Il Brazilian Jiu Jitsu (BJJ) è una delle arti marziali più diffuse e rispettate al mondo. Nato come adattamento del Judo giapponese, sviluppato dalla famiglia Gracie e consacrato negli sport da combattimento moderni come le MMA, il BJJ è universalmente riconosciuto per l’efficacia nelle lotte a terra e nel controllo dell’avversario. Tuttavia, negli ultimi anni, si è aperto un dibattito cruciale: quanto del BJJ praticato in palestra oggi è realmente utile in un combattimento di strada?
Molti praticanti investono ore ad affinare tecniche spettacolari, finalizzazioni complesse o transizioni sportive che funzionano bene sul tatami, sotto regole precise, ma rischiano di rivelarsi inutili — o addirittura pericolose — in un contesto reale, dove non esistono arbitri, categorie di peso o limiti di tempo. La questione, dunque, è come far comprendere ai praticanti di BJJ che stanno sprecando tempo con aspetti della disciplina poco applicabili in scenari di difesa personale.
Uno dei punti di forza del BJJ è sempre stato il suo realismo. Negli anni ’90, le prime edizioni dell’UFC mostrarono al mondo come un praticante di BJJ potesse dominare avversari più grossi e forti semplicemente portando il combattimento a terra. Ma con la sportivizzazione crescente della disciplina, il focus si è spostato: oggi in molte scuole si allenano per competizioni IBJJF, ADCC o tornei locali, privilegiando tecniche elaborate come berimbolo, lapel guard o inversioni spettacolari.
Queste tecniche sono affascinanti e richiedono abilità eccezionali, ma sono spesso scollegate dalla realtà della strada. In un combattimento reale:
L’avversario potrebbe colpire con pugni, gomitate, morsi o testate.
Potrebbero esserci più aggressori.
Il terreno può essere duro, sporco o pericoloso.
Non esistono protezioni né limiti di tempo.
In queste condizioni, tentare un gioco di guardia invertita non solo è inefficace, ma rischia di esporre il praticante a colpi devastanti.
Per convincere un praticante che alcune tecniche non hanno valore in un contesto reale, bisogna agire con metodo. Non serve criticare o demolire il BJJ in sé — che rimane straordinario — ma distinguere tra ciò che è sportivo e ciò che è applicabile alla strada.
1. Simulazioni realistiche
La dimostrazione pratica è lo strumento più potente. Basta inserire variabili estranee al contesto sportivo:
Permettere i colpi durante una simulazione.
Allenarsi vestiti, con giacche o cappotti, su terreni irregolari.
Creare scenari con più aggressori o armi improvvisate.
Molti praticanti comprendono immediatamente l’inadeguatezza di certe posizioni quando scoprono quanto sia facile subire colpi mentre cercano di impostare un gioco di guardia sportivo.
2. Distinzione tra “sport” e “strada”
È importante insegnare che il BJJ sportivo e quello per la difesa personale sono due discipline diverse, con obiettivi distinti:
Sportivo: vincere punti, finalizzare l’avversario con strangolamenti o leve.
Strada: sopravvivere, fuggire, neutralizzare una minaccia.
Rendere esplicita questa differenza aiuta i praticanti a capire che non stanno buttando via il loro allenamento, ma che devono adattarlo a seconda del contesto.
3. L’approccio “minimalista”
In strada, non servono cento tecniche raffinate: bastano poche, semplici e ripetute all’infinito. Monta solida, strangolamenti basilari, difesa dal clinch, tecniche per rialzarsi velocemente. Dimostrare che la semplicità salva la vita è il modo migliore per far comprendere che allenarsi solo su movimenti complessi rischia di essere tempo perso.
Molti video circolano online mostrando praticanti di BJJ dominati in strada perché hanno cercato di applicare tecniche sportive. Un esempio ricorrente è il tentativo di sottomissione dal basso, con il praticante che finisce preso a pugni dall’avversario in posizione superiore.
Un altro caso emblematico è il takedown mal calcolato: in palestra può funzionare, ma sull’asfalto o in uno spazio angusto può portare a fratture, abrasioni o a essere immobilizzati in una posizione svantaggiosa.
Questi esempi concreti, mostrati senza giudizio ma con spirito analitico, aiutano a convincere i praticanti che l’allenamento sportivo deve essere affiancato da una componente di realtà.
Convincere qualcuno che sta sprecando tempo è delicato: nessuno vuole sentirsi dire che i propri sforzi non valgono. Per questo è fondamentale usare un approccio costruttivo:
Mostrare, non criticare: organizzare sessioni di sparring “con colpi” per far emergere i limiti delle tecniche sportive.
Usare testimonianze reali: storie di autodifesa in cui il BJJ ha funzionato (o meno) sono potenti strumenti di consapevolezza.
Creare percorsi paralleli: affiancare alle lezioni sportive corsi specifici di BJJ per la difesa personale, in modo da non screditare ciò che i praticanti amano, ma arricchirlo.
L’obiettivo non è allontanare, ma educare.
Molti praticanti rimangono ancorati a tecniche inefficaci perché l’ambiente in cui si allenano valorizza solo l’aspetto sportivo. Alcune scuole puntano esclusivamente alle competizioni, trascurando la difesa personale.
Per cambiare mentalità, è necessario che anche gli istruttori riconoscano il problema e integrino nei programmi:
Tecniche di striking base (pugni, gomitate, calci).
Transizioni veloci tra lotta e fuga.
Concetti di consapevolezza situazionale e prevenzione.
Solo così si potrà evitare che i praticanti passino anni a studiare schemi belli in gara, ma inutili in una rissa o aggressione.
Non si tratta di dire che il BJJ non serve in strada: al contrario, pochi stili hanno mostrato tanta efficacia nelle situazioni reali. La capacità di controllare un aggressore, immobilizzarlo senza necessariamente ucciderlo, e sopravvivere a un confronto fisico è un vantaggio enorme.
Il problema non è il BJJ, ma l’uso esclusivo di tecniche iper-specialistiche da competizione. Il messaggio da trasmettere è:
Non stai buttando via tempo imparando BJJ.
Stai sprecando tempo se credi che ogni tecnica sportiva funzioni in strada.
Il modo migliore per far capire ai praticanti di BJJ che stanno sprecando tempo con tecniche inefficaci in combattimento reale è portarli a riflettere attraverso esperienze concrete, simulazioni realistiche e una chiara distinzione tra sport e difesa personale. Non serve demolire la disciplina, ma integrarla con un approccio più pragmatico.
In strada non ci sono arbitri, regole o tatami morbidi. Ci sono solo istanti per reagire, sopravvivere e fuggire. Il BJJ resta una risorsa preziosa, ma solo se praticato con la consapevolezza che non tutte le tecniche nascono uguali.
Allenarsi senza questa coscienza equivale a sprecare tempo. Allenarsi con essa significa trasformare il BJJ in uno strumento davvero salvavita.
Nessun commento:
Posta un commento