martedì 6 ottobre 2015

Kunai

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I kunai (苦無) sono armi da punta, ed in misura molto minore, da taglio giapponesi risalenti all'epoca Tensho (1573-1592).

Storia
In origine semplicemente usati come attrezzi da giardinaggio, furono in seguito modificati in coltelli e dati in dotazione nell'armamentario dei ninja, che potevano così tenerli nella propria dimora senza suscitare il sospetto che si trattasse di armi.

Uso
Nel combattimento
I kunai, contrariamente a quanto spesso mostrato in vari media, non nascevano per essere lanciati. Di solito venivano impugnati con la punta rivolta verso l'esterno, essendo un'arma particolarmente corta, per averne miglior controllo. Poco affilati ma molto appuntiti, avevano largo impiego nel bloccare eventuali spade nemiche e nel colpire di punta. Occasionalmente i kunai venivano anche lanciati.

Fuori dal combattimento
I kunai avevano impiego anche come punteruoli e per scavare buche.





lunedì 5 ottobre 2015

Yubibō

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Lo yubibō (指棒 yubibō, bastone da dito) è un bastone giapponese, derivato dai più grandi bō hanbō. È solitamente lungo circa 6 sun ed è simile allo yawara. È stato utilizzato per la prima volta per i ninja del Giappone feudale perché facile da nascondere, ma molto efficace.
Lo yubibō è un'arma che appartiene al gruppo delle Kakushi Buki (armi nascoste), la sua origine può essere trovata nelle antiche scuole di jujutsu, come per esempio, la takenouchi-ryū, che chiamava quest'arma col nome di kashi-no-bō.
Dato che alcuni praticanti di jujutsu chiamano quest'arma yawara, bisogna dire che questo modo di chiamarla è scorretto. Il motivo è che è un'arma utilizzata in alcune scuole di jujutsu che a volte chiamano yawarajutsu l'allenamento con lo yubibō. Diventa quindi facile un'associazione di idee tra yawara e yubibō.
La forma dello yubibō è un bastone di circa 20cm, con due buchi che lo dividono in tre sezioni, a cui ci si riferisce con il nome di kontei per le sezioni più esterne e chukonbu per la sezione centrale. Nei buchi viene passata una corda dove inserire il medio e l'anulare, in questa maniera l'arma è sempre assicurata alla mano, permettendo di aprirla per effettuare tecniche che lo richiedano.
L'uso principale delllo yubibō sono i jintai kyusho (punti di pressione) anche se anche si possono realizzare tecniche di bloccaggio, leve articolari, strangolamenti, ecc.
Esistono altre due armi simili allo yubibō, queste sono il suntetsu, che si può definire una variante di 15 cm con anello nella parte superiore, dove viene inserito il medio, permettendo di cambiare la posizione dell'arma quando sia necessario (sul palmo o sul dorso della mano), e il te-no-uchi, che è simile allo yubibō, ma con una corda molto più lunga, con la quale si possono realizzare strangolamenti o immobilizzare l'avversario.


domenica 4 ottobre 2015

Yago

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Yagō (屋号), il cui significato letterale è "nome della casa", è un termine applicato nella cultura tradizionale giapponese ai nomi tramandati all'interno di una gilda, di una scuola d'arte o comunque da altre motivazioni che non implichino una discendenza di sangue. Il termine, sinonimo di iena (家名) e kadona (角名), è ormai quasi esclusivamente utilizzato per i nomi delle gilde che riuniscono gli attori del teatro kabuki, ma è anche applicabile ai nomi ereditati da un mentore in una scuola d'arte o anche dall'attività imprenditoriale di qualcuno.

Storia
Il carattere ya () di yagō, è spesso presente alla fine di un nome yagō, con il significato di "casa", "tetto" o "negozio", permettendo così di meglio identificare le origini e i significati del termine. Talvolta uno yagō può essere associato a un mon, un emblema usato per decorare e identificare un individuo o una famiglia che può, a volte, includere un rebus.
Prima di procedere con la storia dell'utilizzo degli yagō occorre far presente che, in Giappone, il cognome fu per molti secoli una caratteristica delle persone di alto rango, mentre la gente comune, di solito, aveva solo un nome, e fu sono nel 1898, in seguito al rinnovamento Meiji, che tutti i giapponesi furono obbligati a dotarsi di cognome.
In origine gli yagō erano i nomi dei luoghi in cui sorgevano case, o comunque edifici, che venivano assunti dagli abitanti. Quando la casa passava di proprietà da una famiglia all'altra, la nuova famiglia ne ereditava il nome, sebbene comunque capitasse spesso che anche i precedenti proprietari decidessero di mantenere quel nome come proprio identificativo. Talvolta una casa prendeva il nome dal luogo in cui si trovava e ciò faceva di conseguenza la famiglia che la occupava, ne sono esempi gli odierni cognomi Hara ( ) (letteralmente "prato") e Sakamoto (坂本 ) (letteralmente "piedi di una collina"). Non è ben chiaro quando quest'usanza prese piede, le prime tracce di essa si hanno in alcune cronache scritte risalenti al periodo Muromachi, ma comunque nel tempo gli yagō diventarono un modo per identificare una famiglia o un individuo a partire della descrizione del suo luogo di provenienza, dal suo lavoro o da un negozio o attività di sua proprietà.
Gli yagō diventarono anche un mezzo per differenziare discendenze diverse aventi lo stesso cognome o famiglie con lo stesso cognome provenienti da villaggi diversi, ed anche per distinguere il ramo principale (honke) di uno ie ( ) (traducibile come "gruppo familiare") e le sue branche (bunke).
Durante il periodo Edo, le famiglie di mercanti adottarono il proprio yagō come cognome. Questi potevano essere formati dal nome della pronvincia di provenienza più ya (ad esempio Kaga più ya a formare Kagaya o Echigo più ya a formare Echigoya, il nome con cui fu fondata nel 1630 la Mitsukoshi Ltd.) o contenere anche un indicatore dell'occupazione, come nel caso di Minatoya (dove il termine minato significa "porto", "molo", a indicare qualcuno coinvolto nelle spedizioni o nel commercio marittimo).

