mercoledì 28 ottobre 2015

Leoni guardiani cinesi

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I c.d. "Leoni guardiani cinesi" o "Leoni guardiani imperiali" sono un ornamento architettonico tipico della tradizione cinese. Tipicamente realizzati in pietra, sono anche noti come "Leoni di pietra" o "Shishi". In lingua inglese sono anche chiamati "Cani Leone" o "Cani Foo". Si tratta di uno stilema decorativo nato nell'ambiente del buddhismo cinese con intento apotropaico: i leoni (grandemente stilizzati nella forma), spesso uno maschio con un globo tra gli artigli e l'altro femmina con un cucciolo, dovevano proteggere l'edificio di cui erano posti a difesa sia da influenze spirituali dannose sia da persone malintenzionate. Utilizzati nei palazzi e nelle tombe imperiali cinesi, i leoni si diffusero successivamente in altre parti dell'Asia: Giappone (vedi komainu), Corea, Tibet, Tailandia, Birmania, Vietnam, Sri Lanka, Nepal, Cambogia, Laos, Taiwan e Singapore.

Descrizione
Le statue dei leoni guardiani si sono tradizionalmente poste di fronte ai palazzi degli imperatori cinesi ed alle loro tombe, ai templi ed ai palazzi degli alti ufficiali/nobili quale potente simbolo apotropaico. Come stilema, figurano anche in altre forme d'arte: sui battenti delle porte e sulle ceramiche. I leoni guardiani sono oggi elementi decorativi comuni agli ingressi di ristoranti, hotel, supermercati e altre strutture, posti sempre l'uno a sinistra e l'altro a destra dell'ingresso, in Cina e ovunque nel mondo il popolo cinese si è stabilito nel corso dei secoli (spec. nelle "Chinatown" locali).
I leoni sono generalmente rappresentati in una coppia che dovrebbe consistere di un maschio con una sfera intagliata tra gli artigli (a simboleggiare il dominio dell'imperatore sul globo terracqueo) e una femmina che trattiene un cucciolo giocoso supino sotto di lei (a simboleggiare il nutrimento).

Etimologia
I leoni guardiani sono indicati in vari modi a seconda della lingua e del contesto. In cinese sono tradizionalmente chiamati semplicemente shi (), dalla parola di lingua persiana ser. I leoni infatti, non endemici della Cina, vi vennero portati quali doni da emissari persiani alla corte degli Han e già nel VI secolo erano utilizzati come figure apotropaiche. Oggi i leoni guardiani sono più comunemente indicati facendo riferimento al materiale che li compone, ad esempio:
  • Leone di pietra (石獅) per una scultura in pietra; o
  • Leone di bronzo (銅獅) per una scultura in bronzo.
Meno comunemente:
  • Leone di buon auspicio (瑞獅) riferito al Leone delle nevi della mitologia tibetana.
Nelle altre culture asiatiche
  • In Giappone il leone guardiano è noto come Shishi (獅子, leone) o Komainu (狛犬, cani-leone).
    • A Okinawa è noto come Shisa.
  • In Corea è noto come Haetae.
  • In Myanmar, Laos e Cambogia è noto come Chinthe e diede il nome ai soldati Chindit della Seconda Guerra Mondiale.
  • In Cambogia è generalmente noto anche come Singha ( សឹង្ហ ).
  • Nello Sri Lanka è noto come Simha ( සිංහ මූර්ති ).
  • In Thailandia è noto come Singha ( สิงห์ ).
  • In Tibet è noto come un Leone delle nevi.
  • In Vietnam è noto come Sư tử đá.
Nomi occidentali
In inglese e in diverse lingue occidentali, i leoni guardiani sono spesso indicati con una moltitudine di nomi quali: "Cani Fu", "Cani Foo", "Leoni Fu", "Leoni Fo" e "Cani-Leone". Il termine " Fo " o " Fu " può essere traslitterazione delle parole (pinyin) o (pinyin), che significa rispettivamente "Buddha" o "Prosperità" in cinese. Tuttavia, i riferimenti cinesi ai leoni guardiani raramente hanno il prefisso o e, cosa più importante, non vengono mai definiti "Cani".
Il riferimento ai leoni guardiani come cani nelle culture occidentali potrebbe essere dovuto al riferimento giapponese a loro come "cani coreani" ( 狛犬・高麗犬 ) a causa della loro trasmissione dalla Cina attraverso la Corea al Giappone. Potrebbe anche essere dovuto all'errata identificazione delle figure del leone custode che rappresentano alcune razze di cani cinesi come il Chow Chow (鬆獅犬) o il pechinese (獅子狗).

