I Purāṇa (devanāgarī:
पुराण; lett. "antiche
[storie]") sono un gruppo di testi sacri hindū, redatti in
lingua sanscrita, di carattere principalmente mitico e cultuale, il
cui scopo primario è anche quello dell'educazione religiosa di
coloro che non sono considerati dvija (i "nati due
volte", i componenti delle prime tre caste hindū: brāhmaṇa,
kṣatriya e vaiśya), quindi gli śudra e le
donne, ai quali è severamente proibito l'ascolto o la lettura dei
testi detti Śruti, ovvero le raccolte dei quattro Veda.
Così il commentatore dei Veda, Sāyaṇa Ācārya (XIV
secolo):
«[...] alle donne e agli śudra, sebbene abbiano
anch'essi bisogno della scienza sacra (jñāna), è
impedito di accedere al Veda, giacché essi sono privati
del vantaggio di studiarlo (adhyayana) per non aver
ricevuto l'investitura del cordone sacro (upanayana);
conseguono però la conoscenza del dharma e del Bráhman
per mezzo dei Purāṇa e di altri libri di questo genere.» |
(Sāyaṇa Ācārya (XIV
secolo), Vedārthaprakāśa;
citato in Giuliano Boccali, Stefano Piano, Saverio Sani. Le
letterature dell'India. Torino, Utet,
2000, p. 219) |
Per questa ragione i Purāṇa,
che fanno parte della raccolta Smṛti, sono indicati anche
come il "quinto" Veda" già a partire dalla
Chāndogya Upaniṣad:
(SA)
«nāma vā ṛgvedo
yajurvedaḥ sāmaveda ātharvaṇaś caturtha itihāsapurāṇaḥ
pañcamo vedānāṃ vedaḥ pitryo rāśir daivo nidhir
vākovākyam ekāyanaṃ devavidyā brahmavidyā bhūtavidyā
kṣatravidyā nakṣatravidyā
sarpadevajanavidyā
nāmaivaitat nāmopāssveti» |
(IT)
«Nomi, e cioè il Ṛgveda,
lo Yajur-veda, il Sāma-veda ed infine lo Atharvaṇa
come quarto, gli itihāsa ed i purāṇa come
quinto, il Veda dei Veda, il rituale per i mani, il calcolo, la
divinazione, la conoscenza dei tempi, la logica, le regole di
condotta, l'etimologia, la conoscenza degli Dei, la conoscenza
dello Spirito Supremo, la scienza delle armi, l'astronomia, la
scienza dei serpenti, degli spiriti e dei geni; tutto ciò non
sono che nomi. Considera però attentamente ciò che significa
'nome'.»
|
(Chāndogya
Upaniṣad, VII,1,4: traduzione di Pio
Filippani Ronconi)
|
Da tener presente anche che, dal punto
di vista tradizionale, la letteratura degli Itihāsa-Purāṇa
è una letteratura "scritta" a differenza di quella vedica
che è una cultura, ancora, "orale" e che va appresa quindi
solo mnemonicamente, essendo fondata soprattutto sulla sonorità
(śabda). Essendo la scrittura una pratica che non dà in
alcun modo accesso al "sapere" essa è affidata a persone
di rango "inferiore".
Inoltre, va tenuto presente che gli appartenenti alle famiglie
relative alle prime tre caste sono appena l'8,5% dell'intera società
hindū (questa computata sulle quattro caste, esclusi quindi gli
avarṇa) e che da questa percentuale vanno sottratte le
donne, ciò dà la cifra dell'importanza religiosa per gli hindū
della letteratura scritta degli Itihāsa-Purāṇa.Origini e stile
Il termine purāṇa compare già
nelle scritture vediche con il significato di "antica
tradizione" finendo per indicare, col tempo, quelle raccolte di
narrazioni tradizionali inerenti ai miti e alle pratiche di culto, il
cui autore, secondo la tradizione, sarebbe il mitico Vyāsa (lett.
"il Compilatore").
