domenica 25 dicembre 2011

Miyamoto Musashi



E' strano che, in diversi anni di esistenza di questo blog, non abbia ancora avuto l'occasione di parlare approfonditamente di Musashi Miyamoto, uno dei più grandi Maestri di spada che la storia ricordi.
Musashi Miyamoto fu un grande spadaccino, forse il più grande di tutti i tempi. Un uomo che consacrò la propria vita alla spada e alla ricerca della perfezione nel suo utilizzo. Un uomo non esente da difetti, ma che cercò nel corso della sua vita di migliorarsi costantemente, dapprima solo nella scherma, per poi comprendere il vero significato del miglioramento marziale, espandendo le sue conoscenze verso arti e mestieri non propriamente guerrieri.
Musashi Miyamoto è il prototipo del guerriero che ha raggiunto il limite estremo della sua disciplina, ha superato le soglie del puro addestramento per elevare il suo talento ad arte raffinata, complessa, a volte criptica e istintiva piuttosto che tecnica e rigidamente modellata dall'appartenenza ad una Scuola.
Musashi fu un "kensei" (santo della spada), titolo onorario che significava l'aver raggiunto un'abilità leggendaria nel manipolare la spada. Si tratta di un onore che venne assegnato negli ultimi secoli soltanto ai fondatori di arti marziali particolarmente efficaci e diffuse, come al fondatore della scuola di karate Goju-ryu Chojun Miyagi.
Musashi uscì vincitore e indenne da 60 duelli ufficiali. Si battè fin dall' età di 13 anni, quando uccise il suo primo avversario durante un duello, e tre anni dopo partecipò anche alla cruenta battaglia di Sekigahara, lo scontrò che modificò le sorti future dell'intero Giappone; uscitone indenne e rafforzato, iniziò a girare per il Giappone, in cerca di una sfida sempe maggiore, di un avversario sempre più forte.
Affrontò maestri di spada che vantavano genealogie imponenti, e vinse; affrontò artisti marziali di tutti i generi (il Giappone dell'epoca tardo-medioevale aveva una nutrita schiera di scuole differenti di spadaccini e combattenti), e vinse; si schierò, solo, contro gruppi di uomini, e li sconfisse tutti, samurai compresi (sconfisse l' intera famiglia Yoshioka, famosa per la loro arte nella spada). Tutto questo in tredici anni di vagabondagio, e per lo più con un bokken di legno.


Nascita e adolescenza
Shinmen Musashi-no-Kami Fujiwara no Genshin era figlio di Shinmen Munisai, un artista marziale particolarmente abile con la spada. Musashi crebbe assieme a suo zio Dorinbo all'interno di un tempio, dove gli venne insegnato a leggere e a scrivere, mentre il padre gli insegnava quando possibile l'arte del combattimento con la spada. L'addestramento marziale con Munisai durò fino all'età di 7 anni, per poi proseguire con lo zio.
Il suo primo duello fu all'età di 13 anni, contro Arima Kihei. Questi lo attaccò con il suo wakizashi, ma Musashi lo atterrò e lo colpì tra gli occhi a mani nude, uccidendolo. Da questo momento in poi, la vita di Musashi Miyamoto è segnata: a distanza di tre anni intraprenderà un periodo di lunga ricerca marziale e innumerevoli combattimenti.
Lasciando tutti i suoi possedimenti e la sua famiglia, Musashi partì per duellare con i migliori spadaccini del Giappone. Ma dopo la battaglia di Sekigahara, scomparve per qualche tempo per poi far ritorno all'età di 20-21 anni a Kyoto, dove intraprese una lunga serie di duelli contro la Scuola Yoshioka.
Slogando la spalla al massimo maestro della Scuola Yoshioka con un singolo colpo, disonorandolo e vincendo la sfida, Musashi si inimicò l'intera massa di discepoli di una delle 8 Scuole tradizionali di Kyoto. Sfidato a duello dal successore del precedente maestro e arrivato in ritardo allo scontro, sconfisse l'avversario con facilità disarmante, facendo infuriare ulteriormente il clan.
La Scuola venne affidata al dodicenne Yoshioka Matashichiro, che decise di creare una squadra punitiva per uccidere quell'insolente di Musashi. Questi, contrariamente al precedente scontro, si presentò ore prima sul luogo prefissato per lo scontro, prendendo di sorpresa la squadra di assassini, uccidendo Matashichiro ed estinguendo una delle più famose Scuole di spada del Giappone.