Artisti
Gli yagō furono e sono tutt'ora largamente usati nell'ambito del teatro kabuki, dove gli attori si tramandano un nome relativo alla propria gilda. Ad esempio, molti degli appartenenti alla famosa famiglia di attori degli Ichikawa, e in particolare alla linea degli Ichikawa Danjūrō, sono conosciuti anche con lo yagō di Naritaya (casa Narita), che indica la loro gilda di appartenenza all'interno del mondo kabuki. Ciò li lega quindi agli altri Naritaya, e indica i loro studi e il loro apprendistato che essi possono aver effettuato anche assieme ad attori provenienti da altre famiglie. Gli yagō degli attori erano e sono spesso scelti per evocare grandi attori del passato e, nel teatro kabuki, è una pratica comune (chiamata kakegoe) quella in cui alcuni membri del pubblico urlano lo yagō di un attore mentre questi è impegnato nell'esecuzione di una posa particolare (detta mie), spesso associata proprio alla linea di discendenza dell'attore.
Come in molte altre parti del mondo, anche in Giappone accade che artisti, scrittori e poeti utilizzino uno pseudonimo per firmare le loro opere. Talvolta questi pseudonimi derivano dai nomi dei mentori dei suddetti artisti e possono essere considerati degli yagō anche se più spesso tali nomi d'arte in giapponese sono chiamati kagō (家号 ) o semplicemente gō ().


sabato 3 ottobre 2015

Guerra

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Per guerra si intende un fenomeno collettivo che ha il suo tratto distintivo nella violenza armata posta in essere fra gruppi organizzati. Nel suo significato tradizionale la guerra è un conflitto fra stati sovrani o coalizioni per la risoluzione, di regola in ultima istanza, di una controversia internazionale più o meno direttamente motivata da veri o presunti (ma in ogni caso parziali) conflitti di interessi ideologici ed economici.
Il termine deriverebbe dalla parola werran dell'alto tedesco antico, che significa mischia. Nel diritto internazionale, il termine è stato sostituito, subito dopo la seconda guerra mondiale, dall'espressione "conflitto armato", applicabile a scontri di qualsiasi dimensioni e caratteristiche.
La guerra in quanto fenomeno sociale ha enormi riflessi sulla cultura, sulla religione, sull'arte, sul costume, sull'economia, sui miti, sull'immaginario collettivo, che spesso la cambiano nella sua essenza, esaltandola o condannandola.




