domenica 6 maggio 2018

Giardino cinese

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Il giardino cinese (中國園林, 中国园林, Zhōngguó yuánlín) è un giardino di carattere paesaggistico che si è evoluto nel corso di 3000 anni. Esso infatti ricrea un paesaggio in miniatura idealizzato e si propone di esprimere l'armonia che dovrebbe esistere fra l'uomo e la natura. Le rocce vengono scolpite come se fossero erose dagli agenti atmosferici, gli alberi vengono ridotti di taglia per esser inseriti in contesti più ristretti, si ricreano artificialmente quegli equilibri visivi che si hanno in natura.
Inoltre il tipico giardino cinese è cinto e diviso in settori da muraglioni, include bacini, rocce, alberi e fiori oltre che a un assortimento di sale e padiglioni posti in dei punti precisi di contemplazione visiva, collegati fra loro da sentieri tortuosi, ponti e gallerie a zigzag. Spostandosi di struttura in struttura si possono vedere una serie di scene accuratamente composte, come se si srotolasse un rotolo pittorico raffigurante un paesaggio.
I giardini sorsero sia per il piacere o per impressionare, come nei grandi giardini imperiali; per rilassarsi e fuggire dal mondo reale, come nei giardini più intimi creati da poeti, studiosi, ex funzionari governativi, soldati e mercanti; sia per la riflessione e preghiera, dunque un contatto con la natura e il creatore, come nei dei templi.

Storia

Origini

I primi giardini cinesi di cui si hanno notizia, sono quelli che sorsero nella valle del Fiume Giallo durante la dinastia Shang (1600-1046 a.C.). Si presentavano come grandi parchi chiusi dove i re e i nobili cacciavano selvaggina, o dove venivano coltivate frutta e verdure.
Le prime iscrizioni di questo periodo, scolpite su gusci di tartaruga, presentano tre caratteri cinesi per giardino, You, Pu e Yuan. You era concepito come un giardino reale dove venivano tenuti gli uccelli e gli animali; mentre pu era un giardino per le piante. Durante la dinastia Qin (221-206 a.C.), yuan divenne il prototipo per tutti i giardini cinesi. Il più antico esempio dello stile yuan () è una piccola immagine di un giardino. Inscritto in un quadrato, che può rappresentare un muro, porta dei simboli che possono costituire la pianta di una struttura; una piccola piazza che simboleggia uno stagno, e un simbolo per una piantagione o un albero di melograno.
Un famoso giardino reale della dinastia Shang era la Terrazza, lo Stagno e il parco dello Spirito (Lingtai, Lingzhao Lingyou) costruiti dal re Wén Wáng di Zhou (1099-1050 a.C.) a ovest della sua capitale, Yin. Il parco è stato descritto nella celebre Shijing in questo modo:
«L'imperatore fa la sua passeggiata nel parco dello Spirito,
I cervi sono inginocchiati sull'erba, nutrendo i loro cerbiatti,
I cervi sono belli e splendenti.
Le gru immacolate hanno piume di un bianco brillante.
L'imperatore fa la sua passeggiata al laghetto dello Spirito,
L'acqua è piena di pesci, che guizzano.»
Un altro antico giardino reale era Shaqiu (沙丘, Shāqiū), o delle Dune di Sabbia, costruito dall'ultimo sovrano Shang, Di Xin (1075-1046 a.C.). Era composto da una terrazza di terra, o Tai, che serviva come una piattaforma di osservazione al centro di un grande parco. Venne descritto in uno dei primi classici della letteratura cinese, lo Shiji. Secondo lo Shiji, una delle caratteristiche più famose di questo giardino era il Lago di Vino e la Foresta di Carne, dove un bacino rivestito da lucide pietre ovali marine, abbastanza grande per diverse piccole imbarcazioni, venne costruito alla base del Castello, per poi esser stato riempito con del vino. Al centro vi era un'isola dove vennero piantati degli alberi ai quali rami vennero appesi spiedini di carne arrostita. Di Xin e i suoi cortigiani e concubine andavano alla deriva con le loro barche, bevendo il vino con le loro mani e mangiando la carne arrostita dagli alberi. Più tardi filosofi e storici cinesi citarono questo giardino come un esempio di decadenza e di cattivo gusto.
Durante il Periodo delle primavere e degli autunni (722 a.C. al 481 a.C.), il re Lì Wáng della Dinastia Zhou costruì nel 535 a.C. la Terrazza di Shanghua, con palazzi riccamente decorati. Nel 505 a.C. si iniziò la costruzione di un altro giardino ancor più elaborato, la Terrazza del Gusu, situato sul fianco di una montagna, comprendeva una serie di terrazze collegate da gallerie, e un lago dalle barche a forma di draghi blu. Dalla terrazza più alta la vista si estendeva fino al Tai Hu, il Grande Lago.

La leggenda dell'Isola degli Immortali

Un'antica leggenda cinese ha giocato un ruolo importante nella creazione dei primi giardini. Nel IV secolo a.C. un racconto dello Shan Hai Jing, o Libro dei monti e dei mari, ha descritto un picco chiamato Monte Penglai situato su una delle tre isole all'estremità orientale del Mare di Bohai, tra la Cina e la Corea, residenza degli Otto Immortali. Si raccontava che su questa isola vi sorgevano palazzi d'oro e d'argento, con gioielli sugli alberi. Non c'era dolore, né inverno, bicchieri di vino e ciotole di riso erano sempre pieni, e la frutta, se mangiata, concedeva l'immortalità.
Nel 221 a.C. Ying Zhèng, il re di Qin, conquistò i suoi rivali e unificò la Cina in un impero. Venuto a conoscenza della leggenda delle isole inviò subito degli emissari alla ricerca del luogo per riportare l'elisir dell'immortalità; senza successo. Allora nel suo palazzo nei pressi della sua capitale, Xianyang, creò un giardino con un grande lago chiamato Lanchi gong, "Lago delle orchidee", dal quale sorgeva un'isola dove ricreò la replica del monte Penglai, a simboleggiare la sua ricerca del paradiso. Dopo la sua morte, il suo impero cadde nel 206 a.C. e la sua capitale e il giardino andarono completamente distrutti. Tuttavia la leggenda continuò a ispirare molti giardini cinesi.

Dinastia Han

Con l'avvento della nuova Dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.), una nuova capitale venne fondata a Chang'an, e l'imperatore Han Wudi costruì un nuovo giardino imperiale che univa le caratteristiche dei giardini botanici e zoologici, nonché i tradizionali terreni di caccia . Ispirato da un'altra versione del classico cinese sulle isole di Immortali, chiamato Liezi, o Libro del Vuoto Perfetto, creò un grande bacino artificiale, il Lago dell'Essenza Suprema, con tre isole artificiali al centro a rappresentare le tre isole degli Immortali. Il parco venne poi distrutto, ma il suo ricordo continuerà ad ispirare il disegno dei giardini cinesi per secoli.
Un altro notevole giardino del periodo Han era quello del generale Liang-Ji, costruito sotto l'imperatore Shundi (125-144 d.C.) utilizzando la sua fortuna accumulata durante i 20 anni di servizio alla corte imperiale. Liang-Ji fece costruire un immenso giardino paesaggistico con montagne artificiali, gole e foreste, pieno di uccelli rari e animali selvatici addomesticati. Fu uno dei primi giardini che ha cercato di ricreare la natura, idealizzata.

I giardini dei poeti e degli studiosi

Dopo la caduta della dinastia Han iniziò in Cina un lungo periodo di instabilità politica. Il buddismo fu introdotto già nel 64 dall'imperatore Ming Di (57-75 d.C.), e si diffuse rapidamente, tanto che nel 495, nel periodo Dinastie del Nord e del Sud, la città di Luoyang, capitale della dinastia Wei del Nord, contava oltre 1.300 templi e ciascuno di essi dotati del suo piccolo giardino.
Durante questo periodo, molti funzionari di governo lasciarono la corte e costruirono dei giardini dove potevano sfuggire al mondo esterno e concentrarsi sulla natura e la letteratura. Un esempio è il Jingu Yuan, o "Giardino della Valle d'Oro", costruito nel 296 a una decina di chilometri a nord-est di Luoyang da Shi Chong (249-300 dC), un aristocratico ed ex funzionario di corte. Shi Chong invitò una trentina di famosi poeti a un banchetto nel suo giardino, e descrisse l'evento stesso:
«Posseggo casa di campagna nel torrente della Valle d'Oro ... dove c'è una sorgente di acqua pura, una rigogliosa foresta, alberi da frutto, bambù, cipressi e piante officinali. Ci sono campi, duecento fra pecore, polli, maiali, oche e anatre ... C'è anche un mulino ad acqua, un stagno con pesci, grotte, e tutto per distrarre lo sguardo e compiacere il cuore .... Con i miei amici letterati, abbiamo passeggiato giorno e notte, banchettato, scalato la montagna per vedere il paesaggio, e ci siamo seduti lungo il torrente
Questa visita al giardino determinò una famosa raccolta di poesie, Jingu Shi, o "Poesie della Valle d'Oro", e ha lanciato la lunga tradizione di scrivere poesie e sui giardini
Il poeta e calligrafo Wang Xizhi (307-365) scrisse nella sua eccellente calligrafia Lanting Xu, Prefazione al poema del padiglione delle orchidee, l'introduzione del celebre libro La raccolta del padiglione delle orchidee, dove racconta di una seduta poetica tenutasi nel ritiro di campagna detto appunto Padiglione delle Orchidee e ne registrò le poesie:
«questo parco aveva un ruscello serpeggiante, dove Wang Xizhi aveva riunito un gruppo di famosi poeti facendoli sedere accanto al ruscello. Poi mise delle coppe di vino nel flusso lasciandoli galleggiare. Se la coppa si fermava accanto a uno dei poeti, quest'ultimo era costretto a bere e poi a comporre una poesia. Il Liubei tang, "Giardino della Coppa galleggiante'", con piccoli padiglioni e sinuosi ruscelli artificiali, divenne estremamente popolare sia nei giardini imperiali che in quelli privati.
Il Padiglione delle Orchidee ispirò anche l'imperatore Sui Yangdi (604-617) per costruire il suo nuovo giardino imperiale, il Giardino dell'Ovest, vicino a Hangzhou. Il giardino era incentrato proprio su un torrente tortuoso atto a far galleggiare le coppe di vino e dotato di padiglioni per la scrittura di poesie. Egli utilizzò il parco anche per eventi teatrali; e fece fluttuare piccole imbarcazioni con figure animate che illustravano la storia della Cina.»

Dinastia Tang

La dinastia Tang (618-907) è stata considerata come la prima Epoca d'oro del giardino classico cinese. L'imperatore Xuan Zong fece costruire un magnifico giardino imperiale, il Giardino del Maestoso Lago Limpido, vicino a Chang'an, dove ha vissuto con la sua famosa concubina Yang Guifei, che governava il palazzo e l'imperatore.
Pittura e poesia raggiunsero un livello mai visto prima, e nuovi giardini, grandi e piccoli, riempirono la capitale, Chang'an. I nuovi giardini erano ispirati alle leggende classiche e poesie. C'erano Shanchi yuan, giardini con montagne e stagni artificiali, ispirati alla leggenda delle isole di immortali, e Shanting yuan, giardini con repliche di montagne e padiglioni. Anche le residenze ordinarie avevano dei piccoli giardini nei loro cortili, con le montagne di terracotta e piccoli stagni.
Questi giardini classici cinesi, o Wenren yuan, giardini degli studiosi, si sono ispirati, e, a sua volta ispirarono, la poesia classica cinese e la pittura. Un esempio notevole fu il Giardino della Valle del Jante del poeta-pittore e funzionario Wang Wei (701-761) che acquistò la villa in rovina di un poeta vicino alla foce di un fiume, su un lago. Vi creò una ventina di piccole scene di paesaggistiche: il Giardino delle Magnolie, dei Salici ondeggianti, il chiosco nel cuore dei bambù, la primavera della polvere d'oro, e lil padiglione sul lago. Scrisse una poesia per ogni scena del giardino e commissionò un famoso artista, di dipingere le scene del giardino sulle pareti della sua villa. Dopo il ritiro dal governo, Wang Wei, passò il tempo facendo escursioni in barca sul lago, suonando la Cetra e scrivendo e recitando poesie.
Durante la dinastia Tang, inoltre, la coltivazione delle piante raggiunse un livello avanzato. Vennero introdotte essenze attraverso varie vie: la naturalizzazione, l'addomesticamento, trapianto, e l'innesto. Le proprietà estetiche delle piante vennero evidenziate, e numerosi libri sulla classificazione e coltivazione delle piante vennero pubblicati. L'allora capitale, Chang'an, era una città cosmopolita, piena di diplomatici, mercanti, pellegrini, monaci e studenti, che portavano le descrizioni dei giardini in tutta l'Asia. La prosperità economica della Dinastia Tang ha portato alla crescente costruzione di giardini classici attraverso tutta la Cina.
L'ultima grande creazione del giardino della Dinastia Tang fu il Pingquan Shanzhuang, "Borgo della Montagna delle Primavere Serene", costruito a est della città di Luoyang da Li Deyu, Gran Ministro dell'Impero. Il giardino era enorme, con oltre un centinaio di padiglioni e strutture, soprattutto famoso per la sua collezione di rocce e piante esotiche, che raccolse in tutta la Cina. Le rocce dalle forme insolite, conosciute come "Pietre degli studiosi cinesi", erano sempre più selezionate per rappresentare la parte di una catena montuosa o di una montagna all'interno di una scena del giardino. A poco a poco divenne una caratteristica essenziale del giardino cinese.

