Per guerra si
intende un fenomeno collettivo che ha il suo tratto distintivo nella
violenza armata posta in essere fra gruppi organizzati. Nel suo
significato tradizionale la guerra è un conflitto fra stati sovrani
o coalizioni per la risoluzione, di regola in ultima istanza, di una
controversia internazionale più o meno direttamente motivata da veri
o presunti (ma in ogni caso parziali) conflitti di interessi
ideologici ed economici.
Il termine
deriverebbe dalla parola werran
dell'alto tedesco antico, che significa mischia.
Nel diritto internazionale, il termine è stato sostituito, subito
dopo la seconda guerra mondiale, dall'espressione "conflitto
armato", applicabile a scontri di qualsiasi dimensioni e
caratteristiche.
La
guerra in quanto fenomeno sociale ha enormi riflessi sulla cultura,
sulla religione, sull'arte, sul costume, sull'economia, sui miti,
sull'immaginario collettivo, che spesso la cambiano nella sua
essenza, esaltandola o condannandola.
Cenni storici
Fino alla seconda guerra mondiale era
prassi di diritto internazionale ampiamente osservata il far
precedere le ostilità da una dichiarazione di guerra. Le alleanze
militari fra Stati obbligavano i firmatari a entrare nel conflitto se
un altro Stato violava la neutralità e l'integrità territoriale,
invadendo i confini esterni di uno Stato partecipante con le proprie
truppe, oppure ne manifestava la volontà con una dichiarazione di
guerra: i patti di mutua assistenza militare propagavano rapidamente
le dimensioni dei conflitti.
Generalmente, il conflitto armato
comincia a partire da un evento specifico, il cosiddetto casus belli:
un'invasione militare, l'uccisione nemica di concittadini, come
soldati, o beneficiari dell'immunità diplomatica, come ambasciatori,
capi di Stato o reggenti. Anche incidenti diplomatici possono
innescare crisi che si risolvono in un conflitto armato, a causa di
inosservanze dei protocolli diplomatici, come non presentarsi a una
convocazione o rifiutare di ricevere un ambasciatore, ingerenze
politiche sulle nomine, dichiarazioni offensive senza scuse o
smentite ufficiali degli organi di stampa ed eventuali dimissioni del
dichiarante. Preso a sé, il casus belli può essere anche non molto
grave, ma la sua importanza è amplificata dalle tensioni e dagli
attriti già esistenti.
La guerra spesso si manifesta insieme a
un periodo di sospensione dello Stato di diritto nel quale il diritto
e la giustizia militare si sostituiscono a tutte le altre fonti della
giurisprudenza.
Con l'avvento dell'ONU, il cui statuto
condanna lo Stato aggressore e consente allo Stato aggredito di
difendersi con immediatezza, la dichiarazione di guerra è
praticamente scomparsa dallo scenario internazionale. Molte
Costituzioni, fra le quali quella italiana, ammettono la guerra di
sola difesa. Nessuno Stato è infatti disposto a dichiararsi
aggressore con una tale procedura, mentre infiniti sono gli appigli
per dichiararsi aggredito. In definitiva lo Statuto dell'ONU, che
nelle intenzioni doveva servire a far scomparire la guerra, ha fatto
invece scomparire soltanto la dichiarazione di guerra.
Secondo quanto osservato da von
Clausewitz, la guerra non è accesa dall'azione di chi offende, ma
dalla reazione di chi si difende: se non ci fosse reazione, infatti,
si verificherebbe un'occupazione e non un conflitto armato. Tale fu
il caso, ad esempio, dell'Anschluss, ovvero l'invasione dell'Austria
da parte della Germania nel 1938. Si ha pertanto l'inizio della
guerra quando si verifica il primo combattimento fra forze
contrapposte. La guerra non si conclude però semplicemente con la
cessazione dei fatti d'arme; più formalmente è necessario che si
verifichi uno dei seguenti eventi:
- un armistizio, che riguardi cioè tutti i teatri e tutte le forze armate delle parti che lo stipulano;
- la resa incondizionata di una parte;
- la debellatio di una parte, cioè il completo annientamento delle sue forze armate, l'occupazione totale o annessione del suo territorio e la cessazione di ogni attività politica anche interna.
