sabato 3 ottobre 2015

Guerra

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Per guerra si intende un fenomeno collettivo che ha il suo tratto distintivo nella violenza armata posta in essere fra gruppi organizzati. Nel suo significato tradizionale la guerra è un conflitto fra stati sovrani o coalizioni per la risoluzione, di regola in ultima istanza, di una controversia internazionale più o meno direttamente motivata da veri o presunti (ma in ogni caso parziali) conflitti di interessi ideologici ed economici.
Il termine deriverebbe dalla parola werran dell'alto tedesco antico, che significa mischia. Nel diritto internazionale, il termine è stato sostituito, subito dopo la seconda guerra mondiale, dall'espressione "conflitto armato", applicabile a scontri di qualsiasi dimensioni e caratteristiche.
La guerra in quanto fenomeno sociale ha enormi riflessi sulla cultura, sulla religione, sull'arte, sul costume, sull'economia, sui miti, sull'immaginario collettivo, che spesso la cambiano nella sua essenza, esaltandola o condannandola.




Cenni storici


Fino alla seconda guerra mondiale era prassi di diritto internazionale ampiamente osservata il far precedere le ostilità da una dichiarazione di guerra. Le alleanze militari fra Stati obbligavano i firmatari a entrare nel conflitto se un altro Stato violava la neutralità e l'integrità territoriale, invadendo i confini esterni di uno Stato partecipante con le proprie truppe, oppure ne manifestava la volontà con una dichiarazione di guerra: i patti di mutua assistenza militare propagavano rapidamente le dimensioni dei conflitti.
Generalmente, il conflitto armato comincia a partire da un evento specifico, il cosiddetto casus belli: un'invasione militare, l'uccisione nemica di concittadini, come soldati, o beneficiari dell'immunità diplomatica, come ambasciatori, capi di Stato o reggenti. Anche incidenti diplomatici possono innescare crisi che si risolvono in un conflitto armato, a causa di inosservanze dei protocolli diplomatici, come non presentarsi a una convocazione o rifiutare di ricevere un ambasciatore, ingerenze politiche sulle nomine, dichiarazioni offensive senza scuse o smentite ufficiali degli organi di stampa ed eventuali dimissioni del dichiarante. Preso a sé, il casus belli può essere anche non molto grave, ma la sua importanza è amplificata dalle tensioni e dagli attriti già esistenti.
La guerra spesso si manifesta insieme a un periodo di sospensione dello Stato di diritto nel quale il diritto e la giustizia militare si sostituiscono a tutte le altre fonti della giurisprudenza.
Con l'avvento dell'ONU, il cui statuto condanna lo Stato aggressore e consente allo Stato aggredito di difendersi con immediatezza, la dichiarazione di guerra è praticamente scomparsa dallo scenario internazionale. Molte Costituzioni, fra le quali quella italiana, ammettono la guerra di sola difesa. Nessuno Stato è infatti disposto a dichiararsi aggressore con una tale procedura, mentre infiniti sono gli appigli per dichiararsi aggredito. In definitiva lo Statuto dell'ONU, che nelle intenzioni doveva servire a far scomparire la guerra, ha fatto invece scomparire soltanto la dichiarazione di guerra.
Secondo quanto osservato da von Clausewitz, la guerra non è accesa dall'azione di chi offende, ma dalla reazione di chi si difende: se non ci fosse reazione, infatti, si verificherebbe un'occupazione e non un conflitto armato. Tale fu il caso, ad esempio, dell'Anschluss, ovvero l'invasione dell'Austria da parte della Germania nel 1938. Si ha pertanto l'inizio della guerra quando si verifica il primo combattimento fra forze contrapposte. La guerra non si conclude però semplicemente con la cessazione dei fatti d'arme; più formalmente è necessario che si verifichi uno dei seguenti eventi:
  • un armistizio, che riguardi cioè tutti i teatri e tutte le forze armate delle parti che lo stipulano;
  • la resa incondizionata di una parte;
  • la debellatio di una parte, cioè il completo annientamento delle sue forze armate, l'occupazione totale o annessione del suo territorio e la cessazione di ogni attività politica anche interna.
Talora, un Paese che vuole entrare in conflitto compie azioni per provocare a guerra l'aggressore e poter reagire, non necessariamente si inizia un conflitto con un'occupazione militare di un territorio straniero. Dalla seconda metà del XX secolo a seguire, molte guerre sono state combattute senza essere dichiarate, con interventi militari giustificati come aiuti a governi "fratelli" come la guerra del Vietnam, l'invasione sovietica dell'Afghanistan, o semplicemente con una azione militare diretta come o guerra di Corea o l'invasione del Kuwait. A volte a queste guerre hanno fatto seguito altre azioni ad esse collegate, come la prima guerra del Golfo nella quale una coalizione, in forza di un mandato dell'ONU, ha schierato sul campo un potente esercito appoggiato da forze navali ed aeree che hanno rimosso il contingente iracheno di occupazione dal Kuwait e distrutto gran parte dell'armamento terrestre ed aereo delle forze armate irachene disarticolandone le unità operative ma non occupando permanentemente il territorio dell'Iraq.
In età contemporanea, nei periodi di tensione e di crisi, si è soliti sviluppare un'attività politica e diplomatica di tutta la comunità internazionale per evitare il conflitto: in tali periodi, le forze armate giocano un ruolo rilevante nel dimostrare la credibilità e la determinazione dello Stato, con lo scopo deterrente di rendere evidente all'antagonista la sproporzione fra l'obiettivo da conseguire e il costo, sociale e materiale, di una soluzione militare. La guerra quindi può essere evitata quando ambedue i contendenti percepiscono questo sfavorevole rapporto.



Fasi temporali

La guerra è preceduta da:
  • un periodo di tensione, che ha inizio quando le parti percepiscono l'incompatibilità dei rispettivi obiettivi;
  • un periodo di crisi, che ha inizio quando le parti non sono più disponibili a trattare tra di loro per rendere compatibili tali obiettivi.
Le guerre sono combattute per:
  • il controllo di risorse naturali, in particolare risorse scarse (limitate o finite), fra cui: grano e acqua per il fabbisogno alimentare, fonti energetiche (gas, petrolio, carbone), materie prime per le industrie (ferro, acciaio, leghe), metalli preziosi (oro e argento) come valuta di riserva per l'emissione di moneta convertibile;
  • per risolvere dispute territoriali (i confini fra due Stati-nazione);
  • per risolvere dispute commerciali;
  • a causa di conflitti etnici, religiosi o culturali, per dispute di potere e per molti altri motivi. Si giunge alla guerra quando il contrasto di interessi economici, ideologici, strategici o di altra natura non riesce a trovare una soluzione negoziata attraverso la diplomazia, o quando almeno una delle parti percepisce l'inesistenza di altri mezzi per il conseguimento dei propri obiettivi.


Classificazione

Ci sono svariate classificazioni possibili della guerra. Una è: convenzionale/non convenzionale. Nella guerra convenzionale sono coinvolte forze armate ben identificate che combattono in modo relativamente aperto e palese, senza far ricorso ad armi di distruzione di massa.
La guerra non convenzionale comprende tutto il resto: tattiche di incursione, guerriglia, insurrezione e terrorismo o, in alternativa a tutto ciò, può includere la guerra nucleare, batteriologica o chimica. Tutte queste categorie ricadono normalmente in due più ampie: conflitti ad alta intensità ed a bassa intensità.
I primi si manifestano tra due superpotenze o due grandi paesi che si scontrano per ragioni politiche. I conflitti a bassa intensità implicano la contro-insurrezione, gli atti di guerriglia e l'impiego di corpi specializzati nel contrastare i rivoluzionari.



