sabato 18 giugno 2016

Indra

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Nella religione induista, Indra (devanagari: इन्द्र) è il signore della folgore e dio del temporale, delle piogge e della magia. È la più grande divinità Deva e, sebbene chiamato monarca universale (titolo in realtà più usato per Varuna), non è da considerarsi una sovranità come quella di Zeus.
Il nome Indra vuol dire "Signore": è la divinità vedica che detiene il potere temporale ed è una divinità guerriera. Indra è amante delle donne, è nobilmente iracondo ed è solito ubriacarsi prima delle battaglie. Dopo le sue bevute spesso diventa violento e distrugge qualsiasi cosa; nonostante ciò è considerato una divinità saggia e detentrice di connotati positivi: valore, forza e coraggio.
Essendo l'induismo una religione enoteista, nel pantheon vedico, a differenza di quello greco, ciascun Deva è celebrato come il più grande negli inni a lui dedicati. A decretare il primato di Indra sulle altre divinità sono soprattutto i numerosissimi inni a lui dedicati che si trovano nel Rig Veda, quasi un quarto (circa 250) e in altri 50 è citato.
Indra è il dio guerriero, protettore degli Arii, che guida nelle loro conquiste. La sua figura è gigantesca, ha barba e capelli biondi avvolti in un turbante, e marcia in battaglia su un carro trainato da due cavalli sauri brandendo in mano la vajra, arma che simboleggia la folgore, oppure la rete d'Indra, simbolo del mago e dell'illusionista. Indra è un grande bevitore di soma, bevanda tipica del sacrificio vedico, che beve in grandi quantità prima dei combattimenti.
Indra è anche considerato l'uccisore di Vṛtra (dalla radice vṛ=costringere, avvolgere. È spesso raffigurato come serpente costrittore), figlio di Tvaṣṭṛ (l'artigiano degli dei), che è anche padre di Indra. Per cui Indra e Vṛtra possono essere considerati fratelli. Indra per natura va contro l'ordine. Al principio Vṛtra, il serpente costrittore, avvolgeva ogni cosa dentro sé e perciò conteneva il mondo dentro il suo stomaco. Egli era totalmente immerso nella contemplazione di sé stesso da non permettere che la manifestazione fluisse, perciò Indra per realizzare il mondo fu costretto a sacrificare il fratello. In alcuni mantra sembra addirittura che sia Vṛtra a chiedere a Indra di ucciderlo. In un certo senso Vṛtra e Indra sono lo stesso principio, ma Indra volendo gustare della beatitudine di percepire l altro, decide di distruggere il mostro costrittore e far sì che la possibilità universale contenuta all'interno di esso si realizzi in atto. Tagliando a metà Vṛtra dalle due parti si formano il sole e la luna e dal suo stomaco escono, anche qui a seconda dei mantra, acqua o vacche (simbolo delle nuvole). Vṛtra è anche considerato una fortezza inespugnabile e perciò Indra è chiamato il distruttore di fortezze. La fortezza, essendo simbolo dell'inespugnabilità per eccellenza, in termini vedici assume spesso la figura di una notte senza stelle, dell'oscurità (grande nemica di Indra), perciò Indra squarciando la notte-fortezza-oscurità, genera Uṣas (l'aurora). Dalla distruzione di Vṛtra perciò Indra ricava così l'acqua (Soma) e il fuoco (Agni).
La città di Indra è Amaravati, situata vicino al monte Meru.

Il mito della parata delle formiche

Questo mito, contenuto nell'opera il re e il cadavere (Adelphi) dell'eminente indologo Robert Heinrich Zimmer, affronta il tema dell'eternità e del tempo, della trasmigrazione delle anime e dell'esistenza transitoria dell'individuo. Il dio Indra dopo aver colpito con la sua folgore il drago, un gigantesco asura, che teneva prigioniere le acque nel suo ventre e dopo aver quindi permesso ad esse di scorrere libere nuovamente era stato acclamato ed esaltato da tutte le divinità dei cieli come il salvatore.
Proprio Indra, per ridare splendore alla città che era caduta in rovina, aveva affidato così a Visvakarman, il dio delle arti e dei mestieri, il compito di erigere un palazzo di splendore incomparabile. Col procedere dei lavori, Indra era diventato sempre più esigente nelle sue richieste chiedendo al dio meraviglie sempre più grandiose. Visvakarman allora, disperato, si era rivolto al creatore del mondo Brahma, il quale lo aveva rassicurato dicendogli che ben presto si sarebbe liberato di quel fardello. Brahma a sua volta si era rivolto all'Essere Supremo Vishnu il quale con un semplice cenno del capo gli aveva fatto capire che la richiesta di Visvakarman sarebbe stata esaudita.
Il giorno dopo si era presentato al palazzo di Indra un brahmano, ancora fanciullo, splendente sia di bellezza che di saggezza. L'incontro con Indra aveva avuto luogo nella sala delle udienze dove il fanciullo aveva spiegato il motivo della sua visita: aveva sentito parlare del suo prestigioso palazzo e voleva capire quanti anni ci sarebbero voluti per ultimarlo e quali opere avrebbe ancora dovuto compiere Visvakarman, visto che nessun Indra prima di lui aveva avuto una dimora di tale bellezza. Indra paternalisticamente aveva chiesto a sua volta quanti Indra potesse aver conosciuto il giovinetto e quello aveva replicato di averne conosciuti parecchi e di aver assisto alla distruzione dell'universo e di aver visto tutte le cose morire al termine di ogni ciclo. "Chi enumererà le epoche del mondo che passano succedendosi l'una all'altra? Chi conterà gli universi trascorsi e le nuove creazioni sorte dall'abisso? Quanto agli universi che in un qualsiasi momento esistono fianco a fianco, ognuno dei quali contiene un Brahma e un Indra, chi mai potrà calcolarne il numero?". Mentre stava pronunciando queste parole era entrato nella sala un esercito di formiche. Il fanciullo allora sorridendo aveva spiegato a Indra che ciascuna di queste formiche era stata un tempo, in virtù delle sue qualità, re degli dei, ma ora, attraverso la rinascita, ciascuna era ridiventata formica.
Anche gli dèi periscono e si corrompono. Tale era la sostanza del segreto. Da quel momento Indra, il re degli dei, era stato umiliato e il suo orgoglio era stato abbattuto; finalmente guarito da un'ambizione eccessiva, egli era stato condotto, per mezzo di una saggezza spirituale e mondana, a riconoscere il proprio ruolo nel gioco dell'esistenza, la ruota della quale gira senza fine