Aspetto
I leoni sono tradizionalmente scolpiti in pietre decorative, come marmo e granito o fusi in bronzo o ferro. A causa dell'elevato costo di questi materiali e del lavoro richiesto per produrli, l'uso privato dei leoni custodi era tradizionalmente riservato alle famiglie facoltose o d'élite. In effetti, un simbolo tradizionale della ricchezza o dello status sociale di una famiglia era il posizionamento dei leoni guardiani davanti alla magione. Tuttavia, nei tempi moderni, leoni meno costosi, prodotti in serie in cemento e resina, sono diventati disponibili e il loro uso non è quindi più elitario.
I leoni sono sempre presentati in coppia come manifestazione di yin e yang: la leonessa per lo yin ed il maschio per lo yang. Il maschio ha la zampa anteriore destra su di una sfera apparentemente di stoffa, chiamata "palla ricamata" ( 绣球 ), a volte è scolpita con un motivo geometrico. La femmina è essenzialmente identica ma ha un cucciolo sotto la zampa sinistra a rappresentare il ciclo della vita. Simbolicamente, la leonessa protegge gli abitanti (l'anima vivente interna) e il maschio protegge la struttura (gli elementi materiali esterni) dell'edificio che entrambi sorvegliano. A volte, la femmina ha la bocca chiusa e il maschio aperta a simboleggiare l'enunciazione della parola sacra "om". In Giappone la chiave di lettura è differente: il leone sta inspirando, a rappresentare la vita, e la leonessa sta espirando, a simboleggiare la morte. In alcune raffigurazioni entrambi i leoni stringono tra le zanne una perla, volutamente scolpita di dimensioni adatte a ruotare nel suo alloggio senza poterne uscire.
Secondo il feng shui, il corretto posizionamento dei leoni è importante per garantirne l'effetto benefico. Quando si guarda l'ingresso dall'esterno dell'edificio, di fronte ai leoni, il leone maschio con la palla è sulla destra e la femmina con il cucciolo è sulla sinistra.
I leoni guardiani cinesi mirano a rendere l'idea dell'animale e non la sua vera forma, come invece avviene nell'arte occidentale. Pertanto artigli, zanne e occhi del leone, quali simboli del suo potere, sono enfatizzati laddove invece un artista occidentale avrebbe dato maggior risalto alla naturale possanza fisica della belva.

Storia
Si ritiene che i leoni asiatici siano quelli raffigurati dai leoni guardiani nella cultura cinese.
Con l'aumento del commercio durante la dinastia Han e gli scambi culturali attraverso la via della Seta, i leoni furono introdotti in Cina dagli antichi stati dell'Asia Centrale dai popoli della Sogdiana, di Samarcanda e dagli Yuezhi ( 月氏) sia sotto forma di pelli sia come animali vivi, mentre storie sui leoni venivano veicolate da sacerdoti buddisti e viaggiatori del tempo.
Diversi leoni regalati da emissari di potentati dell'Asia Centrale sono stati registrati nel c.d. Libro degli Han successivi ( 後漢書) scritto tra il 25 e il 220 d.C. In un particolare evento, nell'undicesimo mese lunare dell'87 d.C., "un inviato dalla Partia offrì in omaggio un leone e uno struzzo" alla corte Han. Il leone venne poi associato dagli Han a creature venerate dai loro antenati: fu in particolare il monaco Huilin (慧琳) a sostenere che "il mitico Suan-ni ( 狻猊) è in realtà il leone, proveniente dal Xiyu"( 狻猊即狮子也,出西域).
La simbologia buddista, già nel 208 a.C., veicolò in Cina l'idea del leone quale protettore del dharma. A poco a poco, le belve divennero quindi guardiane del dharma imperiale cinese essendo oltretutto creature d'indubbia maestosità che potevano ben figurare davanti ai palazzi imperiali.
Esistono vari stili di leoni guardiani che riflettono influenze di diversi periodi, dinastie imperiali e regioni della Cina. Questi stili variano nei loro dettagli artistici e ornamenti così come nella rappresentazione dei leoni, a volte feroci e a volte sereni.
Sebbene la forma del leone guardiano cinese sia stata mutevole nella storia della Cina, aspetto, posa e accessori vennero standardizzati e formalizzati durante le dinastie Ming e Qing nella forma ancora attuale oggi.


martedì 27 ottobre 2015

Jiu jie bian





Jiujiebian (九节鞭, lett. "Frusta a nove sezioni" – più spesso troviamo la parola "Bian" tradotta in "catena", diventando quindi "Catena a nove sezioni") è un'arma tradizionale cinese, usata anche nelle arti marziali cinesi, che deve il suo nome al fatto di essere composta da appunto nove segmenti di metallo.
Tradizionalmente è composta da nove cilindri in ferro, a sezione ottagonale o circolare, collegati da anelli dello stesso materiale; all'estremità si trova un peso a forma di cuneo o un puntale che permettono una veloce rotazione dell'arma e una maggiore efficacia nei colpi di punta.
Nelle arti marziali moderne, il Jiujiebian è composto da segmenti di metallo lunghi circa 15 cm e da un'impugnatura e da una punta agli estremi.
La sua pratica richiede molta coordinazione e molto allenamento: il praticante deve mantenere l'attrezzo in movimento costante e rotatorio facendogli percorrere dei cerchi intorno al corpo. Durante gli attacchi, è possibile far girare la catena intorno al proprio corpo o (più raramente) intorno al proprio collo, in modo da arrestarne o comunque modificarne il movimento.
L'allenamento con quest'arma sviluppa l'attenzione mentale che deve essere costante durante ogni movimento, abituando così a mantenere e gestire un continuo stato di tensione mentale.
Il Jiujiebian è una delle armi principali dello stile Tanglangquan, oltre alle spade ad uncino, ai doppi coltelli, all'alabarda, lancia e alla classica sciabola.