Il Peacekeeping

Le operazioni di peacekeeping, missioni militari armate e alle quali un mandato internazionale (ONU o Unione europea) ha conferito legittimità, se non possono essere considerate tecnicamente guerre presentano per il personale impegnato tutti i rischi di quelle operazioni, con limitazioni ancora maggiori dal punto di vista delle regole operative. Nell'accezione dàtagli dalle Nazioni Unite, il peacekeeping è "un modo per aiutare paesi tormentati da conflitti a creare condizioni di pace sostenibile". Il personale civile e militare della missioni ONU viene fornito dai paesi membri
Queste operazioni vengono compiute in territori sconvolti da guerre civili e le truppe impiegate dovrebbero fungere da forza di interposizione tra i contendenti e stabilizzazione del territorio, ma se necessario possono usare la forza necessaria a fermare azioni violente contro civili indifesi. Nondimeno la loro presenza non ha impedito episodi come il massacro di Srebrenica, avvenuto durante la guerra civile jugoslava sotto gli occhi di un battaglione di caschi blu olandesi.



Economia di guerra

Nell'economia di guerra, lo Stato nazionale emette una quantità di moneta crescente. Una simile emissione causa svalutazione e iperinflazione che impoveriscono la popolazione e possono arrivare perfino ad azzerare il potere d'acquisto della moneta. È frequente che i beni essenziali vengano razionati e che il loro ottenimento venga dunque a prescindere dall'uso della moneta.
In controcorrente, è la teoria economica di John Maynard Keynes. Il deficit spending, la spesa pubblica finanziata con debiti, sarebbe utile anche in tempo di guerra, per generare piena occupazione e una crescita più che proporzionale del PIL/pro capite in una nazione con l'economia a terra. Il conflitto crea posti di lavoro che riportano la disoccupazione ai livelli normali pre-crisi, una ricchezza distribuita tra tutti cittadini, e il debito si ripaga da sè poiché genera una ricchezza nazionale più alta del debito iniziale. L'esito disastroso dei debiti di guerra al termine dei conflitti mondiali smentì questa tesi.
A ciò si aggiunge il fatto che il settore militare e della difesa è un settore dell'economia fra quelli più capital intensive e non labour intensive, vale a dire in cui all'investimento pubblico o privato sono richieste enormi quantità di denaro per generare un minimo numero di posti di lavoro, tutt'altro che utile a riassorbire la disoccupazione.
In vista dei conflitti, gli Stati accumulano riserve anche sotto forma di oro, investimento in sé poco conveniente perché non genera interessi, diversamente dagli strumenti finanziari o da un investimento produttivo. Tuttavia, l'oro conserva il suo valore nel tempo, mentre le valute si possono deprezzare e gli strumenti finanziari sono soggetti a rischio. La disponibilità di oro rappresenta quindi la garanzia che in cambio si potranno ottenere anche in futuro le risorse necessarie per i bisogni della guerra. L'uso dell'oro si diffonde in conformità alla Legge di Gresham: «la moneta cattiva scaccia quella buona». A causa della continua emissione di debito pubblico per finanziare la spesa militare, avviene l'iperinflazione e la svalutazione della moneta ufficiale a corso forzoso che, nonostante lo imponga la legge (a pena di multe e carcere per chi la rifiuta), viene sempre meno accettata per i pagamenti, in favore di mezzi di pagamento che non possono subire svalutazione perché hanno un valore intrinseco prossimo o uguale al loro valore nominale (come i metalli preziosi).
In tempo di guerra, la spesa militare è una voce rilevante e spesso predominante della spesa pubblica. Per sostenerla, gli Stati ricorrono spesso all'indebitamento. Il debito contratto verso soggetti esterni allo Stato è in genere denominato in valuta estera o in oro. Mentre il debito contratto in moneta nazionale ne segue le sorti (come il debito italiano nella seconda guerra mondiale, che in termini reali si ridusse a ben poco dopo la fine del conflitto) il debito denominato in altre valute o in oro continua invariabilmente a pesare sull'economia del Paese. Durante la Seconda Guerra Mondiale, l'Italia adottò un sistema in cui l'industria militare, che era a controllo pubblico, reinvestiva gli utili comprando titoli di debito pubblico italiano (che, come la moneta fortemente svalutata, non avevano molti acquirenti): in questo modo, si creva un circuito economico chiuso in cui lo Stato emetteva moneta a debito contro titoli per finanziare l'industria militare e questa sua volta ripagava/riacquistava i titoli in scadenza, consentendo una nuova emissione e produzione propria.
Lo Stato che esce vincitore da una guerra pretende non di rado dallo Stato sconfitto il pagamento di indennità dette riparazioni di guerra, che coprono in tutto o in parte le spese sostenute e a volte permettono anche un guadagno monetario. L'origine delle riparazioni di guerra risale all'antichità e si hanno tracce documentate di questa usanza già nel 440-439 a. C, quando la città di Samo sconfitta da Atene dovette pagare a questa le spese dell'assedio da essa stessa sostenuto e perso. Nell'era moderna fu Napoleone Bonaparte a collegare inscindibilmente il pagamento dei danni di guerra al trattato di pace che la concludeva, pretendendo dai vari stati sconfitti, come Austria, Prussia, Spagna ed altri, il pagamento in natura e valuta dei danni, stimati dal vincitore; la pratica venne poi ripetuta a ruoli invertiti dopo la sconfitta dell'Impero Francese, e ancora dai prussiani verso la Francia che aveva perso la guerra del 1870; allo stesso modo gli Alleati, su espressa richiesta del presidente statunitense Woodrow Wilson, pretesero dai tedeschi un risarcimento dopo la fine della prima guerra mondiale, ma la sua entità venne calcolata tale da essere considerata altamente punitiva dai britannici, che esitarono prima di appoggiare le pretese francesi. Le conseguenze di queste riparazioni sull'economia tedesca, sommate a quelle indotte dalla grande depressione del 1929, furono tali da venire additate da molti come una delle cause che spinsero i tedeschi ad appoggiare l'avvento del nazismo e lo scoppio della seconda guerra mondiale.


Tipi di conflitto

I conflitti possono essere diversamente classificati in relazione al numero piuttosto vasto dei loro parametri.

In base all'estensione territoriale

  • Conflitto mondiale: conflitto esteso a più teatri operativi collocati anche in continenti diversi, coordinati fra di loro anche se coinvolti in tempi non strettamente coincidenti; vi partecipano tutte le grandi potenze e le medie potenze regionali dei teatri interessati, e un numero elevato di potenze minori. Unici esempi nella storia: la seconda guerra mondiale e, anche se la collocazione è discutibile, la prima guerra mondiale e la guerra dei sette anni.
  • Conflitto regionale: conflitto che si svolge essenzialmente in un solo teatro operativo in una regione geofisica ben delimitata, con la partecipazione di almeno una media potenza regionale, più altre potenze minori della stessa regione; non esclude la partecipazione diretta di una grande potenza o la partecipazione indiretta di più grandi potenze. Esempi nella storia (limitatamente al XX e XXI secolo): le guerre balcaniche, i conflitti arabo-israeliani, la prima guerra del Golfo.
  • Conflitto locale: conflitto fra un limitatissimo numero di potenze, spesso solo due, e che coinvolge un limitato territorio appartenente a uno solo o al massimo ai due contendenti diretti; esclude la partecipazione diretta di grandi e medie potenze i cui territori non siano direttamente coinvolti. Esempi nella storia (limitatamente al XX e XXI secolo): la guerra italo-turca, la guerra d'Etiopia.



In base al tipo dei soggetti che la combattono

  • Conflitto simmetrico: conflitto tra parti che dispongono tutte di un'organizzazione statuale completa e di forze armate organizzate secondo le leggi dello Stato.
  • Conflitto asimmetrico: conflitto tra due parti, una sola delle quali dispone di un'organizzazione statuale completa e di forze armate organizzate secondo le leggi dello Stato, mentre l'altra non è formata, o è in corso di formazione. Questa parte di solito non procede con i metodi classici della guerra ma pone in opera la guerriglia. Un esempio può essere dato dal terrorismo, anche se bisognerebbe creare una classificazione specifica per caratterizzare questi atti di guerra.
Non si parla di conflitto asimmetrico se è un'organizzazione statale, si veda l'esempio della Spagna nel corso dell'invasione napoleonica, a combattere tramite il proprio esercito con tattiche di guerriglia. Lo scontro tra le formazioni di guerriglia sorte spontaneamente e l'esercito napoleonico, è invece considerabile un caso di guerra asimmetrica.