Dinastia Song

La Dinastia Song (960-1279), divisa nei due periodi "Song settentrionali" e "Song meridionali" a seguito dell'invasione degli Jurchen, erano entrambi noti per la costruzione di famosi giardini. L'imperatore Hui Zong (1082-1135) fu un pittore di uccelli e fiori. Studioso egli stesso, integrò gli elementi del giardino degli studiosi nel suo grande giardino imperiale. La sua prima creazione fi il cosiddetto Bacino della Chiarezza d'Oro nella sua capitale Kaifeng. Si componeva di un lago artificiale circondato da terrazze e padiglioni, venne inaugurato in primavera con regate e spettacoli sul lago. Nel 1117 curò personalmente la costruzione di un nuovo giardino, ricco di piante esotiche e pittoresche rocce importate da tutto l'impero, in particolare le rocce pregiate del Tai Hu. Alcune delle rocce erano così grandi che per permettere il loro trasporto via acqua sul Gran Canale, dovette distruggere tutti i ponti tra Hangzhou e Pechino. Al centro del suo giardino aveva costruito una montagna artificiale alta un centinaio di metri, con scogliere e anfratti, che chiamò Genyue, o "Montagna della Stabilità"." Il giardino fu terminata nel 1122, ma nel 1127 l'imperatore Huizong fu costretto a fuggire quando la sua capitale venne attaccata dagli eserciti della dinastia Jīn. Al suo ritorno, il suo giardino era completamente distrutto, tutti i padiglioni bruciati e le opere d'arte saccheggiate. Solo la montagna era rimasta.
Certamente i giardini imperiali erano i più noti, ma innumerevoli giardini minori, altrettanto suggestivi, sorsero nelle città cinesi. A Luoyang per esempio si ricordano il Giardino del Monastero dei governanti celesti, conosciuto per le sue peonie, che attiravano tutta la popolazione al momento della loro fioritura; il Giardino delle molteplici Primavere, apprezzato per la sua vista sulle montagne. Il più famoso di Luoyang era il Dule Yuan, "Giardino della Gioia Solitaria", costruito dal poeta e storico Sima Guang (1021-1086) con superficie di otto mu, circa 1,5 ettari. Al centro sorgeva il "Padiglione dello Studio", la cui biblioteca conteneva cinquemila volumi; a nord vi era un lago artificiale con una piccola isola e un pittoresco villaggio di capanne di pescatori; a est un orto di erbe medicinali, e ad ovest una montagna artificiale con un Belvedere alla sommità sui quartieri circostanti. Qualsiasi passante poteva visitarlo pagando una piccola somma.
Dopo la sconfitta dell'imperatore Hui Zong, la capitale della dinastia Song fu trasferita a Lín'ān (l'odierna Hangzhou), che ben presto si coprì di più di una cinquantina di giardini costruiti sulle rive del Lago dell'ovest. L'altra città famosa della provincia per i suoi giardini era Pingjiang (l'odierna Suzhou), dove molti studiosi, funzionari governativi e mercanti costruirono residenze con giardino. Alcuni di questi giardini esistono ancora oggi, anche se la maggior parte vennero molto alterati nel corso dei secoli. Il più antico giardino di Suzhou ancora esistente è il Cāng Làng Tíng, "Padiglione delle Onde che irrompono", costruito nel 1044 dal poeta Su Shunqing come un padiglione di osservazione sulla collina. Altri padiglioni intorno lago vennero aggiunti man mano. Nel corso dei secoli è stato molto modificato, ma conserva ancora il suo piano essenziale.
Un altro giardino sopravvissuto della dinastia Song è il Wǎngshī Yuán, Giardino del Maestro delle Reti di Suzhou, creato nel 1141 da Shi Zhengzhi, Vice Ministro del governo dei Song meridionali. Possedeva una biblioteca, la "Sala dei Diecimila volumi" e un giardino adiacente chiamato "Ritiro dei Pescatori". Ampiamente rimaneggiato tra il 1736 e il 1796, rimane tuttavia uno dei migliori esempi di giardino degli studiosi della dinastia Song.
Nella città di Wuxi, sul bordo del Tai Hu e ai piedi di due montagne, sorgevano trentaquattro giardini in epoca Song, come registrato dallo storico Zhou Mi (1232-1308). I due più famosi giardini erano il Bei Yuán, "Giardino del Nord", e il Nan Yuán, "Giardino del Sud", entrambi appartenenti a Shen Dehe, Gran ministro all'Imperatore Gāozōng (1131-1162). Il primo era un classico giardino con laghetti affacciato sulle montagne (Shanshui); aveva un lago con un'isola dell'Immortalità (Penglai dao), sulla quale spuntavano tre grandi macigni portati dal Tai hu. Il Giardino del Sud era un giardino acquatico, con cinque grandi laghi collegati al lago Tai hu. Una terrazza permetteva una splendida vista sul lago e sulle montagne.

Dinastia Yuan

Nel 1271 Kublai Khan, condottiero mongolo, si affacciò in Cina, dove nel 1279 annientò l'ultima resistenza dei Song. Unificò la Cina e stabilì la Dinastia Yuan (1279-1368) fondando la nuova capitale a Dadu (grande capitale), sul sito dell'odierna Pechino.
Il più famoso giardino della dinastia Yuan è quello che venne realizzato da Kublai Khan per la sua residenza estiva di Xanadu. Il viaggiatore veneziano Marco Polo avrebbe visitato Xanadu intorno al 1275, e descrisse il giardino in questo modo:
«E atorno a questo palagio è uno muro ch'è grande 15 miglia, e quivi àe fiumi e fontane e prati assai. E quivi tiene lo Grande Kane di molte fatte bestie, cioè cerbi, dani e cavriuoli, per dare mangiare a' gerfalchi e a' falconi ch'egli tiene in muda: in quello lugo egli v'à bene 200 gerfalchi. Egli medesimo vuole andare bene una volta ogne settimana (a vedere). E più volte quando 'l Grande Kane vae per questo prato murato, porta uno leopardo in sulla groppa del cavallo; e quando egli vuole fare pigliare alcuna di queste bestie, lascia andare lo leopardo, e 'l leopardo la piglia e falla dare agli suoi gerfalchi ch'egli tiene in muda; e questo fae per suo diletto.»
Quando fondò la sua nuova capitale a Dadu, Kublai Khan ampliò i laghi artificiali del ‘' Běihǎi Gōngyuán'’, il Parco Beihai, già creati un secolo prima dalla Dinastia Jīn, e costruì l'isola di ‘'Qióng-huá'’, alta fino a 32 metri sul livello del lago, creando un forte contrasto tra le banchine curve del lago e dei giardino e la geometria rigorosa di ciò che più tardi divenne la Città Proibita di Pechino. Questo contrasto è ancora oggi visibile.
Nonostante l'invasione mongola, il giardino classico cinese, dei Poeti e degli Studiosi, ha continuato a fiorire in altre parti della Cina. Un ottimo esempio è lo Shizi Lin, La "Foresta dei Leoni" di Suzhou che, costruito nel 1342, prese nome dalla raccolta delle fantastiche e grottesche rocce provenienti dal Lago Tai, le quali assomigliavano a teste di leone. Più tardi gli imperatori Kangxi e Qianlong, della dinastia Qing, visitarono il giardino più volte, e lo presero come modello per il proprio giardino estivo, il Giardino della Perfezione e dello Splendore, a Bìshǔ Shānzhuāng, Località montana di Chengde.
Nel 1368, le forze di Zhu Yuanzhang presero Dadu dai Mongoli e rovesciarono gli Yuan, installando la celebre dinastia Ming che durò per ben tre secoli. Zhu Yuanzhang ordinò di bruciare tutti i palazzi degli Yuan a Dadu.

Dinastia Ming

Il più famoso giardino esistente dalla dinastia Ming (1368-1644) è il Giardino dell'Umile Amministratore a Suzhou. Costruito durante il regno dell'imperatore Zhengde (1506-1521) da Wang Xianchen, un amministratore di governo che ritiratosi dal servizio si dedicò al suo giardino. Venne molto modificato nel corso del tempo, ma la parte centrale è sopravvissuta secondo l'impianto originale: un grande stagno pieno di fiori di loto, circondato da strutture e padiglioni progettati come punti di vista sul lago e i giardini. Inoltre fa un buon uso del principio Jiejing, la "vista in prestito", inquadrando con cura e attenzione la vista sulle montagne circostanti e su una pagoda in lontananza.
Di quest'epoca è anche il Giardino del Mandarino Yu a Shanghai, commissionato dall'ufficiale Pan Yu nel XVI secolo al celebre architetto-paesaggista Zhang Nayang. Vero microcosmo in cui piante, animali e minerali convivono, è ricco di più di 30 padiglioni e presenta tutte le caratteristiche del tipico giardino cinese; è diviso da mura dove qui prendono le sembianze di un drago serpeggiante.
Un altro giardino esistente dalla dinastia Ming è il Liú Yuán, "Giardino dell'Indugiare", sempre a Suzhou, costruito durante il regno dell'imperatore Wanli (1573-1620). Si sviluppa intorno a un camminamento coperto che serpeggia per 700 metri, collegando i punti di vista più interessanti. Durante la dinastia Qing vi vennero aggiunte dodici alte rocce calcaree a simboleggiare le montagne, la più pittoresca delle quali era il cosiddetto Picco della Nube promettente, diventato un elemento centrale del giardino.
Il celebre giardiniere-paesaggista cinese Ji Cheng, autore di numerosi giardini, scrisse fra il 1631 e il 1634 lo Yuanye, un manuale di creazione del giardino classico cinese.

Dinastia Qing

La dinastia Qing (1644-1912) l'ultima della Cina ha continuato l'arte dei giardini. I più famosi di questo periodo furono quelli del Palazzo d'Estate e dell'Antico Palazzo d'Estate, sulla Collina della Longevità, vicino a Pechino. Entrambi i giardini sono diventati i simboli del lusso e della raffinatezza, e sono stati ampiamente descritti da visitatori europei.
Padre Jean-Denis Attiret, gesuita francese che divenne pittore di corte per l'imperatore Qianlong 1738-1768, descrisse la Terrazza di Giada dell'Isola dell'Immortalità nel lago del Palazzo d'Estate:
«Ciò che è un vero gioiello è una roccia o isola ... che è nel mezzo di questo lago, su cui è costruito un piccolo palazzo, che contiene un centinaio di camere e saloni ... di una bellezza e di un gusto che non sono in grado di esprimervi. La vista è ammirevole ...»
La loro costruzione e modifiche consumarono gran parte del tesoro imperiale. Infatti, come comunemente noto, l'Imperatrice vedova Cixi dirottò i fondi destinati alla modernizzazione della flotta Pei-yang per ripristinare il Palazzo d'Estate e la singolare casa da tè di marmo a forma di barca del lago Kunming. Sia il Palazzo d'Estate che l'Antico Palazzo d'Estate furono distrutti durante la rivolta dei Boxer e da una spedizione punitiva delle forze armate europee durante il XIX secolo, ma ora è in corso il loro restauro.
Oltre ai palazzi sulla Collina della Longevità gli imperatori Qing costruirono tra il 1703 e il 1792 un nuovo complesso di giardini e palazzi in montagna, a 200 chilometri a nord-est di Pechino, per sfuggire alla calura estiva della capitale. Venne chiamato Bìshǔ Shānzhuāng letteralmente: "luogo di soggiorno montano per evitare il caldo" e oggi noto come Località montana di Chengde. Occupava 560 ettari, con settantadue viste paesaggistiche separate che ricreavano paesaggi in miniatura di diverse parti della Cina Questo parco è sopravvissuto relativamente intatto.
Fra i giardini dei letterati ancora esistenti risalenti a tale periodo vi sono il Ǒu Yuán, "Giardino del ritiro della coppia" (1723–1736), e il Tuìsī Yuán, "Giardino del ritiro e della riflessione" (1885), entrambi a Suzhou.