Cenni storici


Fino alla seconda guerra mondiale era prassi di diritto internazionale ampiamente osservata il far precedere le ostilità da una dichiarazione di guerra. Le alleanze militari fra Stati obbligavano i firmatari a entrare nel conflitto se un altro Stato violava la neutralità e l'integrità territoriale, invadendo i confini esterni di uno Stato partecipante con le proprie truppe, oppure ne manifestava la volontà con una dichiarazione di guerra: i patti di mutua assistenza militare propagavano rapidamente le dimensioni dei conflitti.
Generalmente, il conflitto armato comincia a partire da un evento specifico, il cosiddetto casus belli: un'invasione militare, l'uccisione nemica di concittadini, come soldati, o beneficiari dell'immunità diplomatica, come ambasciatori, capi di Stato o reggenti. Anche incidenti diplomatici possono innescare crisi che si risolvono in un conflitto armato, a causa di inosservanze dei protocolli diplomatici, come non presentarsi a una convocazione o rifiutare di ricevere un ambasciatore, ingerenze politiche sulle nomine, dichiarazioni offensive senza scuse o smentite ufficiali degli organi di stampa ed eventuali dimissioni del dichiarante. Preso a sé, il casus belli può essere anche non molto grave, ma la sua importanza è amplificata dalle tensioni e dagli attriti già esistenti.
La guerra spesso si manifesta insieme a un periodo di sospensione dello Stato di diritto nel quale il diritto e la giustizia militare si sostituiscono a tutte le altre fonti della giurisprudenza.
Con l'avvento dell'ONU, il cui statuto condanna lo Stato aggressore e consente allo Stato aggredito di difendersi con immediatezza, la dichiarazione di guerra è praticamente scomparsa dallo scenario internazionale. Molte Costituzioni, fra le quali quella italiana, ammettono la guerra di sola difesa. Nessuno Stato è infatti disposto a dichiararsi aggressore con una tale procedura, mentre infiniti sono gli appigli per dichiararsi aggredito. In definitiva lo Statuto dell'ONU, che nelle intenzioni doveva servire a far scomparire la guerra, ha fatto invece scomparire soltanto la dichiarazione di guerra.
Secondo quanto osservato da von Clausewitz, la guerra non è accesa dall'azione di chi offende, ma dalla reazione di chi si difende: se non ci fosse reazione, infatti, si verificherebbe un'occupazione e non un conflitto armato. Tale fu il caso, ad esempio, dell'Anschluss, ovvero l'invasione dell'Austria da parte della Germania nel 1938. Si ha pertanto l'inizio della guerra quando si verifica il primo combattimento fra forze contrapposte. La guerra non si conclude però semplicemente con la cessazione dei fatti d'arme; più formalmente è necessario che si verifichi uno dei seguenti eventi:
  • un armistizio, che riguardi cioè tutti i teatri e tutte le forze armate delle parti che lo stipulano;
  • la resa incondizionata di una parte;
  • la debellatio di una parte, cioè il completo annientamento delle sue forze armate, l'occupazione totale o annessione del suo territorio e la cessazione di ogni attività politica anche interna.
Talora, un Paese che vuole entrare in conflitto compie azioni per provocare a guerra l'aggressore e poter reagire, non necessariamente si inizia un conflitto con un'occupazione militare di un territorio straniero. Dalla seconda metà del XX secolo a seguire, molte guerre sono state combattute senza essere dichiarate, con interventi militari giustificati come aiuti a governi "fratelli" come la guerra del Vietnam, l'invasione sovietica dell'Afghanistan, o semplicemente con una azione militare diretta come o guerra di Corea o l'invasione del Kuwait. A volte a queste guerre hanno fatto seguito altre azioni ad esse collegate, come la prima guerra del Golfo nella quale una coalizione, in forza di un mandato dell'ONU, ha schierato sul campo un potente esercito appoggiato da forze navali ed aeree che hanno rimosso il contingente iracheno di occupazione dal Kuwait e distrutto gran parte dell'armamento terrestre ed aereo delle forze armate irachene disarticolandone le unità operative ma non occupando permanentemente il territorio dell'Iraq.
In età contemporanea, nei periodi di tensione e di crisi, si è soliti sviluppare un'attività politica e diplomatica di tutta la comunità internazionale per evitare il conflitto: in tali periodi, le forze armate giocano un ruolo rilevante nel dimostrare la credibilità e la determinazione dello Stato, con lo scopo deterrente di rendere evidente all'antagonista la sproporzione fra l'obiettivo da conseguire e il costo, sociale e materiale, di una soluzione militare. La guerra quindi può essere evitata quando ambedue i contendenti percepiscono questo sfavorevole rapporto.



Fasi temporali

La guerra è preceduta da:
  • un periodo di tensione, che ha inizio quando le parti percepiscono l'incompatibilità dei rispettivi obiettivi;
  • un periodo di crisi, che ha inizio quando le parti non sono più disponibili a trattare tra di loro per rendere compatibili tali obiettivi.
Le guerre sono combattute per:
  • il controllo di risorse naturali, in particolare risorse scarse (limitate o finite), fra cui: grano e acqua per il fabbisogno alimentare, fonti energetiche (gas, petrolio, carbone), materie prime per le industrie (ferro, acciaio, leghe), metalli preziosi (oro e argento) come valuta di riserva per l'emissione di moneta convertibile;
  • per risolvere dispute territoriali (i confini fra due Stati-nazione);
  • per risolvere dispute commerciali;
  • a causa di conflitti etnici, religiosi o culturali, per dispute di potere e per molti altri motivi. Si giunge alla guerra quando il contrasto di interessi economici, ideologici, strategici o di altra natura non riesce a trovare una soluzione negoziata attraverso la diplomazia, o quando almeno una delle parti percepisce l'inesistenza di altri mezzi per il conseguimento dei propri obiettivi.


Classificazione

Ci sono svariate classificazioni possibili della guerra. Una è: convenzionale/non convenzionale. Nella guerra convenzionale sono coinvolte forze armate ben identificate che combattono in modo relativamente aperto e palese, senza far ricorso ad armi di distruzione di massa.
La guerra non convenzionale comprende tutto il resto: tattiche di incursione, guerriglia, insurrezione e terrorismo o, in alternativa a tutto ciò, può includere la guerra nucleare, batteriologica o chimica. Tutte queste categorie ricadono normalmente in due più ampie: conflitti ad alta intensità ed a bassa intensità.
I primi si manifestano tra due superpotenze o due grandi paesi che si scontrano per ragioni politiche. I conflitti a bassa intensità implicano la contro-insurrezione, gli atti di guerriglia e l'impiego di corpi specializzati nel contrastare i rivoluzionari.



Il Peacekeeping

Le operazioni di peacekeeping, missioni militari armate e alle quali un mandato internazionale (ONU o Unione europea) ha conferito legittimità, se non possono essere considerate tecnicamente guerre presentano per il personale impegnato tutti i rischi di quelle operazioni, con limitazioni ancora maggiori dal punto di vista delle regole operative. Nell'accezione dàtagli dalle Nazioni Unite, il peacekeeping è "un modo per aiutare paesi tormentati da conflitti a creare condizioni di pace sostenibile". Il personale civile e militare della missioni ONU viene fornito dai paesi membri
Queste operazioni vengono compiute in territori sconvolti da guerre civili e le truppe impiegate dovrebbero fungere da forza di interposizione tra i contendenti e stabilizzazione del territorio, ma se necessario possono usare la forza necessaria a fermare azioni violente contro civili indifesi. Nondimeno la loro presenza non ha impedito episodi come il massacro di Srebrenica, avvenuto durante la guerra civile jugoslava sotto gli occhi di un battaglione di caschi blu olandesi.