In base ai mezzi impiegati

  • Conflitto non convenzionale: conflitto nel quale due o più parti dispongono di armi di distruzione di massa e sono disposte a impiegarle fin dall'inizio del conflitto. Non si sono mai avuti esempi di un tale tipo di conflitto, peraltro ipotizzato fin dagli anni cinquanta, quando sia gli Stati Uniti d'America sia l'Unione Sovietica disponevano di questi tipi di armamenti.
  • Conflitto convenzionale in potenziale ambiente nbc: conflitto nel quale due o più parti dispongono di armi di distruzione di massa e sono disposte a impiegarle solo se le circostanze dovessero renderlo indispensabile. Non si sono mai avuti esempi di un tale tipo di conflitto, peraltro ipotizzato fin dagli anni sessanta, quando l'equilibrio nucleare fra Stati Uniti d'America e Unione Sovietica sconsigliava ad ambedue l'impiego iniziale di tali tipi di armamenti per tema di una ritorsione.
  • Conflitto convenzionale: conflitto nel quale le parti non dispongono di armi di distruzione di massa, o nel quale gli eventuali detentori rinunciano a priori al loro impiego, eventualmente sotto il controllo di una potenza terza o di una organizzazione internazionale.



In base alla soggettività internazionale dei contendenti

  • Conflitto internazionale: conflitto nel quale tutti i contendenti sono soggetti di diritto internazionale. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, nell'ambito del processo di decolonizzazione, sono stati considerati soggetti di diritto internazionale anche i fronti di liberazione nazionale, purché avessero l'effettivo controllo di territorio e popolazione, disponessero di forze armate organizzate e rispettassero il diritto internazionale bellico e umanitario.
  • Conflitto non internazionale: conflitto nel quale uno o più parti non sono soggetti di diritto internazionale, per cui il conflitto è sottratto alle norme del diritto bellico in quanto considerato affare interno; in particolare, rientrano in questa categoria le guerre civili, nelle quali si ha lo scontro fra opposte fazioni nell'ambito di un solo paese o entità politica.


Altre definizioni dei conflitti

Nell'uso comune, specie in campo giornalistico o nei discorsi di natura politica, vengono fornite altre definizioni di un conflitto, ancorché giuridicamente e tecnicamente non corrette. Fra le più usuali:
  • Guerra totale: si vuole indicare un conflitto che coinvolge tutte le risorse del paese in guerra. Ciò è normale, in quanto le guerricciole per piccoli problemi di confine sono assai rare.
  • Guerra lampo (Blitzkrieg): nel senso di un conflitto organizzato per avere una durata limitatissima nel tempo, mediante l'uso di strategie e tattiche altamente redditizie e in presenza di un grande divario di mezzi disponibili, fra i due contendenti. Il termine è spesso usato in contrapposizione a guerra di posizione, o a di logoramento, essenzialmente statiche e di durata prolungata. La prima guerra mondiale è cominciata come guerra lampo, ma poi divenne di logoramento.
  • Guerra preventiva: guerra aperta da un soggetto in seguito alla percezione di una grave minaccia all'incolumità dei propri interessi; secondo alcuni rientra nel concetto di autodifesa prevista dallo statuto dell'ONU, mentre altri ritengono conflitti di questo tipo essere operazioni belliche offensive nel loro senso tradizionale.

Diritto bellico

Numerose convenzioni, che nel loro insieme costituiscono il diritto bellico, regolamentano il comportamento in guerra; esso risponde a due grandi e separate questioni, cioè qual è il modo giusto di intraprendere la guerra e quale è il modo giusto di condurla.


Ius ad bellum

Il Patto Briand-Kellogg per primo afferma nel 1928 il ripudio della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali, principio poi recepito nelle costituzioni di varie democrazie occidentali nel dopoguerra; la successiva Carta delle Nazioni Unite del 1945 alla nozione di guerra sostituisce la più ampia nozione di ricorso alla forza, che comprende le cosiddette measures short of war (misure vicine alla guerra), non regolate dal Patto di Brian-Kellogg, e introduce un sistema di sanzioni per i Paesi che violano il trattato. La Dichiarazione sul diritto dei popoli alla pace del 1984 afferma, non più nella sola forma negativa di un divieto della guerra, un diritto dei popoli alla pace, e l'impegno per il disarmo nucleare.
Inoltre, lo statuto delle Nazioni Unite consente la legittima difesa di un paese (sia direttamente del paese aggredito, sia di altri Stati che intervengono collettivamente a suo sostegno). Ciò per evitare una propagazione incontrollata del conflitto: fuori dei requisiti della legittima difesa (proporzionale e immediata, ex articolo 51 dello Statuto delle Nazioni Unite) occorre che ci sia un'autorizzazione del Consiglio di Sicurezza all'uso della forza, come è successo nella Guerra del Golfo del 1991. La regola sarebbe che il Consiglio di Sicurezza decide di prendere azioni "ai sensi del capo VII" mediante l'uso diretto di contingenti militari messi a disposizione dagli Stati membri e posti sotto il comando del Comitato di Stato Maggiore ONU: ma gli articoli 42 e 43 dello Statuto ONU non sono mai stati attuati e la formulazione delle decisioni del Consiglio di sicurezza è, oramai, nella forma di autorizzazione agli Stati di "prendere ogni misura necessaria" in difesa della pace e della sicurezza internazionale.
Interpretazioni estensive del diritto umanitario hanno portato a considerare legittima l'ingerenza umanitaria, ovvero l'intervento dall'esterno in fatti interni di uno Stato quando questi fatti costituiscano violazione evidente dei diritti dell'uomo. L'ingerenza umanitaria ha giustificato nel passato interventi militari consacrati da una risoluzione ONU per costringere i governi a rispettare quei diritti fondamentali. Analoga ingerenza potrebbe essere autorizzata per proteggere beni culturali ritenuti patrimonio dell'umanità.
Le costituzioni di molti Stati ammettono la guerra di sola difesa, vietando alle forze militari del paese di attaccare civili, militari e infrastrutture sul suolo di un altro paese o comunque appartenenti a un altro Stato sovrano. La Costituzione italiana, con l'articolo 11, è una delle più esplicite: «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.».


Ius in bello

Il diritto bellico è affiancato dal diritto umanitario, volto alla protezione delle vittime di guerra. Le più importanti convenzioni in materia erano, prima della Carta dell'ONU, quelle dell'Aia del 1899 e del 1907. Le più importanti e attuali convenzioni di diritto umanitario sono le convenzioni di Ginevra del 1949 e i suoi protocolli aggiuntivi, due del 1977 e uno del 2005.
In Italia, è stata posta una questione di legittimità alla Corte Costituzionale in merito all'esistenza di una distinzione fra codici militari in tempo di pace e di guerra, e, successivamente, in merito all'esistenza stessa di un diritto militare, che possa agire in deroga alle regole che disciplinano il rapporto fra privati cittadini. La Consulta ha ribadito il principio per cui le azioni dei militari non sono soggette alle stesse regole dei privati cittadini né essere valutate dai tribunali civili.



Aspetti antropologici

L'istinto di sopravvivenza, la preservazione del proprio territorio vitale, la difesa dei propri mezzi di sussistenza, sono alcuni esempi di come una comunità possa esser spinta a prendere le armi contro una comunità nemica che mette a rischio spazi, diritti, valori o beni dati per acquisiti e irrinunciabili. P.e. nel sanscrito del 1200 a.C., il termine che indica la guerra, युद्ध yuddha, significa 'desiderio di possedere più mucche'. A queste motivazioni di tipo egoistico o utilitaristico si affiancano (e talvolta si coniugano) motivazioni di carattere psicologico o umorale come l'odio, il disprezzo, la vendetta, la paura.