Caratteristiche ed elementi

Un giardino cinese è stato concepito per essere scoperto poco a poco e non essere visto tutto in una volta. il progetto di un giardino classico cinese si presenta al visitatore con una serie di scorci perfettamente composti e incorniciati di paesaggi; una vista su uno stagno, o su una roccia, su un boschetto di bambù, su un albero in fiore, o uno scorcio su una montagna o una pagoda distanti. Lo scrittore e filosofo cinese del XVI secolo Ji Cheng istruì i costruttori di giardini su come "nascondere il volgare e comune e risaltare l'eccellente e lo splendore".
Alcuni dei primi visitatori visitatori occidentali dei giardini imperiali cinesi li vedevano caotici, affollati di edifici in stili diversi, senza alcun ordine apparente. Ma il sacerdote gesuita Jean Denis Attiret, che ha vissuto in Cina dal 1739 divenendo pittore di corte di Qianlong, osservò che c'era un "bel disturbo, un anti-simmetria" nel giardino cinese.
«Si ammira l'arte con cui questa irregolarità si svolge tutto è di buon gusto, e così ben organizzato, che non c'è un solo panorama da cui tutta la bellezza può essere vista,.. Bisogna vedere pezzo per pezzo.»
I giardini classici cinesi variavano notevolmente in termini di dimensioni. Il più grande giardino di Suzhou, quello dell'Umile Amministratore, misurava un po' più di dieci ettari, e un quinto del giardino è occupato dal laghetto. Ma essi, tuttavia, non devono essere di grandi dimensioni. Ji Cheng, celebre paesaggista, costruì un giardino per Wu Youyu, il tesoriere di Nanchino, che era poco meno di un ettaro in termini di dimensioni, e il tour del giardino era lungo solo quattrocento passi dall'ingresso all'ultimo punto di osservazione, ma Wu Youyu disse che conteneva tutte le meraviglie della provincia in un unico luogo. Il giardino classico è circondato da un muro, di solito dipinto di bianco, come sfondo puro per fiori e alberi. Un stagno di acqua di solito si trova in pieno centro e molte strutture, grandi e piccole, vi sono erette intorno. Le strutture, padiglioni, biblioteca o studi, sono concepiti come punti di osservazione delle caratteristiche del giardino e sono collegati da gallerie che aiutano a dividere il giardino in singole scene o paesaggi. Gli altri elementi essenziali di un giardino cinese sono le piante, gli alberi, e le rocce, tutte accuratamente composti in piccoli paesaggi perfetti. Un altro elemento è lo Jiejing o "Scenario in prestito", dove spesso scorci inaspettati di paesaggi al di fuori del giardino, come le cime, pagode, sembrano essere un prolungamento del giardino stesso.

Architetture

I giardini cinesi sono puntellati di innumerevoli architetture: sale, padiglioni, templi, gallerie, ponti, chioschi, e torri, che occupano circa i due terzi dello spazio. Ad esempio il Giardino dell'Umile Amministratore a Suzhou, dispone di quarantotto strutture, tra cui una residenza con diverse sale per riunioni di famiglia e di intrattenimento, diciotto padiglioni per la visualizzazione delle differenti caratteristiche del giardino, e un assortimento di torri, gallerie e ponti, tutti progettati per visualizzare più parti dei giardini da diversi punti di vista. Le strutture da giardino non sono progettate per dominare il paesaggio, ma per essere in armonia con esso.
Le sale (ting) sono utilizzate piuttosto per accogliere ospiti e dare ricevimenti, i padiglioni, più piccoli, (detti anche ting), sono progettati per fornire riparo dal sole o dalla pioggia, per contemplare una scena, recitare una poesia, giocare, o semplicemente riposare. I Padiglioni potrebbero trovarsi nel luogo in cui l'alba può essere meglio ammirata, dove la luce della luna splende si riflette sull'acqua, dove il fogliame autunnale domina meglio, dove il rumore della pioggia può essere meglio ascoltato (sulle foglie di banano), o dove il vento fischia attraverso le canne di bambù. A volte sorgono isolati o talvolta sono attaccati alla parete di un altro edificio, e posti nei migliori punti di vista del giardino, su uno stagno o in cima ad una collina, e prendono nome dalla scena che mostrano o dall'esperienza che offrono: Sala degli Aromi distanti, Padiglione della Luna e del Vento, Torre per scorgere la montagna, ecc. I giardini classici tradizionalmente hanno queste strutture:
  • Tang o Ting, edificio utilizzato per feste di famiglia o cerimonie, di solito con un cortile interno, non lontano dal cancello d'ingresso.
  • Dating, è il padiglione principale, per accogliere gli ospiti, dare banchetti e celebrare feste come il Capodanno, la Festa delle Lanterne. Spesso l'edificio è cinto da un portico per fornire fresco e ombra.
  • Huating, è il padiglione dei fiori, situato nei pressi della residenza, questo edificio ha un cortile posteriore pieno di fiori, piante, e un piccolo giardino roccioso.
  • Simian ting, padiglione di fronte le quattro direzioni. Questo edificio ha pareti mobili o pieghevoli, per l'apertura di una vista panoramica sul giardino.
  • Hehua ting, padiglione di loto. Costruito accanto a un laghetto di loto, per vederne i fiori e apprezzare la fragranza.
  • Yuanyang ting, padiglione delle anatre mandarine. Edificio diviso in due sezioni; una esposta a nord, usata in estate, dal cortile ombreggiato e affacciato su un laghetto che fornisce aria fresca; e la parte meridionale, utilizzata in inverno, con un cortile alberato da pini sempreverdi e susini, i cui fiori annunciato l'arrivo della primavera.
I giardini spesso dispongono di torri a due piani (lou o ge) solitamente ai margini del giardino, con una parte inferiore in pietra e un piano superiore imbiancato, per una vista dall'alto di alcune parti del giardino o per scorgere il paesaggio lontano.
Alcuni giardini hanno un pittoresco padiglione di pietra a forma di barca, che si trova nello stagno. (chiamato Xie, fang, o Shifang). Questi in genere era costituiti da tre parti; un chiosco con timpani alati sul davanti, una sala più intima al centro, e una struttura a due piani con una vista panoramica dello stagno nella parte posteriore.

Cortili
I giardini contengono solitamente piccoli cortili chiusi (yuan) che offrono la tranquillità e la solitudine per la meditazione, la pittura, bere il tè, o suonare strumenti.
Le gallerie (lang) sono stretti corridoi coperti che collegano gli edifici, proteggono dalla pioggia e dal sole, e contribuiscono a dividere il giardino in diverse sezioni. Queste gallerie sono raramente dritte; infatti possono essere a zig-zag o serpeggiano seguendo la parete del giardino, il bordo dello stagno, o il crinale della collina del giardino roccioso. Sono dotate di piccole finestre, ora rotonde ora dalle forme geometriche particolari, che regalano viste della parte di giardino che si sta attraversando.
Finestre e porte sono un elemento architettonico importante del giardino cinese. Talvolta sono rotondi (finestre della luna o cancello della luna) o ovali, esagonali o ottagonali, o nella forma di un vaso o un pezzo di frutta. A volte presentano cornici importanti in ceramica e possono inquadrare dei dettagli (ramo di un albero di pino, un susino in fiore) o affacciarsi su scorci o paesaggi.
I ponti sono un'altra caratteristica comune del giardino cinese. Come le gallerie, raramente sono dritti, ma a zig-zag o arco, rialzati sopra gli stagni, ispirandosi ai ponti della Cina rurale. Anch'essi aprono delle viste sul giardino. I ponti sono spesso costruiti in legno grezzo o in pietra e a volte sono dipinti a colori vivaci o laccati.
I giardini, spesso, accolgono anche piccole case austere per la solitudine e la meditazione, a volte sotto forma di rustiche capanne da pesca, e gli edifici isolati che servono come librerie o studi (Shufang).



Montagne artificiali e giardini di rocce

Lo Jiashan, la montagna artificiale o giardino di rocce, è un elemento integrante dei giardini classici cinesi. Il picco della montagna era un simbolo di virtù, simbolo di stabilità e resistenza secondo la filosofia confuciana e il Libro dei Mutamenti. Un picco di una montagna su un'isola è stata anche la parte centrale della leggenda dell'Isola degli Immortali, e divenne così un importante elemento per molti giardini classici.
Il primo giardino roccioso apparso nella storia quello di Tu Yuan (letteralmente "Giardino dell'appartato"), costruito durante la dinastia Han (206 a.C. - 220 d.C.). Durante la dinastia Tang, la roccia è stata elevata al rango di un oggetto d'arte, giudicato per la sua forma (xing), sostanza (zhi), colore (se), e consistenza (wen); ma anche per la sua morbidezza, trasparenza, e altri fattori. Il poeta Bai Juyi (772-846) scrisse un catalogo delle famose rocce del lago Taihu, chiamato Taihu Shiji. Queste rocce di calcare scolpite dall'erosione divennero le più apprezzate per i giardini.
Durante la dinastia Song, le montagne artificiali vennero realizzate in gran parte di terra. Ma l'imperatore Huizong (1100-1125) ha quasi rovinato l'economia dell'Impero distruggendo i ponti del Gran Canale per recuperarne le enormi rocce per il suo giardino. Durante la dinastia Ming, l'uso di pile di rocce per creare montagne artificiali e grotte raggiunse il suo culmine. Durante la dinastia Qing, i giardini di rocciosi dei Ming furono considerati troppo artificiali e le nuove montagne vennero composte sia da rocce che da terra.
Le montagna artificiali solitamente presentano un piccolo padiglione panoramico al vertice. Nei piccoli giardini classici, una singola roccia rappresenta una montagna, e una fila di rocce una catena montuosa.

Acque

Uno stagno, o un lago, è l'elemento centrale di un giardino cinese, spesso piantumato con fiori di loto e animato da pesci rossi. Gli edifici principali vi sono in genere collocati accanto, e i padiglioni offrono piacevoli scorci sulle acque.
Gli specchi d'acqua hanno un importante ruolo simbolico nel giardino. Nel Libro dei Mutamenti l'acqua rappresenta la leggerezza e la comunicazione, e portava il cibo della vita nel suo viaggio attraverso le valli e pianure. È anche il complemento alla montagna, l'altro elemento centrale del giardino, che rappresenta i sogni e l'infinità degli spazi. La morbidezza dell'acqua contrasta con la solidità delle rocce. L'acqua riflette il cielo, e, pertanto, è in continua evoluzione, anche un vento leggero può ammorbidire o cancellare i riflessi.
I laghi e padiglioni posti lungo le acque dei giardini cinesi sono stati influenzati anche da un altro classico della letteratura cinese, il Shishuo Xinyu di Liu Yiqing (403-444), che illustra le passeggiate dell'Imperatore Jian Wen Di della Dinastia Jìn lungo le rive dei fiumi Hao e Pu, nel Giardino della Splendida Foresta (Hualin yuan). Molti giardini, in particolare in quelli del Jiangnan o quelli imperiali del nord della Cina, hanno caratteristiche e nomi tratti da quest'opera.
I giardini più piccoli presentano sovente un unico stagno, con una roccia, piante e strutture in tutto il bordo. Giardini di medie dimensioni in genere posseggono un lago con uno o più flussi attraversati da ponti, o un singolo lago, lungo, diviso in due corpi d'acqua da uno stretto canale e scavalcato da un ponte. In un giardino molto grande tutto è amplificato, come ad esempio nel Giardino dell'Umile Amministratore, la cui caratteristica principale è il grande lago con le sue isole simboliche, a riecheggiare le isole dei immortali. I flussi entrano nel lago formando diversi scenari, numerose strutture forniscono differenti vedute dell'acqua, vi sono numerosi padiglioni, una barca di pietra, un ponte coperto.
I corsi d'acqua nel giardino cinese seguono sempre un andamento tortuoso, e sono nascosti, di volta in volta, da rocce o vegetazione. Un missionario gesuita francese, padre Attiret, divenuto pittore al servizio dell'imperatore Qianlong (1738-1768), descrisse così un giardino che aveva visto:
«I canali non sono come quelli del nostro Paese dove sono bordati con la pietra finemente tagliata, ma sono molto rustici e rivestiti con ciottoli o rocce, a volte protesi in avanti e a volte ritratti all'interno. Sono posti in un modo che si potrebbe pensare sia opera della natura.»
In alcuni giardini, dei cortili sono allestiti in una strana maniera. Delle zone piane e lisce, riempite con della sabbia bianca, e bordate di rocce creavano l'impressione di laghi e stagni, che alla luce della luna sembravano specchi d'acqua reali. Questo stile di giardino secco fu poi importato in Giappone e sviluppato nel giardino zen.

