la sicurezza e l'efficienza del singolo elemento... Ma come suonerebbe come pubblicità su di una rivista <>?

giovedì 20 giugno 2019

LO CHEVALIER D'EON: DIPLOMATICO, SPIA, AVVENTURIERO E TRAVESTITO (1728-1810)

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Nato nel 1728 in una famiglia borgognona nobile ma povera, Charles-Geneviève-Louis-Auguste-André-Timothée d'Éon de Beaumont grazie al proprio intelletto si diplomò al Collège Mazarin a 21 anni, dopo aver studiato diritto civile ed ecclesiastico. Nel 1756, a 28 anni, entrò nel Secret du Roi, una sorta di agenzia di spionaggio che rispondeva direttamente a re Luigi XV e che a volte andava contro le politiche ufficiali del governo francese.
Secondo le sue memorie, il monarca inviò lui e altri agenti in Russia per incontrare la zarina Elisabetta e cospirare con la fazione pro-francese contro gli Asburgo. Dato che gli inglesi sorvegliavano il confine e permettevano solo a donne e bambini di entrare, Charles si travestì da Lea de Beaumont, dama di compagnia della zarina, grazie al suo aspetto androgino. Dal 1756 poté però riprendere abiti maschili e lavorare come segretario dell'ambasciatore francese in Russia, per poi tornare in Francia nel 1760. Nominato capitano dei dragoni l'anno successivo, partecipò alla fase finale della Guerra dei Sette Anni, combattendo a Villinghausen e venendo ferito a Ultrop. Con la morte della zarina Elisabetta e la fine della guerra vicina, venne inviato a Londra per discutere il trattato di pace che pose fine al conflitto, ricevendo per questo servizio l'Ordine di San Luigi, da cui derivò il nome chevalier d'Eon.
D'Eon tornò a Londra come ambasciatore ad interim, in assenza del duca di Nivernais, e si dedicò a spiare le difese costiere inglesi per un'eventuale invasione delle isole britanniche che il re stava organizzando in segreto. Ma con l'arrivo del nuovo ambasciatore, il conte di Guerchy, le cose peggiorarono: D'Eon fu degradato a segretario e umiliato, tanto che rifiutò di obbedire all'ordine di tornare in Francia e accusò il conte di aver provato ad avvelenarlo. Dato che il governo di Parigi chiese la sua estradizione e smise di pagargli la rendita, D'Eon per ripicca pubblicò i documenti segreti riguardanti il suo richiamo, provocando un enorme scandalo.
Guerchy lo denunciò per diffamazione, in quanto veniva gravemente screditato nella pubblicazione, ma D'Eon si era guadagnato il favore del pubblico e sapeva di tenere in scacco il re in quanto poteva rendere pubblici i documenti riguardanti la progettata invasione dell'Inghilterra. Per comprare il suo silenzio Luigi XV gli concesse una sostanziosa rendita, ma non gli permise di tornare in patria, così che la spia si adeguò a vivere a Londra. Dopo la morte del padre, Luigi XVI decise di abolire il "segreto del re" e cominciò a trattare con l'ex-agente per riottenere i documenti scottanti ancora in suo possesso.
L'accordo che fu raggiunto prevedeva che D'Eon consegnasse tutti i documenti, ma in cambio il re gli confermava la rendita e lo riconosceva pubblicamente come donna. La voce che il cavaliere fosse in realtà una cavaliera avevano iniziato a circolare già da alcuni anni, forse messi in giro da D'Eon stesso, che dichiarava di essere nato donna e aver vissuto come un uomo per volere del padre tirannico, in modo da potersi presentare all'opinione pubblica come un'eroina che aveva indossato abiti maschili per servire il re e la patria. Nonostante ciò quando fu ritornato in Francia non fu semplice costringerlo a indossare abiti femminili, e anche quando il mondo era ormai convinto della sua storia, continuava a comportarsi in maniera poco raffinata e femminea.
Nel 1778 D'Eon si offrì volontario per aiutare la causa americana, ma gli venne negato il permesso più volte e venne addirittura incarcerato per un breve periodo. Per sfuggire al soffocante clima dell'assolutismo francese, nel 1785 tornò in Inghilterra, dove godeva di una grande popolarità. Ma quattro anni dopo lo scoppio della Rivoluzione significò la fine della sua rendita e l'inizio dei guai finanziari, infatti per sopravvivere dovette vendere i propri effetti personali ed esibirsi come donna spadaccina. La sua offerta di condurre in battaglia un'unità femminile venne respinta dall'Assemblea Nazionale, e con essa svaniva la possibilità di tornare in Francia.
Continuò a esibirsi come schermidore fino al 1796, quando venne ferito gravemente in un duello a Southampton e dovette ritirarsi. Coperto di debiti, semi-paralizzato a causa di una caduta, dovette adattarsi a vivere con la povera vedova Mrs. Cole. Morì il 21 maggio 1810 a 81 anni, malato e in povertà. I medici confermarono che biologicamente era un uomo, ma con caratteristiche che lo avvicinavano al genere femminile, come i fianchi tondi e il petto pronunciato.