lunedì 26 ottobre 2015

Stav

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Stav è un'arte marziale norvegese insegnata da Ivar Hafskjold. Essa utilizza runes e mitologia nordica, venendo insegnata sulla base della tradizione orale che egli sostiene sia stata preservata nella sua famiglia.
Negli anni 1990, Ivar Hafskjold assunse quattro apprendisti personali e studenti; Shaun Brassfield-Thorpe, Kolbjorn Märtens, David Watkinson e Graham Butcher. Tutti i contemporanei insegnanti di Stav derivano dalla linea di insegnamento diretta di Ivar Hafskjold e/o da uno dei suoi primi quattro allievi, ognuno dei quali è riconosciuto come maestro.
Stav ricorda il T'ai chi, con gli allievi che iniziano con posizioni ritualizzate simili alle sedici rune del Younger Futhark.

domenica 25 ottobre 2015

Scherma

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Il termine scherma si riferisce alle abilità e alle tecniche di una persona addestrata nell'arte dell'uso della spada, per uso in guerra, difesa personale, duello o pratica sportiva. Il termine è moderno e nel linguaggio comune principalmente riferito alla pratica della scherma olimpica, ma si riferisce anche ad ogni arte marziale che include l'uso di una spada o arma bianca.

Etimologia

La parola scherma ha un equivalente nel longobardo "Skirmjan" che significa anche proteggere, coprire (stessa etimologia della parola schermare). La disciplina di scherma ha infatti le proprie basi nel porre la propria arma come difesa/schermo fra sé e l'avversario. Un'analogia si trova nell'etimologia della parola equivalente inglese fencing che deriva dal verbo de[fencing], cioè difendersi, dal latino defensio. Rimane invece dubbia l'etimologia del termine arcaico scrimia, con cui si indica la disciplina di scherma antica nell'ambito delle arti marziali. Probabilmente si tratta della fusione, nel periodo di predominanza spagnola della penisola, del termine italiano scherma con l'analogo spagnolo esgrima.
Le prime tracce della scherma risalgono agli antichi egizi, che facevano lottare gli schiavi con dei lunghi bastoni usando tecniche simili a quelle del giorno d'oggi
In ogni caso il termine scherma appare affermato nei trattati a noi pervenuti che parlano della disciplina già a partire dall'inizio del Cinquecento, mentre il termine scrimia compare per la prima volta in un trattato italiano di fine Cinquecento (Dell'Arte di Scrimia - 1572).
In Occidente, colui che utilizza la spada viene in genere definito schermidore (soprattutto con connotazionie sportive), oppure più largamente spadaccino o all'inglese swordsman, termini paralleli al latino gladiatore (combattente professionista che combatteva nelle arene per l'intrattenimento del pubblico nell'antica Roma utilizzando il gladio; la parola gladius a sua volta significa "spada").
In Oriente, la scherma viene chiamata kenjutsu ("arte della spada") in Giappone

Scherma europea

Antichità

L'uso di spade è testimoniato fin dai tempi degli antichi greci, che impiegavano armi come lo xiphos o il kopis, ma anche dei celti, celebri per le loro spade galliche. Il suo utilizzo però non era molto diffuso, a causa della preziosità dei metalli usati per la lavorazione e della preferenza della maggior parte dei guerrieri per la lancia (più economica, facile da costruire e da utilizzare, con un raggio d'azione più ampio).
Prima ancora ci sono prove che gli antichi egizi praticassero uno sport molto simile alla scherma moderna, utilizzando al posto delle spade lunghi bastoni di legno. Gli atleti che si sfidavano in questo sport erano molto spesso schiavi.
Roma provvide alla diffusione della spada come arma principale da battaglia nella connotazione d'oggi in occidente. I legionari romani e altre forze dell'esercito romano utilizzavano il gladio, una spada corta utilizzata principalmente per penetrare di punta. I gladiatori (cioè "coloro che usavano il gladio") ne usavano una variante ancora più corta. La spatha (da cui deriva il termine "spada") era una lama più lunga a doppio filo utilizzata solo dalle unità di cavalleria fino al II secolo D.C., quando venne adottata anche dalle truppe di fanteria e il cui uso divenne simbolo di abilità e orgoglio.
Nonostante fosse necessario un addestramento nell'utilizzo di queste armi, non sono pervenuti a noi manuali militari antichi di scherma.
Nel De Re Militari, di Flavio vegezio Renato (V secolo), viene riportato come i soldati romani e i gladiatori praticassero allenamento al palo con armi pesanti e imparassero a colpire preferenzialmente di punta.
Una traduzione delle Satire di Giovenale da parte di Barten Holyday nel 1661 nota che i romani, sia legionari che gladiatori, imparavano l'uso della spada con simulacri di legno prima di passare ad armi in ferro o acciaio. Bersagli di addestramento erano un palo o un fantoccio di legno.