Piante

Fiori e alberi, insieme all'acqua, le rocce e l'architettura, sono il quarto elemento essenziale del giardino cinese. Essi rappresentano la natura nella sua forma più viva, e contrastano con le linee rette dell'architettura e la staticità. Cambiano continuamente con le stagioni, e forniscono sia suoni (il suono della pioggia sulle foglie di banano o il vento sui bambù) che aromi e colori per compiacere il visitatore.
Ogni pianta nel giardino aveva un suo significato simbolico. Il Pino, il Bambù e il Prugno cinese (Prunus mume) erano considerati i Tre Amici d'inverno (歲寒 三 友) dagli studiosi che crearono i giardini classici, preziosi per rimanere verdi o fiorire in inverno. Erano spesso dipinti da artisti come Zhao Mengjian (1199-1264). Per gli studiosi, il pino era l'emblema di longevità e tenacia, nonché costanza nell'amicizia. Il bambù, una cannuccia cava, rappresentava un uomo saggio, modesto e in cerca della conoscenza, anche noto per essere flessibile in una tempesta senza rompersi. I Susini erano venerati come simbolo della rinascita dopo l'inverno e l'arrivo della primavera. Durante la dinastia Song, l'albero preferito era il susino, apprezzato per la sua precoce fioritura dai toni bianchi e rosa e il dolce aroma.
Il Pesco nel giardino cinese simboleggia la longevità e l'immortalità. Le pesche sono associate alla mitologica storia del Frutteto di Xī Wángmǔ, la "Regina Madre d'Occidente", dove in questo luogo leggendario i peschi fiorivano solo dopo tremila anni, fruttificavano solo dopo altri tre mila anni, e maturano dopo altri tre mila anni. Chi riusciva a mangiare quelle pesche diveniva immortale. Questo leggendario frutteto è stato raffigurato in molti dipinti cinesi, e ha ispirato molte scene di giardino. Gli alberi di Pero erano il simbolo della giustizia e della saggezza, ma poteva anche simboleggiare una lunga amicizia o il romanticismo, dato che la pianta vive molto a lungo.
L'Albicocco simboleggiava la via del Mandarino. Durante la dinastia Tang, infatti, coloro che superavano gli Esami imperiali, venivano premiati con un banchetto nello Xingyuan, o "Giardino degli albicocchi".
Il frutto del Melograno veniva offerto alle giovani coppie come simbolo di fertilità. Il Salice rappresentava l'amicizia e i piaceri della vita, infatti dei ramoscelli venivano offerti agli ospiti in simbolo di amicizia.
Nell'antica Cina era molto apprezzato il Glicine, che con la sua attitudine a saldarsi strettamente al suo supporto era considerata un simbolo di amicizia che niente e nessuno poteva spezzare.
Tra i fiori del giardino cinese, i più apprezzati sono l'Orchidea, la Peonia, e il Fior di loto. L'orchidea è stato il simbolo di nobiltà. Durante la dinastia Tang, la peonia, con una delicata fragranza e simbolo di opulenza, era il fiore più celebre nel giardino. Il poeta Zhou Dunyi scrisse un famoso elogio al loto, paragonandolo a un junzi, un uomo che possedeva l'integrità e l'equilibrio. Il loto veniva ammirato per la sua purezza, e gli sforzi che fa per giungere fuori dall'acqua e fiorire in aria, era un simbolo della ricerca della conoscenza. Il Crisantemo è stato elogiato dal poeta Tao Yuanming, i cui fiori circondavano la sua capanna di eremita, era simbolo di longevità, forza e determinazione, in quanto spuntando in autunno, sfida i primi freddi.
I paesaggisti cinesi facevano molta attenzione a mantenere l'aspetto naturale del paesaggio. La potatura dei fusti e delle radici cercavano di preservare la forma naturale e contenere le piante. Alberi nani dall'aspetto nodoso e antico erano particolarmente apprezzati nei paesaggi in miniatura dei giardini cinesi, furono gli antenati dei Bonsai.

Filosofia

L'espressione della filosofia Taoista della natura, così come l'associazione alle arti della poesia e calligrafia, costituisce una costante nei giardini cinesi. Il Tao, letteralmente la "Via", si riferisce più a un processo che non a un cammino da seguire, esalta il contatto con l'universo, dove tutti gli elementi sono costituiti dal medesimo materiale, il Qi. Il Tao rappresenta la somma di tutte le cose passate, presenti e future.
Le rocce erose dal tempo, ad esempio, sono considerate una manifestazione del Tao in quanto rappresenta il corso del tempo e il nostro futuro scomposto. Le rocce e l'acqua sono elementi opposti, come lo yin e yang, ma complementari e si completato l'un l'altro. Le rocce sono solide, ma l'acqua le sgretola. Le rocce erose dalle profondità del Lago Tai, usate spesso nel giardino classico, illustrato questo principio.
I sentieri tortuosi e i ponti e gallerie a zig-zag si ispirano al proverbio cinese, "Per deviazioni, l'accesso ai segreti".
I giardini cinesi hanno profonde radici filosofiche e legate al Feng shui, gli elementi naturali sono scelti con una cura minuziosa in relazione al loro significato storico-mitologico, letterario o simbolico. La pittura del paesaggio e l'arte dei giardini si sviluppava in perfetta simbiosi nell'antica Cina. L'aspetto finale del giardino cinese é profondamente studiato, niente è per caso, è il risultato della combinazione dei punti di vista del pittore e del paesaggista. Lo si potrebbe paragonare alla pittura su rotoli che, inventata da Wang Meng nel periodo Tang, mostra l'opera svelarsi progressivamente, come un giardino si ammira muovendocisi.

Influenze

In Giappone

Il giardino classico cinese ha avuto una notevole influenza sul giardino giapponese. Dapprima venne preso come modello in Corea prima del 600, e nel 607, il giapponese Principe Shōtoku, inviato per una missione diplomatica alla corte cinese, vi iniziò un vero e proprio scambio culturale che durò per secoli. Centinaia di studiosi giapponesi vennero inviati a studiare la lingua cinese, il sistema politico, e la cultura. L'ambasciatore giapponese in Cina, Ono no Imoko, descrisse i grandi giardini paesaggistici dell'imperatore cinese alla corte giapponese che ebbero subito una profonda influenza sullo sviluppo della progettazione del paesaggio giapponese.
Durante il periodo Nara (710-794), quando la capitale giapponese si trovava dapprima a Nara, poi spostata a Heian-kyō, il tribunale giapponese creò ampi giardini paesaggistici con laghetti e padiglioni sul modello cinese per aristocratici, e giardini più intime per la contemplazione e la meditazione religiosa.
Il monaco giapponese Eisai (1141-1215) importò la Scuola Rinzai-shū del Buddhismo Zen dalla Cina al Giappone, sviluppando il Giardino roccioso cinese nel famoso giardino zen, esemplificato dal giardino di Ryoan-ji. Importò anche il tè verde dalla Cina, originariamente per mantenere i monaci svegli durante una lunga meditazione, e ponendo così la base per la Cerimonia del tè giapponese.
Il paesaggista giapponese Musō Soseki (1275-1351) creò il celebre Giardino Saihō-ji a Kyoto, che comprendeva una ricreazione delle Isole di Otto Immortali, Horai in giapponese, caratteristica importante di molti giardini cinesi. Fu solo durante il periodo Kamakura (1185-1333), e in particolare durante il periodo Muromachi (1336-1573), che il giardino giapponese seguì i propri principi estetici, divenendo più austero rispetto al giardino cinese.

In Europa

Il primo europeo a descrivere un giardino cinese fu il celebre mercante e viaggiatore veneziano Marco Polo, che visitò la residenza estiva di Kublai Khan a Xanadu. Questo giardino, tuttavia, ebbe un effetto solo molto più tardi sulla cultura europea; nel 1797, ispirò la poesia romantica, Kubla Khan, al poeta inglese Samuel Taylor Coleridge.
Marco Polo descrisse anche i giardini antenati dell'odierno Parco Beihai, quelli del palazzo imperiale di Khabaliq, il nome d'epoca, mongolo, della città di Pechino. Ne descrisse i bastioni, le balaustre e i padiglioni che circondano un lago profondo pieno di pesci, con cigni e altri uccelli acquatici. L'elemento centrale è una collina artificiale con cento gradini per raggiungere la sommità e un migliaio di perimetro, coperta da alberi sempreverdi e decorata con pietre di azzurrite verdi.
Il primo prete gesuita, Francesco Saverio, arrivò in Cina nel 1552, e padre Matteo Ricci ricevette il permesso di stabilirsi a Pechino nel 1601. I gesuiti iniziarono a inviare una copiosa documentazione in Europa sulla cultura cinese e giardini. Louis Le Comte, un matematico al servizio del Re di Francia, venne inviato in missione scientifica in Cina nel 1685. Descrisse come i giardini cinesi avevano grotte, colline artificiali e rocce accatastate a imitare la natura, al contrario dei giardini geometrici francesi.
Nel XVIII secolo inizia un grande interesse verso la Cina, vasi cinesi, lacche e altri oggetti decorativi cominciarono ad arrivare in Europa, cominciando la moda delle Cineserie. Il pittori Watteau, e François Boucher e Giandomenico Tiepolo dipinsero scene cinesi a loro immaginazione; Caterina la Grande, Maria Teresa d'Austria e Federico II di Prussia fecero decorare stanze nei loro palazzi in stile cinese, o fecero costruire dei padiglioni a tema. C'è stato un grande interesse per tutto Chinsese, compresi i giardini.
Nel 1738, il missionario gesuita francese Jean-Denis Attiret, andò in Cina, dove divenne pittore di corte dell'imperatore Qianlong. Egli descrisse, con dovizia di particolari, i giardini imperiali vicini a Pechino:
«Si esce da una valle non attraverso un viale largo e rettilineo come in Europa, ma tramite dei sentieri tortuosi o a zig-zag. Ogni parte è decorata con piccoli padiglioni e grotte, e quando si esce da una valle ci si trova subito in un'altra, diversa da quella di prima in forma, paesaggio e stile degli edifici. Tutte le montagne e le colline sono coperte da alberi in fiore, che sono molto comuni qui. Si tratta di un vero e proprio paradiso terrestre. I canali non sono come quelli del nostro Paese dove sono bordati con la pietra finemente tagliata, ma sono molto rustici e rivestiti con ciottoli o rocce, a volte protesi in avanti e a volte ritratti all'interno. Sono posti in un modo che si potrebbe pensare sia opera della natura. A volte un canale è largo, a volte stretto. Qui si torcono, là s'incurvano, come se fossero davvero creati da colline e rocce. I bordi sono coltivati a fiori come nei giardini rocciosi, che sembrano esser frutto della natura. Ogni stagione ha i suoi fiori. A parte i canali, ovunque ci sono percorsi pavimentati con piccole pietre, che portano da una valle all'altra. Questi percorsi a volte si torcono e s'incurvano, a volte arrivano vicino ai canali, a volte si allontanano. Tutto è veramente grande e bello, sia per quanto riguarda la progettazione che l'esecuzione: e (il giardino) mi ha colpito di più, perché non avevo mai visto una cosa che potesse in alcun modo assomigliarsi a loro, in nessuna parte del mondo dove sono stato prima»
D'altra parte l'imperatore Qianlong (1711-1799) è stato ugualmente interessato a ciò che stava accadendo in Europa. Commissionò al gesuita Giuseppe Castiglione, addestrato in ingegneria, di costruire fontane per il suo giardino simile a quelle dei giardini di Versailles, di cui aveva sentito parlare.
L'architettura cinese e la sua estetica influenzò notevolmente il giardino all'inglese. Nel 1685, il diplomatico e scrittore inglese Sir William Temple scrisse un saggio Al giardino di Epicuro (pubblicato nel 1692), che contrastava le teorie europee dei giardini simmetrici (alla francese), con composizioni asimmetriche provenienti dalla Cina.
Il giardino paesaggistico inglese si consolidò in Inghilterra nella prima parte del XVIII secolo, influenzato anche dai viaggio in Italia dall'alta classe britannica e dal loro desiderio di avere un nuovo stile di giardino che si abbinasse bene con lo Stile palladiano, allora scelto per le loro case di campagna; o che riecheggiasse i paesaggi romantici di Claude Lorrain e di altri pittori. Ma la novità e l'esotismo dell'arte e architettura cinesi in Europa portò nel 1738 alla costruzione della prima casa cinese in un giardino all'inglese, la Stowe House, nel Buckinghamshire, a fianco di templi romani, rovine gotiche e altri stili architettonici.