mercoledì 19 giugno 2019

STORIA DELL'ARMATURA DEI SAMURAI


Gli antichi guerrieri Yayoi svilupparono armi, armature ed un codice, che durante i secoli successivi diventarono il fondamento per i Samurai. Le prime armi includevano arco, frecce e spade. L'armatura includeva un elmo che proteggeva testa e collo, una corazza che proteggeva il torace, ripari per le braccia e le spalle e una protezione per l'addome. Più tardi le armature compresero anche protezioni per gambe e cosce. L'armatura cambiò con l'evolversi della battaglia. Nel quinto secolo l'introduzione dei cavalli in Giappone rivoluzionò i combattimenti. Ci fu un altro cambiamento decisivo nel quindicesimo secolo, l'introduzione delle armi da fuoco a causa della continuità della guerra.
Il codice si sviluppò dal Kyuba no michi (Via del Cavallo e dell'Arco), raccolta cinese di precetti sul valore dei guerrieri in combattimento, al Bushido (Via del Guerriero).
Bushido è il codice che sta alla base della condotta e dei valori di ogni Samurai. La filosofia del codice Bushido è la "libertà dalla paura"; esso afferma che il Samurai è superiore alla sua paura della morte. Questo gli dà la serenità e la forza di servire il suo maestro fedelmente, morendo se necessario. Il dovere è il primo valore del Samurai.
I Samurai sorsero durante le continue battaglie per estendere i propri domini fra le tre principali casate: i Minamoto, i Fujiwara ed i Taira.
I Samurai diventarono una vera e propria classe sociale tra il nono ed il dodicesimo secolo. Venivano chiamati in due modi: Samurai (cavalieri) e Bushi (guerrieri). Alcuni di loro erano legati alla classe dominante, altri venivano assunti: giuravano fedeltà ai loro Daimyo (feudatari) e ricevevano in cambio titoli e terreni. I Daimyo si servivano dei Samurai per espandere i propri domini e per proteggere i terreni che già possedevano.
I Samurai erano esperti sia nei combattimenti a cavallo che a piedi, si esercitavano ad affrontarsi armati e disarmati. I primi Samurai erano specializzati nei combattimenti con arco e frecce; usavano le spade solo nelle mischie e per decapitare i nemici.
Le battaglie contro i Mongoli portarono alcuni cambiamenti. I Samurai iniziarono ad usare di più le spade, ed anche le lance ed i naginata (tipo di alabarda con la lama molto arcuata).