Talora, un Paese che vuole entrare in
conflitto compie azioni per provocare a guerra l'aggressore e poter
reagire, non necessariamente si inizia un conflitto con
un'occupazione militare di un territorio straniero. Dalla seconda
metà del XX secolo a seguire, molte guerre sono state combattute
senza essere dichiarate, con interventi militari giustificati come
aiuti a governi "fratelli" come la guerra del Vietnam,
l'invasione sovietica dell'Afghanistan, o semplicemente con una
azione militare diretta come o guerra di Corea o l'invasione del
Kuwait. A volte a queste guerre hanno fatto seguito altre azioni ad
esse collegate, come la prima guerra del Golfo nella quale una
coalizione, in forza di un mandato dell'ONU, ha schierato sul campo
un potente esercito appoggiato da forze navali ed aeree che hanno
rimosso il contingente iracheno di occupazione dal Kuwait e distrutto
gran parte dell'armamento terrestre ed aereo delle forze armate
irachene disarticolandone le unità operative ma non occupando
permanentemente il territorio dell'Iraq.
In età contemporanea, nei periodi di
tensione e di crisi, si è soliti sviluppare un'attività politica e
diplomatica di tutta la comunità internazionale per evitare il
conflitto: in tali periodi, le forze armate giocano un ruolo
rilevante nel dimostrare la credibilità e la determinazione dello
Stato, con lo scopo deterrente di rendere evidente all'antagonista la
sproporzione fra l'obiettivo da conseguire e il costo, sociale e
materiale, di una soluzione militare. La guerra quindi può essere
evitata quando ambedue i contendenti percepiscono questo sfavorevole
rapporto.
Fasi temporali
La guerra è preceduta da:
- un periodo di tensione, che ha inizio quando le parti percepiscono l'incompatibilità dei rispettivi obiettivi;
- un periodo di crisi, che ha inizio quando le parti non sono più disponibili a trattare tra di loro per rendere compatibili tali obiettivi.
Le guerre sono combattute per:
- il controllo di risorse naturali, in particolare risorse scarse (limitate o finite), fra cui: grano e acqua per il fabbisogno alimentare, fonti energetiche (gas, petrolio, carbone), materie prime per le industrie (ferro, acciaio, leghe), metalli preziosi (oro e argento) come valuta di riserva per l'emissione di moneta convertibile;
- per risolvere dispute territoriali (i confini fra due Stati-nazione);
- per risolvere dispute commerciali;
- a causa di conflitti etnici, religiosi o culturali, per dispute di potere e per molti altri motivi. Si giunge alla guerra quando il contrasto di interessi economici, ideologici, strategici o di altra natura non riesce a trovare una soluzione negoziata attraverso la diplomazia, o quando almeno una delle parti percepisce l'inesistenza di altri mezzi per il conseguimento dei propri obiettivi.
Classificazione
Ci sono svariate classificazioni
possibili della guerra. Una è: convenzionale/non convenzionale.
Nella guerra convenzionale sono coinvolte forze armate ben
identificate che combattono in modo relativamente aperto e palese,
senza far ricorso ad armi di distruzione di massa.
La guerra non convenzionale comprende
tutto il resto: tattiche di incursione, guerriglia, insurrezione e
terrorismo o, in alternativa a tutto ciò, può includere la guerra
nucleare, batteriologica o chimica. Tutte queste categorie ricadono
normalmente in due più ampie: conflitti ad alta intensità ed a
bassa intensità.
I primi si manifestano tra due superpotenze o due grandi paesi che si scontrano per ragioni politiche. I conflitti a bassa intensità implicano la contro-insurrezione, gli atti di guerriglia e l'impiego di corpi specializzati nel contrastare i rivoluzionari.