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sabato 5 maggio 2018

Billy Blanks

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Billy Blanks (Erie, 1º settembre 1955) è un artista marziale e attore statunitense. Dopo la sua carriera cinematografica è divenuto un apprezzato allenatore ed insegnante di aerobica.

Biografia

Billy Blanks è il quarto di quindici figli. La sua passione per le arti marziali lo porta a raggiungere alti livelli nel Karate, vincendo per sette volte il titolo Mondiale, e detenendo oggi il 7º dan.
Al cinema arriva relativamente tardi. Infatti solo all'età di 31 anni ha una piccola parte in Colpo basso (Low Blow, 1986), e per diversi anni riveste il semplice ruolo di "cattivo muscoloso" in vari film come Tango & Cash (1989) o Lionheart: scommessa vincente (1990).
Nel 1991 ha la prima parte importante, anche se sempre di cattivo, nel film Il re dei kickboxers (The King of the Kickboxers) di Lucas Lowe, a fianco di Loren Avedon. Ma dopo altri piccoli ruoli, è nel 1992 il suo primo ruolo da coprotagonista in Sotto i colpi dell'aquila (Talons of the Eagle) coreografato nei combattimenti dal famoso Corey Yuen.
Nei successivi anni la sua carriera cinematografica sembra avere un forte rialzo, con film come Demolition Cop (TC2000, 1993) o Expect No Mercy dove ha la possibilità di coreografare sé stesso. Molti di questi film sono girati insieme all'amico e collega Jalal Merhi.
Partecipa anche a molti telefilm, come Più forte ragazzi (Martial Law), E.R. - Medici in prima linea o Melrose Place.
Nel 1999, però, abbandona il cinema per dedicarsi all'insegnamento del suo personale stile marziale: il Tae Bo, un insieme di fondamentali del Karate e della Boxe. Ha prodotto anche un gran numero di videocassette didattiche che illustrano il suo stile.
Nel 1975 sposa Gayle Godfrey, dalla quale ha due figli.
Anche suo fratello Michael Blanks ha partecipato sporadicamente ad alcuni film di arti marziali.

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venerdì 4 maggio 2018

Chakra

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Chakra, adattamento occidentale del termine sanscrito traslitterato come cakra (in scrittura devanāgarī चक्र), indica una "ruota", un "disco" o un "cerchio".
Il suo significato nelle tradizioni religiose dell'India va a coprire due ambiti principali:
  • quello di un "cerchio" o di un "diagramma" mistico, nozione sovrapponibile a quello dello yantra o del maṇḍala;
  • quello inerente allo yoga e alla medicina ayurvedica traendo origine dalle tradizioni tantriche, sia dell'induismo sia del buddhismo; nell'accezione più comune è usualmente reso anche con "centro", per indicare quegli elementi del corpo sottile nei quali è ritenuta risiedere latente l'energia divina.
Il chakra è anche uno degli attributi di Viṣṇu: si tratta di un disco che egli usualmente stringe in una delle mani e rappresenta il potere divino. Variamente raffigurato, con raggi o fiamme che ne fuoriescono, è attributo anche di altre divinità, come Durga e Skanda, per esempio. Il chakra di Viṣṇu, detto anche Sudarśana ("bello a vedersi"), è altresì oggetto di culto, al punto di essere spesso personificato col nome di Chakrapurusha.
In ambito tantrico con chakra si intende anche il "circolo" di culto tantrico, l'insieme dei membri locali di una specifica tradizione. All'interno di questo chakra, i seguaci si pongono al di fuori delle regole sociali e di casta. Vi sono ammesse anche le donne, cosa invero non possibile presso i culti vedici.
Alcune medicine alternative, per esempio la cristalloterapia, fanno riferimento alla nozione del chakra sebbene non vi sia alcuna evidenza scientifica circa la loro esistenza.

Chakra come diagramma mistico: maṇḍala, yantra e cakra

Nell'ambito del primo significato, ossia quello di "diagramma mistico", va rilevato che nell'importante testo Maṇḍalas and Yantras in the Hindu Traditions curato dall'indologo austriaco Gudrun Bühnemann, con i contributi di Hélène Brunner, Michael W. Meister, André Padoux, Marion Rastelli e Judit Törzsök, pubblicato nel 2003 nella Brill’s Indological Library e citato come unica integrazione bibliografica alla voce Maṇḍala nella seconda edizione della Encyclopedia of Religion a firma di Peter Gaeffke, lo studioso austriaco dedica il capitolo Maṇḍala, yantra and cakra: some observations a una accurata disamina di tutta la letteratura per individuare i confini semantici di questi termini sanscriti.
Dapprima Bühnemann osserva che «i termini cakra e yantra sono utilizzati a volte come sinonimi di maṇḍala, e tutti e tre questi termini sono spesso tradotti in modo indiscriminato come "diagrammi (mistici)"». In effetti, nota l'indologo austriaco, tutti e tre i termini si sovrappongono nell'indicare dei disegni geometrici e sia gli studiosi occidentali che gli stessi testi sanscriti più tardi finiscono per usarli come sinonimi.
Dopo un'attenta disamina dei contraddittori tentativi di definizione classificatoria presentati in tutta la letteratura (tra gli altri vengono esaminate le proposte di Stella Kramrisch, Gösta Liebert, Giuseppe Tucci, Louis Renou, Jean Filliozat, Mircea Eliade, T. A. Gopinatha Rao, Ronald M. Bernier, Heinrich Zimmer, Peter Gaeffke, John Woodroffe, S. Shankanarayanan, Philipp H. Pott e Anne Vergati) Bühnemann conclude che: «Non è possibile riassumere tutti i tentativi di definire "maṇḍala", "yantra" e "cakra" nella letteratura. L'uso e le funzioni di questi termini sono complessi e sarà impossibile arrivare a una definizione universalmente valida. Dovrebbe essere necessario studiare approfonditamente l'uso dei termini nei testi dei diversi sistemi religiosi e nei diversi periodi storici per determinare come i termini siano stati impiegati dai differenti autori e come l'uso di questi termini è cambiato nel tempo».

Il chakra nello yoga

Nello Haṭha Yoga i chakra sono interpretati come tappe del percorso ascensionale che Kuṇḍalinī attraversa nel corpo dell'adepto una volta ridestata grazie a pratiche e riti opportuni. Oggi si preferisce chiamare Kuṇḍalinī Yoga l'aspetto dello Haṭha Yoga che fa riferimento principalmente alle pratiche interessate al kuṇḍalinī, e quindi al ruolo e significato dei chakra. I testi classici sono la Gheraṇḍa Saṃhitā, la Haṭhayogapradīpkā e la Śiva Saṃhitā; essi fanno comunque riferimento a numerosi Tantra di epoca ben anteriore.
Man mano che Kuṇḍalinī sale, i chakra verrebbero attivati, lasciando quindi sperimentare all'adepto stati psicofisici via via differenti.
«Esperienze mistiche e fenomeni significativi si succedono rapidamente via via che i centri corrispondenti vengono toccati e che l'energia kuṇḍalinī invade tutta la persona dello yogin. Quando essa riempie interamente il corpo, la felicità è totale, ma finché si limita a un centro, la via non è libera, e si producono alcuni fenomeni.»
(Silburn 1997, pp. 111-112)
Il fine principale attribuito a questi riti e pratiche propri dell'induismo (tantrico e non) non è l'acquisizione di poteri straordinari, ma è e resta sempre la liberazione (mokṣa), intesa come affrancamento dal ciclo delle rinascite (saṃsāra); un fine salvifico dunque, soteriologico, e non di ordine pratico, utilitaristico, anche se poi nei testi si fa anche menzione dei "poteri" (vibhūti o siddhi) che sarebbe possibile conseguire.
Secondo la visione tantrica shivaita, di cui il Kuṇḍalinī Yoga fa parte, nell'emanare il mondo, Paramaśiva, la Realtà Assoluta, si è espanso generando quella pluralità che noi chiamiamo mondo, nella sua accezione più vasta. Perché ciò fosse possibile Egli si è autolimitato, dando così luogo al tempo, allo spazio, alla materia, al dualismo, alla causalità, e di conseguenza, al saṃsāra. Queste autolimitazioni sono rese possibili grazie al śakti, la Sua stessa energia, di cui Kuṇḍalinī non è altro che un aspetto, appunto quello presente nel corpo umano. Kuṇḍalinī che ascende dal primo all'ultimo chakra segue quindi, al livello del microcosmo umano, il percorso inverso a quello di emanazione cosmica. È la potenza di Paramaśiva che ricongiungendosi in Śiva medesimo, consente di liberarsi delle limitazioni che hanno consentito ciò che è manifesto, il mondo, trasmigrazione compresa. Il termine yoga, ricordiamo, vuole significare "unione": unione del Dio e della Sua energia, di Śiva e Śakti, Śakti che "riposava" nel primo chakra come Kuṇḍalinī (o Kuṇḍalinī-śakti).
Questa energia quiescente è immaginata e simboleggiata come un serpente che giace arrotolato su se stesso: kuṇḍalinī significa infatti "arrotolata", "ricurva". L'attivazione è visualizzata dal serpente che si drizza come all'improvviso, liberando calore e permettendo ad altre energie sopite, ai "soffi" altrimenti bloccati (prāṇa), di circolare. I chakra sono immaginati come fiori di loto (padma) variamente colorati che sbocciano in tutta la loro bellezza, liberando potenzialità celate.
«Kundalini è insieme un serpente, un'energia intima e una dea: l'esoterismo del linguaggio crepuscolare risiede in questa simultaneità di significati in una stessa parola.»
(Jean Varenne 2008, p. 174)
Nei testi i chakra sono variamente descritti e anche raffigurati con molti particolari. Ognuno di questi elementi ha una valenza simbolica precisa, con riferimenti sia al processo di emanazione del cosmo, sia a quello di riassorbimento in esso.
Il simbolo prevalente per i chakra è quello del fiore di loto, rappresentato come osservato dall'alto e coi suoi petali aperti e variamente colorati. Il numero dei petali e il relativo colore varia a seconda del chakra. Su ogni petalo è riportato un grafema dell'alfabeto sanscrito, la "lingua perfetta", perché ogni cosa nel mondo ha un nome grazie a questi suoni. All'interno del fiore è generalmente riportato uno yantra, ossia un diagramma simbolico che è in relazione con un elemento costitutivo del cosmo (tattva). Troviamo inoltre un mantra scritto in caratteri devanāgarī, anch'esso in relazione col tattva, il suo suono generatore; e una divinità che lo presiede. Sono spesso altresì raffigurate altre divinità, deputate a presiedere quel determinato chakra. Completano la rappresentazione iconografica lo yoni, rappresentato con un triangolo con la punta verso il basso, e il liṅga, simboli di Śakti e Śiva rispettivamente, i due poli del divino: il trascendente e l'immanenente, la luce e il suo riflesso, l'essere e il divenire, il maschile e il femminile.

Mātṛkācakra

Nelle tradizioni tantriche del Kashmir la mātṛkā-cakra ("ruota delle madri") è l'emissione dei fonemi dell'alfabeto sanscrito a partire dall'Assoluto, in questo caso Paramaśiva, lo Shiva Assoluto, o più semplicemente Anuttara ("senza niente sopra"). Riassumendo, secondo il filosofo indiano Kṣemarāja le sedici vocali rappresentano l'articolazione della Coscienza Assoluta nelle sue potenze; le venticinque consonanti occlusive da K a M il dispiegamento del Cammino impuro; le quattro semivocali le Corazze (da Y a V); le tre sibilanti e l'aspirata il dispiegamento del Cammino puro; KṢ, il cinquantesimo fonema, è infine simbolo dell'intera emissione fonica, il "seme della sommità", formato dalla prima e ultima consonante, la S, che nell'unione da dentale diventa retroflessa. Questa emissione è invero, secondo queste tradizioni, solo un'angolazione differente dalla quale si può vedere il processo di emanazione dell'Assoluto.
Ritroviamo i cinquanta fonemi in scrittura devanāgarī sui petali dei chakra principali, proprio a simboleggiare questa emissione che, quando interpretata in senso inverso, dal primo all'ultimo chakra, diventa simbolo di ricongiungimento con l'Assoluto. I fonemi sono detti madri perché, essendo forme foniche della potenza divina, sono personificabili come altrettante divinità femminili. Di queste sono composti i mantra e le scritture sacre dei Veda.