L'armatura dei Samurai : Yoroi
L'armatura (Yoroi) a disposizione dei Samurai era meno ingombrante e pesante di quelle dei cavalieri medioevali europei, in quanto veniva costruita con materiali in genere più leggeri, ma non per questo si può dire che svolgesse il suo compito in maniera meno efficace.
La tipologia di queste armature, rifletteva in buona parte le esigenze dei Samurai, dispostissimi a sacrificare lo spessore delle loro protezioni in favore di una maggiore capacità di movimento. Questo atteggiamento non derivava da un'eccessiva sicurezza ostentata dai guerrieri giapponesi, ma dalla constatazione che nessuna armatura costituiva una barriera impenetrabile per le frecce, le lance e le spade dei nemici. Muoversi agilmente era quindi un elemento importante per non sacrificare la propria vita inutilmente.
Come spesso era accaduto per altre dotazioni militari dei Samurai, anche l'armatura assunse per i soldati significati che andavano oltre il suo semplice utilizzo pratico. Esse erano infatti un segno d'identificazione, d'apparteneza ad un clan. I lacci, in cuoio o in seta, che univano le varie parti dell'armatura, venivano trattati in modo che ogni gruppo avesse i propri colori distintivi. Questa caratterizzazione, oltre che un significato simbolico, aveva anche una notevole utilità pratica, infatti, grazie ai colori dei lacci (in Giapponese Odoshi) i Samurai evitavano di uccidere i loro stessi compagni nella confusione della battaglia. Le allacciature erano anche un segno distintivo, dato che più era fitta la loro trama in un'armatura più elevato era il grado di nobiltà di colui che la indossava (O-Yoroi).
Lo stesso può dirsi per quanto riguarda l'architettura delle armature: un'armatura complessa, ricca di elementi protettivi, apparteneva solitamente ad un condottiero, mentre man mano che si scendeva verso i soldati semplici le protezioni diventavano sempre più limitate. Oltre alle allacciature, un'altro simbolo d'appartenenza e di nobiltà delle armature, in genere portato sull'elmo (Kabuto) e sugli stendardi per essere visto anche a grandi distanze, era il Mon o il Komon, un emblema, o per meglio dire un vero e proprio marchio registrato con tanto di permesso governativo, che distingueva le varie famiglie.
Come nel caso dei fabbri-artigiani che producevano le famose lame dei Katana, anche i produttori di armature erano tenuti in gran considerazione dai Giapponesi, essi erano infatti molto dotati e capaci di produrre protezioni semplici, leggere ed allo stesso tempo molto efficaci. Le armature, e in questo caso parliamo di quelle più complete, erano destinate alla protezione della testa (Kabuto), delle spalle (Sode), delle braccia (Kote), del busto (Do), del ventre (Kuzazuri) e delle gambe (Haidate) fino a coprire i piedi (Suneate).
Inizialmente le armature erano costituite da placche di cuoio cucite sopra la stoffa, in seguito il cuoio venne placcato con delle lastre in ferro e, infine, il ferro sostituì completamente il cuoio dando origine alle Yoroi, è cioè alle armature Samurai come oggi le conosciamo. La corazza, in lamine di ferro, era sostenuta da una fitta maglia metallica che rendeva i movimenti più semplici e la struttura meno rigida.
Probabilmente, la componente più curiosa dell'armatura erano le spaventose maschere (Menpo) che i Samurai portavano con il triplo scopo di proteggere il volto, di costituire una base per l'elmo e di incutere timore nell'avversario. Gli stili erano tantissimi e tutti erano destinati a svolgere il loro sottile effetto psicologico: l'avversario di un Samurai poteva trovarsi di fronte un guerriero dalle sembianze di un demone, di un animale, di un bambino, di una donna o di un vecchio. Curiosamente, le maschere impedivano ai guerrieri ogni movimento della bocca e delle labbra.
Un altro elemento molto importante sia dal punto di vista funzionale che da quello simbolico, era l'elmo. Solitamente in ferro, questi copricapi da guerra erano forgiati nelle forme più strane e si caratterizzavano per un'apertura che doveva permettere al dio della guerra di entrare in loro e aiutarli in battaglia. Dato che gli artigiani giapponesi generalmente disdegnavano la produzione "in serie", la maschera e l'elmo di ogni Samurai erano solitamente dei pezzi unici che li distinguevano dagli altri guerrieri.
L'effetto spaventoso (per gli avversari), dovuto all'imponenza delle armature e alle decorazioni volutamente impressionanti delle maschere e degli elmi, veniva amplificato da lunghi mantelli, cappe (come, per esempio, l'Horo), e soprabiti (come, per esempio, lo Jimbaori) che trasformavano i Samurai in uomini simili ad esseri giganteschi.
Tra le dotazioni di un Samurai, vi era un piccolo salvagente utile per l'attraversamento dei fiumi. Bisogna infatti tenere conto che, anche se le armature giapponesi non erano estremamente pesanti, cadere in acque profonde con una corazza addosso avrebbe potuto causare l'annegamento anche di un uomo molto robusto.
Per finire con una curiosità, ricordiamo che per costruire un quadro completo delle dotazioni belliche dei Samurai, non bisogna dimenticarsi di citare le tre sacche che questi guerrieri portavano sempre con se durante le campagne militari: una sacca era destinata al trasporto del cibo; una seconda era destinata a contenere esclusivamente riso; la terza sacca serviva per contenere le teste mozzate degli avversari uccisi in guerra.