venerdì 17 giugno 2016

Mon

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I mon (), o monshō (紋章), mondokoro (紋所), e kamon (家紋), sono gli emblemi giapponesi usati per decorare e identificare un individuo o una famiglia (soprattutto i kamon e i mondokoro, simili agli stemmi dell'araldica europea.
Essi vengono utilizzati inizialmente dai clan di samurai per distinguersi e riconoscersi più facilmente sul campo di battaglia. Si tratta generalmente di disegni stilizzati inseriti all'interno di una forma geometrica. Il loro impiego risale al periodo Kamakura. Durante il Periodo Edo, solo i daimyo avevano il diritto di possederne due. Dall'inizio del periodo Meiji, il loro utilizzo si diffonde anche tra il popolo.


Storia

I kamon giapponesi – emblemi/stemmi di famiglia – indicavano il lignaggio, la parentela o la posizione sociale di chi li esibiva. Si ritiene siano nati in periodo Nara (710-784) o Heian (794-1185) quando era abitudine applicare esternamente emblemi di famiglia sui carri che trasportavano i nobili. Questi elementi, che si ispiravano ad antichi simboli cinesi, erano altresì utilizzati all'epoca per decorare stoffe e tessuti preziosi delle classe aristocratica, ma non si può parlare ancora ufficialmente di veri e propri stemmi familiari.
Sarà invece a partire dal periodo seguente – periodo Kamakura (1185-1333) e Muromachi-Momoyama (1333-1603) – che armature, bandiere e stendardi militari verranno decorati con kamon sia con lo scopo funzionale di riconoscere alleati e nemici sui campi di battaglia durante gli scontri, ma anche come segno di servizio distintivo. Spesso paragonati ai blasoni della cavalleria europea, in realtà ne differivano molto, dal momento che non avevano il valore di stemmi gentilizi, anche perché nell'antico Giappone – salvo rare eccezioni – non esistevano propriamente i cognomi.
Fu poi a partire dal XVII secolo – periodo Edo (1603-1868) – che i kamon assunsero gradualmente una funzione più decorativa, a detrimento della loro funzione di simbolo autoritario. Non solo il Paese entrò in un lungo periodo di pace che ne vanificò, quindi, parzialmente, l'utilizzo sui campi di battaglia, ma anche perché mercanti e commercianti assunsero via via un proprio kamon, andando così a diffondere il loro impiego anche presso altre classi sociali. Dai duecento prototipi di motivi kamon, appartenenti alle classi nobili e samurai, si arrivò ad averne più di 7-8.000, declinati in varie forme e stili. Basti pensare, a titolo di esempio, che il fiore di pruno – molto caro alla tradizione nipponica – arrivò ad avere ben novanta varianti come kamon. L'utilizzo di alcuni emblemi, tuttavia, fu delimitato ai membri di determinate famiglie nobili o di samurai, come per esempio il fiore di malvone presente sui kamon della famiglia Tokugawa – gli shōgun del periodo Edo.
Verso la metà del XVIII secolo, infatti, venne creato una sorta di registro ufficiale nazionale in cui, annualmente, erano riportati ed aggiornati, i disegni degli emblemi e i nomi familiari ad essi associati. Durante questo lungo e contraddittorio periodo storico e culturale – il periodo Edo – mercanti, attori del teatro kabuki e cortigiane del "mondo fluttuante" cittadino di Edo (l'antica Tōkyō), Ōsaka e Kyōto usarono altresì i kamon con funzioni di logo personali – una sorta di marchi commerciali – per sponsorizzare le proprie professioni. Ma la ricchezza numerica e funzionale dei kamon, si rifletterà altresì su svariate tipologie di emblemi con lo stesso motivo, ma usate in occasioni più o meno pubbliche, più o meno formali.

