martedì 5 novembre 2013

Cosa rende il Krav Maga così brutale?

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Bisognerebbe capire che cos'è il Krav Maga.
Non essendo codificata, come le arti marziali tradizionali, ognuno mette in mezzo tutto quello che vuole e lo spaccia per Krav Maga, come 35 anni fa, facevano con il Kung fu.
Sorgevano come funghi maestri di kung fu, che si erano inventati 4 balletti e li spacciavano per forme di stili inesistenti.
Oggil 99,9999999999999999999999999% degli istruttori di krav maga sono dei pagliacci.
L' allenamento sembra brutale, perchè si fa con un compagno che naturalmente ti asseconda
Guardiamo anche su Youtube i video, hanno tutti una caratteristica comune: gli aggressori sono molto tranquilli, calmi, si avvicinano lenti, portano un attacco solo e si beccano la reazione, cadendo a terra o lasciandosi torcere il collo, braccia, ecc…
Se parliamo di strada, non è così.
Il tuo contendente ti arriva contro urlando come una furia, cerca di accorciare subito la distanza, ti spintona a tutta forza per sbilanciarti, parte con una serie di colpi con tutta la sua potenza, perchè non è un match sulle 12 riprese, dove deve risparmiare fiato, lui vuole tirarti giù subito.
Quando il primo pugno ti arriva, lui sta giù partendo con il secondo, non ti lascia lì il braccio per fargli la leva.
Io insegno difesa personale femminile, protezione per v.i.p. E per ragazze che dovranno fare da baby sitter a bambinidi famiglie ricche e quindi ad alto rischio, ecc…
Un pugno di una ragazza non ferma un uomo che la attacca furibondo, magari ubriaco, drogato, strapieno di adrenalina, potrebbe persino avere un addestramento che di primo acchito non si sarebbe sospettato.
Un panzone di 110 kg che ti carica, non lo tiri giù con una ginocchiata nella trippa.
Oggi arrivano stranieri da tutto il mondo.
Molti di loro si sono fatti 20 anni nell' esercito, non credere di fargli paura se ti metti nella guardia di Bruce Lee.
Io vendo giocattoli, una mia passione.
Un giorno avevo un fucile giocattolo anni '70, molto realistico, appena preso da un amico, passo davanti al supermercato, saluto il nigeriano che chiede la carità, parliamo sempre.
Mi chiede di vedere il fucile, lo prende in mano, toglie e rimette la sicura, lo apre per il caricamento.
Ci ha messo pochi secondi, non è una cosa immediata.
Quello sapeva esattamente dove toccare, come aprirlo… se non hai mai visto un fucile, ci metti un po' a capire.
Quel tizio è unsoldato, si vede da come lo impugna, lo maneggia, è uno che ha esperienza.
Era un giocattolo certo, ma i meccanismi sono uguali all'arma vera.
Il krav maga, quindi, è brutale nei video, poi bisogna vedere chi lo pratica, che cosa si è imparato.
30 anni fa, Jean Luc Magneron lo insegnava ai paracadutisti e lo si chiamava close combat, 30 anni fa i SEALS lo chiamavano kokkar…
Non è la tecnica ad essere brutale, può esserlo l'applicazione.
Lo studio della tecnica deve tenere conto delle caratteristiche fisiche dell' allievo.
L'applicazione deve considerare anche quelle dell'avversario.
Quando guardiamo i video su Youtube, solo degli italiani, perchè all'estero non è così, ognuno pensa solo a criticare gli altri.
Le mie tecniche sono le uniche che funzionano, io ho fatto questo, io ho fatto quello…. per strada è così, per strada è cosà… qui non puoi far niente, lì non puoi far niente… scappa, corri… come se l'altro ti lascia andare via e non ti insegue.
Se io sono stato incaricato di liquidare uno, può scappare anche in questura, io lo inseguo e lo finisco… ed è così che ragiona chi ti attacca, non credere che ti lasci scappare.
Io insegno a ragazze, che domani saranno mamme, che accompagnano a scuola o all' asilo figli di altre persone.
Sei con un bambino e ti aggrediscono: non puoi scappare, devi fare solo una cosa, hai un unico dovere: vincere ad ogni costo!
"Quando la situazione è gravissima, quando la vostra vita è in pericolo, lottate con la ferocia della tigre che protegge i cuccioli!".