Guerre di religione

Un altro fattore molto forte di innesco per le guerre sono i motivi religiosi, nei quali un preteso diritto derivante da credenze religiose, o interpretazioni personali di scritti o tradizioni precedenti, diventa per un popolo o gruppo religioso causa per lanciare una guerra di aggressione verso quello che viene individuato come bersaglio della propria insoddisfazione. Una guerra di questo tipo viene denominata guerra santa, e gli esempi storici più noti sono le crociate per il mondo occidentale e il jihad (che però in arabo ha un significato non necessariamente legato ad operazioni violente) per i musulmani. Entrambe le tipologie di guerra hanno però provocato nei tempi gravi spargimenti di sangue tra i civili. Anche di recente sia in nome della jihad, sia per sostenere la guerra al terrorismo da parte di personale civile e militare delle forze armate statunitensi o di paesi alleati si sono avuti anche comportamenti non conformi alle leggi di guerra, con torture ed uccisioni sanguinose ed ingiustificate.


Guerre a sfondo razziale

Ancora un'altra motivazione è la matrice razzista, nella quale un popolo o una nazione aggrediscono un'altra ritenuta inferiore secondo i propri criteri. L'esempio più eclatante rimane il nazismo con il suo tentativo di annientare gli ebrei, ma analoghi esempi sono i conflitti africani come il Genocidio del Ruanda.


Aspetti etici

Dal punto di vista etico la guerra pone almeno tre tipi di problemi con relativi sotto problemi. Il primo riguarda la responsabilità dell'istituzione pubblica e dei suoi rappresentanti nell'indurre dietro compenso o costringere come dovere patrio dei soggetti a prendere le armi e farne uso contro qualcuno. Il secondo riguarda la legittimità o meno dei comportamenti del soggetto che usa le armi sotto coercizione a farlo e in base a ordini ineludibili. Il terzo riguarda la legittimità dell'azione di belligeranza come autodifesa di una comunità rispetto a danni non necessariamente di tipo violento, ma, per esempio, economico o morale.



Aspetti economici

Dal punto di vista economico si osserva infatti come nel tempo evolva mantenendo una coerenza logica.



Prima ondata

  • Durante il sistema agrario il soldato combatte spesso nell'arco di un limitato periodo stagionale.
  • Le razioni alimentari sono personali in partenza e poi di volta in volta depredate localmente.
  • Al termine del conflitto l'estrema sanzione agli occupati dopo l'eliminazione dei soldati è la distruzione delle coltivazioni.



Seconda ondata

  • Con l'economia industriale il servizio militare diventa di massa per legge con la leva obbligatoria (in Francia dopo il 1792, in Giappone nel 1868 e negli Usa durante la guerra civile).
  • I nuovi comandanti sono addestrati nelle accademie militari.
  • Non si distingue più alcuna differenza tra un obiettivo civile e un obiettivo militare.



Terza ondata

  • Il progresso tecnologico del settore civile sorpassa quello militare.
  • La fuga di cervelli diventa un parametro per misurare la ricchezza di particolari macro-aree capaci di attrarne come la Silicon Valley.
  • Per ragioni di efficacia le decisioni dell'intelligence sono sempre più vincolate da informazioni aperte a favore della maggior partecipazione possibile.



Col termine "guerre delegate" (proxy war) si intende un nuovo tipo di conflitto in cui non avviene un grande dispiegamento di uomini e mezzi sul campo di battaglia, non c'è una leva militare obbligatoria ed è pure molto limitato anche l'invio di militari professionisti: il Paese invia armi e istruttori alle truppe alleate del luogo (regolari o separatiste), ed alcuni contractors, militari ed ex-militari volontari per azioni mirate.
Questo tipo di conflitto è ugualmente redditizio per la lobby delle armi, mentre ha costi pubblici inferiori e meno morti al fronte (la morte dei contractors in genere non fa nemmeno notizia), e per questo è ben vista dai politici rispetto alle possibili critiche della stampa e degli elettori.



Analisi statistica

L'analisi statistica della guerra è stata cominciata da Lewis Fry Richardson dopo la prima guerra mondiale. Più recentemente, database sulle guerre guerra sono stati costruiti dai Correlates of War Project e da Peter Brecke, che ha censito e strutturato ricerche già esistenti.


Letteratura

Nel tempo, scrittori di ogni cultura e posizione politica hanno trattato il tema della guerra nelle loro opere. Tra i più celebri di certo possiamo citare L'arte della guerra, uno dei più importanti trattati di strategia militare di tutti i tempi del cinese Sun Tzu. Si tratta probabilmente del più antico testo di arte militare esistente (VI secolo a.C. circa), articolato in tredici capitoli, ognuno dedicato ad un aspetto della guerra. Questo testo ebbe una grande influenza anche nella strategia militare europea. È un compendio i cui consigli si possono applicare, al pari di altre opere della cultura sino-giapponese, a molti aspetti della vita, oltre che alla strategia militare, ad esempio all'economia e alla conduzione degli affari.

«Un risultato superiore consiste nel conquistare intero e intatto il paese nemico. Distruggerlo costituisce un risultato inferiore»



Grandi condottieri come Napoleone Bonaparte hanno scritto memorie, nello specifico Aforismi politici, pensieri morali e massime sulla guerra, ma nella storia occidentale abbiamo trattati militari molto più antichi come quelli di Caio Giulio Cesare, dal De bello gallico scritto fra il 58 e il 50 a.C. e diviso in otto libri al De bello civili. Molti altri libri sono stati scritti nei secoli successivi, da figure come il tedesco Carl von Clausewitz, il cui trattato Della guerra (Vom Kriege), pubblicato per la prima volta nel 1832, non venne mai completato, a causa della morte precoce dell'autore. Oltre alla famosa citazione che correla guerra e politica, si può riportare anche:

«La guerra è un atto di violenza il cui obiettivo è costringere l'avversario a eseguire la nostra volontà.»

Carl von Clausewitz, nel suo libro Della guerra, compie un'analisi del fenomeno: «La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi» e «La guerra è un atto di forza che ha lo scopo di costringere l'avversario a sottomettersi alla nostra volontà.»