Medioevo

Si sa poco sulle prime tecniche di scherma dell'alto Medioevo, a parte ciò che si è potuto ricostruire da reperti archeologici e rappresentazioni artistiche (come nel caso delle armi e armature di epoca vichinga). Si sa comunque che durante il periodo delle invasioni vichinghe l'uso della spada era limitato, soprattutto fra gli stessi vichinghi e altre popolazioni germaniche, che preferivano lancia e ascia a parte alcuni individuali facoltosi. Le spade prodotte, comunque, basate sulla spatha, erano di ottima fattura.
Col tempo la spatha si evolvette nella spada d'armi. Nel corso del Medioevo, i primi trattati di scherma, conosciuti in Germania come (Fechtbücher), vennero scritti nel 1550 circa. La scuola tedesca di scherma ha le sue origini in Johannes Liechtenauer e i suoi allievi, divenuti poi maestri d'arme nel XV secolo, fra i quali Sigmund Ringeck, Hans Talhoffer, Peter von Danzig e Paulus Kal. In Italia invece comparvero manuali come il Flos Duellatorum, scritto dal maestro di spada Fiore dei Liberi intorno al 1410. In questo periodo la spada lunga divenne l'arma principale con numerose varianti ed adattamenti in linea con l'avanzamento tecnologico e metallurgico. Lo sviluppo di armature complete rese inadatte le spade ai campi di battaglia, favorendone invece l'uso come arma da duello o per difesa personale cittadina, influenzando così le tecniche schermistiche.
Se nell'alto Medioevo la spada era principalmente un simbolo di status sociale, nel basso Medioevo le tecniche produttive divennero più efficienti e convenienti. Di conseguenza, più che il privilegio di pochi individui ricchi, la spada divenne più che altro il simbolo dei ceti più abbienti.



Rinascimento

La scuola germanica di scherma, in generale, conobbe un declino durante il Rinascimento mentre quelle italiane e spagnole, maggiormente orientate all'uso dello stocco e per il duello civile, crebbero notevolmente. Il compendio compilato da Paulus Hector Mair nel 1540 analizza gli sforzi del secolo precedente nel tentativo di ricostruire e preservare un'arte ormai decadente. I trattati di Joachim Meyer del 1570 ebbero un approccio scientifico e completo nei riguardi dello stile di spada, sono gli ultimi reperti maggiori della scuola tedesca e esplorano un contesto ormai quasi interamente sportivo.
L'uso della spada lunga continuò a declinare lungo il Rinascimento, in parallelo con il sorgere delle armi da fuoco e delle alabarde sui campi di battaglia. Così, la scherma si orientò verso la protezione personale dei civili ed il duello, con l'utilizzo della spada da lato, evolutasi poi nella striscia del XVII secolo. Le scuole di scherma francesi, italiane e spagnole vennero incontro a questi cambiamenti nell'armamentario civile e svilupparono stili appositi. Quella tedesca, invece, si dedicò poco a queste armi.

La scherma di oggi

La scherma che conosciamo oggi e che vediamo e seguiamo in televisione è diversa da quella che si praticava in passato. Ci sono tre principali discipline, che si contraddistinguono completamente l'una dall'altra. Si passa dall'eleganza del fioretto, alla tecnicità della spada, alla dinamicità della sciabola.
Queste tre armi si differenziano principalmente per tecnicità e struttura. La divisa, ossia l'abito tecnico necessario per praticare questo sport, è la stessa per tutte le armi, con un'aggiunta di due diverse tipologie di "giubbetti elettrici" per il fioretto - tutto busto ma niente maniche, e per la sciabola - dalle spalle ai fianchi con maniche lunghe. Entrando nel dettaglio il fioretto è da molti considerata l'arma base. Il fioretto è l'arma più praticata e più tradizionale tra le armi utilizzate nella scherma. Ci si aggiudica un punto per stoccata quando tecnicamente e tatticamente parlando si effettua un'azione vincente nei confronti dell'avversario secondo la convenzione, ovvero una serie di regole stilate per aggiudicare la stoccata a un solo dei due atleti. La convenzione nasce nell'ottocento per regolare i duelli civili (principalmente per evitare il colpo "della doppia vedova" ossia per scongiurare la possibilità che su un attacco simultaneo i due avversari si colpissero mortalmente nello stesso istante) ,ed assegna la stoccata a chi ,colpendo,attacca per primo o para la stoccata avversaria e risponde. La parte che si può colpire è rappresentata da tutta la superficie conduttiva del giubbetto, di colore argentato, più parte della gorgera (parte finale della maschera che protegge il viso). La spada non necessita di un giubbetto aggiuntivo quindi ci si aggiudica il punto, anche contemporaneamente, ogni volta che si colpisce l'avversario su tutta la superficie del corpo, dai piedi alla testa. Infine la sciabola è l'unica arma con tutta la lama conduttiva, quindi ci si può colpire sia di taglio, che di controtaglio, che di punta. La superficie che permette il raggiungimento di un punto è rappresentata dal giubbetto stesso più maschera, completamente conduttiva anch'essa. Vale anche per questa disciplina la convenzione.
Dopo la dismessa della spada lunga, spade come la spalasz o i vari tipi di sciabola furono i tipi di lama maggiormente impiegate in battaglia, usate principalmente dalla cavalleria e dagli ufficiali. L'aumento di efficacia delle armi da fuoco però ne velocizzò il declino fino a farle diventare armi da parata o cerimoniali. L'arma preferita nel duello civile era prima la striscia e poi lo spadino, più veloce ma più corto, ma il duello venne gradualmente reso illegale in molti paesi.
La scherma si è così evoluta principalmente come sport, attraverso la scherma olimpica. Tuttavia, alcuni studenti di scherma, per evitare la perdita delle antiche arti, continuarono a mantenere viva la scherma storica e le arti marziali europee, fino anche al XXI secolo.