Economia di guerra

Nell'economia di guerra, lo Stato nazionale emette una quantità di moneta crescente. Una simile emissione causa svalutazione e iperinflazione che impoveriscono la popolazione e possono arrivare perfino ad azzerare il potere d'acquisto della moneta. È frequente che i beni essenziali vengano razionati e che il loro ottenimento venga dunque a prescindere dall'uso della moneta.
In controcorrente, è la teoria economica di John Maynard Keynes. Il deficit spending, la spesa pubblica finanziata con debiti, sarebbe utile anche in tempo di guerra, per generare piena occupazione e una crescita più che proporzionale del PIL/pro capite in una nazione con l'economia a terra. Il conflitto crea posti di lavoro che riportano la disoccupazione ai livelli normali pre-crisi, una ricchezza distribuita tra tutti cittadini, e il debito si ripaga da sè poiché genera una ricchezza nazionale più alta del debito iniziale. L'esito disastroso dei debiti di guerra al termine dei conflitti mondiali smentì questa tesi.
A ciò si aggiunge il fatto che il settore militare e della difesa è un settore dell'economia fra quelli più capital intensive e non labour intensive, vale a dire in cui all'investimento pubblico o privato sono richieste enormi quantità di denaro per generare un minimo numero di posti di lavoro, tutt'altro che utile a riassorbire la disoccupazione.
In vista dei conflitti, gli Stati accumulano riserve anche sotto forma di oro, investimento in sé poco conveniente perché non genera interessi, diversamente dagli strumenti finanziari o da un investimento produttivo. Tuttavia, l'oro conserva il suo valore nel tempo, mentre le valute si possono deprezzare e gli strumenti finanziari sono soggetti a rischio. La disponibilità di oro rappresenta quindi la garanzia che in cambio si potranno ottenere anche in futuro le risorse necessarie per i bisogni della guerra. L'uso dell'oro si diffonde in conformità alla Legge di Gresham: «la moneta cattiva scaccia quella buona». A causa della continua emissione di debito pubblico per finanziare la spesa militare, avviene l'iperinflazione e la svalutazione della moneta ufficiale a corso forzoso che, nonostante lo imponga la legge (a pena di multe e carcere per chi la rifiuta), viene sempre meno accettata per i pagamenti, in favore di mezzi di pagamento che non possono subire svalutazione perché hanno un valore intrinseco prossimo o uguale al loro valore nominale (come i metalli preziosi).
In tempo di guerra, la spesa militare è una voce rilevante e spesso predominante della spesa pubblica. Per sostenerla, gli Stati ricorrono spesso all'indebitamento. Il debito contratto verso soggetti esterni allo Stato è in genere denominato in valuta estera o in oro. Mentre il debito contratto in moneta nazionale ne segue le sorti (come il debito italiano nella seconda guerra mondiale, che in termini reali si ridusse a ben poco dopo la fine del conflitto) il debito denominato in altre valute o in oro continua invariabilmente a pesare sull'economia del Paese. Durante la Seconda Guerra Mondiale, l'Italia adottò un sistema in cui l'industria militare, che era a controllo pubblico, reinvestiva gli utili comprando titoli di debito pubblico italiano (che, come la moneta fortemente svalutata, non avevano molti acquirenti): in questo modo, si creva un circuito economico chiuso in cui lo Stato emetteva moneta a debito contro titoli per finanziare l'industria militare e questa sua volta ripagava/riacquistava i titoli in scadenza, consentendo una nuova emissione e produzione propria.
Lo Stato che esce vincitore da una guerra pretende non di rado dallo Stato sconfitto il pagamento di indennità dette riparazioni di guerra, che coprono in tutto o in parte le spese sostenute e a volte permettono anche un guadagno monetario. L'origine delle riparazioni di guerra risale all'antichità e si hanno tracce documentate di questa usanza già nel 440-439 a. C, quando la città di Samo sconfitta da Atene dovette pagare a questa le spese dell'assedio da essa stessa sostenuto e perso. Nell'era moderna fu Napoleone Bonaparte a collegare inscindibilmente il pagamento dei danni di guerra al trattato di pace che la concludeva, pretendendo dai vari stati sconfitti, come Austria, Prussia, Spagna ed altri, il pagamento in natura e valuta dei danni, stimati dal vincitore; la pratica venne poi ripetuta a ruoli invertiti dopo la sconfitta dell'Impero Francese, e ancora dai prussiani verso la Francia che aveva perso la guerra del 1870; allo stesso modo gli Alleati, su espressa richiesta del presidente statunitense Woodrow Wilson, pretesero dai tedeschi un risarcimento dopo la fine della prima guerra mondiale, ma la sua entità venne calcolata tale da essere considerata altamente punitiva dai britannici, che esitarono prima di appoggiare le pretese francesi. Le conseguenze di queste riparazioni sull'economia tedesca, sommate a quelle indotte dalla grande depressione del 1929, furono tali da venire additate da molti come una delle cause che spinsero i tedeschi ad appoggiare l'avvento del nazismo e lo scoppio della seconda guerra mondiale.