venerdì 2 ottobre 2015

Dào'ān

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Dào'ān (道安, Wade-Giles: Tao-an; giapponese: Dōan; Hebei, 312 – Chang'an, 385) è stato un monaco buddhista e traduttore cinese.
Fu un monaco buddhista cinese e traduttore di testi dal sanscrito al cinese. Maestro di Huìyuan (慧遠, 334-416), il fondatore del monastero di Dōnglín (東林) sul Monte Lú (廬山).
Dào'ān nacque in un famiglia confuciana e, nonostante questo, entrò in un monastero buddhista all'età di dodici anni.
Nel 335 si trasferì a Yè (, oggi Linzhang, provincia di Hebei), capitale della dinastia Zhao Posteriori studiando sotto la guida di Fótúchéng (佛圖澄, giapp. Buttochō, nome di origine forse Buddhasiṁha) il monaco-taumaturgo, di origine kushan, probabilmente di scuola sarvāstivāda, consigliere, tra gli altri, dell'imperatore Shí Hǔ (石虎, anche Taì Zǔ, 太祖, della dinastia degli Zhao Posteriori di etnia Jié, regno: 333-49).
Alla morte di Shí Hǔ, Dào'ān lasciò Yè avviandosi verso la vita di monaco itinerante lungo tutta la Cina settentrionale fino al 365, quando le guerre civili lo costrinsero a spostarsi verso Sud, a Xiangyang (oggi Xiangfan, provincia di Hubei), dove raccolse intorno a sé dei discepoli con cui praticò la venerazione nei confronti del buddha del futuro, Maitreya (彌勒, Mílè), e la pratica del dhyāna così come indicata dalle scuole hīnayāna, soprattutto sarvāstivāda, insegnamenti già trasferiti dal monaco persiano Ān Shìgāo.
A Xiangyang Dào'ān mutò progressivamente i suoi interessi verso la letteratura canonica mahāyāna dei prajñāpāramitāsūtra dedicandogli ben sei commentari. In particolar modo si interessò al Pañcaviṃśati-sāhasrikā-prajñā-pāramitāsūtra (光讚般若波羅蜜經, pinyin: Guāngzàn bānruò bōluómì jīng, Sutra perfezione della saggezza in venticinquemila stanze).
Sempre a Xiangyang, Dào'ān compilò, nel 374, il primo trattato cinese sulla letteratura buddhista giunta fino a quel momento in Cina, lo Zōnglǐzhòngjīng mùlù (綜理衆經目錄, Catalogo delle scritture, conosciuto più diffusamente come 安錄 Anlu, T.D. 2149.55.251a2) esaminando più di seicento opere e producendo per ognuna di queste delle sintesi.
Quando l'imperatore Fú Jiān (苻堅, conosciuto anche come 世祖, Shì Zǔ, regno: 357-385) della dinastia Qin Anteriori (di etnia Di ) occupò Xiangyang, nel 379, Dào'ān si trasferì a Chang'an che grazie proprio a Fú Jiān tornò presto ad essere un crocevia internazionale e centro della comunità centro asiatica (soprattutto kashmira) di monaci sarvāstivāda.
Pur non conoscendo direttamente il sanscrito, Dào'ān supervisionò la comunità di monaci-traduttori che avviarono la traduzione dell'Abhidharma Jñānaprasthāna śāstra (阿毘達磨發智論, pinyin: Āpídámó fāzhì lùn, testo centrale dell'Abhidharma sarvāstivāda), del Daśa-bhāṇavāra-vinaya (十誦律, pinyin: Shísòng lǜ, Dieci suddivisioni delle regole monastiche, vinaya della scuola sarvāstivāda) e del Mādhyamāgama (中阿含經 Zhōng āhán jīng, giapp. Chū agonkyō, āgama della scuola sarvāstivāda), redigendone la prefazione.
Dào'ān morì nel 385 a Chang'an, dopo aver preparato una comunità monastica di traduttori pronta ad accogliere Kumārajīva.


giovedì 1 ottobre 2015

Uchimizu

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Uchimizu (打ち水) è un termine che indica l'aspersione d'acqua nei giardini e nelle strade giapponesi.

Descrizione
D'estate, nelle strade, serve a rinfrescare l'aria ed abbellire il paesaggio urbano. Non si tratta però di una mera questione di igiene o di benessere fisico in quanto nei templi e nei giardini esso assume anche caratteristiche di rituale contemplativo. I giapponesi vedono lo uchimizu come un'esemplificazione dei valori tradizionali giapponesi.
Tradizionalmente lo si celebra con catino e cucchiaio e il celebrante indossa lo yukata, un kimono estivo. Vari movimenti ambientalisti utilizzano internet per incoraggiare i giapponesi a celebrare l'uchimizu con acqua riciclata in modo che tale pratica diventi, oltre ad una forma di cortesia verso i propri concittadini, anche ambientalmente più sostenibile.


mercoledì 30 settembre 2015

Mercenario

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Il condottiero, nell'Italia tardo medievale e rinascimentale, era il capo delle truppe mercenarie.
Un mercenario (anche talvolta informalmente noto come soldato di fortuna) è una persona che prende parte a un conflitto armato senza fare parte di una nazione o fazione in conflitto e che è motivato a combattere per ottenere un vantaggio economico personale, non per dovere di cittadinanza o per patriottismo o altri ideali.
Il mercenario è dunque un soggetto formalmente estraneo alle parti in conflitto e appositamente reclutato da un committente (un governo, un'azienda o altra organizzazione), operando spesso all'estero. I suoi doveri sono stabiliti liberamente da un contratto con il suo committente, al contrario degli appartenenti alle forze armate regolari, che rispondono esclusivamente allo Stato di appartenenza. La sua remunerazione è superiore a quella dei soldati delle forze regolari, dei quali non possiede lo status di militare e i relativi doveri, poteri e diritti giuridici. In tal modo spesso i mercenari non agiscono secondo il diritto internazionale umanitario e, se catturati, non hanno le tutele dei prigionieri di guerra.
I mercenari sono stati ampiamente utilizzati nelle guerre di ogni epoca. Sebbene in vari Stati l'attività mercenaria sia formalmente illegale, le truppe mercenarie - organizzate da compagnie militari private - vengono comunemente usate anche nei conflitti contemporanei, sia come supporto alle truppe regolari, sia per compiere operazioni belliche non ufficiali.

Storia

Antichità

L'utilizzo di truppe mercenarie fu molto in uso già in età antica, ad esempio presso i popoli delle civiltà orientali antiche. Già nell'antico Egitto il faraone Ramesse II si servì di mercenari shardana provenienti dalla Sardegna per combattere i suoi nemici Hittiti nel XIII secolo. "Soldati" che prestano i loro servizi per mercede vennero indicati dai greci con nomi diversi (misthophóroi, misthōtoì, epíkouroi ecc.), presso i romani come mercenarii, peregrini milites.
Presso i greci apparvero per la prima volta quando, sulla fine dell'VIII secolo a.C., tiranni come Pisistrato e Policrate, per affermare il loro potere, si appoggiarono ad armi prezzolate. Di mercenari si servirono i re di Lidia; Milziade si impadronì del Chersoneso Tracico con l'aiuto di 500 mercenari.
Scomparsi con la caduta delle tirannidi, furono di nuovo largamente impiegati al tempo della guerra del Peloponneso. Grandiosa formazione di un esercito mercenario fu in quell'epoca, come tramandatoci nell'Anabasi di Senofonte, l'arruolamento dei diecimila greci che, partiti sotto il comando di Ciro il Giovane, si resero famosi per l'epica ritirata sotto la guida di Senofonte (401 a.C.). I superstiti, arruolati nell'esercito spartano sotto il comando del re di Sparta Agesilao II, passarono a combattere nell'Asia Minore contro il re di Persia. Da allora le milizie mercenarie entrarono normalmente nella costituzione degli eserciti greci, e si ebbero persino generali mercenari, come Ificrate, Cabria, Timoteo, Carete, i quali, detti egualmente strateghi, come quelli degli eserciti stabili, inviavano i loro capitani (lochagoí) a raccogliere gente in compagnie di 100 uomini ognuna (lóchoi). L'avvento dei mercenari cambiò notevolmente gli eserciti greci. Le armate delle città stato erano costituite da normali cittadini della polis che venivano richiamati in base alla necessità, quindi con un addestramento militare quasi nullo (l'unica eccezione è la città di Sparta). Questo si rifletteva sul campo di battaglia, dove era impossibile applicare una minima componente tattica. Coi mercenari, uomini che esercitavano la guerra come professione, la capacità bellica degli eserciti greci migliorò notevolmente.
Tali mercenari non militarono soltanto in Grecia: già fin dall'VIII-VII secolo a.C. s'erano posti al servizio della Lidia e della dinastia saitica d'Egitto. Più tardi furono numerosi anche nell'esercito persiano: nella battaglia del Granico, Alessandro Magno ne ebbe di fronte 20.000, in quella di Isso 30.000. Nell’età dei diadochi gli eserciti furono formati essenzialmente da mercenari, i quali passavano facilmente dall’uno all'altro campo. I tiranni di Sicilia ebbero truppe mercenarie; se ne trovano al principio del IV secolo a.C. al soldo di Dionisio I. Di solito, per l'arruolamento, gli stati interessati mandavano incettatori i quali, ottenuta licenza dalle autorità locali, percorrevano i diversi paesi offrendo il soldo e promettendo bottino. Cartagine faceva largo uso di mercenari, e preferiva usare le sue ingenti ricchezze per pagarli piuttosto che rischiare in guerra la sua popolazione cittadina. Sulla scia di quanto accadde in Oriente, dal 264 a.C. al 146 a.C. Cartagine impiegò mercenari di ogni sorta, armamento e provenienza: Celti, Numidi, Balearici, Sardi nuragici, Siculi, Liguri, Etruschi, Greci, Corsi e Iberi combatterono nelle tre guerre puniche contro Roma.