Cina

Nella cultura cinese, la spada a doppio taglio conosciuta anche come jian viene considerata un'arma da maestri o da gentiluomini, entrambi ai quali vengono richieste considerevoli abilità per combattere con queste armi, anche perché i comandanti degli eserciti preferivano il jian per muoversi facilmente fra le truppe.
Mentre molte arti marziali cinesi includono l'allenamento sia col jian che con la spada a singolo taglio, o dao (più varie altre varianti), non esistono discipline cinesi che allenano esclusivamente la spada.

Giappone

La spada giapponese ha mantenuto a lungo un significato particolare nella cultura giapponese per la reverenza e la cura che la casta dei samurai dava alle proprie armi. Il samurai impiegava principalmente una katana, lunga lama a singolo taglio (come una sciabola), ma portavano con sé anche il wakizashi, più piccolo. Il duello giapponese era molto ritualizzato e vedeva i guerrieri fronteggiarsi con la sola lama, brandita a due mani. Il famoso samurai Miyamoto Musashi, però, raccomandava come tecnica schermistica favorita l'uso di due armi assieme, Katana e Wakizashi (scuola Hyōhō Niten Ichi-ryū).
La preminenza simbolica e duellistica della spada in Giappone si sviluppò a partire dal XVII secolo, durante il periodo Edo (1603-1868) stabilito sotto la dinastia Tokugawa, in cui i samurai perfezionarono la tecnica della spada e ne trovarono applicazione nei duelli regolati dal codice d'onore del bushidō. In precedenza, durante le incessanti guerre fra clan feudali, le armi principali utilizzate erano la lancia e l'arco, mentre la spada rivestiva ruoli secondari, soprattutto prima del tentativo di invasione mongola del Giappone.
Il Kenjutsu è il termine utilizzato per riferirsi alle arti antiche di spada, dal quale si è poi sviluppata la disciplina e sport del kendo ("via della spada"), nonché lo Iaido, la "via di estrarre la spada e riporla nel fodero". Molte si focalizzavano quasi interamente sulla scherma tramandata da nobili famiglie feudali. Diverse scuole antiche, o koryu, esistono ancora oggi, parallelamente a scuole moderne.

Corea

Il governo centralizzato Joseon e la necessità di fronteggiare continue invasioni esterne indussero lo sviluppo di tecniche schermistiche come una disciplina militare standardizzata. Assieme ad altri sistemi marziali, forme di scherma vennero formalizzate nel militare manuale del Muyejebo (1610) basato sul Ji Xiao Xin Shu di Qi Jiguang, e nelle revisioni, nel Muyesinbo (1759) e nel Muyedobotongji (1790). Quest'ultimo descrive anche lunghezze e larghezze comuni delle spade utilizzate. Anche se non esclusivamente dedicato all'uso della spada, 8 dei 23 capitoli sono interamente devoluti ad essa, riflettendo le necessità di un'era in cui le armi da fuoco non erano ancora maturate abbastanza per l'uso nel combattimento a corto raggio.

Filippine

L'uso di vari tipi di arma bianca con lama, assieme ai bastoni e ad altre armi, è molto sviluppato nei vari stili di kali escrima.

sabato 24 ottobre 2015

Arma bianca



L'arma bianca indica tutte quelle armi che provocano ferite per mezzo di punte (come pugnali e baionette), forme contundenti (come martelli e arieti) o lame di metallo (come spade e sciabole); quelle che lanciano oggetti bellici (come archi, balestre, cerbottane e catapulte), e quelle che fungono da difesa da esse (come scudi e armature).
La locuzione deriverebbe dal bianco riflesso del sole sopra le superfici metalliche da parte di queste armi.


Storia

Nell'età della pietra si fabbricarono lame, coltelli, scuri di selce, e mazze semplici o formate da un bastone spaccato a una delle estremità, avente dentro lo spacco una pietra tenuta a posto con una legatura fatta di strisce di corteccia di albero o con una cordicella fatta di minugia attorcigliata.
In età antica, la hasta dei Romani era lunga circa 1.75 metri, quanto l'altezza di chi la portava il quale era chiamato hastatus. Nei secoli XV secolo, XVI secolo e XVII secolo si chiamò picca ed era per la fanteria molto lunga, facendo riscontro all'antico contus, arma propria dei cavalieri o all'antica sarissa della fanteria dell'esercito macedone.