lunedì 17 giugno 2019

DA EROE DELLE SS AD ASSASSINO PER IL MOSSAD: OTTO SKORZENY E L'OPERAZIONE DAMOCLE

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Negli anni Sessanta il presidente egiziano Gamal Abd el-Nasser stava sviluppando un programma missilistico per minacciare direttamente Israele. Non potendo fare affidamento sui sovietici o sugli americani per accedere a tale tecnologica, si era rivolto all'Europa, assoldando un buon numero di scienziati tedeschi che in passato avevano sviluppato armi per il regime nazista di Hitler. Secondo le loro fonti, gli israeliani scoprirono che nella misteriosa "fabbrica 333", gli egiziani stavano costruendo oltre 900 razzi, oltre a stare sviluppando sostanze chimiche, biologiche e le testate a combustione di gas per queste armi. Per scoraggiare gli scienziati tedeschi il Mossad era ricorso a minacce telefoniche e l'invio di alcune lettere bomba, ma con scarso successo. Non potendo permettere che una tale minaccia si concretizzasse, Israele diede via all'Operazione Damocle, un'azione su larga scala che prevedeva il ricorso a qualsiasi mezzo pur di salvaguardare la sicurezza dello stato ebraico. Anche fare un patto col diavolo.
Otto Skorzeny, il viso sfigurato dall'iconica cicatrice, era stato una delle SS preferite di Hitler, considerato "l'uomo più temuto d'Europa" che aveva liberato Mussolini dal Gran Sasso e aveva portato a termine altri audaci missioni come commando e infiltrato. Processato per crimini di guerra, era stato assolto anche grazie alla testimonianza a suo favore di un ufficiale inglese, che aveva dimostrato quanto anche il nemico lo rispettasse. Dopo la liberazione aveva visitato vari paesi, fino a stabilirsi in Spagna. Proprio in un bar altolocato di Madrid, nel 1962, lui e sua moglie furono avvicinati da una sofisticata coppia tedesca che, a loro dire, era stata rapinata e aveva perso i documenti. I quattro iniziarono a bere e chiacchierare amabilmente, fino a quando l'ex SS invitò i due a casa sua. Ma nel suo salotto, senza alcun preavviso, Skorzeny puntò una pistola contro gli ospiti.
«Ho capito chi siete, agenti del Mossad, e volete uccidermi!». In tutta calma i due rivelarono le loro identità ma affermarono che «...se avessimo voluto ucciderti saresti già morto. Vogliamo farti un'offerta».
C'era una sola cosa che l'austriaco desiderava e che il Mossad poteva dargli: l'essere cancellato dalla lista nera di Simon Wiesenthal, il cacciatore di nazisti. Fu questo il premio che gli venne promesso se avesse aiutato i suoi antichi nemici a sabotare i piani degli egiziani. Giunto in Israele ricevette istruzioni da Isser Harel, la mente che aveva organizzato il rapimento del nazista Adolf Eichmann, e si recò in Egitto, dove acquisì molte informazioni sugli scienziati al soldo di Nasser grazie alle sue connessioni. In un caso, fu lui stesso a inviare il pacco bomba alla fabbrica di Heliopolis che uccise cinque operai egiziani che lavoravano per gli ex-nazisti. Ma il suo contributo più grande alla sicurezza di Israele non lo diede in Medio Oriente o in Africa, ma a Monaco. Nella città bavarese risiedeva Heinz Krug, ex-scienziato che aveva contribuito alla costruzione dei missili V-1 e V-2 e capo di una società di che forniva attrezzature militari all'Egitto.