Il corpo sottile e i chakra: origini e contesti

Secondo lo storico delle religioni britannico Gavin Flood, il testo più antico nel quale è descritto il sistema dei sei chakra, quello attualmente più diffuso, è il Kubjikāmata Tantra: testi precedenti menzionano infatti un numero differente di chakra variamente e differentemente collocati nel corpo sottile. La tradizione tantrica alla quale questo testo appartiene è la cosiddetta tradizione kaula occidentale, risalente all'XI secolo e.v. e originaria dell'Himalaya occidentale, probabilmente nel Kashmir, e attestata con certezza nel XII secolo in Nepal. Kubjikā, la Dea "gobba", o "curva", è associata con Kuṇḍalinī, l'"attorcigliata", quella forma del potere divino che ordinariamente giace quiescente nel corpo in corrispondenza del primo chakra. Così la Śiva Saṃhitā, un testo del XVI-XVIII secolo:
«Tra l'ano e l'organo virile si trova il centro di base, il Mūlādhāra, che è come una matrice, uno yoni (organo femminile). Là è la 'radice' a forma di bulbo ed è là che si trova l'energia fondamentale Kuṇḍalinī avvolta tre volte e mezza su se stessa. Come un serpente, essa circonda il punto di partenza delle tre arterie principali tenendosi in bocca la coda proprio davanti all'apertura dell'arteria centrale.»
(Śiva Saṃhitā 5, 75-76; citato in Alain Daniélou, Śiva e Dioniso, traduzione di Augusto Menzio, Ubaldini Editore, 1980, p. 131)
Le "arterie" cui il testo fa riferimento sono le nadi (trascrizione di nāḍī), termine traducibile con "tubo", "canale", per indicare qui condotti simili a quelli nei quali scorre il sangue o la linfa. Le tre "arterie" principali sono: la suṣumnā, il canale centrale, dritto e verticale; iḍā e piṅgalā, due canali situati alla sinistra e alla destra della suṣumnā.
Nāḍī e chakra, insieme ad altri componenti quali il prāṇa ("respiro" o "energia vitale"), i vāyu ("soffi", "venti") e i bindu ("punti"), sono i principali componenti anatomici di quello che nella letteratura contemporanea è noto come "corpo sottile": l'energia vitale vi scorre attraverso i canali sotto forma di soffi, mentre l'energia divina si trova latente nei centri. L'accademico francese André Padoux fa notare che il termine "corpo sottile" è invero improprio, perché si presta a essere confuso con il corpo trasmigrante, il sukṣmaśarīra, che letteralmente sta proprio per "corpo sottile". Egli, come altri studiosi contemporanei, preferisce usare il termine "corpo yogico". Così si esprime l'accademico statunitense David Gordon White:
«Cruciale per il processo di iniziazione [tantrica] è la nozione che all'interno del microcosmo umano, o protocosmo, esiste un corpo yogico, sottile, che è la replica del macrocosmo universale, divino, o metacosmo. [...] Questo corpo, che comprende canali energetici (nadi), centri (cakra), punti e soffi, è esso stesso un mandala. Se fosse possibile viderlo dall'alto, il canale centrale verticale del corpo sottile, che media la dinamica bipolare (e sessualmente identificata) interiore del divino, apparirebbe come il centro del mandala, coi vari cakra allineati lungo il canale nella forma di altrettanti cerchi concentrici, o ruote, o fiori di loto irradianti verso l'esterno dal loro stesso centro. Spesso, ognuno di questi raggi o petali di cakra hanno associati divinità maschili e femminili, così come fonemi e grafemi dell'alfabeto sanscrito.»
(David Gordon White, Introduction; in Tantra in practice, a cura di David Gordon White, Princeton University Press, 2000, pp. 14-15)
Il corpo yogico (o sottile), fondamentale in quasi tutte le pratiche meditative e rituali tantriche, è una struttura ovviamente immateriale, inaccessibile ai sensi, che l'adepto crea immaginandola, visualizzandola. Il tāntrika, l'adepto, costruisce così, con queste pratiche, un corpo complesso nel quale coesistono il corpo grosso (quello fisico che si riceve alla nascita) e il corpo sottile: è il corpo di un "uomo-dio", concetto nucleare nel tantra, ma di concezione ben anteriore.
Questa coesistenza ha fatto sì che spesso, soprattutto in epoca più recente, si sia tentato di localizzare all'interno del corpo grosso elementi che sono invece peculiari del corpo sottile, localizzazione ipotizzata reale e non immaginale, dando così luogo a confusioni e indebite interpretazioni. L'esempio più eclatante è l'identificazione dei chakra coi plessi nervosi, identificazione che sembra ormai corrente:
«Ma è sufficiente leggere attentamente i testi per rendersi conto che si tratta di esperienze transfisiologiche, che tutti questi "centri" rappresentano degli "stati yoga", inaccessibili senza una ascesi spirituale.»
(Eliade 2010, p. 223)
Così l'indologo tedesco Georg Feuerstein sintetizza:
«I sistemi dei cakra sono giusto questo: modelli della realtà pensati per assistere il tāntrika nel suo travagliato percorso interiore dal Molteplice all'Uno.»
(Georg Feuerstein, Tantra. The Path of Ecstasy, Shambhala publications, 1998, p. 150)
I chakra restano elementi fisicamente non individuabili né sperimentabili al di fuori del contesto in cui hanno valenza:
«Queste ruote non sono affatto centri fisiologici e statici del corpo grossolano, ma centri di forza che appartengono al corpo sottile, centri che solo lo yogin, nel corso della manifestazione della kuṇḍalinī, localizza con altrettanta precisione che se appartenessero al corpo.»
(Silburn 1997, p. 55)

I sette chakra principali nell'induismo

Nella letteratura orientale è possibile riscontrare molteplici descrizioni del corpo sottile, e di conseguenza anche del sistema dei chakra , in relazione alle differenti collocazioni, visualizzazioni e funzioni:
«Nei fatti non esiste un sistema dei cakra che si possa definire standard. Ogni scuola, e alle volte ogni maestro di ogni singola scuola, ha avuto il proprio sistema di cakra
(David Gordon White, Kiss of the Yogini, The University of Chicago Press, 2003, p. 222)
Le descrizioni più note del sistema dei chakra nella letteratura accademica e in quella divulgativa contemporanee risalgono a quelle diffuse dall'orientalista britannico Sir John Woodroffe, magistrato britannico presso la Corte suprema del Bengala, appassionato di tantrismo che con lo pseudonimo di Arthur Avalon pubblicò nel 1919 un testo su questo argomento, Il potere del serpente. Egli aveva parzialmente tradotto e commentato un testo delle tradizioni tantriche, lo Ṣatcakranirūpaṇa. Il testo di Avalon e lo Ṣatcakranirūpaṇa rappresentano ancor oggi le principali fonti di diffusione in Occidente di questi concetti. A questi si rifanno, ad esempio, il summenzionato David Gordon White, accademico statunitense, lo storico delle religioni rumeno Mircea Eliade, l'indologo francese Jean Varenne.
Nel trattato sono presentati i sette chakra principali, e di ognuno di questi riportati la collocazione nel corpo sottile; gli yantra, i bījamantra e le divinità associati; i rapporti e le corrispondenze con gli elementi del cosmo.

I chakra: mūlādhāracakra

Situato alla base della colonna vertebrale, tra l'ano e gli organi genitali esterni nella zona del plesso coccigeo, è rappresentato da un loto cremisi con quattro petali riportanti i fonemi dell'alfabeto sanscrito in scrittura devanāgarī , , , (nella traslitterazione IAST rispettivamente: "v", "ś", "ṣ", "s"). Un quadrato giallo è situato nel centro del loto, a sua volta recante in mezzo un triangolo dalla punta rivolta verso il basso. Il quadrato è simbolo dell'elemento grosso Terra (pṛthivī), il triangolo della vagina (yoni). È in relazione con l'elemento sottile Odore (gandha). Il mantra associato è LAṂ (लं), la divinità Brahma.
«La Terra è un quadrato, / di colore giallo / e il suo mantra è LAM. // Là risiede Brahma, / con quattro braccia, quattro volti, / splendenti come l'oro.»
(Yogatattva Upaniṣad, 86 e segg.; citato in Varenne 2008, p. 197)
All'interno del triangolo è posto un liṅga, e avvolto intorno a esso come un serpente è Kuṇḍalinī, che con la propria bocca ostruisce l'apertura sommitale del liṅga, la "porta di Brahman", e quindi l'accesso alla suṣumṇā, la via principale di risalita di Kuṇḍalinī.

II chakra: svādhiṣṭhānacakra

Lo svādhiṣṭhāna è situato alla base dell'organo genitale, nella zona corrispondente al plesso sacrale. Rappresentato da un loto a sei petali di colore vermiglio riportanti i fonemi , , , , , (rispettivamente: "b", "bh", "m", "y", "r", "l"), ha nel suo interno una mezzaluna bianca.
«Un altro Fiore di Loto è posto dentro la Sushumna alla radice dei genitali, ed è un bellissimo fiore vermiglio. Sui suoi sei petali vi sono le lettere da Ba a Purandara con sovrapposto Bindu, del lucente color del lampo. Dentro di esso vi è la bianca, splendente, acquea regione di Varuna, a forma di mezzaluna, e là, seduto su una Makara, vi è il Bija "Vam", immacolato e bianco come la luna d'autunno.»
(Ṣatcakranirūpaṇa, vv. 14-15; citato in Avalon 1987)
Il mantra associato è VAṂ (वं), mentre la divinità è Vishnu. È in relazione con l'elemento grosso Acqua (ap) e con l'elemento sottile Sapore (rasa).

III chakra: maṇipūracakra

Si trova nella regione del plesso epigastrico, all'altezza dell'ombelico. Il loto è di colore blu e ha dieci petali, associati ai fonemi , , , , , , , , , (rispettivamente traslitterati come: "ḍ", "ḍh", "ṇ", "t", "th", "d", "dh", "n", "p", "ph"). Al centro del loto è un triangolo rosso. È relazionato con l'elemento grosso Fuoco (tejas).
Il mantra associato è RAṂ (रं), la divinità è Rudra.

IV chakra: anāhatacakra

Questo chakra è situato nella regione del plesso cardiaco. Il loto ha dodici petali dorati ed è di colore rosso. I fonemi sono , , , ,, , , , , , , (nella traslitterazione IAST rispettivamente: "k", "kh", "g", "gh", "ṅ", "c", "ch", "j", "jh", "ñ", "ṭ", "ṭh"). Il mantra associato è YAṂ (यं), la divinità è Agni o Ishvara.
Anāhatacakra è in relazione con l'elemento grosso Aria (vāyu) e con l'elemento sottile Tatto (sparśa).
Nell'interno del loto due triangoli equilateri di colore grigio si sovrappongono a formare un esagramma, che a sua volta include un liṅga risplendente.

V chakra: viśuddhacakra

Il chakra è situato al livello del plesso laringeo. Il loto è di colore blu con 16 petali rosso-cenere, e i fonemi riportati nei petali sono le vocali , , , ,, , , , , , , , , , più il visarga अः e l'anusvāra अं (nella traslitterazione IAST rispettivamente: "a", "ā", "i", "ī", "u", "ū", "ṛ", "ṝ", "ḷ", "ḹ", "e", "ai", "o", "au", "ḥ", "ṃ"). Il mantra associato è HAṂ (हं), Shiva la divinità, nel suo aspetto Sadashiva, Shiva l'eterno.
All'interno dello spazio blu è collocato un cerchio di colore bianco che racchiude un elefante.