Il pellegrinaggio del guerriero
Dopo aver spazzato via il clan Yoshioka, Musashi riprese il suo "pellegrinaggio del guerriero", sfidando ogni avversario sufficientemente noto da poter rappresentare una sfida per la sua abilità con la spada. Spesso combatteva con un bokken, un bastone di legno da addestramento, per evitare di ferire in modo letale il suo opponente.
Durante questo percorso, vinse oltre 60 duelli senza mai subire una sconfitta, senza contare le morti che provocò in battaglia. Ma il combattimento che consacrò Musashi Miyamoto nell'olimpo dei più grandi spadaccini e strateghi della storia è quello con Sasaki Kojiro.
Il duello con Sasaki Kojiro, al tempo noto come "Il Demone della Provincia Occidentale", è un esempio della straordinaria attitudine guerriera di Musashi. All'età di quasi 30 anni, Musashi sbarcò sull'isola di Funajima con un bokken ricavato (pare) da un remo trovato sulla barca, in ritardo di ore all' appuntamento.
Kojiro, visibilmente irritato per la mancanza di rispetto, si scagliò furioso contro di lui, ma nello spazio di pochi secondi cadde a terra, colpito alla testa dalla spada di legno di Musashi. Incontro finito (con inchino semi-irriverente ai presenti), record imbattuto e inviolato.
Kojiro non era uno stupido, uno sprovveduto o uno sbruffone, o per lo meno lo era quanto qualunque altro samurai del tempo, specialmente se alla testa di una Scuola di arti marziali. Kojiro Sasaki era un uomo di spada, ma anche un letterato: basti pensare che, oltre alla creazione di uno stile di combattimento personale, uccise diversi avversari con un ventaglio (tessenjutsu, arte marziale basata sull'utilizzo di un ventaglio rinforzato). Gli esperti di questa tecnica sono in grado di difendersi anche da attaccanti armati di spade ed uccidere con pochi colpi. In Giappone esistono ancora pochissimi esperti in grado di praticarla, ed è un'arte che ormai sta svanendo.
L'errore di Kojiro non fu sicuramente la mancanza di allenamento. Un uomo come lui si esercitava quasi quotidianamente, e aveva sicuramente partecipato a qualche battaglia, essendo il periodo Tokugawa sul punto di iniziare e il Giappone non era certo privo di turbolenze interne e scontri tra potentati locali. L'errore di Kojiro fu l'aver sottovalutato il proprio avversario.
Fin dall' accettazione della sfida, probabilmente Kojiro era convinto di poter vincere l'incontro senza eccessivi problemi. Nonostante la fama di Musashi iniziasse a circolare per tutto il Giappone, davanti a lui si era presentato un uomo grezzo, sporco, apparentemente malnutrito, vestito di abiti laceri, e in qualche modo strafottente e arrogante.
Quello che forse Kojiro non sapeva era che fin da allora la strategia di Musashi aveva iniziato a mettersi in moto. Musashi conosceva la mutevolezza dell' animo umano, come forse poche persone sono state in grado di farlo nella storia. Questa caratteristica, abbinata all' intelligenza di un uomo dal "multiforme ingegno" e un'abilità strategica del tutto matura, gli consentì di vincere ogni duello che affrontò.
Il ritardo di due ore era una procedura studiata e ampiamente collaudata da Musashi nei duelli precedenti. Faceva innervosire l'avversario, soprattutto in un Giappone dove anche un combattimento tra rivali prevedeva un rigido codice di comportamento e di rispetto per l'avversario.
Presentarsi con una spada di legno non fa altro che spiazzare il nemico. Se la sua indole tende verso l'insicurezza, potrà innervosirsi ed iniziare a temere l'abilità di un uomo che si sente a suo agio combattendo con un'arma relativamente innocua; se tende verso l'eccessiva sicurezza, sottovaluterà l'avversario, bollandolo come folle o sprovveduto (fu questo probabilmente il caso di Kojiro).
Musashi scese dalla barca, non solo con una spada di legno (probabilmente) ricavata durante il tragitto da un remo, ma con una calma olimpica. Si sistemò le maniche del kimono perchè non fossero d'impedimento, con gesti misurati, controllati, e mostrando fin troppa tranquillità. Si legò i lunghi capelli con una fascia, sempre con calma olimpica, e si preparò al duello senza assumere una qualunque posizione di guardia.
La mancata assunzione della guardia era anch'essa parte della strategia di Musashi. Nel suo "Libro dei Cinque Anelli", la mutevolezza e l'adattamento alle circostanze sono i requisiti fondamentali per una strategia di successo, e Musashi applicava quotidianamente questa attitudine al cambiamento anche nella sua tecnica di spada.
La "non posizione" di guardia equivale ad assumere ogni posizione possibile: ci si adatta all'avversario istante dopo istante, adattando quindi anche la tecnica di lotta.
Scorgendo Musashi con il sorriso sulle labbra, Kojiro sguainò la spada e gettò in acqua il fodero. Secondo la tradizione, Musashi esclamò "Hai perso. Nessun vincitore getta via il fodero della sua spada". Un'affermazione che esprime tutta la filosofia di Miyamoto: la spada non è l'unica arma di un guerriero, ma lo è anche il suo fodero. Le mani possono essere armi. I piedi, le gambe, i gomiti, le ginocchia, il corpo può essere strumenti di morte. E l'arma più affilata e temibile è la mente.
Come finì la storia tra Musashi e Kojiro è materia di discussione. Una versione racconta che Kojiro non riuscì nemmeno a terminare il suo famoso colpo "Lama di Rondine" (Tsubame Gaeshi): Musashi lo scaraventò a terra con il suo lungo bokken, rompendogli una costola che uccise Kojiro per perforazione polmonare.
La versione dei discepoli di Kojiro, invece, è che il loro maestro fosse prossimo alla vittoria quando, accecato dal sole che sorgeva alle spalle di Musashi, venne colpito sulla testa dal pesante bokken di Musashi. Il colpo Tsubame Gaeshi veniva considerato così preciso e veloce da poter uccidere un uccello in volo, e solo un inganno avrebbe potuto sconfiggere Kojiro.
Il dibattito sul fatto che Musashi "truccò" l'incontro o meno è ancora vivo e vegeto. Usò la strategia e l'ambiente a suo vantaggio, o inganno Kojiro Sasaki?