Simboli

Il mon sarebbero nati come modelli cuciti sugli abiti o per distinguere una leadership in uno specifico clan od organizzazione. Dal XII secolo, fonti danno una chiara indicazione di come furono adottati come distintivi, soprattutto in battaglia. Si trovavano anche su bandiere ed equipaggiamenti.
Le regole che stabilivano la scelta del mon erano alquanto limitate, sebbene la sua selezione fosse generalmente determinata da norme sociali. Era considerato inappropriato usare un mon che veniva già utilizzato da qualcun altro, e soprattutto offensivo usare un mon già in uso da persone di alto rango. Quando dei mon entravano in conflitto, le persone di rango inferiore spesso cambiavano il proprio per evitare di provocare l'ira degli appartenenti ai ceti più alti. I mon dei clan più prestigiosi del Giappone, come la malvarosa dei Tokugawa e il crisantemo dell'Imperatore godevano di protezione legale contro l'uso improprio. Occasionalmente, i capi dei clan concedevano l'uso del loro mon ai propri vassalli in segno di ricompensa. Analogamente alla concessione del cognome del signore, era considerato un grande onore.
Non ci sono regole nella scelta del simbolo del mon. La maggior parte consistono in cerchi che racchiudono piante, fiori, animali, entità naturali, celestiali o artificiali, tutti rappresentati astrattamente. Comunemente usati erano anche simboli religiosi, forme geometriche e kanji.
Simili agli stemmi dell'araldica europea, ai mon viene attribuito il nome di ciò che rappresentano, anche se non esistono regole in tal senso. Contrariamente agli stemmi europei, tuttavia, i nomi non servono ad identificare i mon ma solo a descriverli.
L'araldica giapponese non ha un sistema di brisura, ma non è raro che un ramo cadetto di una famiglia decida di utilizzare un mon leggermente diverso da quello della famiglia di origine. Ogni famiglia principesca Shinnōke, per esempio, usava come mon un crisantemo leggermente modificato. Chiunque avesse un mon lo poteva combinare con quello del proprio signore, benefattore o sposo, talvolta creando simboli ancora più complicati.
I mon sono essenzialmente monocromatici. Il colore non ne è parte integrante e i simboli possono essere disegnati in qualunque tonalità.

Uso moderno

Praticamente tutte le famiglie giapponesi hanno un mon. In occasioni in cui l'uso mon è necessario, l'interessato può cercare quello della propria famiglia nei registri del tempio della città di origine o consultare una delle molte pubblicazioni disponibili in materia genealogica, anche online.
È possibile vedere dei mon disegnati in negozi che si occupano delle arti e dei costumi tradizionali giapponesi. In particolare vengono utilizzati dai ristoranti di sushi, che incorporano i mon nei propri loghi.
I mon aggiungono un tocco di formalità e ricercatezza ai kimono, ad esempio. Un kimono può avere uno, tre o cinque mon. Gli stessi mon possono essere formali o informali, a seconda dell'occasione d'uso dell'indumento. Kimono molto formali hanno più mon, in modo tale da farli risaltare. Nei capi di abbigliamento delle classi dirigenti, i mon si possono trovare ai lati del petto, su entrambe le maniche e nel centro della parte dietro. Sull'armatura di un guerriero, poteva trovarsi sul kabuto (l'elmo), sul (il busto) e sugli stendardi. I mon inoltre adornano scrigni, tende, ventagli e altri oggetti importanti.
Come in passato, i mon moderni non sono protetti dalla legge, ad eccezione del sigillo imperiale giapponese, il celebre Crisantemo Imperiale, che funge anche come emblema nazionale, e la paulownia, che è il mon del Primo Ministro e l'emblema del governo.

giovedì 16 giugno 2016

Zhongyang Guoshu Guan

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La Zhongyang guoshu guan (中央国术馆, Zhōngyāng guóshù guǎn, palestra centrale di Arte Nazionale, in Italia è spesso reso con Accademia Centrale di Nanchino) di Nanchino è un'istituzione nazionale di arti marziali cinesi fondata con una legge pubblicata il quindicesimo giorno del terzo mese del 1927. In origine il nome era Guoshu yanjiu guan (国术研究馆, Guóshù yánjiū guǎn).

L'Istituto

Questa “scuola” era diretta da Zhang Zhijiang (张之江) ed era divisa in dipartimenti di ricerca, di pubblicazione e di insegnamento. Il dipartimento di insegnamento era diviso a sua volta in due sezioni: Shaolin men (少林门), che si occupava di stili esterni, Wudang men (武当门), che si occupava di stili interni. Dal 1929 l'indirizzo dello Zhongyang Guoshu Guan è Toutiaoxiang al numero 6 presso la porta magnificente Ovest a Nanchino (南京西华门头条巷6). Questa esperienza si interromperà nel 1937 con l'invasione Giapponese, ma sarà alla base dello sviluppo del Wushu moderno e delle varie Associazioni di Guoshu dell'isola di Taiwan, dopo la conclusione della guerra civile nel 1949.