I primi si manifestano tra due superpotenze o due grandi paesi che si scontrano per ragioni politiche. I conflitti a bassa intensità implicano la contro-insurrezione, gli atti di guerriglia e l'impiego di corpi specializzati nel contrastare i rivoluzionari.
Il Peacekeeping
Le operazioni di peacekeeping, missioni
militari armate e alle quali un mandato internazionale (ONU o Unione
europea) ha conferito legittimità, se non possono essere considerate
tecnicamente guerre presentano per il personale impegnato tutti i
rischi di quelle operazioni, con limitazioni ancora maggiori dal
punto di vista delle regole operative. Nell'accezione dàtagli dalle
Nazioni Unite, il peacekeeping è "un modo per aiutare paesi
tormentati da conflitti a creare condizioni di pace sostenibile".
Il personale civile e militare della missioni ONU viene fornito dai
paesi membri
Queste operazioni vengono compiute in
territori sconvolti da guerre civili e le truppe impiegate dovrebbero
fungere da forza di interposizione tra i contendenti e
stabilizzazione del territorio, ma se necessario possono usare la
forza necessaria a fermare azioni violente contro civili indifesi.
Nondimeno la loro presenza non ha impedito episodi come il massacro
di Srebrenica, avvenuto durante la guerra civile jugoslava sotto gli
occhi di un battaglione di caschi blu olandesi.
Economia di guerra
Nell'economia di guerra, lo Stato
nazionale emette una quantità di moneta crescente. Una simile
emissione causa svalutazione e iperinflazione che impoveriscono la
popolazione e possono arrivare perfino ad azzerare il potere
d'acquisto della moneta. È frequente che i beni essenziali vengano
razionati e che il loro ottenimento venga dunque a prescindere
dall'uso della moneta.
In controcorrente, è la teoria
economica di John Maynard Keynes. Il deficit spending, la
spesa pubblica finanziata con debiti, sarebbe utile anche in tempo di
guerra, per generare piena occupazione e una crescita più che
proporzionale del PIL/pro capite in una nazione con l'economia a
terra. Il conflitto crea posti di lavoro che riportano la
disoccupazione ai livelli normali pre-crisi, una ricchezza
distribuita tra tutti cittadini, e il debito si ripaga da sè poiché
genera una ricchezza nazionale più alta del debito iniziale. L'esito
disastroso dei debiti di guerra al termine dei conflitti mondiali
smentì questa tesi.
A ciò si aggiunge il fatto che il settore militare e della difesa è un settore dell'economia fra quelli più capital intensive e non labour intensive, vale a dire in cui all'investimento pubblico o privato sono richieste enormi quantità di denaro per generare un minimo numero di posti di lavoro, tutt'altro che utile a riassorbire la disoccupazione.
A ciò si aggiunge il fatto che il settore militare e della difesa è un settore dell'economia fra quelli più capital intensive e non labour intensive, vale a dire in cui all'investimento pubblico o privato sono richieste enormi quantità di denaro per generare un minimo numero di posti di lavoro, tutt'altro che utile a riassorbire la disoccupazione.
In vista dei conflitti, gli Stati
accumulano riserve anche sotto forma di oro, investimento in sé poco
conveniente perché non genera interessi, diversamente dagli
strumenti finanziari o da un investimento produttivo. Tuttavia, l'oro
conserva il suo valore nel tempo, mentre le valute si possono
deprezzare e gli strumenti finanziari sono soggetti a rischio. La
disponibilità di oro rappresenta quindi la garanzia che in cambio si
potranno ottenere anche in futuro le risorse necessarie per i bisogni
della guerra. L'uso dell'oro si diffonde in conformità alla Legge di
Gresham: «la moneta cattiva scaccia quella buona». A causa della
continua emissione di debito pubblico per finanziare la spesa
militare, avviene l'iperinflazione e la svalutazione della moneta
ufficiale a corso forzoso che, nonostante lo imponga la legge (a pena
di multe e carcere per chi la rifiuta), viene sempre meno accettata
per i pagamenti, in favore di mezzi di pagamento che non possono
subire svalutazione perché hanno un valore intrinseco prossimo o
uguale al loro valore nominale (come i metalli preziosi).