Tipi di conflitto

I conflitti possono essere diversamente classificati in relazione al numero piuttosto vasto dei loro parametri.

In base all'estensione territoriale

  • Conflitto mondiale: conflitto esteso a più teatri operativi collocati anche in continenti diversi, coordinati fra di loro anche se coinvolti in tempi non strettamente coincidenti; vi partecipano tutte le grandi potenze e le medie potenze regionali dei teatri interessati, e un numero elevato di potenze minori. Unici esempi nella storia: la seconda guerra mondiale e, anche se la collocazione è discutibile, la prima guerra mondiale e la guerra dei sette anni.
  • Conflitto regionale: conflitto che si svolge essenzialmente in un solo teatro operativo in una regione geofisica ben delimitata, con la partecipazione di almeno una media potenza regionale, più altre potenze minori della stessa regione; non esclude la partecipazione diretta di una grande potenza o la partecipazione indiretta di più grandi potenze. Esempi nella storia (limitatamente al XX e XXI secolo): le guerre balcaniche, i conflitti arabo-israeliani, la prima guerra del Golfo.
  • Conflitto locale: conflitto fra un limitatissimo numero di potenze, spesso solo due, e che coinvolge un limitato territorio appartenente a uno solo o al massimo ai due contendenti diretti; esclude la partecipazione diretta di grandi e medie potenze i cui territori non siano direttamente coinvolti. Esempi nella storia (limitatamente al XX e XXI secolo): la guerra italo-turca, la guerra d'Etiopia.



In base al tipo dei soggetti che la combattono

  • Conflitto simmetrico: conflitto tra parti che dispongono tutte di un'organizzazione statuale completa e di forze armate organizzate secondo le leggi dello Stato.
  • Conflitto asimmetrico: conflitto tra due parti, una sola delle quali dispone di un'organizzazione statuale completa e di forze armate organizzate secondo le leggi dello Stato, mentre l'altra non è formata, o è in corso di formazione. Questa parte di solito non procede con i metodi classici della guerra ma pone in opera la guerriglia. Un esempio può essere dato dal terrorismo, anche se bisognerebbe creare una classificazione specifica per caratterizzare questi atti di guerra.
Non si parla di conflitto asimmetrico se è un'organizzazione statale, si veda l'esempio della Spagna nel corso dell'invasione napoleonica, a combattere tramite il proprio esercito con tattiche di guerriglia. Lo scontro tra le formazioni di guerriglia sorte spontaneamente e l'esercito napoleonico, è invece considerabile un caso di guerra asimmetrica.



In base ai mezzi impiegati

  • Conflitto non convenzionale: conflitto nel quale due o più parti dispongono di armi di distruzione di massa e sono disposte a impiegarle fin dall'inizio del conflitto. Non si sono mai avuti esempi di un tale tipo di conflitto, peraltro ipotizzato fin dagli anni cinquanta, quando sia gli Stati Uniti d'America sia l'Unione Sovietica disponevano di questi tipi di armamenti.
  • Conflitto convenzionale in potenziale ambiente nbc: conflitto nel quale due o più parti dispongono di armi di distruzione di massa e sono disposte a impiegarle solo se le circostanze dovessero renderlo indispensabile. Non si sono mai avuti esempi di un tale tipo di conflitto, peraltro ipotizzato fin dagli anni sessanta, quando l'equilibrio nucleare fra Stati Uniti d'America e Unione Sovietica sconsigliava ad ambedue l'impiego iniziale di tali tipi di armamenti per tema di una ritorsione.
  • Conflitto convenzionale: conflitto nel quale le parti non dispongono di armi di distruzione di massa, o nel quale gli eventuali detentori rinunciano a priori al loro impiego, eventualmente sotto il controllo di una potenza terza o di una organizzazione internazionale.



In base alla soggettività internazionale dei contendenti

  • Conflitto internazionale: conflitto nel quale tutti i contendenti sono soggetti di diritto internazionale. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, nell'ambito del processo di decolonizzazione, sono stati considerati soggetti di diritto internazionale anche i fronti di liberazione nazionale, purché avessero l'effettivo controllo di territorio e popolazione, disponessero di forze armate organizzate e rispettassero il diritto internazionale bellico e umanitario.
  • Conflitto non internazionale: conflitto nel quale uno o più parti non sono soggetti di diritto internazionale, per cui il conflitto è sottratto alle norme del diritto bellico in quanto considerato affare interno; in particolare, rientrano in questa categoria le guerre civili, nelle quali si ha lo scontro fra opposte fazioni nell'ambito di un solo paese o entità politica.


Altre definizioni dei conflitti

Nell'uso comune, specie in campo giornalistico o nei discorsi di natura politica, vengono fornite altre definizioni di un conflitto, ancorché giuridicamente e tecnicamente non corrette. Fra le più usuali:
  • Guerra totale: si vuole indicare un conflitto che coinvolge tutte le risorse del paese in guerra. Ciò è normale, in quanto le guerricciole per piccoli problemi di confine sono assai rare.
  • Guerra lampo (Blitzkrieg): nel senso di un conflitto organizzato per avere una durata limitatissima nel tempo, mediante l'uso di strategie e tattiche altamente redditizie e in presenza di un grande divario di mezzi disponibili, fra i due contendenti. Il termine è spesso usato in contrapposizione a guerra di posizione, o a di logoramento, essenzialmente statiche e di durata prolungata. La prima guerra mondiale è cominciata come guerra lampo, ma poi divenne di logoramento.
  • Guerra preventiva: guerra aperta da un soggetto in seguito alla percezione di una grave minaccia all'incolumità dei propri interessi; secondo alcuni rientra nel concetto di autodifesa prevista dallo statuto dell'ONU, mentre altri ritengono conflitti di questo tipo essere operazioni belliche offensive nel loro senso tradizionale.