La strategia di Musashi
Musashi non tardava agli appuntamenti perchè era trasandato, poco pulito e sbruffone. Tardava per irritare, innervosire, o per studiare il terreno e le intenzioni dell' avversario, nascondendosi nell' ombra e osservando con attenzione.
Era un combattente totale, un uomo che vinceva i suoi duelli ancor prima che iniziassero. Probabilmente, questa sua empatia e capacità di valutazione fecero in modo di evitargli duelli dall'esito incerto, e in un caso anche ritardarli. Ma anche questa è strategia.
Ciò che Musashi aveva acquisito era una mente priva di schemi, in grado di pensare a tuttotondo, senza dare per scontato nulla, in un costante stato di consapevolezza che forse inizialmente era ricercata, ma che col tempo divenne parte del suo essere, non uno stato mentale frutto della necessità del momento.
Stare all'erta, affinare ogni senso ed ogni percezione è qualcosa che diventa parte della propria esperienza, plasma l'animo delle persone, crea una forma mentis secondo la quale è impossibile concepire una vita priva di una qualunque forma di strategia.
Musashi uccise, con la spada e con il bokken. Ma il più delle volte si limitò a mettere in fuga l'avversario, a ferirlo, a tramortirlo, in un'occasione addirittura scappò a gambe levate dopo aver abbattuto l'avversario. Sapeva valutare la situazione, mutare i suoi piani al cambiare degli eventi, adattandosi in tempo reale a qualsiasi circostanza.
Questo suo percorso di vita fu ciò che lo preparò alle arti più disparate, e che gli consentì di tramandare le sue esperienze di vita e la sua "Via" a chi venne dopo di lui. Se il "Libro dei Cinque Anelli" (Go Rin No Sho) parla di strategia pura, per certi versi applicabile ad ogni aspetto della vita quotidiana, il Dokkodo ("La Via della Solitudine") è un vero e proprio elenco di 21 precetti per una vita onesta, dignitosa e ascetica, scritto una settimana prima della sua morte.
In tarda età, Musashi affermò: "Quando applico il principio della stategia per imparare le differenti arti, non ho bisogno di un insegnante, qualunque sia l'attività da svolgere". Per dimostrarlo, creò veri e propri capolavori di calligrafia e pittura ad inchiostro, e scrisse opere di una qualità tale da essere considerate uniche nel panorama letterario giapponese del suo tempo.