In tempo di guerra, la spesa militare è
una voce rilevante e spesso predominante della spesa pubblica. Per
sostenerla, gli Stati ricorrono spesso all'indebitamento. Il debito
contratto verso soggetti esterni allo Stato è in genere denominato
in valuta estera o in oro. Mentre il debito contratto in moneta
nazionale ne segue le sorti (come il debito italiano nella seconda
guerra mondiale, che in termini reali si ridusse a ben poco dopo la
fine del conflitto) il debito denominato in altre valute o in oro
continua invariabilmente a pesare sull'economia del Paese. Durante la
Seconda Guerra Mondiale, l'Italia adottò un sistema in cui
l'industria militare, che era a controllo pubblico, reinvestiva gli
utili comprando titoli di debito pubblico italiano (che, come la
moneta fortemente svalutata, non avevano molti acquirenti): in questo
modo, si creva un circuito economico chiuso in cui lo Stato emetteva
moneta a debito contro titoli per finanziare l'industria militare e
questa sua volta ripagava/riacquistava i titoli in scadenza,
consentendo una nuova emissione e produzione propria.
Lo Stato che esce vincitore da una
guerra pretende non di rado dallo Stato sconfitto il pagamento di
indennità dette riparazioni di guerra, che coprono in tutto o in
parte le spese sostenute e a volte permettono anche un guadagno
monetario. L'origine delle riparazioni di guerra risale all'antichità
e si hanno tracce documentate di questa usanza già nel 440-439 a. C,
quando la città di Samo sconfitta da Atene dovette pagare a questa
le spese dell'assedio da essa stessa sostenuto e perso. Nell'era
moderna fu Napoleone Bonaparte a collegare inscindibilmente il
pagamento dei danni di guerra al trattato di pace che la concludeva,
pretendendo dai vari stati sconfitti, come Austria, Prussia, Spagna
ed altri, il pagamento in natura e valuta dei danni, stimati dal
vincitore; la pratica venne poi ripetuta a ruoli invertiti dopo la
sconfitta dell'Impero Francese, e ancora dai prussiani verso la
Francia che aveva perso la guerra del 1870; allo stesso modo gli
Alleati, su espressa richiesta del presidente statunitense Woodrow
Wilson, pretesero dai tedeschi un risarcimento dopo la fine della
prima guerra mondiale, ma la sua entità venne calcolata tale da
essere considerata altamente punitiva dai britannici, che esitarono
prima di appoggiare le pretese francesi. Le conseguenze di queste
riparazioni sull'economia tedesca, sommate a quelle indotte dalla
grande depressione del 1929, furono tali da venire additate da molti
come una delle cause che spinsero i tedeschi ad appoggiare l'avvento
del nazismo e lo scoppio della seconda guerra mondiale.
Tipi di conflitto
I conflitti possono essere diversamente classificati in relazione al numero piuttosto vasto dei loro parametri.In base all'estensione territoriale
- Conflitto mondiale: conflitto esteso a più teatri operativi collocati anche in continenti diversi, coordinati fra di loro anche se coinvolti in tempi non strettamente coincidenti; vi partecipano tutte le grandi potenze e le medie potenze regionali dei teatri interessati, e un numero elevato di potenze minori. Unici esempi nella storia: la seconda guerra mondiale e, anche se la collocazione è discutibile, la prima guerra mondiale e la guerra dei sette anni.