Funzionamento

Gli oggetti contundenti basano il danno inferto sul principio dell'urto col bersaglio e per questo, sono chiamati anche armi da botta e ne sono tipici rappresentanti i bastoni, i martelli, le mazze, le clave. Infatti, queste sono armi da offesa, con manico più o meno lungo atte a ferire, ammaccare, contundere mediante percossa. I bastoni nodosi e le clave rappresentano i rudimenti di tali armi e sono antichi quanto l'umanità. Dopo le clave vennero le mazze e quindi la scure nell'età della pietra. Seguì il mazzafrusto (o flagello) simile al flagrum degli antichi romani, strumento di punizione formato da parecchie catene con palle di metallo alla loro estremità, sospese ad un manico corto: tale strumento fu anche usato come arma da guerra.
Le lame invece, si basano appunto sull'utilizzo della lama: questa è un pezzo di metallo di forma adeguata che presenta una o più parti affilate chiamate "filo".
Le lame possono essere più adatte a tagliare (in questo caso si parla di armi da taglio e ne sono tipici rappresentanti le spade, i coltelli, le sciabole e le asce) od a colpire di punta per penetrare nel bersaglio (da qui la nascita del termine armi da punta), come i pugnali o le lance, le picche e le baionette: a questo scopo, alcune armi da punta non prevedono nemmeno la presenza del filo sulla lama, ma hanno solamente la punta acuminata necessaria per penetrare e/o sfondare (come alcuni stiletti, i fioretti, i "centodieci", il "becco di corvo").
Esistono pure le armi da lancio come l'arco e la balestra; esse grazie alla forza fisica dell'uomo e in abbinamento a dispositivi meccanici (ma sempre caricati dalla forza del lanciatore) servono per lanciare - anche a distanze considerevoli - proiettili di vario tipo come pietre, frecce, quadrella, o vengono esse stesse lanciate (giavellotto, asce da lancio, coltelli da lancio).

Classificazione

Sciabola da ufficiale di marina francese del XIX secolo






Secondo alcuni sono dette armi bianche le armi che non provocano rumore. Per altri, si possono definire come gli strumenti atti ad offendere e che sfruttano solo la forza del combattente. Oppure si possono definire come tutte le armi in metallo che non siano armi da fuoco. Si possono suddividere le armi bianche secondo la dimensione: armi corte da mano, armi lunghe da mano e armi inastate, ad esempio:
  • Le armi bianche corte da mano sono occultabili e generalmente non superano la trentina di centimetri: in questa categoria si possono catalogare i coltelli, i pugnali, gli stiletti, le daghe corte, le accette da lancio.
  • Le armi bianche lunghe da mano erano le tipiche armi individuali da guerra, da usare a corta distanza, che precedettero le armi da fuoco: spade, sciabole, katane, asce da guerra ecc.
  • Sono armi bianche inastate o immanicate, quelle munite di un manico lungo da due a più metri che aumenta il raggio d'azione delle armi stesse.
Inoltre possono essere divise pure a seconda del fine per cui sono state costruite, quindi in:
  • Armi da lancio, create al fine di poter essere scagliate da una corta distanza contro l'avversario, in caso di necessità, (ad esempio i giavellotti e certi tipi di accetta, come il tomahawk);
  • Armi da botta e ne sono tipici rappresentanti i bastoni, i martelli, le mazze, le clave. Infatti, queste sono armi da offesa, con manico più o meno lungo atte a ferire, ammaccare, contundere mediante percossa;
  • Armi da taglio e ne sono tipici rappresentanti le spade, i coltelli, le sciabole e le asce, infatti tali armi sono finalizzate a tagliare;
  • Armi da punta, finalizzate nel colpire di punta il bersaglio, come i pugnali o le lance, le picche e le baionette: a questo scopo, alcune armi da punta non prevedono nemmeno la presenza del filo sulla lama, ma hanno solamente la punta acuminata necessaria per penetrare e/o sfondare (come alcuni stiletti, i fioretti, i "centodieci", il "becco di corvo");
  • Armi da tiro che lanciano a grandi distanze (come la balestra e l'arco) oggetti bellici (frecce, quadrella...).
  • Armi da difesa che difendono da colpi di armi bianche, come armature, scudi e cimieri.
  • Le Armi morbide sono tutte le armi pieghevoli o snodate, come il Chigiriki ed il Jiu jie bian.







venerdì 23 ottobre 2015

Chang Dsu Yao

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Chang Dsu Yao 张祖堯 (cinese) (Peixian, 14 giugno 1918 – Taipei, 7 febbraio 1992) è stato un insegnante cinese che ha contribuito alla diffusione delle arti marziali in Italia.
张祖堯, Zhang Zuyao (pinyin), Chang Tsu-Yao (Wade-Giles). Secondo nome (Zi): 张成勳, Zhang Chengxun (pinyin), Chang Ch'eng Hsün (Wade-Giles).