Diritto bellico

Numerose convenzioni, che nel loro insieme costituiscono il diritto bellico, regolamentano il comportamento in guerra; esso risponde a due grandi e separate questioni, cioè qual è il modo giusto di intraprendere la guerra e quale è il modo giusto di condurla.


Ius ad bellum

Il Patto Briand-Kellogg per primo afferma nel 1928 il ripudio della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali, principio poi recepito nelle costituzioni di varie democrazie occidentali nel dopoguerra; la successiva Carta delle Nazioni Unite del 1945 alla nozione di guerra sostituisce la più ampia nozione di ricorso alla forza, che comprende le cosiddette measures short of war (misure vicine alla guerra), non regolate dal Patto di Brian-Kellogg, e introduce un sistema di sanzioni per i Paesi che violano il trattato. La Dichiarazione sul diritto dei popoli alla pace del 1984 afferma, non più nella sola forma negativa di un divieto della guerra, un diritto dei popoli alla pace, e l'impegno per il disarmo nucleare.
Inoltre, lo statuto delle Nazioni Unite consente la legittima difesa di un paese (sia direttamente del paese aggredito, sia di altri Stati che intervengono collettivamente a suo sostegno). Ciò per evitare una propagazione incontrollata del conflitto: fuori dei requisiti della legittima difesa (proporzionale e immediata, ex articolo 51 dello Statuto delle Nazioni Unite) occorre che ci sia un'autorizzazione del Consiglio di Sicurezza all'uso della forza, come è successo nella Guerra del Golfo del 1991. La regola sarebbe che il Consiglio di Sicurezza decide di prendere azioni "ai sensi del capo VII" mediante l'uso diretto di contingenti militari messi a disposizione dagli Stati membri e posti sotto il comando del Comitato di Stato Maggiore ONU: ma gli articoli 42 e 43 dello Statuto ONU non sono mai stati attuati e la formulazione delle decisioni del Consiglio di sicurezza è, oramai, nella forma di autorizzazione agli Stati di "prendere ogni misura necessaria" in difesa della pace e della sicurezza internazionale.
Interpretazioni estensive del diritto umanitario hanno portato a considerare legittima l'ingerenza umanitaria, ovvero l'intervento dall'esterno in fatti interni di uno Stato quando questi fatti costituiscano violazione evidente dei diritti dell'uomo. L'ingerenza umanitaria ha giustificato nel passato interventi militari consacrati da una risoluzione ONU per costringere i governi a rispettare quei diritti fondamentali. Analoga ingerenza potrebbe essere autorizzata per proteggere beni culturali ritenuti patrimonio dell'umanità.
Le costituzioni di molti Stati ammettono la guerra di sola difesa, vietando alle forze militari del paese di attaccare civili, militari e infrastrutture sul suolo di un altro paese o comunque appartenenti a un altro Stato sovrano. La Costituzione italiana, con l'articolo 11, è una delle più esplicite: «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.».


Ius in bello

Il diritto bellico è affiancato dal diritto umanitario, volto alla protezione delle vittime di guerra. Le più importanti convenzioni in materia erano, prima della Carta dell'ONU, quelle dell'Aia del 1899 e del 1907. Le più importanti e attuali convenzioni di diritto umanitario sono le convenzioni di Ginevra del 1949 e i suoi protocolli aggiuntivi, due del 1977 e uno del 2005.
In Italia, è stata posta una questione di legittimità alla Corte Costituzionale in merito all'esistenza di una distinzione fra codici militari in tempo di pace e di guerra, e, successivamente, in merito all'esistenza stessa di un diritto militare, che possa agire in deroga alle regole che disciplinano il rapporto fra privati cittadini. La Consulta ha ribadito il principio per cui le azioni dei militari non sono soggette alle stesse regole dei privati cittadini né essere valutate dai tribunali civili.



Aspetti antropologici

L'istinto di sopravvivenza, la preservazione del proprio territorio vitale, la difesa dei propri mezzi di sussistenza, sono alcuni esempi di come una comunità possa esser spinta a prendere le armi contro una comunità nemica che mette a rischio spazi, diritti, valori o beni dati per acquisiti e irrinunciabili. P.e. nel sanscrito del 1200 a.C., il termine che indica la guerra, युद्ध yuddha, significa 'desiderio di possedere più mucche'. A queste motivazioni di tipo egoistico o utilitaristico si affiancano (e talvolta si coniugano) motivazioni di carattere psicologico o umorale come l'odio, il disprezzo, la vendetta, la paura.