Medioevo

«Se uno tiene lo Stato fondato sulle armi mercenarie non starà mai fermo né sicuro, perché le [esse] sono disunite, ambiziose, senza disciplina, infedeli... Non hanno altro amore né altra ragione che le tenga in campo che un poco di stipendio, il quale non è sufficiente che vogliano [perché vogliano] morire per te. Vogliono ben essere tuoi soldati, mentre che tu non fai guerra; ma, come la guerra viene, vogliono o fuggirsi o andarsene.»
(Niccolò Machiavelli, Dell'arte della guerra, 1519-20.)



«se uno [principe] tiene lo stato suo fondato in sulle armi mercenarie, non starà mai fermo né sicuro; perché le sono disunite, ambiziose, senza disciplina, infedele.»
(Machiavelli, Il Principe)



L'utilizzo di mercenari fu molto comune durante il Medioevo: ad esempio, durante questo periodo, le milizie mercenarie per antonomasia furono le cosiddette compagnie di ventura, costituite da soldati di ventura. Presso la corte bizantina furono, già dall'Alto Medioevo, reclutati come mercenari guerrieri di origine scandinava (Vichinghi), noti come Guardie Variaghe, che andavano a formare la guardia scelta dell'Imperatore d'Oriente.

Furono poi i cavalieri normanni della famiglia Drengot a proporsi inizialmente al soldo dei principi longobardi (contro le incursioni saracene a Napoli e Salerno) e poi degli insorti baresi nelle lotte antibizantine. Truppe mercenarie furono utilizzate nella battaglia di Campaldino nel 1260 a fianco dell'esercito fiorentino; ne fece uso anche il comune di Siena, stipulando contratti tra il 1327 e il 1351 con un condottiero ante litteram come Guidoriccio da Fogliano che si pose anche al soldo degli Scaligeri. Tali truppe vennero più volte usate in Europa, erano riunite in compagnie di ventura e guidate da un capitano di ventura, che stipulava veri e propri contratti con i signori e i regnanti interessati. Ebbero vasto impiego in Europa dal XIV secolo alla prima metà del XVII secolo.
Anche gli stati medievali usavano questo genere di truppe, tanto che Niccolò Machiavelli ne denuncia la pericolosità nei suoi scritti (arrivando almeno secondo, dato che già Polibio ne sconsigliava l'uso se non in quantità minime). I lanzichenecchi sono state le truppe mercenarie che compirono il Sacco di Roma nel 1527. Altre milizie di fanteria mercenaria molto note e apprezzate erano le falangi di mercenari svizzeri.



Età moderna e contemporanea

Nel corso del XX secolo si è fatto uso di mercenari in diversi conflitti, specialmente nelle innumerevoli guerre dei paesi del Terzo Mondo. Durante la guerra fredda, i mercenari vennero assoldati, oltre per partecipare a conflitti armati per conto dei creditori, anche per attuare colpi di stato, come per esempio nella crisi del Congo nella prima metà degli anni sessanta, in Benin nel 1977 o nelle Seychelles nel 1981. Tali soggetti sono stati spessi impiegati ad esempio nella guerre jugoslave e nella crisi di Timor Est del 1999 e durante la guerra del Kosovo. Dal 1994 al 2002 Il Dipartimento della difesa degli Stati Uniti ha stipulato più di 3000 contratti con delle cosiddette compagnie militari private statunitensi, per un giro d’affari da 100 miliardi di euro l’anno, con 15.000 uomini impiegati in missione che guadagnano fino a mille euro al giorno.
A partire dagli anni 2000 si è avuto un ulteriore incremento, ad esempio durante la guerra d'Iraq nel 2003 ed anche negli anni a seguire, a causa del loro coinvolgimento nei combattimenti e negli interrogatori della prigione di Abu Ghraib divenuta famosa per le denunce dei casi di tortura. Durante il conflitto i mercenari in Iraq rappresentarono la seconda forza in campo subito dopo gli Stati Uniti d'America e prima della Gran Bretagna. Utilizzo di truppe mercenarie è stato segnalato nel 2011, anche durante la guerra civile in Libia e nella guerra civile siriana.


Caratteristiche

Egli è un soggetto formalmente estraneo alle parti in conflitto e appositamente reclutato da un committente (un governo, un'azienda o altra organizzazione), operando spesso all'estero. I suoi doveri sono stabiliti liberamente da un contratto con il suo committente, al contrario degli appartenenti alle forze armate regolari, che rispondono esclusivamente allo Stato di appartenenza. La sua remunerazione è superiore a quella dei soldati delle forze regolari, dei quali non possiede lo status di militare e i relativi doveri, poteri e diritti giuridici. In tal modo spesso i mercenari non agiscono secondo il diritto internazionale umanitario e, se catturati, non hanno le tutele dei prigionieri di guerra.
A partire dal XX secolo i servizi riconducibili ad attività mercenaria sono spesso svolti da compagnie militari private spesso generalmente definite come contractors, ossia delle imprese che forniscono anche consulenze e servizi specialistici, anche se in molti paesi del mondo questa attività è espressamente vietata e sanzionata dalla legge, tuttavia oggi spesso il più generico anglicismo contractor per definire questi soggetti. Tale eufemismo in realtà indica, in generale, qualsiasi persona che sia impegnata allo svolgimento di un particolare compito definito in base ad un contratto o simile, con qualsiasi profilo professionale ed in qualsiasi ambito lavorativo (come il termine mercenario indicava in passato). Sebbene in vari paesi del mondo l'attività mercenaria sia formalmente illegale, le truppe mercenarie - organizzate da compagnie militari private - vengono comunemente usate anche nei conflitti contemporanei, sia come supporto alle truppe regolari, sia per compiere operazioni belliche non ufficiali.



La figura nel diritto contemporaneo

Nel diritto internazionale

Nel diritto contemporaneo non esiste una definizione di mercenario comunemente accettata. Infatti la distinzione tra un mercenario e un volontario di guerra straniero è spesso molto sottile perché la reale motivazione che spinge a combattere in un esercito straniero è incerta. Viene inoltre utilizzata la locuzione industria della difesa per indicare il complesso di enti privati e di operatori civili che generalmente non hanno ruolo e funzioni di combattimento diretto.
Il protocollo addizionale 8 giugno 1977 (APGC77) alle Convenzioni di Ginevra relativo alla protezione delle vittime nei conflitti armati internazionali, ratificato da 167 Stati, prevede la definizione più ampiamente accettata di un mercenario, e afferma:
«1. Un mercenario non ha diritto di essere un combattente o prigioniero di guerra.
2. Un mercenario è una persona che:
a) espressamente reclutata nel paese o all'estero per combattere in un conflitto armato;
b) di fatto prende parte diretta alle ostilità;
c) che partecipa alle ostilità essenzialmente in vista di ottenere un vantaggio personale ed alla quale è stata effettivamente promessa, da una parte al conflitto o a nome di quest'ultima, una remunerazione materiale nettamente superiore a quella promessa o pagata a combattenti aventi rango e funzioni analoghe nelle forze armate di detta parte;
d) che non è cittadina di una parte al conflitto, né residente del territorio controllato da una parte al conflitto;
e) che non è membro delle forze armate di una parte al conflitto;
f) che non è stata inviata da uno stato diverso da una parte al conflitto, in missione ufficiale come membro delle forze armate di tale Stato.»