- Conflitto regionale: conflitto che si svolge essenzialmente in un solo teatro operativo in una regione geofisica ben delimitata, con la partecipazione di almeno una media potenza regionale, più altre potenze minori della stessa regione; non esclude la partecipazione diretta di una grande potenza o la partecipazione indiretta di più grandi potenze. Esempi nella storia (limitatamente al XX e XXI secolo): le guerre balcaniche, i conflitti arabo-israeliani, la prima guerra del Golfo.
- Conflitto locale: conflitto fra un limitatissimo numero di potenze, spesso solo due, e che coinvolge un limitato territorio appartenente a uno solo o al massimo ai due contendenti diretti; esclude la partecipazione diretta di grandi e medie potenze i cui territori non siano direttamente coinvolti. Esempi nella storia (limitatamente al XX e XXI secolo): la guerra italo-turca, la guerra d'Etiopia.
In base al tipo dei soggetti che la combattono
- Conflitto simmetrico: conflitto tra parti che dispongono tutte di un'organizzazione statuale completa e di forze armate organizzate secondo le leggi dello Stato.
- Conflitto asimmetrico: conflitto tra due parti, una sola delle quali dispone di un'organizzazione statuale completa e di forze armate organizzate secondo le leggi dello Stato, mentre l'altra non è formata, o è in corso di formazione. Questa parte di solito non procede con i metodi classici della guerra ma pone in opera la guerriglia. Un esempio può essere dato dal terrorismo, anche se bisognerebbe creare una classificazione specifica per caratterizzare questi atti di guerra.
In base ai mezzi impiegati
- Conflitto non convenzionale: conflitto nel quale due o più parti dispongono di armi di distruzione di massa e sono disposte a impiegarle fin dall'inizio del conflitto. Non si sono mai avuti esempi di un tale tipo di conflitto, peraltro ipotizzato fin dagli anni cinquanta, quando sia gli Stati Uniti d'America sia l'Unione Sovietica disponevano di questi tipi di armamenti.
- Conflitto convenzionale in potenziale ambiente nbc: conflitto nel quale due o più parti dispongono di armi di distruzione di massa e sono disposte a impiegarle solo se le circostanze dovessero renderlo indispensabile. Non si sono mai avuti esempi di un tale tipo di conflitto, peraltro ipotizzato fin dagli anni sessanta, quando l'equilibrio nucleare fra Stati Uniti d'America e Unione Sovietica sconsigliava ad ambedue l'impiego iniziale di tali tipi di armamenti per tema di una ritorsione.
- Conflitto convenzionale: conflitto nel quale le parti
non dispongono di armi di distruzione di massa, o nel quale gli
eventuali detentori rinunciano a priori al loro impiego,
eventualmente sotto il controllo di una potenza terza o di una
organizzazione internazionale.
In base alla soggettività internazionale dei contendenti
- Conflitto internazionale: conflitto nel quale tutti i contendenti sono soggetti di diritto internazionale. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, nell'ambito del processo di decolonizzazione, sono stati considerati soggetti di diritto internazionale anche i fronti di liberazione nazionale, purché avessero l'effettivo controllo di territorio e popolazione, disponessero di forze armate organizzate e rispettassero il diritto internazionale bellico e umanitario.
- Conflitto non internazionale: conflitto nel quale uno o più parti non sono soggetti di diritto internazionale, per cui il conflitto è sottratto alle norme del diritto bellico in quanto considerato affare interno; in particolare, rientrano in questa categoria le guerre civili, nelle quali si ha lo scontro fra opposte fazioni nell'ambito di un solo paese o entità politica.
Altre definizioni dei conflitti
Nell'uso comune, specie in campo
giornalistico o nei discorsi di natura politica, vengono fornite
altre definizioni di un conflitto, ancorché giuridicamente e
tecnicamente non corrette. Fra le più usuali:
- Guerra totale: si vuole indicare un conflitto che coinvolge tutte le risorse del paese in guerra. Ciò è normale, in quanto le guerricciole per piccoli problemi di confine sono assai rare.