sabato 24 dicembre 2011

La Morale degli scacchi (1779)



Un interessantissimo scritto di Benjamin Franklin che ha come oggetto lo studio della strategia e della tattica nell'ambito scacchistico, ma che si pone a pieno titolo come argomento di studio e riflessione nell'ambito delle arti marziali.


BENJAMIN FRANKLIN
La Morale degli scacchi (1779)

Il Giuoco degli Scacchi non è solo un ozioso passatempo. Parecchie importantissime qualità della mente, che sono utili nel corso della vita umana, s'acquistano o si rafforzano mediante quel giuoco, cosicchè diventano abitudini pronte ad ogni occasione. Perchè la vita è una specie di gioco di scacchi, in cui abbiamo spesso dei punti da guadagnare e dei competitori o avversari con cui contendere; e in cui c'è una gran varietà di buoni e cattivi eventi, i quali sono, entro certi limiti, effetti della prudenza o della mancanza della medesima. Giuocando dunque a scacchi possiamo imparare:
I. Preveggenza, che guarda un po' nel futuro e considera le conseguenze che possono venire da un'azione, perchè il giuocatore pensa continuamente: (( se muovo questo pezzo, quali saranno i vantaggi o gli svantaggi della mia nuova posizione? Quale uso potrà farne il mio avversario per infastidirmi ? Quali altre mosse potrò fare per sostenere questa e per difendermi dagli attacchi di lui? )).

2. Circospezione, che percorre l'intera scacchiera o scena dell'azione, le relazioni fra i diversi pezzi e le situazioni, i pericoli a cui sono rispettivamente esposti, le varie possibilità di aiuto reciproco, le probabilità che l'avversario faccia questa o quella mossa e attacchi questo o quel pezzo, e quali diversi mezzi si possono usare per evitare i suoi colpi o volgerne le conseguenze contro di lui.