Questi testi affondano, quindi e
probabilmente, le loro radici in un passato remoto, essendo un vero e
proprio ricettacolo di saperi tradizionali, originariamente narrati
da bardi detti sūta.
La critica moderna ritiene, tuttavia,
che i Purāṇa più antichi, considerati però nella forma
giunta a noi, vadano fatti risalire a redazioni compiute nei primi
secoli della nostra èra.
Così Stefano Piano:
«Ritengo che sia lecito
supporre che testi alternativi al Veda e adatti alla
formazione religiosa delle donne e dei "non rigenerati"
esistessero in India da tempi molto antichi; di tali testi
continuamente arricchiti di nuovi materiali, dovettero cominciare
a formarsi, attorno ai primi secoli, dell'era volgare e per
iniziativa dei brahmani, le prime raccolte, probabilmente
differenziate in base alle esigenze particolari delle diverse
comunità e alla loro collocazione geografica.»
|
(in Giuliano
Boccali, Stefano Piano, Saverio Sani. Le
letterature dell'India. Torino, Utet,
2000, p. 219)
|
Essendo prevalentemente indirizzati
alle caste "inferiori", il sanscrito utilizzato in questi
testi è piuttosto semplice, presentando perfino delle irregolarità
grammaticali e delle frasi idiomatiche popolari, nonché influenze
dialettali. Per la stessa ragione, la messa per iscritto e la
copiatura di tali testi è, a differenza per quelli contenuti nella
Śruti, considerata opera meritoria.
Tutti i Purāṇa presentano quindi numerose
stratificazioni, nonché diverse parti in comune tra loro, oltre a
interpolazioni e a revisioni continue:
«I Purāṇa sono stati
continuamente riveduti e aggiornati nel tempo fino all'epoca delle
prime edizioni a stampa apparse attorno alla fine dell'Ottocento
Di qui l'aleatorietà e temerarietà d'ogni ipotetica datazione.»
|
(Antonio Rigopoulos,
Introduzione ai testi tradotti,
in Hinduismo antico,
vol.1 (a cura di Francesco Sferra).
Milano, Mondadori, 2010, p. CXCVI-CXCVII) |
Questo impedisce una loro precisa datazione, e cronologia, anche se il Bhāgavata-Purāṇa può essere considerato il più recente tra quelli detti "maggiori" (mahāpurāṇa).
Mahāpurāṇa e Upapurāṇa
Una iniziale canonizzazione dei testi
purāṇici si avvia verso il III secolo a.C., fissandosi tra il III
e il VII secolo d.C..
Tale canonizzazione procede lungo un
mito eziologico presente, con leggere varianti, nel Matsya,
nel Nārada e nello Skhanda Purāṇa, che vuole un
originario purāṇa, composto da un miliardo di strofe,
venire suddiviso e sintetizzato in 18 purāṇa per
complessive 400 mila strofe. La più antica lista di diciotto testi
puranici principali (detti Mahāpurāṇa) è contenuta nel
Mahābhārata (per quanto resti il dubbio di un'interpolazione del
testo): l'insieme formato di queste opere più l'altro grande Itihāsa
indiano, il Rāmāyaņa, è stato definito come un quinto Veda,
e per la portata massiva del loro insegnamento etico e religioso, e
per l'importanza storica e culturale che questi testi hanno assunto
attraverso i secoli. Vengono sovente indicati in letteratura con il
composto Itihāsa-Purāṇa.
Accanto a questa lista di opere maggiori vennero compilate diverse
liste elencanti diciotto Purāņa minori o secondari, detti
Upapurāṇa, che sono in verità presenti in numero assai maggiore e
trattano dei più svariati argomenti, i quali spesso non sono
rintracciabili nei Mahāpurāṇa.Argomenti trattati
Viene tradizionalmente affermato che
l'argomento affrontato dai Purāṇa è il pañcalakşaņa, ossia le
"cinque caratteristiche distintive" qui di seguito
elencate:
- sarga (creazione [del cosmo]);
- pratisarga (ciclicità [del cosmo]);
- vaṃśa (genealogia [divina]);
- manvantara (epoche [cosmiche], lett. "altro Manu");
- vaṃśānucarita (genealogia dinastica).