Guerre di religione

Un altro fattore molto forte di innesco per le guerre sono i motivi religiosi, nei quali un preteso diritto derivante da credenze religiose, o interpretazioni personali di scritti o tradizioni precedenti, diventa per un popolo o gruppo religioso causa per lanciare una guerra di aggressione verso quello che viene individuato come bersaglio della propria insoddisfazione. Una guerra di questo tipo viene denominata guerra santa, e gli esempi storici più noti sono le crociate per il mondo occidentale e il jihad (che però in arabo ha un significato non necessariamente legato ad operazioni violente) per i musulmani. Entrambe le tipologie di guerra hanno però provocato nei tempi gravi spargimenti di sangue tra i civili. Anche di recente sia in nome della jihad, sia per sostenere la guerra al terrorismo da parte di personale civile e militare delle forze armate statunitensi o di paesi alleati si sono avuti anche comportamenti non conformi alle leggi di guerra, con torture ed uccisioni sanguinose ed ingiustificate.


Guerre a sfondo razziale

Ancora un'altra motivazione è la matrice razzista, nella quale un popolo o una nazione aggrediscono un'altra ritenuta inferiore secondo i propri criteri. L'esempio più eclatante rimane il nazismo con il suo tentativo di annientare gli ebrei, ma analoghi esempi sono i conflitti africani come il Genocidio del Ruanda.


Aspetti etici

Dal punto di vista etico la guerra pone almeno tre tipi di problemi con relativi sotto problemi. Il primo riguarda la responsabilità dell'istituzione pubblica e dei suoi rappresentanti nell'indurre dietro compenso o costringere come dovere patrio dei soggetti a prendere le armi e farne uso contro qualcuno. Il secondo riguarda la legittimità o meno dei comportamenti del soggetto che usa le armi sotto coercizione a farlo e in base a ordini ineludibili. Il terzo riguarda la legittimità dell'azione di belligeranza come autodifesa di una comunità rispetto a danni non necessariamente di tipo violento, ma, per esempio, economico o morale.



Aspetti economici

Dal punto di vista economico si osserva infatti come nel tempo evolva mantenendo una coerenza logica.



Prima ondata

  • Durante il sistema agrario il soldato combatte spesso nell'arco di un limitato periodo stagionale.
  • Le razioni alimentari sono personali in partenza e poi di volta in volta depredate localmente.
  • Al termine del conflitto l'estrema sanzione agli occupati dopo l'eliminazione dei soldati è la distruzione delle coltivazioni.



Seconda ondata

  • Con l'economia industriale il servizio militare diventa di massa per legge con la leva obbligatoria (in Francia dopo il 1792, in Giappone nel 1868 e negli Usa durante la guerra civile).
  • I nuovi comandanti sono addestrati nelle accademie militari.
  • Non si distingue più alcuna differenza tra un obiettivo civile e un obiettivo militare.



Terza ondata

  • Il progresso tecnologico del settore civile sorpassa quello militare.
  • La fuga di cervelli diventa un parametro per misurare la ricchezza di particolari macro-aree capaci di attrarne come la Silicon Valley.
  • Per ragioni di efficacia le decisioni dell'intelligence sono sempre più vincolate da informazioni aperte a favore della maggior partecipazione possibile.



Col termine "guerre delegate" (proxy war) si intende un nuovo tipo di conflitto in cui non avviene un grande dispiegamento di uomini e mezzi sul campo di battaglia, non c'è una leva militare obbligatoria ed è pure molto limitato anche l'invio di militari professionisti: il Paese invia armi e istruttori alle truppe alleate del luogo (regolari o separatiste), ed alcuni contractors, militari ed ex-militari volontari per azioni mirate.
Questo tipo di conflitto è ugualmente redditizio per la lobby delle armi, mentre ha costi pubblici inferiori e meno morti al fronte (la morte dei contractors in genere non fa nemmeno notizia), e per questo è ben vista dai politici rispetto alle possibili critiche della stampa e degli elettori.



Analisi statistica

L'analisi statistica della guerra è stata cominciata da Lewis Fry Richardson dopo la prima guerra mondiale. Più recentemente, database sulle guerre guerra sono stati costruiti dai Correlates of War Project e da Peter Brecke, che ha censito e strutturato ricerche già esistenti.


Letteratura

Nel tempo, scrittori di ogni cultura e posizione politica hanno trattato il tema della guerra nelle loro opere. Tra i più celebri di certo possiamo citare L'arte della guerra, uno dei più importanti trattati di strategia militare di tutti i tempi del cinese Sun Tzu. Si tratta probabilmente del più antico testo di arte militare esistente (VI secolo a.C. circa), articolato in tredici capitoli, ognuno dedicato ad un aspetto della guerra. Questo testo ebbe una grande influenza anche nella strategia militare europea. È un compendio i cui consigli si possono applicare, al pari di altre opere della cultura sino-giapponese, a molti aspetti della vita, oltre che alla strategia militare, ad esempio all'economia e alla conduzione degli affari.

«Un risultato superiore consiste nel conquistare intero e intatto il paese nemico. Distruggerlo costituisce un risultato inferiore»



Grandi condottieri come Napoleone Bonaparte hanno scritto memorie, nello specifico Aforismi politici, pensieri morali e massime sulla guerra, ma nella storia occidentale abbiamo trattati militari molto più antichi come quelli di Caio Giulio Cesare, dal De bello gallico scritto fra il 58 e il 50 a.C. e diviso in otto libri al De bello civili. Molti altri libri sono stati scritti nei secoli successivi, da figure come il tedesco Carl von Clausewitz, il cui trattato Della guerra (Vom Kriege), pubblicato per la prima volta nel 1832, non venne mai completato, a causa della morte precoce dell'autore. Oltre alla famosa citazione che correla guerra e politica, si può riportare anche:

«La guerra è un atto di violenza il cui obiettivo è costringere l'avversario a eseguire la nostra volontà.»