Gli Esami Nazionali

Il Primo Guokao

La scuola organizzò incontri sportivi, combattimenti a mani nude e con armi corte e lunghe. Il primo “esame nazionale” (Guokao 国考) si è tenuto a Nanchino nel 1928 ed ha riunito 333 partecipanti provenienti da 17 province; si svolse in una certa confusione a causa dell'assenza di un regolamento e per lo stesso motivo il numero dei feriti fu tale che la giuria dovette procedere ad eleggere i vincitori. Si distinsero in particolare quindici atleti: Zhu Guofu (朱国福), Gu Ruzhang (顾汝章), Wang Yunpeng (王云鹏), Zhang Changyi (张长义), Ma Yufu (马裕甫), Dou Laigeng (窦来庚), Yang Shiwen (杨士文), Zhang Yingzhen (张英振), Yang Fawu (杨法武), Wang Chengzhang (王成章), Zhu Guozhen (朱国桢), Zhang Weitong (张维通), Zhu Guolu (朱国禄), Ma Chengzhi (马成智), Hu Jiong (胡炯).


Lianbuquan

Lianbuquan (Pinyin)), Lien pu ch'uan (Wade-Giles), in cinese viene scritto in due maniere differenti 练步拳 e 连步拳 che in Italiano significano rispettivamente Pugilato per allenare le posizioni e Pugilato delle posizioni concatenate. Questa è una forma che è stata utilizzata nella Zhongyang Guoshu Guan di Nanchino ed in origine sarebbe stata Shaolin Longquan. L'esercizio si compone di 3 Duan per un totale di 36 shi (figure). In Italia all'interno della scuola fondata da Chang Dsu Yao si usa questo nome per indicare una forma semplificata di Meihuaquan.

mercoledì 15 giugno 2016

Ashikaga Yoshiakira

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Ashikaga Yoshiakira (足利 義詮; 4 luglio 1330 – 28 dicembre 1367) è stato un militare giapponese. Figlio di Ashikaga Takauji, gli succedette alla guida del Giappone come secondo shōgun dello shogunato Ashikaga.
Trascorse l'infanzia a Kamakura come ostaggio del clan Hōjō; suo padre Takauji, insieme a Nitta Yoshisada e all'Imperatore Go-Daigo combatté contro gli Hōjō portando alla caduta dello shogunato Kamakura, e la città di Kamakura fu espugnata e incendiata. Nella successiva Restaurazione Kemmu, Kamakura fu assegnata a Yoshiakira.
A causa di problemi interni al governo Yoshiakira fu richiamato a Kyōto; dopo la morte del padre gli succedette come nuovo Seii Taishōgun.
La sua tomba si trova all'interno del tempio Tō-ji, a Kyōto. Un anno dopo la sua morte, nel 1368, gli succedette come shōgun il figlio Yoshimitsu.

martedì 14 giugno 2016

Gunbai

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Il gunbai (軍配 abbreviazione per 軍配団扇 gunbai uchiwa) è una tipologia di ventaglio da guerra giapponese.

Descrizione

Realizzati in legno o in legno ricoperto da placche metalliche i Gunbai erano ventagli rigidi usati dai samurai per comunicare gli ordini ai propri commilitoni.
Ad oggi continuano ad essere usati nel sumo dai Gyōji, i quali designano il vincitore degli incontri indicandoli con il ventaglio. Da questo uso è derivata una nomenclatura peculiare di questo sport: i Gyōji vengono spesso soprannominati Gunbai e, qualora sia messo in dubbio il loro verdetto, la decisione di attenersi ad esso prende il nome di gunbai-dori (軍配通り), letteralmente "stando al gunbai", mentre la decisione di non attenervisi prende il nome di gunbai sashichigae (軍配差し違え), letteralmente "gunbai mancato".

lunedì 13 giugno 2016

Hashiba Hidekatsu

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Hashiba Hidekatsu (羽柴 秀勝; 1568 – 29 gennaio 1586) fu un samurai giapponese del periodo Sengoku appartenente al clan Oda della provincia di Owari. Quarto figlio di Oda Nobunaga fu adottato da Hashiba Hideyoshi in giovane età.
Quando Nobunaga fu ucciso nel 1582, Hidekatsu si trovava a Kojima nella provincia di Bizen. Durante il funerale del padre portò la sua lapide mortuoria (ihai). Successivamente ricevette il castello di Kameyama nella provincia di Tamba (oggi nei pressi di Kameoka).
Subito dopo la morte del padre Hidekatsu assistette Hideyoshi nella battaglia di Yamazaki, guidando la disfatta di Akechi Mitsuhide. Servì Hideyoshi anche durante la battaglia di Komaki e Nagakute.
Hidekatsu morì improvvisamente nel 1586 e molti pensano sia stato ucciso su ordine di Hideyoshi.

domenica 12 giugno 2016

Hatakeyama Masanaga

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Hatakeyama Masanaga (畠山 政長; 1442 – 9 giugno 1493) è stato un daimyō giapponese del periodo Muromachi appartenente al ramo Kawachi-Hatakeyama della provincia di Kawachi. Secondo alcune fonti fu lui ad inventare lo horo, un tipo di mantello utilizzato dalle guardie del corpo o dai messaggeri sul campo di battaglia per incrementare la loro visibilità.

