"Io sono l'America. Sono la parte che non riconoscerai. Ma abituati a me. Nera, sicura di sé, arrogante, il mio nome non è il tuo. La mia religione, non la tua; i miei obiettivi, i miei; abituati a me."
Muhammad Ali, uno degli sportivi più controversi della storia, ha spinto al massimo i confini della celebrità e della ribellione.
Il suo flexing – termine che in questo contesto descrive l'atteggiamento ostentato e l'autocelebrazione – non ha avuto pari. Non solo per le sue incredibili vittorie sul ring, ma anche per il suo coraggio nell'affrontare la politica, la razza e la religione in un'epoca di tensione sociale negli Stati Uniti, nessuno è paragonabile a Mohammed Ali (Cassius Clay di nascita).
"È difficile essere umili quando sei grande come me."
Nel 1967, Ali fece una delle scelte più audaci della sua carriera, chiedendo l'esenzione dal servizio militare durante la guerra del Vietnam. La sua motivazione? Il rifiuto di combattere in una guerra che, secondo lui, non aveva nulla a che fare con la sua comunità o la sua religione. Si dichiarò infatti un ministro della religione islamica, citando le sue convinzioni come base per l'obiezione di coscienza. La risposta del governo fu implacabile: Ali venne condannato per evasione dalla leva, gli furono revocati i titoli mondiali e fu bandito dalla boxe per oltre tre anni.
Questo periodo, che costò a Ali milioni di dollari e un'intensa persecuzione da parte del pubblico americano, non fu mai motivo di pentimento per il campione. In un'epoca in cui il razzismo e il patriottismo incrollabile sembravano dominare la scena sociale, Ali divenne il bersaglio perfetto per chi vedeva la sua rivolta come un affronto all'ordine stabilito. Eppure, con la sua caratteristica audacia, Ali rispose a tutto questo con la consapevolezza che sarebbe stato impossibile ignorarlo.
"Abituati a me", disse, incalzando con una definizione tanto potente quanto precisa del suo essere. "Nera, sicura di sé, arrogante, il mio nome non è il tuo. La mia religione, non la tua; i miei obiettivi, i miei." Ali non cercava la convalida, non si curava dell'opinione pubblica. Era, semplicemente, Ali. Una figura che ridefiniva la cultura della sua epoca e che, nonostante le difficoltà, dimostrava al mondo di cosa fosse capace quando sfidava il sistema.
Nel 1971, la Corte Suprema degli Stati Uniti annullò la sua condanna, riconoscendo che il suo rifiuto di combattere fosse fondato su convinzioni religiose sincere. Quella sentenza riaprì le porte del ring ad Ali, che continuò a scrivere la sua leggenda con le memorabili sfide come il "Rumble in the Jungle" contro George Foreman e il "Thrilla in Manila" con Joe Frazier. La sua carriera tornò a decollare, ma non senza i segni lasciati dal periodo di sospensione.
Ali ci ha lasciato nel 2016, ma non prima di aver pronunciato parole che risuonano ancora come lezioni di vita: "Vivi ogni giorno come se fosse l'ultimo, perché un giorno avrai ragione." La sua esistenza, costellata di sfide, vittorie, e battaglie, sia dentro che fuori dal ring, rimarrà per sempre un'ispirazione.
In un mondo dove l'autenticità è spesso sacrificata sull'altare del conformismo, Muhammad Ali è stato un faro di indipendenza, coraggio e, soprattutto, di una visione radicale e intransigente della propria identità. Come egli stesso disse: "Un uomo che a 50 anni vede il mondo allo stesso modo in cui lo vedeva a 20, ha sprecato 30 anni della sua vita." Ali, invece, non ha mai smesso di evolversi, sfidando costantemente il suo tempo e il suo destino, diventando per sempre l'icona di una resistenza che trascende il ring.
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