Tutti i criteri (a - f), devono essere rispettati, secondo la Convenzione di Ginevra, affinché un combattente possa essere definito mercenario.
La convenzione internazionale contro il reclutamento, l’utilizzazione, il finanziamento e l’istruzione di mercenari - adottata e aperta alla firma dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 4 dicembre 1989 con la risoluzione 44/34 ed entrata in vigore il 20 ottobre 2001 - contiene all'art. 1 la definizione di mercenario. La disposizione è simile all'articolo 47 del I Protocollo, tuttavia al punto 1.2 amplia gli elementi per considerare un soggetto come mercenario, introducendo tra i requisiti:
«Per rovesciare un governo o comunque minare l'ordine costituzionale di uno Stato, o pregiudicare l'integrità territoriale di uno Stato.»
e ancora:
«è motivato a farne parte essenzialmente dal desiderio di guadagno significativo privato ed è spinto dalla promessa o il pagamento di un indennizzo materiale.»
Le convenzioni suddette si applicano tuttavia ai soggetti provenienti dai paesi del mondo che le abbiano firmate, riguardo quella del 1989 ad esempio, taluni paesi come gli Stati Uniti d'America non l'hanno ad oggi ratificata, come riportato dal comitato internazionale della Croce Rossa.



Nelle legislazioni nazionali

A livello nazionale invece molti stati hanno una legislazione particolare per questo genere di attività, ad esempio:
  • In Austria i cittadini perdono la cittadinanza automaticamente se fanno parte di truppe mercenarie.
  • In Francia valgono i principi delle Convenzioni di Ginevra.
  • In Inghilterra è illegale fare parte di truppe mercenarie, ma ci sono state negli anni diverse deroghe.
  • L'Italia non consente la partecipazione di soggetti, diversi dalle proprie forze armate, a conflitti armati nel territorio di un altro stato, in quanto la convenzione delle Nazioni Unite dell'89 è stata ratificata con la legge 12 maggio 1995 n. 210.
  • Gli Stati Uniti d'America consentono l'utilizzo di forza militare da parte di privati; nel paese è legale la costituzione e l'utilizzo di compagnie militari private
  • In Sudafrica una legge (il "Foreign Military Assistance Act") chiarisce che i cittadini non possono fare parte di truppe a contratto se non per missioni umanitarie. Nel 2005, con la guerra in Iraq ed il caso di Mark Thatcher (il figlio di Margaret Thatcher) arrestato per attività mercenarie, sono state riviste le normative.
  • La Svizzera non permette attività mercenarie dal 1927, con l'eccezione delle guardie svizzere in Vaticano.

Mercenari famosi

Nel XX secolo alcuni mercenari sono stati molto conosciuti, soprattutto la generazione dei "mercenari bianchi", impiegati negli anni sessanta e settanta nelle guerre civili africane dalle potenze post-coloniali o dai governi locali:
  • Mike Hoare, "Mad Mike", cittadino britannico di origine irlandese, coinvolto sia nella crisi del Congo negli anni sessanta, dove formò il "5° Commando", che nel fallito colpo di Stato nelle Seychelles nel 1978.
  • Siegfried Müller, "Kongo Müller", tedesco, ex ufficiale della Wehrmacht e veterano del fronte, reclutato come luogotenente nella crisi del Congo nel '64, guidò il "52° Commando", una sub-unità del "5° Commando" di Mike Hoare.
  • John Peters, britannico, si unì a "Mad Mike" Hoare durante crisi del Congo degli anni sessanta diventando il suo vice-comandante e avvicendandosi alla guida del reparto nel 1965.
  • Bob Denard, francese, coinvolto in numerosi conflitti in Africa, talvolta con la copertura o il supporto della Francia, per conto della quale ha partecipato ad alcune azioni anche sulle isole Comore. In Congo guidò il "6° Commando" dopo il Colonnello Lamouline dal '65 al '67.
  • Daniele Zanata, alias Daniel Van Horne, alias Daniel Wydman, esperto di antiterrorismo coinvolto in numerosi conflitti in Africa (Angola, Sierra Leone, Isole Comore), Balcani (Serbia), ex Repubbliche sovietiche (Cecenia).
  • Simon Mann, più volte coinvolto in Angola e Sierra Leone. Arrestato in Zimbabwe nel 2004 per essere coinvolto nel tentato colpo di Stato in Guinea che ha portato all'arresto di Mark Thatcher nel 2006.
  • Jean Schramme,"Black Jack", belga, implicato nella guerra civile congolese degli anni sessanta e nel tentativo di golpe di Moise Ciombe, guidò le azioni del "10° Commando".
  • Roger Faulques, pluridecorato ufficiale di carriera francese, inviato nel Katanga durante la secessione, ebbe sotto il suo comando Bob Denard, condusse l'operazione francese nello Yemen e fu impiegato sempre per conto della Francia nella guerra civile nigeriana.
  • Rolf Steiner, tedesco, servì sotto il comando francese di Roger Faulques in Nigeria, poi formato un suo reparto, combatté nel Sudan meridionale e Biafra.
  • Frederick Russell Burnham ex militare statunitense ed uno dei fondatori dell'associazione Boy Scouts of America, la sua figura costituì ispirazione per le opere di Allan Quatermain.
  • Carl Gustav von Rosen, svedese, aviatore pioniero, mercenario e collaboratore della Croce Rossa. Prese parte ad azioni umanitarie e belliche nella guerra d'Etiopia, nella guerra d'inverno, nella seconda guerra mondiale, nel conflitto del Biafra e nella guerra dell'Ogaden.
  • Roberto delle Fave italiano, famoso soprattutto per la partecipazione alla guerra d'indipendenza croata, alla guerra in Bosnia ed Erzegovina e la guerra del Kosovo.



martedì 29 settembre 2015

Il lottatore, cresciuto al Giambellino, spiega la nuova vocazione sportiva



Bruno Danovaro nella sua vita ha fatto un po' di tutto. Ma soprattutto ha combattuto. Per sport e non solo per sport visto che oltre a karate, judo, wrestling, è stato per il Ministero della Difesa istruttore dei militari italiani che venivano inviati nelle missioni di pace e, con il Provveditorato agli studi di Milano, ha fatto corsi nelle scuole milanesi per sconfiggere il bullismo. Anni fa negli Stati Uniti, dopo aver stabilito un record mondiale nel sollevamento pesi, è diventato l'«uomo più forte del mondo».
Così lo chiamavano e quello è diventato anche il titolo di un libro che ha raccontato la sua storia cominciata come lavapiatti negli States. Vai a cercare il suo nome sul web e salta fuori il racconto di una vita, a tratti anche avventurosa. Il padre avvocato è stato un nuotatore, la madre ha fatto atletica leggera e lui a quattro anni era già in vasca a sbracciare. Poi da Sampierdarena, dove è nato, è arrivato a Milano al Giambellino dove ha imparato anche a «menar le mani» e così, per evitare di finir nei guai, si è dato al judo e ai pesi «dirottato» da un istruttore giapponese colpito dalla sua forza.
Non è simpatico a tutti, anzi. Nel suo mondo non si è fatto tanti amici ma per uno abituato a combattere non sembra sia un problema: «Il mio mestiere è questo - racconta -. E oggi a 46 anni sono l'unico al mondo che ha sostenuto 90 kumite, novanta incontri di arti marziali miste in un giorno e mezzo...». Una sfida continua, dodici mesi l'anno: «Mi alleno praticamente tutti i giorni tre volte al giorno - racconta -. Con una sessione di pesi la mattina, lo sparring nella pausa di pranzo e la lotta la sera. Ed è una vita di sacrifici perché restare in forma non è facile e bisogna stare attenti un po' a tutto a cominciare dall'alimentazione. Pochissimi carboidrati, niente pasta e pizze, molta frutta, verdura e pesce e carne rossa vicino ai combattimenti. Ma è una filosofia di vita che mi porta a fare esperienze sempre diverse perché la mia passione è combattere... Come diceva Bruce Lee un lottatore deve saper fare tutto e non solo pugni o proiezioni».
Così, anche se gli anni passano, l'agenda di Danovaro resta fitta. Il prossimo appuntamento lo sta organizzando a Milano la Ibk, l'international budo kaikan, che a novembre metterà di fronte le due nazionali di Italia e Svizzera con una sfida sul ring tra Danovaro e Ivan Drago, già protagonista in un film con Silvester Stallone nella quarta serie di Rocky. E non è finita. «Sì ho altri due progetti che mi affascinano - racconta -. Essere il primo non fiorentino in campo in una sfida di calcio fiorentino ma stiamo aspettando la delibera comunale che possa dare il permesso a partecipare e giocare una partita di “palla grossa” a Prato». «Calcio fiorentino» e «Palla grossa» due sport antichi dove la palla è un pretesto per darsele di santa ragione tra abitanti di contrade avversarie: «Beh non è proprio così, c'è una storia di secoli alle spalle - spiega Danovaro -. Certo non è uno sport per signorine. Ed è questo che mi piace...».

lunedì 28 settembre 2015

Tokyo 2020, karate e surf tra le nuove discipline olimpiche


I riflettori su Rio 2016 non si sono ancora accesi, ma gli organizzatori delle Olimpiadi di Tokyo del 2020 hanno già iniziato a far girare la ruota delle proposte. 