Ormai era chiaro che il Mossad era sulle traccie di chi collaborava con Nasser, e il 49enne aveva già ricevuto diverse telefonate nel cuore della notte che lo minacciavano di morte nel caso in cui non avesse smesso di collaborare con gli egiziani. Temendo per la propria vita, Krug si era rivolto a un vero eroe del Reich, il tenente colonnello Otto Skorzeny, da poco entrato in contatto con lui. Quando salì in macchina con la sua nuova bodyguard, gli venne spiegato che i tre uomini nella macchina dietro di loro erano guardie del corpo fidate, mentre in realtà erano agenti del Mossad, fra i quali vi era anche il futuro premier Yitzhak Shamir. I due ex-nazisti si recarono in un bosco, dove avrebbero dovuto discutere sul da farsi, ma invece Skorzeny estrasse la pistola e freddò l'allibito Krug.
L'Operazione Damocle attirò molte critiche su Israele e dovette essere sospesa per non incrinare i rapporti con la Germania, ma funzionò: molti scienziati tedeschi lasciarono il paese e Nasser dovette rivolgersi ai sovietici per continuare la sua corsa agli armamenti. Ma nonostante il grande contributo dato, Simon Wiesenthal si rifiutò categoricamente di rimuovere dalla sua lista l'ex-SS. Alla fine il Mossad fabbricò una finta lettera del cacciatore di nazisti in cui dichiarava che Skorzeny non era più un nemico di Israele. Nonostante questo, forse il Mossad sarebbe tornato per la sua testa, se l'austriaco non fosse morto di cancro nel 1975 a Madrid, ma almeno poté trascorrere gli ultimi anni in relativa tranquillità.



domenica 16 giugno 2019

Fojiaquan

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 Il Fojiaquan (佛家拳, Pugilato Buddista, Fut Gar in Cantonese, Phật gia quyền in Vietnamita) è uno stile di arti marziali cinesi classificabile come Nanquan. Come si evince dal nome stesso esso è uno di quei pugilati strettamente legato alla religione buddista. La leggenda vuole che esso sia stato creato da Bai Yufeng (白玉峰) e sarebbe stato tramandato dai monaci buddisti dei templi Nanhuasi (南华寺) e Dinghushan Qingyunsi (鼎湖山庆云寺). Nel 1814 un certo Chen Huyuan (陈护远), di Jingmeixiang (京梅乡) nell'area amministrativa di Xinhuixian (新会县), ne avrebbe appreso la quintessenza dal bonzo Du Zhang (独杖) presso la montagna Dinghushan. Chen diffuse questo pugilato nella propria contea e nelle contee adiacenti del Guangdong. Secondo i praticanti di Lishan (荔山) lo stile sarebbe stato insegnato dal Monaco Soldato Shaolin del Fujian Yijiahai (益加海) a Li Huabao (李华保 o 李华宝), che poi si trasferì nel Guangdong. I registri genealogici della famiglia Huang di Lishancun 荔山村riportano che alla prima generazione di praticanti vi sarebbero due fratelli, Huang Qiyun 黄其云 e Huang Chanyun 黄禅云.