- Guerra lampo (Blitzkrieg): nel senso di un conflitto organizzato per avere una durata limitatissima nel tempo, mediante l'uso di strategie e tattiche altamente redditizie e in presenza di un grande divario di mezzi disponibili, fra i due contendenti. Il termine è spesso usato in contrapposizione a guerra di posizione, o a di logoramento, essenzialmente statiche e di durata prolungata. La prima guerra mondiale è cominciata come guerra lampo, ma poi divenne di logoramento.
- Guerra preventiva: guerra aperta da un soggetto in seguito alla percezione di una grave minaccia all'incolumità dei propri interessi; secondo alcuni rientra nel concetto di autodifesa prevista dallo statuto dell'ONU, mentre altri ritengono conflitti di questo tipo essere operazioni belliche offensive nel loro senso tradizionale.
Diritto bellico
Numerose convenzioni, che nel loro
insieme costituiscono il diritto bellico, regolamentano il
comportamento in guerra; esso risponde a due grandi e separate
questioni, cioè qual è il modo giusto di intraprendere la guerra e
quale è il modo giusto di condurla.
Ius ad bellum
Il Patto Briand-Kellogg per primo
afferma nel 1928 il ripudio della guerra come strumento di
risoluzione delle controversie internazionali, principio poi recepito
nelle costituzioni di varie democrazie occidentali nel dopoguerra; la
successiva Carta delle Nazioni Unite del 1945 alla nozione di guerra
sostituisce la più ampia nozione di ricorso alla forza, che
comprende le cosiddette measures short of war (misure vicine alla
guerra), non regolate dal Patto di Brian-Kellogg, e introduce un
sistema di sanzioni per i Paesi che violano il trattato. La
Dichiarazione sul diritto dei popoli alla pace del 1984 afferma, non
più nella sola forma negativa di un divieto della guerra, un diritto
dei popoli alla pace, e l'impegno per il disarmo nucleare.
Inoltre, lo statuto delle Nazioni Unite
consente la legittima difesa di un paese (sia direttamente del paese
aggredito, sia di altri Stati che intervengono collettivamente a suo
sostegno). Ciò per evitare una propagazione incontrollata del
conflitto: fuori dei requisiti della legittima difesa (proporzionale
e immediata, ex articolo 51 dello Statuto delle Nazioni Unite)
occorre che ci sia un'autorizzazione del Consiglio di Sicurezza
all'uso della forza, come è successo nella Guerra del Golfo del
1991. La regola sarebbe che il Consiglio di Sicurezza decide di
prendere azioni "ai sensi del capo VII" mediante l'uso
diretto di contingenti militari messi a disposizione dagli Stati
membri e posti sotto il comando del Comitato di Stato Maggiore ONU:
ma gli articoli 42 e 43 dello Statuto ONU non sono mai stati attuati
e la formulazione delle decisioni del Consiglio di sicurezza è,
oramai, nella forma di autorizzazione agli Stati di "prendere
ogni misura necessaria" in difesa della pace e della sicurezza
internazionale.
Interpretazioni estensive del diritto
umanitario hanno portato a considerare legittima l'ingerenza
umanitaria, ovvero l'intervento dall'esterno in fatti interni di uno
Stato quando questi fatti costituiscano violazione evidente dei
diritti dell'uomo. L'ingerenza umanitaria ha giustificato nel passato
interventi militari consacrati da una risoluzione ONU per costringere
i governi a rispettare quei diritti fondamentali. Analoga ingerenza
potrebbe essere autorizzata per proteggere beni culturali ritenuti
patrimonio dell'umanità.
Le costituzioni di molti Stati
ammettono la guerra di sola difesa, vietando alle forze militari del
paese di attaccare civili, militari e infrastrutture sul suolo di un
altro paese o comunque appartenenti a un altro Stato sovrano. La
Costituzione italiana, con l'articolo 11, è una delle più
esplicite: «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla
libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle
controversie internazionali.».