Note biografiche

Chang Dsu Yao nacque nel villaggio Chaijicun (柴集村), nell'area amministrativa di Zhuzhaixiang (朱寨乡), distretto di Peixian, nel 1918. Secondo le biografie ufficiali, che compaiono nei libri da lui stesso firmati in Italia, iniziò a praticare arti marziali cinesi con il maestro Liu Baojun all'età di sei anni e proseguì lo studio con lui fino all'età di vent'anni. Una cosa invece quasi totalmente misconosciuta è che Liu Baojun era un maestro di quindicesima generazione di Meihuaquan. Nel 1938, Chang Dsu Yao fece il suo ingresso nella Junxiao Diliu Fenxiao (军校第六分校), un ramo dell'Accademia Militare Wampoa creato in quell'anno a Guilin. In Accademia frequentò altri maestri ed apprese altre pratiche di arti marziali cinesi, in particolare studiò con Chang Ch'ing P'o, e con Chang Tung Sheng. Probabilmente entrò anche in contatto con Fu Zhensong. Nei testi italiani si tramanda che da Chang Ch'ing Po, Chang Dsu Yao apprese alcuni stili, come Bajiquan (Pugilato degli otto estremi), Baguazhang (Palmo degli otto trigrammi), Xingyiquan (Pugilato della forma e dell'intenzione), Liangyiquan (Pugilato dei due principi). Chang Ch'ing P'o, sempre nei testi firmati da Chang Dsu Yao stesso, è accreditato come allievo di Yang Chengfu e di Sun Lutang. È quindi probabile che Chang Dsu Yao abbia approfondito con lui anche lo studio del Taijiquan, in special modo il Taijiquan stile Yang. Da ufficiale, partecipò alla guerra contro i giapponesi e poi alla guerra civile contro le forze comuniste di Mao Tse Tung. Dopo la sconfitta dell´esercito nazionalista di Chiang Kai-shek, nel 1949 si rifugiò a Taiwan, come altri militari che scelsero di seguire Chiang nel suo vano progetto di creare una base da cui poter riconquistare la Cina continentale. A Taiwan, Chang Dsu Yao strinse amicizia con Zheng Manqing e con Liu Yunqiao. Quest'ultimo fondò l'Associazione Wutan e la rivista omonima Wutan Zazhi. Chang Dsu Yao fece delle lezioni in questa associazione e scrisse articoli su questa rivista.
«Io in tutta la vita ho amato le arti marziali cinesi e desidero che diventino un interesse di tutti i compatrioti , affinché sviluppino vigorosamente lo spirito nazionale; per raggiungere l’obiettivo bisogna incoraggiare l’attività delle arti marziali cinesi, valorizzando la cultura tradizionale cinese; desidero studiare la pratica del Meihuaquan per tutta la vita e prendendo in prestito il terreno della rivista Wutan, fornirò una relazione su questa comune passione, per farlo conoscere in tutto il mondo, nelle prossime pubblicazioni.»
(Chang Dsu Yao, Xi Wu Xinde )
Durante la sua permanenza a Taiwan, Chang ebbe l'incarico di insegnare arti marziali nell'esercito e nella polizia, e fece delle lezioni all'università della capitale. Tra i suoi allievi di Meihuaquan a Taiwan, oltre al figlio Chang Wei Shin, è ricordato Xu Wenli (徐文理). Dopo il suo pensionamento venne scelto dalla Comunità Cinese di Bologna per essere invitato in questa città ad insegnare arti marziali cinesi, perciò tra il 1975 ed il 1976 si trasferì in Italia, dove insegnò a numerosi allievi prima a Bologna stessa poi a Milano. Il trasferimento a Milano avvenne nel 1977 dietro invito del Maestro Roberto Fassi e grazie all'opera dei primi allievi milanesi entra nella FE.S.I.KA, dove dirige il settore Kung Fu. Negli anni successivi, vista la diffusione enorme della sua scuola, il maestro Chang fonda una propria Associazione, la FeIK, affiliata alla KFROC ed alla CKWPA. Nel 1986 gli atleti della squadra del Maestro Chang Dsu Yao che parteciparono ai campionati del mondo a Taiwan entrarono in contatto con esponenti della scuola di Meihuaquan dell'isola, in particolare con Zhang Wuchen e Weng Zhengmao. Al loro rientro in Italia si misero a capo di una fazione che diede vita ad una clamorosa e dolorosa separazione dalla FeIK che portò via la metà dei soci di questa associazione. Il 7 febbraio 1992 il maestro Chang Dsu Yao muore, mentre si trova a Taiwan.
Oggi, in Italia, il sistema di arti marziali cinesi insegnato da Chang Dsu Yao è conosciuto come Scuola Chang o Kungfu Chang ad indicare un sistema composito e nuovo.


giovedì 22 ottobre 2015

Nagamaki

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Il nagamaki (長巻, letteralmente "[lama con] inastamento lungo" in lingua giapponese) è un'insolita arma inastata giapponese, a metà strada tra il falcione (naginata) e la spada (tachi), particolarmente in uso tra il XII ed il XIV secolo. Monta una pesante lama lunga 2-4 shaku (60-120 cm) su di un'impugnatura di lunghezza più o meno simile (60-90 cm).
Arma peculiarissima, il nagamaki esula dalle normali tipologie di classificazione e può essere accomunato solo allo spiedo da guerra in uso in Europa nel XV secolo.