I Taolu
Questo è un elenco fornito da alcuni documenti: Shuang fei yang die (双飞蛈蝶); Neijiaquan (内家拳); Jinzhengquan (金铮拳); Xiao Lianhuan (小连环); Da Lianhuan (大连环); Fojia Taizi jian (佛家太子剑); ecc. Molto più complesso e diverso, l'elenco delle forme che si dice vengano praticate nel Fojiaquan delle contee di Fengkaixian (封开县) e di Xinxingxian (新兴县): 12 forme a mano nuda; 15 con armi; 9 combattimenti prestabiliti.
  • I nomi delle forme a mano nuda: Paojikanquan (抛级冚拳);Luohan chudong (罗汉出洞, L'arath emerge dalla grotta); Sanshiliu dianquan (三十六点拳, pugilato dei trentasei punti); Fengluanquan (凤鸾拳, pugilato dell'uccello leggendario Fenice); sanqixingquan (三奇星拳 Pugilato delle tre stelle meravigliose); Damo quan (达摩拳); Xiao Baxian (小八仙, otto piccoli immortali); Yehu chulin (夜虎出林, la tigre notturna esce dalla foresta); Yingzhaoquan (鹰爪拳); Huzhao Meihuaquan (虎爪梅花拳, pugilato del fiore di prugno con artigli di tigre); Fuhuquan (伏虎拳); Tiexian Lianhuaquan (铁线连环拳, una forma che si trova solo nella contea di Fengkai.
  • I nomi delle forme con armi: Daxiang gun (大象棍); Wulang Bagua gun (五郎八卦棍); Shuangtou gun (双头棍 bastone a due teste); Diao ha gun (吊蛤棍); Caiyang dao (蔡阳刀); Lanmen zhai dao (拦门寨刀); Kang long dao (抗龙刀); Ditang dao (地堂刀); Dan yaodao (单腰刀); Shuang yaodao (双腰刀); shuang bishou (双匕首); Shajiaodao (纱搅刀); Meihua qiang (梅花枪); shuang jian (双锏); Ruan bian (软鞭).
  • Questi i combattimenti prestabiliti che in questo contesto vengono chiamati Duichai: Luohan duichai (罗汉对拆, combattimento dei luohan); Sanshiliu dian quan duichai (三十六点拳对拆, combattimento del pugilato dei trentasei punti; probabilmente è un pugilato legato al Dianxue); Shuangtou gun duichai (双头棍对拆, combattimento di bastoni a due teste); dandao dui qiang ( 单刀对枪); dantou qiang duichai (单头枪对拆, combattimento di lance ad una sola testa); Siren duichai (四人对拆, combattimento di quattro uomini); dandao dui qiang (单刀对枪, sciabola contro lancia); shilu dui yandou (石履对烟斗, scarpe di pietra contro pipa per oppio); Da guandao dui qiang (大关刀对枪, alabarda contro lancia).
Le Sequenze del Lishan Fojiaquan
Nel Fojiaquan di Lishan (荔山佛家拳)) si pratica il Wuxingquan (五形拳), anche se l'elenco degli animali differisce da quello che solitamente siamo abituati a vedere. Questo l'elenco di Lishan: Ying (, aquila); He (, gru), Hou (,scimmia), Hu (, tigre), Long (,drago). Un altro elemento importante dello studio di questo Fojiaquan è lo Shaolin Murenzhuang 108 shi (少林木人桩108, 108 figure di omino di legno dello Shaolin). Come armi a Lishan si studiano: Liudian bangun (六点半棍); shuangdao (双刀); Shimendao (狮门刀); ecc.