VI chakra: ājñācakra

Il sesto chakra è collocato fra le due sopracciglia, nel plesso cavernoso. Il loto che lo rappresenta è bianco con due petali che recano iscritti i fonemi e क्ष (traslitterati come "h" e "kṣ"). Nel loto trova posto un triangolo con all'interno un liṅga, entrambi di colore bianco. Non è associato ad alcun elemento, essendo in numero di cinque sia gli elementi grossi sia quelli sottili. Il mantra associato è Oṃ (), la divinità ancora Shiva nel suo aspetto Paramashiva, Shiva il supremo.
«Il Fiore di Loto denominato Ajna è simile alla Luna. Sui suoi due petali vi sono le lettere Ha e Ksha, che sono pure bianche e ne accrescono la bellezza. Esso risplende con la gloria di Dhyana. All’interno di esso v'è la Shakti Hakini, le cui sei facce son come molte lune. Ella ha sei braccia con una delle quali regge un libro, altre due sono alzate nel gesto di scacciare la paura e di accordare favori, e nelle altre ha un teschio, un tamburello ed un rosario. La sua mente è pura.»
(Ṣatcakranirūpaṇa, v. 32; citato in Avalon 1987)

VII chakra: sahasrāracakra

Posto sopra la testa, è raffigurato con un loto rovesciato e munito di mille petali (sahasrā vuol dire appunto "mille"), dove mille è il risultato di 50x20: i cinquanta fonemi dell'alfabeto sanscrito ripetuti venti volte. Al centro del fiore è una luna piena che racchiude un triangolo.
Sahasrāracakra non è associato ad alcun mantra, né ad alcuna divinità, ma:
«Gli Shaiva lo chiamano la dimora di Shiva; i Vaishnava lo chiamano Parama Purusha; altri ancora lo chiamano luogo di Hari-Hara. Coloro che sono colmi di entusiasmo per i Piedi di Loto della Devi lo chiamano eccellente dimora della Devi; ed altri gran saggi lo chiamano luogo puro di Prakriti-Purusha.»
(Ṣatcakranirūpaṇa, v. 44; citato in Avalon 1987)
È qui, in questo chakra , che l'adepto sperimenta l'unione col divino, la liberazione, il samādhi:
«E là, nel Sahasrara, la divina Shakti / prende il suo piacere, senza tregua, / in unione sol Signore!»
(Yogakuṇḍalinī Upaniṣad, 86 e segg.; citato in Varenne 2008, p. 201)
Chakra zona corrispondente nel corpo Colore dei petali Elemento grosso Elemento sottile Bījamantra Divinità maschile Divinità femminile
Muladhara plesso coccigeo cremisi Terra Odore LAṂ Brahma Ḍākinī
Svadhisthana plesso sacrale vermiglio Acqua Sapore VAṂ Viṣṇu Rākinī
Manipura plesso epigastrico blu Fuoco Forma RAṂ Rudra Lākinī
Anahata plesso cardiaco giallo Aria Tatto YAṂ Īśvara Kakinī
Visuddha plesso laringeo rosso cenere Etere Suono HAṂ Sadaśiva Śākinī
Ajna plesso cavernoso bianco --- --- KSHAM Paramaśiva Hākinī
Sahasrara sommità del capo --- --- --- OM --- ---

Altre descrizioni del sistema dei chakra

Nella letteratura tradizionale esistono altri sistemi di chakra , in relazione sia alle tradizioni sia ai testi. Nella tradizione della Śrīvidyā si contano nove chakra principali. Il Kaulajñānanirṇaya ne descrive invece undici.
Rispetto al sistema sopra presentato, cioè quello dello Ṣatcakranirūpaṇa, nella gran parte delle tradizioni tantriche sono usati altri nomi per indicare gli stessi chakra , col settimo situato non sulla sommità del capo, bensì circa dodici dita sopra di questo: si tratta dello dvādaśānta.
Dvādaśānta vuol dire appunto "fine delle dodici dita".

I chakra nello shivaismo kashmiro

I sistemi dei chakra trovano le loro prime descrizioni nei testi delle tradizioni del Kaula, tradizioni religiose tantriche per lo più sviluppatesi nell'India del nord, nel Kashmir e regioni adiacenti. Queste tradizioni hanno origini non facilmente identificabili, si tratta infatti di tradizioni popolari che probabilmente hanno le loro radici in epoche molto lontane, e che sono state tenute in vita al margine del mondo vedico, per poi fiorire in epoche più recenti e produrre testi.
Più che come loti (padma), in queste tradizioni i chakra vengono visti come "ruote" pronte a girare, o vibrare, quando le energie divine le attivano. Distanti circa tre pugni di mano l'uno dall'altro, il Trika, una scuola religiosa derivata dalla tradizione del Kaula detta Pūrva-āmnāya ("tradizione orientale"), descrive cinque chakra:
  • Mūlādhāracakra
La prima lettera dell'alfabeto sanscrito in scrittura devanagari, la "A", con il segno del visarga, i due punti. "A" è l'Assoluto, il visarga la Sua energia quiescente, la śaktikuṇḍalinī. I due punti del visarga si trovano in equilibrio apparente: non appena uno prevale, l'altro si nasconde: sono i movimenti di emissione e di riassorbimento in Śiva.
Qui, normalmente inerte, giace l'energia divina sotto forma di kuṇḍalinī inferiore (adhaḥkuṇḍalinī); o anche śaktikuṇḍalinī, termine che si può rendere con "energia arrotolata", cioè non ancora dispiegata, quiescente. In questo stadio, che è quello dell'uomo ordinario, costui confonde la sua vera natura col proprio corpo grossolano. Quando risvegliata, śaktikuṇḍalinī può diventare prāṇakuṇḍalinī, "energia dei soffi vitali", e circolare così nel corpo sottile dello yogin (e far vibrare le altre ruote). Il fine è il ritorno alla fonte di emissione di ogni cosa, Paramaśiva, l'Assoluto. A tale scopo prāṇakuṇḍalinī deve ancora compiere un altro passo, diventare parakuṇḍalinī, "energia assoluta". Quando parakuṇḍalinī si fonderà con Śiva nello dvādaśānta, tutto sarà tornato nello stadio indifferenziato prima dell'emissione del cosmo. Questo dinamismo incessante fra l'assoluto e l'immanente, fra l'emissione del cosmo e il suo riassorbimento nel corpo sottile dello yogin, fra l'essere e il divenire, è una qualità essenziale dell'Assoluto nelle tradizioni non dualiste del Kashmir. È anche nota come spanda, "vibrazione", fisicamente sperimentabile dall'adepto non appena egli riesce a dirigere correttamente la prāṇakuṇḍalinī.
  • Nābicakra
È situata all'altezza dell'ombelico, e da questo si irradiano le dieci nāḍī più importanti del corpo sottile.
  • Ḥrdayacakra
Si trova all'altezza del cuore (ḥrdaya), ed è un importante centro di mescolamento e diffusione dei soffi vitali.
  • Kaṇṭacakra
Posto alla base del collo, nella parte interna della gola, è ritenuto un centro di purificazione.
  • Bhrūmadhyacakra
È posto fra le due sopracciglia. Quando lo yogin riesce a colmare di energia questa ruota, egli è pronto per abbandonare ogni dualismo fra sé e il mondo, ogni legame col divenire delle cose: è pronto cioè per il samādhi: non gli resta che proiettare fuori dal corpo l'energia, oltre la sommità del capo. Invero, questo stadio è raggiunto assai raramente.
  • Dvādaśānta
Quest'ultimo non è considerato un chakra , in quanto non appartiene a tutti ma soltanto a chi ha realizzato l'unione cosmica, si è cioè completamente identificato con l'Assoluto, Ṡiva, divenendo un liberato in vita. Il dvādaśānta è situato fuori dal corpo, dodici dita al di sopra della testa, ove effonde in continuazione beatitudine.

I chakra secondari

Il secondo gruppo per importanza è composto da chakra minori che si troverebbero nei polpastrelli, al centro del palmo delle mani, in alcune aree dei piedi, nella lingua o altrove. Il terzo gruppo è composto da un numero praticamente incalcolabile di chakra di dimensioni piccole e minuscole; infatti, in ogni punto in cui si incontrano almeno due linee energetiche, anche infinitesimali, si troverebbe un chakra .

I chakra nella visione occidentale

In Occidente la dottrina dei chakra deve la sua diffusione principalmente alla traduzione di un testo indiano, lo Ṣatcakranirūpaṇa, a opera dell'orientalista britannico Sir John Woodroffe, alias Arthur Avalon, nel suo The Serpent Power (1919). Il testo di Woodroffe è al centro de La psicologia del Kundalini-yoga. Seminario tenuto nel 1932 da Jung. L'aspetto forse più interessante dell'interpretazione junghiana è il tentativo di correlare un simile fenomeno a ciò che oggi la psichiatria definirebbe disturbo da somatizzazione, in cui però la psicosomatica prevale sul somatopsichico.
Il vescovo e chiaroveggente C. W. Leadbeater, pubblicò un libro contenente i propri studi e le proprie osservazioni relative ai centri di forza nel testo The Chakras (1927).
Rudolf Steiner, fondatore dell'Antroposofia, parla dello sviluppo dei chakra nel libro Initiation and Its Results (1909), fornendo istruzioni progressive per lo sviluppo di tali centri di forza.

Aspetto e significato dei chakra

A partire dagli anni sessanta con la diffusione dei movimenti new Age si sono affermate diverse nozioni riguardanti l'aspetto e il significato dei chakra. I sette chakra principali dell'essere umano, ad esempio, sarebbero stati associati rispettivamente a uno dei colori dell'arcobaleno. Secondo tali credenze, ognuno di questi chakra ruoterebbe in un senso alternativo rispetto a quello precedente e a quello successivo situati lungo la linea verticale che va dalla testa all'addome. Quelli che nell'uomo girano in senso orario, inoltre, girerebbero in senso antiorario nella donna, e viceversa. Queste concezioni tuttavia sono state giudicate infondate nell'ambito della medicina esoterica, secondo la quale i colori dei chakra in realtà variano da persona a persona, e anche la dimensione e il senso di rotazione sono variabili. Il loro aspetto ricorda quello di un fiore perché presentano delle piccole protuberanze simili a dei petali, e sono suddivisi in tracce concentriche e settori longitudinali.
Anche se la nozione dei chakra appartiene alla tradizione indiana, la loro funzione è stata associata dalla medicina esoterica al lavoro svolto dai meridiani, ossia i canali di energia noti alla medicina tradizionale cinese, che hanno natura essenzialmente elettrica e si occupano di assorbire dal cibo e dall'aria inspirata quel tipo di energia conosciuta in India come prana, la più vicina al livello materiale. La funzione dei sette chakra principali non è quella di assorbire il prana, come erroneamente si reputa, ma di svolgere una funzione di controllo sui suddetti meridiani. Essi appartengono inoltre a un tipo di energia superiore, che essi trasformano e trasmettono a un livello inferiore, fornendo alla persona le vibrazioni necessarie alla costruzione della sua dimensione psichica. Il lavoro dei chakra principali consiste cioè nel processo di formazione di pensieri e sentimenti funzionali alla crescita spirituale. I chakra secondari invece si limitano soltanto alla raccolta e fuoriuscita dell'energia dei meridiani.
Ognuno dei diversi corpi esoterici dell'uomo sarebbe dotato di chakra principali, i quali si ripetono a ogni livello fungendo così da collegamento. Sotto il centro del vortice di ogni chakra si diparte infatti uno stelo posteriore, con cui viene trasmessa l'energia ad esempio dal corpo astrale a quello eterico. Accanto a questa funzione di assimilazione passiva propriamente yin, ne esiste un'altra di tipo yang, costituita da un secondo stelo da cui viceversa fuoriesce l'energia non elaborata. A differenza dell'opinione secondo cui i diversi chakra sarebbero alternativamente l'uno yin, l'altro yang, ognuno dei sette chakra principali possederebbe quindi funzioni sia yin sia yang. Il canale di entrata si trova nei punti già noti situati sulla parte anteriore del corpo umano, quelli di uscita invece sulla parte posteriore, cioè sulla schiena e sulla nuca.
Nel dettaglio, ogni singolo chakra si occupa dunque di un particolare aspetto psichico, a cui è associata sul piano corporeo una ghiandola ormonale:
  • Il primo chakra, detto anche della radice, attiene alla volontà di sopravvivenza e alla soddisfazione degli istinti primari, come il mangiare, il dormire, e l'aspetto meramente fisico della sessualità finalizzato alla riproduzione. Sul piano corporeo esso corrisponde ai surreni, la cui parte midollare secerne gli ormoni adrenalina e noradrenalina, mentre quella della corteccia gli ormoni cortisoidi. Essi garantiscono l'adattabilità nelle situazioni di pericolo e la capacità di adattamento a sforzi particolarmente intensi.
  • Il secondo chakra, detto sacrale o sessuale, è maggiormente in relazione con la sessualità e con la sua componente emotiva, ma anche con la creatività, il senso della bellezza, e l'autostima. Sul piano fisico corrisponde alle ghiandole germinali, che influenzano lo sviluppo dei caratteri sessuali.
  • Il terzo chakra, detto ombelicale, situato nella zona del plesso solare, attiene al desiderio di potere e alla volontà di manipolare il mondo per trovare il proprio posto nella società. Per la sua capacità di assimilare e riadattare quello che la vita propone, esso è collegato alle funzioni digestive e in particolare col pancreas, ghiandola esocrina che contiene anche delle cellule endocrine, responsabili della produzione di insulina e glucagone.
  • Il quarto chakra, detto del cuore, è associato all'amore e alla capacità di amare incondizionatamente. Esso è leggermente spostato verso sinistra rispetto agli altri chakra situati lungo la verticale che va dal capo all'addome. La ghiandola a cui corrisponderebbe è il cuore, che può essere inteso in effetti come organo endocrino, responsabile della produzione dell'ormone atriale natiuretico (atrial naturetic factor, abbreviato in ANF), sul quale tuttavia non c'è ancora una letteratura medica. Secondo altre opinioni, il chakra del cuore corrisponderebbe alla ghiandola del timo, anche se questa non si trova propriamente in corrispondenza di esso e tende inoltre a perdere la sua influenza superata la pubertà.
  • Il quinto chakra, detto della gola, attiene alla capacità di comunicare e alle svariate forme di espressione come la musica, la danza, l'arte, e in generale col ritmo. Sul piano fisico corrisponde alla tiroide, che scandisce il tempo interno della crescita e del metabolismo.
  • Il sesto chakra, detto della fronte, riguarda la capacità di comprendere la realtà vibratoria sovrasensibile, ed è quindi in relazione con le facoltà di intuizione e di visione delle entità normalmente non percepibili. A esso è collegato in effetti anche il cosiddetto terzo occhio. A livello fisico corrisponde all'ipofisi, che esercita un'influenza su tutte le altre ghiandole endocrine.
  • Il settimo chakra, detto della corona, è ritenuto la sede dell'illuminazione in cui l'Io individuale si congiunge con quello cosmico universale, determinando le esperienze mistiche di pace e beatitudine. A livello corporeo è associato all'epifisi, la cosiddetta ghiandola pineale, la cui funzione, non ancora del tutto chiarita, sembra in relazione con la capacità di adattamento ai ritmi del giorno e della notte, e in generale con i processi di crescita e invecchiamento.
La terapia dei chakra si è rivelata utile nei casi resistenti a forme di cura dei meridiani come l'agopuntura, tuttavia la loro manipolazione fine a se stessa, a scopi meramente evolutivi, senza una lunga e adeguata preparazione, può comportare stati repentini di autocoscienza che il corpo non è in grado di sostenere determinando gravi disfunzioni fisiche, anche letali, a cui la medicina tradizionale non può fare fronte. Particolarmente pericoloso è il risveglio di Kundalini, una forza incontrollabile che soltanto gli yogi più esperti decidono di ridestare per lo più al termine della loro vita.