lunedì 4 novembre 2013

LaMotta – Robinson: Il Massacro di San Valentino

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Nel giorno della Festa degli innamorati del lontano 1951, sul ring del Chicago Stadium due pugili si scambiarono tutto tranne che tenere effusioni. Quel giorno, infatti, Ray Sugar Robinson e Jake LaMotta diedero vita a uno degli incontri più cruenti della storia, non a caso ricordato come il “Massacro di San Valentino”. Riviviamo quella serata incredibile.
Il 14 febbraio del 1951, nel giorno degli innamorati, non ci fu amore tra pesi medi sul ring approntato all’interno del Chicago Stadium. Ray Sugar Robinson di Detroit e Jake LaMotta di New York si incontravano per la sesta volta; il bilancio sorrideva al grande boxeur di colore, impostosi in quattro occasioni su cinque, ma era l’italoamericano ad avere in mano il titolo, che difendeva per la terza volta. Sul piatto c’era lo straordinario record di Robinson, in quel momento 122 vittorie contro una sola sconfitta; quell’odiata, unica sconfitta patita proprio dal Toro del Bronx, otto anni prima, peraltro vendicata in un re-match di sole tre settimane più tardi.


Dopo tanti incontri tra loro, il più grande pugile di tutti i tempi sapeva quali fossero i difetti del fighter newyorchese: conosceva il lento ingresso nel match da parte di LaMotta e sapeva di dover imporre un ritmo forsennato nei primi tre round, in maniera tale da accumulare vantaggio in punti e costringere “Toro Scatenato” alla rincorsa. La volontà di Jake LaMotta, però, trascendeva i calcoli accurati, i pugni devastanti, le ferite più profonde. Ray Robinson, dall’alto della sua immensa classe, lo investì con la furia del diretto sinistro e del montante destro, cambiando spesso le basi, in maniera da aggirare la guardia statica di Jake. Le gambe di LaMotta non si piegarono nemmeno per un instante.
Nel quarto round, dopo un’infinita serie di Sugar Ray, Jake rispose dalle corde con un secco gancio sinistro. Le gambe di Ray tremarono ed il pubblico si zittì per la sorpresa: LaMotta pareva tornato dal mondo dei morti, a cui sembrava esser andato in visita nei primi round. Nella quinta ripresa, La Motta tentò di ripetersi, ma Sugar aveva preso le misure e lasciò sfilare il gancio di Jake, per riprendere nuovamente a tamburellare la testa ed il costato dell’avversario. Nei piani di LaMotta vi era l’attesa che il match scendesse ad un ritmo blando, a lui più congeniale; fino al settimo era sicuro di aver vinto, o quantomeno pareggiato, un paio di round, quindi contava di far suo l’incontro dominando il finale, secondo sua caratteristica. Sugar Ray Robinson, però, non abbassò il ritmo: lo incrementò!

I round successivi si trasformarono in un’infinita punizione: LaMotta incassava, Sugar Ray picchiava con violenza inaudita non avendo più bisogno di difendersi, perché i guantoni di Jake erano alti a difesa della testa ed i gomiti attaccati al corpo a protezione della figura. Il campione non portava più colpi e Robinson lo stava tempestando di jab taglienti e poderosi uppercut. Ma Jake LaMotta, all’anagrafe Giacobbe, non cedeva; le sue gambe non si piegavano. Quando Robinson prendeva fiato, lui alzava la testa sanguinante, lo guardava attraverso gli occhi gonfi e lo sfidava col suo infinito orgoglio. Alla fine del decimo round, molti dei quindicimila presenti invocavano l’intervento dell’arbitro Frank Sykora, affinché ponesse termine ad una tale punizione; non era, però, una soluzione così immediata, dato che LaMotta era il campione in carica ed il suo angolo non mostrava segno di volerla finire.