Biografia

Masanaga è noto per la sua disputa con Hatakeyama Yoshinari nel 1467 per la posizione di Kanrei. Questa diatriba si allargò fino a diventare un grande conflitto che finì per coinvolgere anche Hosokawa Katsumoto e Yamana Sōzen dando inizio alla guerra Ōnin. Masanaga e Yoshinari furono alquanto inattivi durante questo periodo poiché sia Yamana che Hosokawa li avevano avvertiti che il primo che avesse ingaggiato battaglia sarebbe stato dichiarato un ribelle dallo shogunato. Diventare "ribelle" a quei tempi significava perdere alleanze e onore. Entrambi furono presto coinvolti in una guerra più grande, e Masanaga morì combattendo contro Ōuchi Masahiro, uno dei generali di Yamana.

sabato 11 giugno 2016

Hatakeyama Shigetada

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Hatakeyama Shigeyasu (畠山 重忠; 1164 – 1205) noto anche come Shirafuji Hikoshichirō, fu un samurai che combatté nella guerra Genpei. All'inizio si schierò con il clan Taira, ma cambiò schieramento prima della battaglia di Dan-no-ura. Apparteneva alla prima linea del clan Hatakeyama.
Dopo la fine della guerra, quando suo figlio Shigeyasu fu ucciso da Hōjō Tokimasa, Shigetada si ribellò. Le conseguenze della sua temerarietà fu la morte, assieme al resto della sua famiglia. Il suo coraggioso tentativo di difendere il proprio onore, assieme ad altre varie azioni di forza ed abilità sono riportate nello Heike Monogatari ed in altre cronache dell'epoca.
In un aneddoto presente nel Heike monogatari si racconta che Shigeyasu, assieme ad altri samurai, fu il primo ad attraversare il fiume Uji. Quando il suo cavallo fu colpito da una freccia venne abbandonato e Shigeyasu usò il suo arco come un remo per aiutarsi nell'attraversata. Tuttavia non appena raggiunse la riva suo nipote Okushi no Shigechika chiese aiuto, e fu salvato da Shigeyasu; successivamente Shigechika si alzò in piedi e proclamò di esser stato il primo ad attraversare il fiume.
Dopo la battaglia di Awazu nel 1184, Shigetada fallì nel tentativo di catturare Tomoe Gozen.

venerdì 10 giugno 2016

Hatakeyama Takamasa

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Hatakeyama Takamasa (畠山 高政; 1527 – 5 novembre 1576) è stato un daimyō giapponese del periodo Sengoku, appartenente al ramo Kawachi-Hatakeyama della provincia di Kawachi.

Biografia

Takamasa era figlio di Hatakeyama Masakuni (gli altri figli erano Masayori e Akitaka) e governava dal castello di Takaya nella provincia di Kawachi. Si scontrò con il clan Miyoshi tra il 1559 e 1560 e nel 1568 Ashikaga Yoshiaki lo mise a capo del castello di Takaya. Takamasa nel 1573 perse il castello dopo la rivolta di un vassallo chiamato Yuza Nobunori. Il castello fu successivamente riconquistato da Oda Nobunaga che non ne ridiede a Takamasa il controllo.

giovedì 9 giugno 2016

Arbalesta

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L'arbalesta è una tarda variante della balestra medievale europea.

Descrizione

Più grande di una normale balestra, l'arbalesta aveva un corpo d'acciaio. Le maggiori dimensioni e il maggiore carico di rottura dell'acciaio le consentivano una forza maggiore. Le arbaleste più potenti erano attrezzate con una piccola carrucola per il caricamento, e potevano sprigionare fino a 22 kN (circa 2243 kgf), ed erano precise fino a 900 metri di distanza. Un bravo balestriere potrebbe tirare un quadrello due volte ogni minuto. Le arbaleste erano a volte considerate disumane o scorrette, dato che un arbalestriere senza esperienza avrebbe potuto uccidere un cavaliere di livello superiore.

mercoledì 8 giugno 2016

Hatakeyama Yoshifusa

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Hatakeyama Yoshifusa (畠山 義総; 1491 – 1545) è stato un samurai giapponese del periodo Sengoku, appartentente al ramo Noto-Hatakeyama della provincia di Noto.

Biografia

Succedette alla guida del clan al posto di Hatakeyama Yoshimoto nel 1514. Per consolidare il potere rinforzò il castello di Nanao e ci si stabilì attorno al 1526. Yoshifusa era un benefattore degli studiosi e ne invitò diversi di Kyoto a Nanao. Yoshifusa fu un leader molto abile e sotto il suo comando il clan Noto-Hatakeyama godette di un lungo periodo di pace e stabilità. Fu succeduto dal figlio Hatakeyama Yoshitsugu.

martedì 7 giugno 2016

Iaitō

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Lo iaitō (居合刀) è un'imitazione della katana ed è utilizzato per la pratica dello iaidō, un'arte marziale giapponese. Il termine iaitō viene a volte utilizzato per indicare anche un mogitō (模擬刀), che letteralmente significa "finto" o "imitazione di spada". Una reale spada giapponese è spesso chiamata shinken.