Ius in bello
Il diritto bellico è affiancato dal
diritto umanitario, volto alla protezione delle vittime di guerra. Le
più importanti convenzioni in materia erano, prima della Carta
dell'ONU, quelle dell'Aia del 1899 e del 1907. Le più importanti e
attuali convenzioni di diritto umanitario sono le convenzioni di
Ginevra del 1949 e i suoi protocolli aggiuntivi, due del 1977 e uno
del 2005.
In Italia, è stata posta una questione
di legittimità alla Corte Costituzionale in merito all'esistenza di
una distinzione fra codici militari in tempo di pace e di guerra, e,
successivamente, in merito all'esistenza stessa di un diritto
militare, che possa agire in deroga alle regole che disciplinano il
rapporto fra privati cittadini. La Consulta ha ribadito il principio
per cui le azioni dei militari non sono soggette alle stesse regole
dei privati cittadini né essere valutate dai tribunali civili.
Aspetti antropologici
L'istinto di sopravvivenza, la
preservazione del proprio territorio vitale, la difesa dei propri
mezzi di sussistenza, sono alcuni esempi di come una comunità possa
esser spinta a prendere le armi contro una comunità nemica che mette
a rischio spazi, diritti, valori o beni dati per acquisiti e
irrinunciabili. P.e. nel sanscrito del 1200 a.C., il termine che
indica la guerra, युद्ध yuddha,
significa 'desiderio di possedere più mucche'. A queste motivazioni
di tipo egoistico o utilitaristico si affiancano (e talvolta si
coniugano) motivazioni di carattere psicologico o umorale come
l'odio, il disprezzo, la vendetta, la paura.
Guerre di religione
Un altro fattore molto forte di innesco
per le guerre sono i motivi religiosi, nei quali un preteso diritto
derivante da credenze religiose, o interpretazioni personali di
scritti o tradizioni precedenti, diventa per un popolo o gruppo
religioso causa per lanciare una guerra di aggressione verso quello
che viene individuato come bersaglio della propria insoddisfazione.
Una guerra di questo tipo viene denominata guerra santa, e gli esempi
storici più noti sono le crociate per il mondo occidentale e il
jihad (che però in arabo ha un significato non necessariamente
legato ad operazioni violente) per i musulmani. Entrambe le tipologie
di guerra hanno però provocato nei tempi gravi spargimenti di sangue
tra i civili. Anche di recente sia in nome della jihad, sia per
sostenere la guerra al terrorismo da parte di personale civile e
militare delle forze armate statunitensi o di paesi alleati si sono
avuti anche comportamenti non conformi alle leggi di guerra, con
torture ed uccisioni sanguinose ed ingiustificate.
Guerre a sfondo razziale
Ancora un'altra motivazione è la
matrice razzista, nella quale un popolo o una nazione aggrediscono
un'altra ritenuta inferiore secondo i propri criteri. L'esempio più
eclatante rimane il nazismo con il suo tentativo di annientare gli
ebrei, ma analoghi esempi sono i conflitti africani come il Genocidio
del Ruanda.
Aspetti etici
Dal punto di vista etico la guerra pone almeno tre tipi di problemi con relativi sotto problemi. Il primo riguarda la responsabilità dell'istituzione pubblica e dei suoi rappresentanti nell'indurre dietro compenso o costringere come dovere patrio dei soggetti a prendere le armi e farne uso contro qualcuno. Il secondo riguarda la legittimità o meno dei comportamenti del soggetto che usa le armi sotto coercizione a farlo e in base a ordini ineludibili. Il terzo riguarda la legittimità dell'azione di belligeranza come autodifesa di una comunità rispetto a danni non necessariamente di tipo violento, ma, per esempio, economico o morale.Aspetti economici
Dal punto di vista economico si osserva infatti come nel tempo evolva mantenendo una coerenza logica.Prima ondata
- Durante il sistema agrario il soldato combatte spesso nell'arco di un limitato periodo stagionale.
- Le razioni alimentari sono personali in partenza e poi di volta in volta depredate localmente.