3. Cautela di non fare mosse troppo affrettate.
Questa abitudine s'acquista meglio osservando strettamente le leggi del giuoco, quali, per esempio, (( se tocchi un pezzo, dovrai muoverlo in qualche posto; se lo metti giù lo devi lasciar giù )). dunque meglio che queste regole si osservino, poichè così il giuoco diventa ancor più un'immagine della vita umana e specialmente della guerra: nella quale, se tu incautamente ti sei messo in una cattiva e pericolosa posizione, non puoi ottenere dal nemico il permesso di ritirare le tue truppe e collocarle in modo più sicuro, e devi accettare tutte le conseguenze della tua precipitazione. E finalmente, dagli scacchi noi apprendiamo l'abitudine di non scoraggiarci alle attuali apparenze dello stato dei nostri affari, e l'abitudine di sperare in un favorevole mutamento, e quella di perseverare nella ricerca di risorse. Il giuoco è così pieno d'eventi, presenta una tal varietà di svoltate, e la sua fortuna è tanto soggetta a improvvise vicissitudini, e così spesso uno dopo lunga meditazione scopre il mezzo di districarsi da una difficoltà che gli era parsa insormontabile, che ci si sente incoraggiati a continuare la contesa sino alla fine, sperando d'ottener vittoria con la nostra abilità o almeno stallo dalla negligenza del nostro avversario. E chiunque consideri, come negli scacchi ne vede frequenti esempi, che particolari successi sono atti a produrre presunzione e una conseguente inattenzione, a causa della quale si perde poi più di quanto non s'avesse guadagnato dal precedente vantaggio, mentre le sfortune  producono maggior cura e attenzione, per cui la perdita può esser rimediata, imparerà a non esser troppo scoraggiato da alcun attuale successo del suo avversario, e a non disperare della finale buona fortuna per ogni piccolo ostacolo che incontra per ottenerla.
Affinchè dunque si possa esser indotti a scegliere più spesso questo benefico divertimento in preferenza d'altri che non sono accompagnati dai medesimi vantaggi, si dovrà tener conto d'ogni circostanza che ne può accrescere il piacere; ed ogni azione o parola sleale, irrispettosa, o in qualsiasi maniera atta a mettere in disagio, dovrà essere evitata come contraria alla diretta intenzione dei due giuocatori: la quale è di passare il tempo piacevolmente.
Quindi anzitutto, se si è d'accordo di giuocare secondo le strette regole, queste debbon essere esattamente osservate da tutti e due i giuocatori, e non si dovrà insisterci sopra da una parte e trascurarle dall'altra, perchè ciò non è equo. In secondo luogo, se si è d'accordo di non attenersi strettamente a tutte le regole e uno chiede qualche concessione, questi dovrebbe volentieri concedere lo stesso all'altro. In terzo luogo, non si deve mai fare nessuna falsa mossa per districarsi dalle difficoltà o per ottenere un vantaggio. Non ci può esser piacere a giuocare con una persona quando la si è scoperta sleale. In quarto luogo, se il vostro avversario è lento nel giuocare, non dovete fargli fretta o esprimere impazienza alla sua lentezza. Non dovete nè cantare, nè fischiare, nè guardare il vostro orologio, nè prendere un libro per leggere, nè batter col piede sul pavimento o tamburellare il tavolo con le dita, nè far alcunchè che possa disturbare la sua attenzione. Perchè tutte queste cose dispiacciono, ed esse mostrano non già la vostra abilità nel giuocare, bensì la vostra astuzia o scortesia. In quinto luogo, non dovete cercar di divertire o ingannare il vostro avversario fingendo d'aver fatto una cattiva mossa e dicendo che ormai avete perduto la partita per renderlo sicuro di sè, trascurato e poco guardingo, dei vostri piani: perchè questa è una frode e un inganno, non abilità nel giuoco. In sesto luogo, quando avete avuto la vittoria non dovete usare alcuna espressione d'esultanza o insultante, nè mostrarne troppo piacere, ma anzi cercare di consolar l'avversario per renderlo meno malcontento di se stesso mediante ogni specie di gentile espressione che possa usarsi con verità, come ad esempio, "voi conoscete il giuoco meglio di me ma siete un po' disattento", o "voi giuocate troppo in Fretta", o "voi avevate la meglio nella partita, ma è intervenuto qualche cosa a distrarvi, e così è finita in mio favore". In settimo luogo, se voi siete spettatore mentre altri giuocano, osservate il più perfetto silenzio.
Perchè, se date consiglio offendete tutti e due i giuocatori: quello contro cui lo date, perchè può causare la perdita della partita, e quello a cui favore lo date, perchè, anche se è un buon consiglio ed egli lo segue, è privato del piacere che avrebbe potuto avere se voi l'aveste lasciato pensare fino a che avesse trovato la mossa da sè. E anche dopo la mossa o le mosse, non dovete rimettere i pezzi dov'eran prima e mostrare come potevan essere meglio mossi: perchè ciò dispiace e può causare dispute e dubbi sulla vera posizione. Ogni parlare ai giuocatori diminuisce o distrae la loro attenzione, e quindi spiace.
Nè dovete fare alcun cenno a nessuno dei due con rumore o movimento. Se così fate non siete degno d'essere spettatore. Se avete intenzione di esercitare o mostrare il vostro giudizio, esercitatelo nella vostra partita quando ne avete l'opportunità, non nel criticare o nell'immischiarvi o nel consigliare nel giuoco d'altri. Finalmente, se questo giuoco non lo fate rigorosamente secondo le regole summenzionate, moderate il vostro desiderio di vincere l'avversario e siate contenti s'egli vi vince. Non approfittatevi immediatamente d'ogni vantaggio che egli vi offra con la sua incapacità o disattenzione; ma anzi ditegli gentilmente che con quella tal mossa egli mette o lascia un pezzo in pericolo e indifeso, e che con quell'altra mossa metterà il suo re in posizione pericolosa, ecc.
Con tale generosa cortesia, così opposta alla slealtà più sopra proibita, voi potrete in verità perdere una partita, ma vincerete, quel che val meglio, la stima, il rispetto e l'affetto del vostro avversario, nonchè la silenziosa approvazione e buon volere degli spettatori imparziali.