All’undicesimo round, un colpo nella nebbia di LaMotta scosse Robinson; il Toro del Bronx diede segno di avvedersene e si lanciò sull’avversario alla sua maniera, con un nugolo di colpi che, però, Robinson incassò con la grande classe in lui innata. Poi ricominciò l’opera di demolizione. Alla campana del dodicesimo round, LaMotta si avviò all’angolo ormai incapace di vedere e di sentire. Dirà, nell’intervista successiva al match, che il forte dolore l’aveva sentito alla quinta ed alla sesta, ma poi gli sembrava di essere uscito dalla tempesta. Ma non era così. Al contrario, i colpi erano aumentati e si erano fatti più precisi. Due minuti e quattro secondi dall’inizio della tredicesima ripresa, il ring coperto del sangue di un ormai irriconoscibile LaMotta convinse l’arbitro Sykora dell’averne abbastanza di quella mattanza, che alzò il braccio al nuovo campione mondiale dei pesi medi. LaMotta fu condotto all’angolo e poi immediatamente negli spogliatoi, dove sarebbe rimasto attaccato all’ossigeno per oltre un’ora e mezza; prima che superasse le corde, però, uno stanchissimo Robinson riuscì a regalargli un sincero abbraccio. Sapeva che quella era la fine della loro epica serie di battaglie e che lui aveva vinto la guerra, ciò nondimeno non volle privare il suo grande avversario dell’onore che si era meritato. Dirà poche ore più tardi: “Credevo non avrebbe finito la ripresa già alla sesta, ma più lo picchiavo, più sembrava determinato a rimanere in piedi! Non capisco di cosa sia fatto: gli ho rifilato i colpi più duri della mia carriera ed era ancora lì“.




Il sesto match tra Jake LaMotta e Sugar Ray Robinson, subito ribattezzato “il massacro di San Valentino” lasciò anche molti strascichi polemici, a causa dell’indubbia violenza di alcuni passaggi, soprattutto nelle ultime riprese. The Indianapolis News descrisse l’incontro come “un crimine nel nome dello sport, un malato tributo alla brutalità”. Ognuno deve essere libero di dire la propria opinione, che va rispettata fino in fondo. Il pugilato non è uno sport che favorisca gli incontri impari; nella sua stessa filosofia è un combattimento con precise regole tra uomini disposti allo scontro, dello stesso peso e di similare abilità. Il “massacro di San Valentino” fu un match all’apparenza poco equilibrato ma io, personalmente, lo vedo come un confronto tra la magistrale abilità di Robinson e l’insondabile determinazione di LaMotta. A me mancavano vent’anni per nascere, alla maggioranza dei lettori di questo mio articolo parecchi di più: eppure, è un fatto che noi si sia ancora qui a parlarne e discuterne. Questa è la magia del pugilato, la più controversa disciplina sportiva, ma di gran lunga la più affascinante del pianeta.  
 

Sugar Ray Robinson e Jake LaMotta avevano entrambi trent’anni. Considerato, dai più, il miglior pugile pound for pound di tutti i tempi, Robinson è mancato ormai ventinove anni fa. La Motta, invece, dopo essere tornato a vivere nel suo vecchio quartiere, ha continuato ad essere il vecchio Jake, sempre pronto con parole pesanti per chiunque lo contraddicesse e, alla veneranda età di novantacinque anni, è sopravvissuto a tutti i suoi avversari, a molte ex mogli e, purtroppo, anche ad un paio dei suoi figli, prima di spegnersi il 19 Settembre 2017. Sulla scorta di quanto successo a Chicago, in quel lontano giorno di San Valentino, ed in molti altri frangenti della sua tumultuosa esistenza, mi pare chiaro che per mettere definitivamente al tappeto lo spirito indomabile di Giacobbe LaMotta, avrebbe dovuto scomodarsi il Signore in persona.  