Materiali e processo produttivo

La maggior parte degli iaitō sono fatti con una lega di alluminio-zinco che spesso è meno costosa dell'acciaio. L'utilizzo di leghe e lame non affilate, soddisfa anche l'obbligo giuridico giapponese in merito alla limitazione della produzione di spade fatte in materiali ferrosi. In quanto tali, gli iaitō sono considerate come armi per l'allenamento e non sono adatte per il contatto. Le migliori lame sono fedeli riproduzioni di spade reali, fino ad avere lo stesso peso, forma e con finiture di alta qualità. Iaitō può anche avere un finto hamon (lama costituita da acciaio temperato).
Alcune imitazioni di spade giapponesi sono prodotte in Paesi diversi dal Giappone. Esse possono anche essere fatte con acciaio ripiegato, secondo un procedimento molto simile alla vera katana, ma hanno una lama non affilata. In Giappone, tali armi sono soggette alle stesse restrizioni delle vere spade, nihonto or shinken, e, sempre in Giappone, non vengono chiamate iaitō.
Molti produttori di spade tradizionali che operano in Seki, Prefettura Gifu, producono anche iaitō.
In Giappone, alcuni dojo raccomandano che per la pratica dell'iaidō vengano utilizzate solo lame in lega finché il livello del praticante non sia tale da considerare sicuro l'uso di lame affilate, nihonto o shinken. Alcune scuole tradizionali di iaidō (koryū) possono richiedere ad uno studente di iniziare con un shinken, allo stesso modo, alcuni dojo moderni proibiscono categoricamente l'uso di shinken.
Le caratteristiche dello iaitō quali lunghezza, peso e bilanciamento, risultano fondamentali per una corretta e sicura pratica delle forme dello iaidō (kata). A causa delle ripetizioni presenti nella pratica dello iaidō, gli iaitō sono spesso costruiti con un punto di bilanciamento della lama più lontano dal punto di taglio (kissaki) e più vicino alla guardia (tsuba) rispetto alle altre lame.

lunedì 6 giugno 2016

Baba Nobuharu

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Baba Nobuharu (馬場 信春; 1514/15 – 29 giugno 1575) è stato un samurai e generale giapponese del periodo Sengoku.
Chiamato anche Baba Nobufusa (馬場 信房), è conosciuto come uno dei ventiquattro generali di Takeda Shingen. Baba combatté nelle battaglie di Mikatagahara e Nagashino, nella quale guidò l'avanguardia destra di Takeda Katsuyori.
Quando Takeda Shingen prese il castello di Fukashi (oggi castello di Matsumoto) nel 1550, lo affidò a Baba. Nel 1573 a Mikatagahara incalzò i sopravvissuti dell'esercito di Tokugawa Ieyasu che si stava ritirando verso il castello di Hamamatsu; vedendo le porte del castello aperte ed i bracieri accesi sospettò una trappola e non seguì ulteriormente l'esercito in fuga. Fu ucciso tre anni più tardi a Nagashino quando due samurai lo attaccarono contemporaneamente decapitandolo.
Il Kōyō Gunkan racconta che Shingen consultava spesso Nobuharu sulle questioni importanti. Prima di Nagashino, si ritiene che Nobuharu abbia combattuto in 21 battaglie senza ricevere una singola ferita.

domenica 5 giugno 2016

Le Sang

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Lê Sáng (Hanoi, 1920 – Ho Chi Minh, 27 settembre 2010) è stato un artista marziale vietnamita, presidente della federazione mondiale di Vovinam viet vo dao.
Allievo del Maestro Fondatore Nguyễn Lộc, sin dai primi anni partecipò pienamente alla codifica del Vovinam, che avvenne nel 1938. Divenne Patriarca di seconda generazione nel 1960, alla morte di Nguyen Loc, perché allievo più anziano e più preparato tecnicamente che fin dall'inizio aveva seguito il Maestro. Era diventato parte della famiglia, e quindi gli venne riconosciuto questo importante ruolo alla morte del fondatore.
Al Maestro Le Sang si devono molte cose, e non solo il programma tecnico, ma prima di tutto il nome che più è conosciuto nel mondo, Viet vo dao. Lui inserì tutta la parte filosofica, legando all'arte marziale tutta la parte spirituale, per questo creò "la via dell'arte arte marziale vietnamita" (viet vo dao in vietnamita), che da quel giorno incominciò a chiamarsi Vovinam viet vo dao, indicando così nel nome la parte tecnica e la parte spirituale, nonostante in Vietnam ancora adesso venga chiamata solamente Vovinam. Una grande innovazione venne data sotto l'aspetto tecnico. Il Maestro Le Sang decise che il Vovinam doveva essere di più che solo una disciplina da combattimento, doveva avere tutte le caratteristiche di arte marziale tradizionale, quindi Quyen, Song Luyen, e tutto il lavoro di base che un'arte marziale vera debba avere perché sia riconosciuta come tale. Fu il Maestro Le Sang ad adottare la divisa ora utilizzata, il Vo Phuc azzurro, prima la divisa ufficiale del Vovinam erano solamente dei pantaloncini corti con i colori delle attuali cinture.
Non fu inserito tutto da lui, già con il maestro fondatore questo lavoro era stato portato avanti, ma lui con l'aiuto dei suoi collaboratori più stretti lo completò, dando così al Vovinam l'impostazione attuale.
Il Maestro Le Sang dopo la guerra del Vietnam venne incarcerato per 13 anni, venne sostituito dal Maestro Trần Huy Phong (1938-1997), che per un certo periodo fu il maestro Patriarca di terza generazione, e che apportò altre novità nel programma, rendendolo sempre più completo.
Nel 1987 il maestro Le Sang uscì dal carcere, e tornò all'opera e continuò lo sviluppo del Vovinam, spingendo perché il Vovinam si distribuisse nel mondo. Il maestro ha vissuto gli ultimi anni di vita in Vietnam, ad Ho Chi Minh presso il To Duong, la sala dell'altare dove ogni mattina si allenava lavorando pazientemente il programma di energia interna del Vovinam, i Nhu Khi Cong Quyen.
Il 27 settembre dopo un lungo periodo di malattia alle 3 di notte è morto nella città di Ho Chi Minh.