In verità questi temi sono presenti
solo in minima parte nelle opere e rappresentano più che altro un
tentativo di canonizzazione teorica della letteratura puranica.
Si può dire che i Purāṇa si basano
prevalentemente su testi di carattere mitologico che tendono in
definitiva a sfociare nella glorificazione di una divinità piuttosto
che un'altra (le più celebrate sono Vişņu, spesso sotto forma di
avatara, Śiva ,la Śakti e infine Brahma), ma anche a esaltare il
potere salvifico e purificatore di taluni luoghi sacri, periodi
temporali, pratiche devozionali (bhakti) e qualità dello spirito.
Questi testi, detti Māhātmya (contrazione di mahātman, traducibile
non letteralmente con "grandezza"), costituiscono la parte
prevalente di molti Purāṇa; ad essi sono poi associati altri tipi
di testo, come le Gītā (canti divini che hanno come modello la
celeberrima Bhagavadgītā), gli strota (inni laudativi) e varie
storie di carattere edificante. Tutte queste tipologie testuali sono
indipendenti l'una dall'altra ma vengono associate insieme per
formare quel quadro composito che è il Purāṇa, sebbene, almeno
per quanto riguarda taluni Māhātmya, si abbiano attestazioni di una
loro redazione autonoma.
Classificazione dei Purāṇa maggiori
Esistono in letteratura varie
classificazioni dei Purāṇa maggiori (Mahā Purāṇa):
cronologiche, in base alle divinità o in base alle guṇa.
Invero non esiste un accordo univoco fra gli studiosi in nessuna
delle prime due classificazioni, e fra le tre quella in base alle
divinità è forse la più aleatoria, dato che diversi Purāṇa
contengono sezioni dedicate a più divinità (per esempio nello Śiva
Purāṇa due capitoli sono dedicati a Viṣṇu).
Seguendo la classificazione in base alle tre guṇa, e cioè: rājas (generazione, passione: attributo di Brahmā); tāmas (dissolvimento, oscurità: attributo di Śiva); sāttva (mantenimento, verità: attributo di Viṣṇu), abbiamo la seguente classificazione:
Seguendo la classificazione in base alle tre guṇa, e cioè: rājas (generazione, passione: attributo di Brahmā); tāmas (dissolvimento, oscurità: attributo di Śiva); sāttva (mantenimento, verità: attributo di Viṣṇu), abbiamo la seguente classificazione:
- Rājasika Purāṇa:
- Bhaviṣya Purāṇa
- Brahmā Purāṇa
- Brahmavaivarta Purāṇa
- Brahmāṇḍa Purāṇa
- Mārkaṇḍeya Purāṇa
- Vāmana Purāṇa
- Tāmasika Purāṇa:
- Agni Purāṇa
- Kūrma Purāṇa
- Liṅga Purāṇa
- Matsya Purāṇa
- Śiva Purāṇa
- Skanda Purāṇa
- Sāttvika Purāṇa:
- Bhāgavata Purāṇa
- Garuḍa Purāṇa
- Nāradīya Purāṇa
- Padma Purāṇa
- Varāha Purāṇa
- Viṣṇu Purāṇa
Il phala
Il fine ultimo posto dai Purāṇa è
l'acquisizione di un phala (lett. "frutto", in questo caso
traducibile con "merito spirituale"). Esso si può ottenere
nei modi più vari (nelle singole opere spesso si possono trovare
indicazioni specifiche): principalmente attraverso la lettura,
l'ascolto del testo e rendendo devozione al dio in esso celebrato, ma
anche seguendo le indicazioni date sul pellegrinaggio in luoghi sacri
e addirittura semplicemente possedendolo o facendone dono a un
brahmano.
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