domenica 3 novembre 2013

L'imbroglio dei Monaci Shaolin


Non possiamo fare a meno di evidenziare un grande imbroglio.... a cosa ci riferiamo?
Ai monaci "ufficiali" che insegnano lo shaolin in italia e nel mondo.... purtroppo nel variegato mondo delle arti marziali molti decidono che forse è meglio stare ai giochi ed accettare il compromesso... quindi si rassegnano a tecniche che non useranno mai in combattimento... a vedere la gente più interessata alle capriole che alle tecniche ed imparare cose diverse dal resto del mondo, sembra che ognuno abbia uno shaolin personale in quest'epoca moderna!
La cosa peggiore è l'informazione o è meglio chiamarla con il suo nome, disinformazione, tutti hanno la loro setta e nessuno mette niente in discussione...insomma si deve accettare la situazione attuale e portare pazienza....allora perchè questo post?
Leggiamo in giro quello che succede, non lo viviamo di persona, quindi leggiamo di mezze verità e di realtà che potrebbero dare tanto, ma che in fondo nel resto del mondo le cose non vanno meglio che nella nostra povera Italia.....
Saltuariamente balzano all'onore della cronaca notizie sui monaci shaolin o presunti tali... che i monaci o meglio l'abbate viene sorpreso dalla polizia cinese con una prostituta in macchina....che ha un figlio..che il marchio shaolin è registrato come se fosse il logo di una multinazionale... che il monaco che a roma insegna il kung fu di shaolin altro non è che una sorta di preparatore per ginnastica artistica..... in fondo per dirla volgarmente ci stanno prendendo in giro.... italiani che si spacciano per monaci shaolin, ma non si sa quale abbate li abbia autorizzati ad insegnare e a diffondere il vero shaolin..... cosa c'è di vero in tutto il movimento shaolin italiano?
Senza dare giudizi.....i commenti che si trovano su youtube circa le esibizioni non sono proprio lusinghieri....? Abbiamo visto gli esercizi che propongono e quello che vediamo da questi professionisti non ci impressiona minimamente....è questo il livello? Leggiamo pareri diamentralmente opposti, chi dice che con questi monaci si fa il salto di qualità chi dice che tanto non si imparerà mai il vero shaolin... altro punto dolente le federazioni...ma quante ce ne sono? quanti regolamenti diversi e contraddittori fra loro?
Allora cosa c'è di vero tra mito leggenda e business?
Di storie come quelle descritte più sopra se ne sentono a decine e decine, in tutte le loro varianti.
La cosa in comune in tutte le storie è che si tratta di cosidette arti marziali tradizionali, in particolare proprio quelle che sostengono di avere radici antichissime.
Per farla breve abbiamo sempre contestato queste cose:

- perchè a dei monaci, ovvero dei religiosi, dovrebbe interessare tanto insegnare agli occidentali una loro pratica? Per fare soldi? Va bene, non c'è niente di male in questo, ma allora in pratica è un business, e come ogni business che si rispetti, c'è chi lo organizza, ci vive e fa in modo che il salvadanaio continui a riempirsi, saremo blasfemi, ma questa è la realtà.

- Come mai allora sapendo il punto sopra molte persone si fanno abbindolare da storie basate su sacri insegnamenti, etica morale, antiche e nobili radici, etc.? Forse dovremmo accettare a priori che è tutto falso, solo un prodotto fatto per un certo target di occidentali creduloni, che cercano chissà cosa.

- perchè 1000 maestri diversi dichiarano di fare lo stesso stile, ma poi ognuno dice di fare l'unico originale per discendenza diretta nella genealogia, e magari è proprio diverso da tutti gli altri?
Nel mondo delle arti marziali se fai muay thai fai una cosa, è quantomeno molto simile in Thailandia come in Olanda, o in Italia, se fai bjj con alcune varianti è lo stesso in tutto il mondo, se fai boxe è la stessa ovunque... Forse stanno tutti raccontando delle fandonie? O non sanno veramente cosa stiano facendo.

- perchè in ogni comune italiano o giù di lì c'è, guardacaso, un maestro di arti marziali antiche, che non importa se cinesi o vietnamite ha avuto proprio la fortuna di conoscere il tal maestro famosissimo e rispettatissimo in patria? Forse a tutti piace raccontare di "essere qualcuno", soprattutto se puoi così sentirti darti un'aura di guerriero.

- perchè in queste cose nessuno si mette in discussione dimostrandole con i fatti (tecniche che funzionano fatte così come le studi) o con documenti reali (prove che dimostrino la storia, la tradizione, la discendenza, etc)? Vedi prima!

- chi mai dovrebbero essere, nel 2013, i monaci shaolin? Forse c'è un desiderio di costruire una figura "mitica" per sentirsi più autentici e veri, poi magari vai a vivere in cina per qualche anno e passa tutta la poesia perchè non è più qualcosa di esotico.

- perchè una forma non è la stessa in tutto il mondo, visto che tutti praticano la stessa disciplina?
Persino sulle singole tecniche c'è chi è stato capace di fondare un'intero nuovo stile, per poi vedere come si scanna con gli altri perchè ritiene di avere quelle che funzionano meglio, che sono più autentiche, etc. (un caso per tutti che rasenta il ridicolo è il wing chun, si è cambiata una lettera per poterlo chiamare in modo diverso, e poi invece che a 47° si mette il braccio a 45,8°, solo per dire che una tecnica è corretta, mentre un'altra è sbagliata)

- sui "monaci shaolin italiani" non ci esprimiamo più di tanto perchè non sappiamo chi siano.