sabato 4 giugno 2016

Yajurveda

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Lo Yajurveda (devanāgarī यजुर्वेद, sostantivo maschile sanscrito composto da yajus, "formula sacrificale", e veda, "sapienza" o "conoscenza": "Veda delle formule sacrificali") è una delle suddivisioni canoniche dei Veda. Lo Yajurveda è a sua volta distinto in Kṛṣṇa Yajurveda (Yajurveda nero) e Śukla Yajurveda (Yajurveda bianco).

Generalità

Nello Yajurveda, più precisamente nelle sue Saṃhitā, sono raccolte le formule sacrificali (yajus) nonché i mantra già presenti nel Ṛgveda mormorati dal sacerdote officiante il sacrificio vedico (yajña) indicato come adhvaryu.

Suddivisione

Le due collezioni in cui lo Yajurveda è tradizionalmente distinto sono:
  • il Kṛṣṇa Yajurveda (Yajurveda nero), la parte più antica detta "nera" (kṛṣṇa) forse perché considerata meno 'pura', in quanto nei testi ivi raccolti sussiste una confusione fra i contenuti delle Saṃhitā e dei Brāhmana;
  • lo Śukla Yajurveda (Yajurveda bianco), più recente del Kṛṣṇa Yajurveda, detta "bianca" in virtù della distinzione effettuata sui contenuti e sul differente ordine a essi dato.

Kṛṣṇa Yajurveda

Nel Kṛṣṇa Yajurveda troviamo tre raccolte di formule, tre Saṃhitā cioè: la Kaṭhaka Saṃhitā o Kapiṣṭhala-Kaṭha Saṃhitā, la Maitrāyaṇi Saṃhitā e la Taittirīya Saṃhitā; a quest'ultima è associato il Taittirīya Brāhmaṇa; da cui il Taittirīya Āraṇyaka; infine troviamo ben sei Upaniṣad, tutte ben note e importanti: la Taittirīya Upaniṣad, la Kaṭha Upaniṣad, la Mahānārāyaṇa Upaniṣad, la Maitrī Upaniṣad, la Prāṇāgnihotra Upaniṣad e la Śvetāśvatara Upaniṣad.

Śukla Yajurveda

Nello Śukla Yajurveda abbiamo un'unica Saṃhitā, la Vājasaneyī Saṃhitā; un Brāhmaṇa molto noto, il Śatapatha Brāhmaṇa; un Āraṇyaka, il Bṛhad Āraṇyaka; e cinque Upaniṣad. Le prime quattro sono: la Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad (la più antica fra le Upaniṣad canoniche), la Jābāla Upaniṣad, la Paiṅgala Upaniṣad e la Sūrya Upaniṣad. A queste va considerata aggiunta la Īśā Upanisad, testo anch'esso molto noto, costituito dalle ultime sei strofe del primo terzo della quattordicesima sezione della Vājasaneyī Saṃhitā, e che quindi è da ritenersi precedente alla Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad.

venerdì 3 giugno 2016

Hatakeyama Yoshitsuna

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Hatakeyama Yoshitsuna (畠山義綱; 1536 – 1594) è stato un samurai giapponese del periodo Sengoku, appartentente al ramo Noto-Hatakeyama della provincia di Noto.

Biografia

Yoshitsuna succedette al padre Hatakeyama Yoshitsugu all'età di 16 anni. In quel periodo si era formato un consiglio di sette servitori del clan Hatakeyama e questi cercarono di usare Yoshitsuna come un burattino. Yoshitsuna e Yoshitsugu lavorarono in silenzio per creare frizioni all'interno del consiglio. Trovarono un alleato in Igawa Mitsunobu che avevano nominato al consiglio nel 1554 a seguito della morte di un membro iniziale. La guerra civile scoppiò nuovamente lo stesso anno con l'effetto di migliorare la posizione di Yoshitsuna. Yoshitsuna non fu comunque in grado di mantenere il controllo sui suoi servitori e fu costretto a fuggire nella provincia di Ōmi attorno al 1566. Il figlio Yoshitaka fu rovesciato da quegli stessi servitori nel 1574, spingendo Uesugi Kenshin ad attaccare successivamente la provincia di Noto. Yoshiharu, fratello di Yoshitsuna, servì il clan Uesugi e divenne successiamente noto come come Jōjō Masashige.

giovedì 2 giugno 2016

Kimura lock

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La Kimura lock è una mossa di sottomissione usata nel ju-jitsu e nel pro-wrestling, resa famosa in quest'ultima dal lottatore Brock Lesnar, fu inventata nel 1935 dal lottatore di ju-jitsu giapponese Masahiko Kimura e mostrata in molti film di arti marziali e MMA.