Secondo le regole del Cio adottate lo scorso dicembre, i paesi ospitanti possono proporre nuove discipline da ospitare nei loro giochi. Mentre i giochi olimpici brasiliani rivedranno il ritorno del golf e rugby, in Giappone potrebbero essere ben cinque le discipline.
Tra innovazione e tradizione a Tokyo potrebbe esserci spazio per uno sport di squadra, il baseball-softball e 4 discipline individuali. L'arrampiacata sportiva, ma anche skateboard e surf. Il Comitato giapponese pesca anche dalla tradizione e sceglie di proporre il karate, arte marziale millenaria nata proprio nel paese.
"Si tratta di discipline al contempo tradizionali ed emergenti e rivolte ai giovani, che sono tutte popolari in Giappone e a livello internazionale - spiegano in una nota gli organizzatori - Faranno da forza trainante per promuovere ulteriormente il movimento olimpico e i suoi valori".
Il comitato giapponese, dopo una selezione iniziata a maggio, ha stimato che gli atelti dei 5 nuovi sport saranno circa 474. Dopo la proposta la palla passa ora al Comitato Olimpico Internazionale che nella sessione di Rio de Janeiro ad agosto 2016 deciderà se accogliere o meno le proposte giapponesi.
 

domenica 27 settembre 2015

Ame-onna

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Ame-onna (雨女letteralmente "donna della pioggia") è uno yōkai del folklore giapponese. Si tratta dello spirito di una donna che appare sotto la pioggia.

Origine

La leggenda racconta che l'Ame-onna fosse una dea del monte Wushan in Cina, e che fosse una nube al mattino e pioggia al pomeriggio. Entrando in Giappone, divenne uno yōkai che infastidiva la popolazione. Gli agricoltori allora la pregarono di portare la pioggia per le coltivazioni.

Nella cultura di massa

Oggigiorno in Giappone la parola ame-onna (il cui maschile è ame-otoko) si riferisce ad una persona sfortunata, che sembra essere seguita dalla nefasta pioggia ovunque vada, guadagnando la reputazione di aver rovinato eventi importanti come matrimoni e manifestazioni sportive.

sabato 26 settembre 2015

Dakyu

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Il dakyu (打毬 Dakyū) è un antico gioco equestre giapponese.

Storia

Originario della Cina, le prime notizie di questo gioco risalgono all'VIII secolo: la più antica testimonianza scritta è in un documento del 727 d.C. Lo scritto descrive una sfida disputata a Kasugano, nella provincia di Nara, mentre nello stesso anno un editto dell'imperatore proibiva le discipline equestri perché troppo popolari, impoverendo le forze della cavalleria imperiale. È rimasto popolare tra l'aristocrazia fino al periodo Kamakura, quando si estinse a poco a poco (l'ultima partita è stata registrata nel 986).
Nel XVIII secolo il gioco riapparve, in gran parte dovuto al sostegno di Tokugawa Yoshimune. A questo punto si era evoluto da un gioco simile al polo (usando bacchette) a qualcosa di più simile al lacrosse. Durante questo periodo, il dakyu era considerato come un corollario per l'addestramento militare (allo scopo di una formazione delle competenze necessarie per maneggiare una lancia a cavallo). Questo aspetto è stato sottovalutato in epoca Meiji, quando il gioco ancora una volta perso la sua diffusione. Oggi sopravvive solo come assetto culturale; viene praticato come forma di spettacolo, soprattutto in Cina, in occasione di rievocazioni storiche.

Regole

Nella sua forma primitiva il gioco consiste nel colpire una pietra sferica con lunghe pertiche di legno. Le competizioni si svolgevano su campi non delimitati da alcun lato e lo scopo era quello di spingere la sfera nella zona avversaria.
Nel XV secolo vengono stabilite delle dimensioni per il campo (20 m di larghezza e 50 m di lunghezza) e fissato a 5 il numero di giocatori per squadra.
Nel XVI secolo si sostituiscono gli strumenti del gioco: dalle pertiche si passa a mazze con lunghe canne terminanti con rete metallica che cattura e sposta la palla, come nel lacrosse. Lo scopo è quello di tirare la palla dentro il cerchio avversario (46 cm di diametro) posto a 2,13 m dal suolo. Una partita è divisa in due tempi e termina quando una delle due squadre arriva a 12 punti.

Stile Kagemiryu

Nello stile di gioco Kagemiryu o Hachinohe, che risale al XVIII secolo, le squadre sono composte da quattro cavalieri ciascuna. I giocatori corrono a sospingere palline del diametro di 30 cm del loro colore nei quattro obiettivi posti nel campo (due per ogni lato), tirando da una distanza predefinita tra i 18 e i 27 metri dall'obiettivo. Un obiettivo centrato è segnalato da percussioni, tamburi per la squadra bianca, gong per la squadra rossa. La squadra vincente è la prima a mettere tutte le palle in gol.

Stile Yamagata

Nello stile Yamagata o Imperiale, vengono utilizzati bastoni più brevi (solo 1 metro, meno della metà della lunghezza di quelli utilizzati nello stile Hachinohe), ed entrambe le squadre devono centrare un unico obiettivo. La palla è anche più piccola, avendo soli pochi centimetri di diametro. Nei giochi in stile Yamagata vengono utilizzate cinque sfere, mentre undici nello stile imperiale. Quando l'obiettivo ha ricevuto tutte le palle, una palla finale chiamata agemari è messa in gioco; a seconda di quale squadra poi ha segnato con la agemari vince la partita.

venerdì 25 settembre 2015

Strategikon

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Lo Strategikon (in greco antico Στρατηγικόν) è un manuale sulla guerra del VI secolo redatto dall'imperatore bizantino Maurizio; è soprattutto un manuale pratico, "un manuale piccolo ed elementare", secondo l'introduzione, "per coloro che si dedicano al comando militare". È ancora incerto chi sia il vero autore dello Strategikon: Maurizio potrebbe averlo solo iniziato e forse suo fratello o un generale della sua corte potrebbe essere il vero autore. Il testo fu scritto in greco, divenuto lingua ufficiale dell'impero romano d'oriente, sebbene numerosi termini adoperati siano chiaramente di derivazione latina.
Strategikon fu il tentativo di codificare le riforme militari promulgate dall'imperatore-soldato Maurizio. Queste riforme rimasero in vigore per 500 anni, fino all'XI secolo.
L'opera consiste in dodici capitoli o "libri" e si occupa di tutto ciò che riguarda l'organizzazione, l'addestramento ed il supporto per le truppe a cavallo. Include anche piani per reclutare una milizia di contadini in modo tale da sostituire le armate mercenarie. Di particolare importanza ed interesse etnografico è l'undicesimo libro, che descrive molti dei nemici di Bisanzio (Franchi, Longobardi, Avari, Persiani e Slavi). Lo Strategikon appartiene anche alla letteratura legale bizantina in quanto contiene la lista delle infrazioni militari e delle relative punizioni.
Lo Strategikon fu molto stimato negli ambienti militari come il primo, e solo, esempio di una sofisticata teoria dell'utilizzo combinato delle varie specialità fino alla seconda guerra mondiale.