- E chi ha mai detto che persone che ingaggiavano battaglia, in nome dell' imperatore o per la difesa del proprio tempio, avessero uno spirito marziale? Forse sono tutte speculazioni mentali, romantiche e politicamente corrette, inoltre NESSUNO SPORT AGONISTICO COMPETITIVO prevede questioni morali o religiose.
Lo si dice solo per avere una facciata di civiltà...

- Solo nel kung fu problemi di federazioni? No, no, in tutte le arti marziali e sport da combattimento. E' un business. Nelle arti marziali però lo si maschera bene puntando sulla moralità, siamo una grande famiglia, non lo si fa per soldi o per le cinture, etc.

La cina e i cinesi se la ridono di gusto perchè in giro per il mondo c'è gente che da più importanza alle loro tradizioni e personalità di quanto facciano loro stessi.
Già i cinesi si venderebbero la madre per farci soldi, figuriamoci da quando hanno imparato dagli americani a vendersi meglio...

sabato 2 novembre 2013

Sifu/Maestro?


Molti vanno in una palestra della propria città in cerca di un corso di arti marziali, qui vengono invitati a partecipare ad una lezione di prova, una volta lì ci si può trovare di fronte a degli insegnanti giovani (intorno ai 30 anni circa) tutti quanti maestri o sifu...?
E' credibile una cosa simile?
Da un lato ovviamente no, con i criteri ed i significati che c'erano una volta qui siamo proprio fuori da ogni contesto realistico!
Dall'altro, va compresa l'evoluzione del mondo marziale specie negli ultimi 4 decenni, che ha portato sempre più ad una personalizzazione della pratica marziale, personalizzazione che, certamente in parte ha rappresentato per molti la voglia di farsi un proprio seguito, ma in parte è anche figlia di certe esigenze, quali l'autosviluppo, una ricerca specifica, il ridimensionamento di certi grandi personaggi internazionali che spesso sono grandi solo quando c'è da incassare.
Basarsi solo sull'etá è comunque riduttivo. Molti insegnanti che abbiamo conosciuto non si fanno chiamare SiFu, nonostante pratichino da quando avevano 9 anni....
Poi, come consiglio personale, guardate di più il come e il cosa ti viene insegnato, non solo l'età...
Se poi avete l'opportunità di girare un pò il nostro consiglio è di guardare come si muovono:
con la bocca si possono raccontare un sacco di cose, ma il corpo non mente, lo si vede se uno si muove bene oppure no!
Il punto della questione è che di fronte ad un insegnante di scuola non ci si pone quasi mai la questione sul suo titolo maestro/a.
Parlando invece di arti marziali, nella nostra mente la parola maestro (shifu, sensei ecc.) si lega inevitabilmente al concetto di maestria.
E' come se l'insegnante di scuola sia lì perchè è il più abile di tutti nello scrivere i compiti alla lavagna. Oppure..è come se, nella sicurezza di imparare dal migliore, decidessi di andare da...Umberto Eco e Einstein.
Siamo sicuri che nonostante la loro preparazione siano le persone più adatte ad insegnarmi a scrivere bene nei quaderni a righe o a fare addizioni in colonna?
Si suppone (chiaramente con le dovute eccezioni) che l'insegnante sia lì non tanto per le sue eccezionali qualità personali ma per la sua attitudine all'insegnamento.
Chi si accinge ad iniziare il cammino marziale più che guardare esperti di arti marziali dovrebbe saper riconoscere un bravo insegnante e come in tutte le cose (medici, avvocati, meccanici, elettricisti ecc.) il titolo non sempre è sinonimo di qualità.
Non sempre la maestria vuole dire essere un buon insegnante e viceversa.
Una bella fortuna sarebbe trovare entrambi in una persona sola e che sia disponibile e paziente da insegnare a me povero principiante.
Non avendo criteri per valutare la preparazione dell'insegnante, vi consigliamo con molta serenità di parlare con i diretti interessati e porre loro quelle domande che vi aiuteranno a fare chiarezza.
Fate qualche lezione se potete oppure andate ad assistere.
Il buon senso e l'istinto vi dovrebbero poi guidare nella scelta.
E' la persona dell'insegnante, la sua onesta e attitudine che è importante non tanto la disciplina.





venerdì 1 novembre 2013

Guardia boxe

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Per praticare la boxe ed affrontare un incontro non basta colpire il sacco con i pugni e poi salire su di un ring.
E’ essenziale sapere come uscire vittorioso dal ring e ciò risulta possibile solo se si conosce come proteggere se stessi dagli attacchi dell'avversario.
Quindi l’apprendimento della guardia per la boxe è assolutamente indispensabile per tutti i fighter di questa disciplina.