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giovedì 3 maggio 2018

Bandiere di preghiera tibetane

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Le bandiere di preghiera tibetane (Tibetano: lung-ta, Wylie Wylie: rlung-rta) sono delle piccole bandierine di stoffa colorata, che vengono spesso appese sulla cima delle montagne o sugli alti picchi dell'Himalaya per benedire i luoghi nei dintorni o anche per altri motivi. Si crede che le bandiere di preghiera siano nate con la bön, antica religione tibetana precedente al buddhismo. Nella religione bön lo sciamano Bonpo utilizzava i colori primari per le bandierine, allo scopo di onorare le cerimonie in Nepal. Esse sono sconosciute in altre scuole buddhiste. Le bandiere di preghiera tradizionali riportano testo e immagini stampate.

Storia

Nei sutra indiani si parla di bandiere colorate; esse furono trasmesse ad altre regioni del mondo come bandiere di preghiera. La leggenda ascrive le origini delle bandiere colorate al Buddha storico, le cui preghiere erano scritte sulle bandiere militari usate dai deva contro i loro avversari, gli asura. La leggenda potrebbe aver dato ai bhikku indiani una ragione per trasfigurare il significato originario delle bandiere in un simbolo dell'ahimsa. La religione indiana fu portata in Tibet a partire dall'800 d.C., e le bandiere di preghiera furono introdotto nel 1040 d.C., epoca in cui furono modificate. Il monaco indiano Atisha (980-1054 d.C.) introdusse la pratica indiana di stampare le bandiere di preghiera in Tibet e Nepal.
Durante la grande rivoluzione culturale, l'uso delle bandiere di preghiera fu scoraggiato ma non del tutto eliminato. Molti stili tradizionali, tuttavia, possono essere andati perduti. Ai giorni nostri esistono diversi stili di bandiere di preghiera, osservabili in tutta la regione tibetana.

Lo stile lung ta e darchor

Esistono due tipi di bandiere di preghiera: orizzontali, chiamate lung-ta (traducibile come "cavalli del vento"), e quelle verticali, chiamate darchor (wylie: dar-lcog, tradotto come "asta della bandiera").
Le bandiere lung-ta (orizzontali) sono quadrate o rettangolari, legate tra loro dall'alto attraverso una lunga corda. Sono normalmente appese in diagonale dall'alto al basso tra due oggetti (una roccia e la cima di un palo) in luoghi alti come sul tetto di un tempio, monastero, stupa, sentieri di montagna. Le bandiere darchor (verticali) sono solitamente rettangoli larghi, attaccati a dei pali in verticale. Queste bandiere sono solitamente piantate nel terreno, sulle montagne, sui tumuli, in cima ai tetti, e iconograficamente sono legati alla figura del Dhvaja.

I colori e il loro ordine

Tradizionalmente le bandiere di preghiera sono legate in set da cinque, ognuna di un colore diverso. I cinque colori sono sistemati da sinistra a destra in uno specifico ordine: blu, bianco, rosso, verde e giallo. I cinque colori rappresentano i cinque elementi e le "Cinque pure luci". Diversi elementi sono associati con i diversi colori, scopi e sadhana.
  • il blu simboleggia il cielo e lo spazio;
  • il bianco simboleggia l'aria e il vento;
  • il rosso simboleggia il fuoco;
  • il verde simboleggia l'acqua;
  • il giallo simboleggia la terra.
Secondo la medicina tradizionale tibetana, salute e benessere sono il frutto del bilanciamento dei cinque elementi.

Simboli e preghiere

Al centro delle bandiere di preghiera tradizionalmente si trova il Lung-ta ("cavallo del vento") che porta tre gioielli in fiamme (ratna) sulla sua schiena. Il Ta (cavallo) è il simbolo della velocità e della trasformazione della sfortuna in buona fortuna. I tre gioielli fiammeggianti simboleggiano il Buddha, il Dharma e il Sangha, ovvero i tre pilastri della filosofia buddhista. Intorno alla figura principale sono dipinti circa 400 mantra, ognuno dedicato ad una specifica divinità. Tra queste troviamo i grandi bodhisattva quali Padmasambhava (Guru Rimpoche), Avalokiteśvara (il bodhisattva della grande compassione e patrono del popolo tibetano), e Manjusri. Oltre ai mantra, le bandiere di preghiera per augurare longevità e buona fortuna, sono spesso dedicate anche alla persona che appende le bandiere. I quattro animali che si trovano ai quattro angoli delle bandiere, conosciuti anche come "Quattro Dignità", sono: il drago, garuda, la tigre, e il leone delle nevi.

Simbolismo e tradizione

Tradizionalmente le bandiere di preghiera sono usate per promuovere la pace, la compassione, la forza e la saggezza. Le bandiere non contengono preghiere per gli dèi. I tibetani credono piuttosto che i mantra vengano sparsi dal vento, e le buone intenzioni e la compassione pervada lo spazio intorno. Di conseguenza si crede che le bandiere di preghiera portino beneficio a tutti. Appendendo una bandiera in un luogo alto, si porta la benedizione dipinta sulla bandiera a tutti gli esseri. Quando il vento passa sulla superficie delle bandiere, le quali sono sensibili ad ogni cambiamento e movimento del vento, l'aria si purifica e viene resa sacra dai mantra. Le preghiere sulle bandiere diventano parte permanente dell'universo, mentre l'immagine sbiadisce a causa dell'esposizione agli elementi. Proprio come la vita va avanti e viene rimpiazzata da nuova vita, i tibetani rinnovano le loro speranze per il mondo continuando ad appendere nuove bandiere di fianco a quelle vecchie. Questo atto simboleggia il fatto di dare il benvenuto ai cambiamenti della vita e il riconoscimento che ogni essere è parte di una circolo più grande. I simboli e i mantra sulle bandiere sono sacri, dovrebbero essere trattati con rispetto. Esse non dovrebbero essere mai poggiate sul pavimento o usate come vestiario. Le bandiere vecchie dovrebbero essere bruciate.

Il momento propizio per appenderle e rimuoverle

L'uso della bandierine di preghiera con fini principalmente estetici, ovvero al di fuori di contesti strettamente legati alla pratica del Buddhismo, non è in genere scoraggiato dai monaci, perché si ritiene che anche l'uso grazioso e semplice di appendere le bandiere di preghiera diffonde buoni auspici a tutti gli esseri viventi.
Il significato delle bandierine è collegato all’astrologia tibetana, che indica giorni particolarmente favorevoli per appenderle e altri in cui è bene evitare di attaccarle. In questo calendario i giorni fausti sono indicati con PF (Prayer Flags) e quelli infausti con NPF (No Prayer Flags)
Una volta appese, le bandierine possono anche esser lasciate per sempre, ma si usa sostituirle il giorno del Capodanno Tibetano. Esse, contenendo dei testi sacri, non dovrebbero essere appoggiate a terra né tantomeno buttate tra i rifiuti: viene invece raccomandato che le vecchie siano bruciate, in modo che il fumo che se ne sprigiona diffonda la propria benedizione nell'aria.

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mercoledì 2 maggio 2018

Beach Wrestling

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Il Beach Wrestling è uno stile internazionale di Lotta sportiva nato per unire le diverse forme di combattimento praticate sulla sabbia attraverso un singolo regolamento. Il bagaglio tecnico è simile a quello della lotta libera, ma a differenza di quest'ultima non è possibile lottare a terra. La competizione avviene sulla spiaggia, o meno frequentemente in strutture indoor appositamente attrezzate. Il campo di gara è formato da un cerchio (la sabbia sostituisce il tappeto) dal diametro di sei metri. L'abbigliamento è ridotto ad un costume da bagno (o pantaloncini corti estivi) e non sono presenti le scarpe. Le categorie di peso ufficiali sono quattro: -85 kg , +85 kg per il settore maschile e -70 kg , +70 kg per quello femminile.

Gestione del Beach Wrestling

L'intento della federazione internazionale FILA Wrestling è quello di promuovere e diffondere la Lotta anche al di fuori delle palestre, sfruttando un ambiente di gara naturale e molto popolato. Il Beach Wrestling è stato incluso con grande successo fra le discipline presenti agli Asian Beach Games, manifestazione sportiva nata nel 2008. La "lotta sulla spiaggia" è stata inserita fra le discipline presenti nelle scorse Olimpiadi giovanili tenutesi nel 2010 a Singapore.

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martedì 1 maggio 2018

Kiai

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Il Kiai (気合, 気合い, kor. 기합) nelle arti marziali è il suono gutturale che accompagna i momenti "topici" di un kata (forma) o di un kumite (combattimento), in cui si dirige la massima energia vitale per intimorire e sopraffare l'avversario.
Essa è un'espressione di senso compiuto: Ki () sta per energia vitale e ai (, 合い) può essere tradotto come unione. L'individuo unisce la propria energia vitale e quella della natura attraverso l'espirazione provocata dalla forte contrazione addominale. La tradizione orientale fa risiedere la vitalità fisica nell'addome (tanden) e ritiene che degli appropriati esercizi respiratori possano incrementarla. È il diaframma che consente una respirazione profonda e ampia, mentre il movimento dei soli muscoli costali induce una respirazione superficiale e di difficile controllo. Il tempo dell'espirazione corretta (ventrale), determinata dalla decisa contrazione dei muscoli addominali corrisponde, quindi, al momento di massima espressione di forza.
L'altra componente del Kiai è psicologica. Il grido è intimamente connesso alle emozioni individuali, quando le nostre normali risorse non possono assicurarci la sopravvivenza, la forza e la volontà che necessitano emergono solo con l'esasperazione delle emozioni. La possibilità di ampliare le capacità in condizioni estreme ha permesso agli antichi guerrieri di codificare il grido, che divenne il kiai.
Si osserva un diverso momento di espressione del kiai nelle diverse arti marziali, per esempio nel kendo il kiai avviene prima e non all'atto finale, questo perché l'uso di un'arma, la katana in questo caso, implica di per sé un risultato devastante che invece, a mani nude, può essere conseguito solo con il ricorso all'esasperazione fisica. Nel kendo, non dovendosi incrementare l'aspetto fisico, viene dato grande risalto alla volontà risolutiva che induce l'azione.

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