Carl von Clausewitz, nel suo libro Della guerra, compie un'analisi del fenomeno: «La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi» e «La guerra è un atto di forza che ha lo scopo di costringere l'avversario a sottomettersi alla nostra volontà.»

venerdì 2 ottobre 2015

Dào'ān

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Dào'ān (道安, Wade-Giles: Tao-an; giapponese: Dōan; Hebei, 312 – Chang'an, 385) è stato un monaco buddhista e traduttore cinese.
Fu un monaco buddhista cinese e traduttore di testi dal sanscrito al cinese. Maestro di Huìyuan (慧遠, 334-416), il fondatore del monastero di Dōnglín (東林) sul Monte Lú (廬山).
Dào'ān nacque in un famiglia confuciana e, nonostante questo, entrò in un monastero buddhista all'età di dodici anni.
Nel 335 si trasferì a Yè (, oggi Linzhang, provincia di Hebei), capitale della dinastia Zhao Posteriori studiando sotto la guida di Fótúchéng (佛圖澄, giapp. Buttochō, nome di origine forse Buddhasiṁha) il monaco-taumaturgo, di origine kushan, probabilmente di scuola sarvāstivāda, consigliere, tra gli altri, dell'imperatore Shí Hǔ (石虎, anche Taì Zǔ, 太祖, della dinastia degli Zhao Posteriori di etnia Jié, regno: 333-49).
Alla morte di Shí Hǔ, Dào'ān lasciò Yè avviandosi verso la vita di monaco itinerante lungo tutta la Cina settentrionale fino al 365, quando le guerre civili lo costrinsero a spostarsi verso Sud, a Xiangyang (oggi Xiangfan, provincia di Hubei), dove raccolse intorno a sé dei discepoli con cui praticò la venerazione nei confronti del buddha del futuro, Maitreya (彌勒, Mílè), e la pratica del dhyāna così come indicata dalle scuole hīnayāna, soprattutto sarvāstivāda, insegnamenti già trasferiti dal monaco persiano Ān Shìgāo.
A Xiangyang Dào'ān mutò progressivamente i suoi interessi verso la letteratura canonica mahāyāna dei prajñāpāramitāsūtra dedicandogli ben sei commentari. In particolar modo si interessò al Pañcaviṃśati-sāhasrikā-prajñā-pāramitāsūtra (光讚般若波羅蜜經, pinyin: Guāngzàn bānruò bōluómì jīng, Sutra perfezione della saggezza in venticinquemila stanze).
Sempre a Xiangyang, Dào'ān compilò, nel 374, il primo trattato cinese sulla letteratura buddhista giunta fino a quel momento in Cina, lo Zōnglǐzhòngjīng mùlù (綜理衆經目錄, Catalogo delle scritture, conosciuto più diffusamente come 安錄 Anlu, T.D. 2149.55.251a2) esaminando più di seicento opere e producendo per ognuna di queste delle sintesi.
Quando l'imperatore Fú Jiān (苻堅, conosciuto anche come 世祖, Shì Zǔ, regno: 357-385) della dinastia Qin Anteriori (di etnia Di ) occupò Xiangyang, nel 379, Dào'ān si trasferì a Chang'an che grazie proprio a Fú Jiān tornò presto ad essere un crocevia internazionale e centro della comunità centro asiatica (soprattutto kashmira) di monaci sarvāstivāda.
Pur non conoscendo direttamente il sanscrito, Dào'ān supervisionò la comunità di monaci-traduttori che avviarono la traduzione dell'Abhidharma Jñānaprasthāna śāstra (阿毘達磨發智論, pinyin: Āpídámó fāzhì lùn, testo centrale dell'Abhidharma sarvāstivāda), del Daśa-bhāṇavāra-vinaya (十誦律, pinyin: Shísòng lǜ, Dieci suddivisioni delle regole monastiche, vinaya della scuola sarvāstivāda) e del Mādhyamāgama (中阿含經 Zhōng āhán jīng, giapp. Chū agonkyō, āgama della scuola sarvāstivāda), redigendone la prefazione.
Dào'ān morì nel 385 a Chang'an, dopo aver preparato una comunità monastica di traduttori pronta ad accogliere Kumārajīva.


giovedì 1 ottobre 2015

Uchimizu

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Uchimizu (打ち水) è un termine che indica l'aspersione d'acqua nei giardini e nelle strade giapponesi.

Descrizione
D'estate, nelle strade, serve a rinfrescare l'aria ed abbellire il paesaggio urbano. Non si tratta però di una mera questione di igiene o di benessere fisico in quanto nei templi e nei giardini esso assume anche caratteristiche di rituale contemplativo. I giapponesi vedono lo uchimizu come un'esemplificazione dei valori tradizionali giapponesi.
Tradizionalmente lo si celebra con catino e cucchiaio e il celebrante indossa lo yukata, un kimono estivo. Vari movimenti ambientalisti utilizzano internet per incoraggiare i giapponesi a celebrare l'uchimizu con acqua riciclata in modo che tale pratica diventi, oltre ad una forma di cortesia verso i propri concittadini, anche ambientalmente più sostenibile.