- Al termine del conflitto l'estrema sanzione agli occupati
dopo l'eliminazione dei soldati è la distruzione delle
coltivazioni.
Seconda ondata
- Con l'economia industriale il servizio militare diventa di massa per legge con la leva obbligatoria (in Francia dopo il 1792, in Giappone nel 1868 e negli Usa durante la guerra civile).
- I nuovi comandanti sono addestrati nelle accademie militari.
- Non si distingue più alcuna differenza tra un obiettivo
civile e un obiettivo militare.
Terza ondata
- Il progresso tecnologico del settore civile sorpassa quello militare.
- La fuga di cervelli diventa un parametro per misurare la ricchezza di particolari macro-aree capaci di attrarne come la Silicon Valley.
- Per ragioni di efficacia le decisioni dell'intelligence sono sempre più vincolate da informazioni aperte a favore della maggior partecipazione possibile.
Col termine "guerre delegate" (proxy war) si intende un nuovo tipo di conflitto in cui non avviene un grande dispiegamento di uomini e mezzi sul campo di battaglia, non c'è una leva militare obbligatoria ed è pure molto limitato anche l'invio di militari professionisti: il Paese invia armi e istruttori alle truppe alleate del luogo (regolari o separatiste), ed alcuni contractors, militari ed ex-militari volontari per azioni mirate.
Questo tipo di conflitto è ugualmente redditizio per la lobby delle armi, mentre ha costi pubblici inferiori e meno morti al fronte (la morte dei contractors in genere non fa nemmeno notizia), e per questo è ben vista dai politici rispetto alle possibili critiche della stampa e degli elettori.
Analisi statistica
L'analisi statistica della guerra è
stata cominciata da Lewis Fry Richardson dopo la prima guerra
mondiale. Più recentemente, database sulle guerre guerra sono stati
costruiti dai Correlates of War Project e da Peter Brecke, che ha
censito e strutturato ricerche già esistenti.
Letteratura
Nel tempo, scrittori di ogni cultura e
posizione politica hanno trattato il tema della guerra nelle loro
opere. Tra i più celebri di certo possiamo citare L'arte della
guerra, uno dei più importanti trattati di strategia militare di
tutti i tempi del cinese Sun Tzu. Si tratta probabilmente del più
antico testo di arte militare esistente (VI secolo a.C. circa),
articolato in tredici capitoli, ognuno dedicato ad un aspetto della
guerra. Questo testo ebbe una grande influenza anche nella strategia
militare europea. È un compendio i cui consigli si possono
applicare, al pari di altre opere della cultura sino-giapponese, a
molti aspetti della vita, oltre che alla strategia militare, ad
esempio all'economia e alla conduzione degli affari.
«Un risultato superiore
consiste nel conquistare intero e intatto il paese nemico.
Distruggerlo costituisce un risultato inferiore»
Grandi condottieri come Napoleone
Bonaparte hanno scritto memorie, nello specifico Aforismi
politici, pensieri morali e massime sulla guerra, ma nella storia
occidentale abbiamo trattati militari molto più antichi come quelli
di Caio Giulio Cesare, dal De bello gallico scritto fra il 58 e il 50
a.C. e diviso in otto libri al De bello civili. Molti altri libri
sono stati scritti nei secoli successivi, da figure come il tedesco
Carl von Clausewitz, il cui trattato Della guerra (Vom Kriege),
pubblicato per la prima volta nel 1832, non venne mai completato, a
causa della morte precoce dell'autore. Oltre alla famosa citazione
che correla guerra e politica, si può riportare anche:
«La guerra è un atto di
violenza il cui obiettivo è costringere l'avversario a eseguire la
nostra volontà.»
Carl von Clausewitz, nel suo libro
Della guerra, compie un'analisi del fenomeno: «La guerra è la
continuazione della politica con altri mezzi» e «La guerra è un
atto di forza che ha lo scopo di costringere l'avversario a
sottomettersi alla nostra volontà.»