La guardia della boxe destra

Importante nella posizione iniziale che deve essere perfetta, è avere i piedi paralleli gli uni agli altri in modo da essere in grado di spostarsi sia con la gamba destra che con la gamba sinistra durante gli attacchi dell’avversario.
Principio base è che il braccio alzato per la guardia deve coincidere con la gamba in avanti del fighter.
Da ricordare sempre, che le gambe devono essere leggermente piegate in modo da facilitare la difesa dagli attacchi dell'avversario.
E’ importante che il corpo non si trovi perfettamente in linea retta con quello dell’avversario ma che sia spostato di circa 2/3 dalla posizione frontale.
Per eseguire correttamente una guardia di boxe è bene conoscere anche quali sono i punti deboli che la guardia è in grado di proteggere.
La posizione corretta della guardia di boxe è la seguente: un braccio alzato con il pugno di fronte al livello del viso.
L’altro pugno indietro a metà del braccio che si trova in avanti in modo da proteggere le costole e gli addominali.
I gomiti devono essere in posizione di allerta, pronti per sferrare un eventuale attacco.
La sopra menzionata posizione è la normale guardia di boxe adottata da quasi tutti i fighter per difendersi dal proprio avversario.
Il perchè del braccio spostato verso il torace, è presto spiegato, è per proteggere una parte fondamentale e molto fragile del nostro corpo le costole, le quali formano la cassa toracica che proteggono l’organo vitale fondamentale del nostro corpo: il cuore.
Al livello dello stomaco non ci sono le costole a proteggere altri importanti organi quali il fegato ed i reni, l’unica loro protezione sono i muscoli che quindi devono essere allenati al massimo.
Ci sono numerosi attacchi che possono provocare dei seri danni al torace con la conseguenza della rottura di costole e nel peggiore dei casi con il danneggiamento degli organi interni.
E’ per questo che è assolutamente essenziale conoscere e saper eseguire correttamente la guardia della boxe, per prevenire questi seri danni fisici provocati dagli attacchi dell’avversario.
Quando venite sorpresi dall’altro fighter con un clinch ricordate che la guardia della boxe potrebbe esservi di grandissimo aiuto: con il braccio che si trova in avanti colpite l’avversario tenendo le braccia chiuse per proteggere il fegato ed i reni.

I giusti movimenti per la guardia della boxe

Nella boxe ogni parte del corpo del fighter deve essere in sincronia durante i movimenti.
  • Il busto inteso fino allo stomaco, è la parte del corpo che si trova in diretta competizione con l’avversario. Il fighter deve essere in grado di torcerlo in maniera da evitare i colpi dell’avversario o almeno da ridurli.



  • I piedi devono rimanere in armonia con il resto del corpo. Le punte devono essere posizionate leggermente verso l’interno. Anche le gambe devono essere parallele per l’equilibrio del fighter.



  • Le braccia devono essere sempre reattive e pronte a qualsiasi attacco.



  • Il mento è la parte più vulnerabile di un fighter di boxe. Quando attaccate il vostro avversario ricordatevi di abbassare la testa in modo da proteggere questo delicato punto.

Per un boxer gli spostamenti durante un contro possono essere suddivisi in 4 tipologie: spostamento frontale, laterale destro, laterale sinistro e spostamento all’indietro in base all’opportunità di attacco che si presenta in quel momento.
Ricordate sempre che in base agli spostamenti del vostro avversario dovrete essere in grado di spostare la vostra guardia nella maniera corretta in modo da contrastare i suoi attacchi.
La guardia deve proteggere tutti i vostri punti deboli, non lasciateli mai scoperti o perderete di certo l’incontro.
L’ultima cosa fondamentale da sapere è che ogni fighter, con l’aiuto del proprio maestro, deve avere piena fiducia nel suo stile di combattimento: salire sul ring con l’incertezza è la peggior cosa da fare.
Siate consapevoli delle vostre conoscenze, mettetele in pratica nel migliore dei modi e vincete il vostro incontro.