Quando si parla di arti marziali al cinema, il primo nome che viene alla mente è quello di Bruce Lee. La sua figura è diventata leggenda: non solo un attore, ma un innovatore, un filosofo del combattimento, un uomo capace di cambiare per sempre l’immaginario delle arti marziali. Ma c’è stato qualcuno, una donna, che ha provato a raccogliere quella torcia, incarnando una versione femminile – mai del tutto riconosciuta – di Bruce Lee?
Molti spettatori, abituati al cinema degli ultimi decenni, potrebbero pensare subito a Zhang Ziyi, Michelle Yeoh o Maggie Cheung. Attrici straordinarie, capaci di regalare al pubblico sequenze spettacolari in film come La tigre e il dragone o Hero. Ma la loro forza scenica si è basata più sulla potenza della coreografia e sul talento recitativo che su una vera preparazione marziale di altissimo livello. In questo, erano figlie del “film kung fu”: spettacolo coreografato, studiato per essere visivamente ipnotico, anche quando poco realistico.
La risposta alla domanda “chi è la Bruce Lee al femminile?” porta però altrove, lontano dai riflettori patinati di Hollywood e dentro le palestre di arti marziali degli anni ’70 e ’80. Il nome è uno: Cynthia Rothrock.
Nata nel 1957 a Wilmington, nel Delaware, Rothrock iniziò giovanissima a praticare arti marziali. Non era una scelta dettata dalla moda – come accadeva a tanti ragazzi negli anni del boom del karate in America – ma una vera passione che si tradusse presto in disciplina, sacrificio e successi agonistici.
Tra il 1981 e il 1985 diventò cinque volte campionessa del mondo di karate nelle categorie di forme e armi. Questo dettaglio non è banale: le competizioni di forme (kata, per usare un termine giapponese) e di armi richiedono fluidità, precisione, potenza e controllo assoluto. Non essendo basate sul combattimento diretto, erano aperte a uomini e donne senza distinzione, e Cynthia dimostrò di poter primeggiare contro chiunque.
Il suo bagaglio tecnico era enorme. Conquistò sei cinture nere in discipline diverse, tra cui:
Tang Soo Do Moo Duk Kwan (in cui arrivò fino al 7° dan)
Tae Kwon Do
Eagle Claw Kung Fu
Wu Shu
Shaolin del Nord
Pai Lum Tao Kung Fu
Un mosaico di esperienze che la rese unica: americana, donna, ma con una formazione marziale profondamente radicata nelle tradizioni orientali.
Negli anni ’80, Hong Kong era il cuore pulsante del cinema di arti marziali. Jackie Chan e Sammo Hung stavano rivoluzionando il genere, trasformandolo in un mix di comicità, acrobazie e combattimenti spettacolari. Golden Harvest, lo studio che aveva lanciato Bruce Lee, cercava un volto nuovo, qualcuno che potesse sorprendere il pubblico.
Fu così che Cynthia Rothrock venne notata e portata a Hong Kong. L’idea, più o meno dichiarata, era semplice: costruire intorno a lei una sorta di “erede femminile” del mito lasciato da Bruce Lee. Non una semplice attrice che imitasse mosse studiate sul set, ma una vera artista marziale capace di convincere anche lo spettatore più esperto.
Il debutto arrivò con Yes, Madam! (1985), accanto a Michelle Yeoh. Il film fu un successo e diede il via a una carriera che la vide protagonista di una lunga serie di produzioni, soprattutto di serie B, spesso girate con budget ridotti ma ricche di combattimenti spettacolari.
E qui arriviamo al punto cruciale: perché Cynthia Rothrock non è mai diventata la superstar che avrebbe meritato di essere?
La risposta è duplice. Da un lato, il cinema occidentale degli anni ’80 e ’90 non era ancora pronto ad accettare una donna come eroina action marziale. I modelli dominanti erano Schwarzenegger, Stallone, Van Damme: muscoli, testosterone, uomini invincibili. Una figura femminile che picchiasse con la stessa credibilità era considerata troppo “di nicchia”.
Dall’altro lato, i film a cui Rothrock partecipò, soprattutto negli Stati Uniti, appartenevano alla categoria delle produzioni di serie B o addirittura C. Pur avendo sequenze di combattimento impressionanti, mancavano di sceneggiature solide, regie all’altezza o budget adeguati per conquistare il grande pubblico. Il risultato fu una carriera prolifica, ma confinata a un culto di appassionati, senza mai raggiungere la statura mondiale di Bruce Lee.
Eppure, il contributo di Cynthia Rothrock resta enorme. In un’epoca in cui quasi tutte le attrici d’azione venivano trasformate in guerriere credibili grazie al montaggio e alla coreografia, lei portava sullo schermo la realtà delle arti marziali. Non aveva bisogno di nascondere mancanze tecniche: aveva davvero la preparazione per reggere il confronto con artisti marziali di primo livello.
Ha continuato a insegnare arti marziali, a ricevere riconoscimenti (tra cui la cintura nera di 7° dan in Tang Soo Do) e a essere una fonte di ispirazione per generazioni di praticanti, soprattutto donne. Le sue armi preferite? Le spettacolari spade a uncino, simbolo di una padronanza non comune.
Oggi, quando parliamo di eroine marziali al cinema, pensiamo subito a figure come Michelle Yeoh, finalmente premiata con un Oscar, o a Scarlett Johansson nei panni di Black Widow. Ma se queste attrici hanno potuto interpretare guerriere credibili, è anche perché qualcuna, decenni prima, aveva dimostrato che una donna poteva essere davvero letale sullo schermo senza bisogno di effetti speciali.
Cynthia Rothrock non è mai stata la “Bruce Lee al femminile” che il marketing degli anni ’80 sperava di lanciare. Ma è stata una pioniera autentica, una campionessa vera, un’artista marziale che ha portato sullo schermo la sua disciplina senza filtri. In un mondo che tende a dimenticare facilmente, il suo nome merita di essere ricordato come quello di una delle più grandi interpreti femminili delle arti marziali.
Forse, se fosse nata in un’altra epoca, con un’industria cinematografica più aperta, oggi sarebbe celebrata come una leggenda al pari di Bruce Lee. Ma anche senza quel riconoscimento universale, la sua eredità resta scolpita: Cynthia Rothrock, la donna che dimostrò che il kung fu non ha genere.
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