Beipai Fojiaquan 北派佛家拳
Nel 1984 è stato pubblicato a Taiwan il libro Beipai Fojiaquan (北派佛家拳, Fojiaquan della Scuola del Nord), scritto da Yuan Chucai (袁楚材).

Il Fojiaquan di Liang Tianzhu
Nell'articolo Fut Gar si legge che il Fojiaquan sarebbe stato sviluppano nel 1700 da Liang Tianzhu (梁天柱, Leung Tien Chiu), ma dalle biografie di questo personaggio si è a conoscenza che egli nacque nel 1877 e morì nel 1972, dando così pieno discredito all'idea che egli possa aver creato lo stile. Più verosimilmente lo stile da lui trasmesso e chiamato Nan Shaolin Fojiaquan 南少林佛家拳 è il frutto di una sua sintesi di Caijiaquan 蔡家拳, Lijiaquan 李家拳, Fojiaquan 佛家拳, Hongjiaquan洪家拳, Liujiaquan 刘家拳, come ci viene raccontato in una delle sue biografie. A tredici anni apprese il Caijiaquan da Qiu Longguang (丘龙光).

I Taolu di Liang Tianzhu
Sempre secondo le biografie di Liang egli tramandò il Shiba Luohanquan 十八罗汉拳 ed un certo numero di altre sequenze, inoltre Feilonggun 飞龙棍 e le doppie sciabole 双刀, ecc. L'articolo Fut Gar invece elenca Hudiezhang (Hu Dip Jeong, 蝴蝶掌, cioè palmi a farfalla), Shiziquan (Sup Ji Kuen,十字拳, pugilato a croce) e Dajialu (Dai Ga Lu, 大家路, Sequenza della grande famiglia), Shexing Diaoshou (Seah Ying Diu Sau, 蛇形刁手), Baimeiquan, Taijiquan, Luohanquan, Menghu Xiashan (Maang Fu Ha San, 猛虎下山), Da Jingang (Dai Gum Gong, 大金刚), nel novero delle sequenze a mano nuda; Heilongdao (Hak Loong Dao, 黑龙刀); Fuhugun (Fook Fu Gwun , 伏虎棍); e Longxingjian (Loong Chien Gim ,龙形剑), nel novero delle sequenze con armi.

Shaolin Fut Kin
In un articolo della rivista Inside Kung Fu intitolato Shaolin Fut Kin si racconta che il Fut Ga Kin (佛家拳 fójiāquán) è il frutto di una sintesi avvenuta all'interno del Tempio Shaolin tra i cinque stili più importanti del Guangdong, cioè Hongjiaquan, Liujiaquan, Lijiaquan, Mojiaquan e Caijiaquan. Tra l'altro l'autore afferma che la famosa monaca Wu Mei apparteneva a questa scuola tracciando così un collegamento al Wing Chun.

Caratteristiche Tecniche
Le tecniche di mano del fójiāquán (佛家拳) ruotano attorno alle Mani Opposte (陰陽手, 阴阳手, yīnyángshǒu, yin yang shou (in Cantonese yam yeuhng sau). I movimenti di colpire e ritrarsi sono lineari , diretti, tesi in avanti, semplici, ma in alcuni casi anche ellittici, per esempio nel pugno indietro alla testa (掛拳, 挂拳, guàquán, kua ch'uan) (in Cantonese gwa kyuhn). Questa è una delle tre tecniche di pugno più importanti assieme a pugno che penetra il cuore (穿心拳, 穿心拳, chuānxīnquán, chuan hsin ch'uan) (in Cantonese chyun sam kyuhn) e a colpo curvo verso il basso (彎曲捶, 弯曲捶, wānqūchuí, wan ch'u chui) (in Cantonese waan kuk cheuih). Queste tre tecniche sono rispettivamente associate a tre azioni: stordire, penetrare e devastare.

Curiosità
  • Lo stile è praticato nel film di Stephen Chow, Kung Fusion, dal personaggio interpretato da Chow stesso, naturalmente con le ovvie esagerazioni.