Esecuzione

La Kimura lock si "chiude" portando il proprio braccio sinistro sulla spalla del braccio destro avversario facendolo passare sotto il gomito dello stesso braccio; col braccio destro bisogna afferrare il polso destro avversario e finalizzare la mossa mantenendo il vostro braccio sinistro con il vostro avambraccio destro e tirare l'arto avversario verso l'alto.
Ci sono vari modi per eseguire questa mossa, la si può fare da sdraiati, mantenendo il corpo dell'avversario con le gambe evitando di perdere la presa, oppure in piedi mettendo la testa dell'avversario sotto il vostro braccio destro.



Effetti

La Kimura lock è una mossa molto potente quanto facile da eseguire, gli effetti che comporta per l'avversario è un forte dolore alle ossa perché la cartilagine della spalla e i muscoli iniziano a contrarsi in maniera dannosa e se accompagnata da bruschi movimenti verso l'alto i muscoli e/o la cartilagine possono strapparsi oppure rompere direttamente la giuntura tra la clavicola e il braccio.



mercoledì 1 giugno 2016

Acinace






Dario I di Persia con una acinace in grembo





Un membro della Guardia reale esibisce una acinace al suo fianco. Da un bassorilievo da Persepoli.



Acinace, scritto anche akinakes (greco ἀκινάκης) o akinaka (da un ipotetico e non attestato termine persiano *akīnakah) è termine usato per indicare un tipo di spada o daga usata dagli antichi persiani.




Origine e disegno

Il disegno dell'arma ha un'origine scita, anche se a renderla famosa furono i persiani grazie ai quali l'arma ebbe una rapida diffusione nel mondo antico, tanto che una sua influenza può essere rintracciata perfino nel disegno della antiche armi cinesi. L'acinace è lunga, tipicamente, 36–46 cm, con due bordi affilati, un pomolo diviso, e una guardia cruciforme a forma di B o anche rettangolare o arrotondata, che, sebbene profonda, non si protende molto dalla lama.
È interessante notare che ciò che più di ogni altra cosa permette di identificare l'acinace è la sua fodera, di solito sospesa con un unico aggancio su uno dei lati, in modo da pendere in maniera asimmetrica, in diagonale sull'anca destra.
Poiché l'acinace sembra essere stata un'arma da stoccata, e siccome era indossata generalmente sulla destra, l'inclinazione in avanti doveva servire probabilmente a permetterne la rapida estrazione, in una posizione molto favorevole per portare assalti a sorpresa, trovandosi infatti impugnata con la lama inclinata verso il basso e in avanti.


Testimonianze testuali ed artistiche

Cavaliere dei Parti di scorta a una carovana di cammelli (dettaglio), con una daga (acinace) plurilobata sulla destra. Riproduzione da un bassorilievo da Palmira.

Acinaci d'oro, da Tillia Tepe, I secolo d.C.



I testi antichi ci dicono veramente poco di quest'arma, al di fuori del fatto, abbastanza scontato, che era una spada persiana. Per questo motivo, gli autori latini che ne hanno scritto nel tempo, hanno usato il termine acinace per indicare indistintamente qualsiasi altra arma usata dai persiani nel corso dei secoli. Così è frequente, nel latino medioevale, che si indichi con il termine acinace la scimitarra o altre simili, una consuetudine linguistica che ha lasciato un'evidente traccia in alcune nomenclature binomiali di specie animali o botaniche.
Paulus Hector Mair, esperto tedesco di arti marziali e scherma storica vissuto nel XVI secolo, si spinge ancora più in là, arrivando a tradurre con acinace il tedesco dussack, un termine usato per indicare un'arma da addestramento, che aveva la caratteristica di esibire, nel disegno, una curvatura simile a quella della scimitarra. Allo stesso modo, nelle descrizioni di autori Gesuiti riguardanti il Giappone, il termine veniva utilizzato per indicare la katana.
I persiani dell'era achemenide facevano uso di più di un tipo di spada: l'arte dell'epoca achemenide ci offre tipiche raffigurazioni di guardie del corpo del re o importanti dignitari che indossano spade ornate sospese in diagonale. L'arte greca, d'altro canto, mostra spesso soldati persiani armati di kopis, un'arma ricurva dotata di un unico filo. Ci vuole un fiuto da detective per riuscire a discernere che tipo di arma fosse davvero l'acinace.
È utile notare che nei testi greci e romani, l'acinace viene talvolta menzionata quale oggetto di dono regale corrisposto in segno di favore. Questo farebbe propendere per la daga.
In un passo di Erodoto un acinace d'oro è ritualmente offerta da Serse al mare, nella cerimonia riparatrice che fece seguito al curioso episodio noto come flagellazione dell'Ellesponto.
Un passaggio rivelatore lo si rinviene in Flavio Giuseppe (Antichità giudaiche, 20.186), in cui le armi usate dai sicari sono così descritte:

«E a quel tempo i cosiddetti sicari, una sorta di banditi, stavano raggiungendo il loro maggior numero, facendo uso di piccole spade, che per grandezza erano simili all'acinace persiana, ma curve come la romana sica, alla quale quei banditi debbono il loro nome.»
Ciò sembra anche indicare che è la daga ad essere propriamente chiamata acinace, sebbene vi sia chi sostiene il contrario, traducendo il passaggio precedente in: «convessa come la romana sica».