Storia

Il nagamaki comparve durante l'Epoca Kamakura (1192–1333) e restò in uso fino all'Epoca Muromachi (1392–1573). Si ritiene che fosse l'arma prediletta da Oda Nobunaga (1534-1582) e che Uesugi Kenshin (1530-1578) avesse una propria guardia scelta di bushi armati di nagamaki.
Allo stato attuale della ricerca, si ritiene che il nagamaki sia stato sviluppato dagli armaioli nipponici partendo dalle lunghe spade da campo, nodachi e ōdachi, destinate a contrastare le cariche di cavalleria sempre più in uso in Giappone durante il XIV secolo. Il medesimo processo evolutivo avrebbe portato anche allo sviluppo del naginata, sorta di equivalente del falcione dell'Europa medievale.
La linea e la modalità d'utilizzo del nagamaki, soprattutto nella versione a lama lunga, ricordano molto un'arma cinese, lo zhǎnmǎ dāo, sviluppato durante il regno della Dinastia Song (960-1279). Il peculiare rapporto lama-impugnatura del nagamaki, la sua natura ibrida di "spada inastata" ed il suo stretto rapporto con il naginata, arma inastata vera e propria, permettono invece di sviluppare un parallelismo con un'arma occidentale, lo spiedo da guerra, e con la sua variante inastata, il brandistocco.

Costruzione

Il nagamaki monta una lama monofilare simile a quella di un katana, lunga tra i 2 ed i 4 shaku (60-120 cm) con una lunga impugnatura (tsuka) di 2-3 shaku ricoperta di pelle e seta come gli altri tipi di spade giapponesi. Nei casi in cui lo tsuka era privo di pelle o seta, il corpo ligneo dell'impugnatura veniva rinforzato con degli anelli di metallo.
Rispetto alle altre spade (katana, tachi, wakizashi, tantō), il nagamaki era oggetto di minori restrizioni circa misure e proporzioni delle parti: la lunghezza della lama "scoperta" (nagasa) e del codolo (nakago), tanto quanto quella della punta (kissaki) non erano quindi fisse e codificata ma soggette a variazioni. In alcuni casi un lungo codolo poteva permettere di riconfigurare la lama di un nagamaki in un'asta, facendone un massiccio naginata: il nagamaki Araki-ryū è in pratica un naginata di oltre 4 kg e 2,4 m.
La presenza costante dello tsuka nei nagamaki costituisce la principale differenza di quest'arma rispetto al naginata, arma la cui lama è invece inastata su di un'impugnatura di lancia vera e propria, e concorre a classificare il nagamaki nel novero delle spade giapponesi.
Altra differenza tra il naginata ed il nagamaki che concorre a classificare quest'ultimo più come spada che come arma inastata è la modalità d'utilizzo. La dove il naginata, come tutte le armi inastate vere e proprie, prevede cambi d'impugnatura onde sfruttare al meglio le possibilità di allungo e di parata offerte dall'asta, il nagamaki prevedeva da parte del bushi una presa solida e ferma in linea con quella del katana, con la mano destra sempre vicina allo tsuba (la "guardia" dell'impugnatura).

mercoledì 21 ottobre 2015

Sakanoue no Tamuramaro

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Sakanoue no Tamuramaro (坂上田村麻呂; 758 – 811) è stato un militare giapponese.
Figlio di Sakanoue no Karitamaro, fu il secondo shōgun della storia, in quanto ricevette il titolo di Seii Taishōgun dall'Imperatore Kammu nel 797 quando questi lo mise a capo di una spedizione contro gli emishi (蝦夷征伐 emishi seibatsu), una popolazione che abitava la parte settentrionale dell'isola di Honshū; sono state trovate tracce archeologiche di una migrazione degli emishi verso l'isola di Hokkaidō tra il VII e l'VIII secolo, ma molti rimasero nella regione di Tohoku accettando la sottomissione all'imperatore, ed in particolare la tribù fushu ricevette alcuni feudi che i suoi esponenti amministrarono come vassalli dell'imperatore.
Dopo la morte di Kammu, sotto gli imperatori Heizei e Saga, Tamuramaro divenne dainagon (gran consigliere) e hyōbukyō (ministro della guerra).
A Tamuramaro è attribuita la costruzione del Kiyomizu-dera, uno dei templi più famosi di Kyōto. Si crede inoltre che le feste e le processioni che hanno luogo nella prefettura di Aomori durante il Tanabata si siano originate come celebrazioni per la vittoria di Tamuramaro su quelle terre; queste celebrazioni sono chiamate Nebuta ad Aomori e Neputa (ねぷた祭り) a Hirosaki, e fino alla metà degli anni novanta il premio al miglior carro della processione era chiamato "premio Tamuramaro". Tuttavia, non c'è alcuna prova storica che egli si sia mai spinto più a Nord della prefettura di Iwate.
La tomba di Tamuramaro si trova a Shōgun-zuka, ad Est di Kyōto.

martedì 20 ottobre 2015

Takeda Sōkaku

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Takeda Sokaku, 武田惣角 (Aizu, 10 ottobre 1859 – 25 aprile 1943), è stato un artista marziale giapponese.

La giovinezza

Seguì gli insegnamenti paterni di Kenjutsu, Bōjutsu e soprattutto Daito Ryu, mentre studiava anche Ono-ha Itto-ryu al dojo Yokikan con Shibuya Toda.
All'interno della famiglia Takeda, si tramandava infatti da secoli un'arte marziale riservata ai componenti del clan, che si dice fosse stata fondata dal principe Teijun nel IX secolo, e poi trasmessa via via alle famiglie Tsunamoto e poi Minamoto, famiglia da cui provennero per secoli gli Shogun, detentori del potere temporale in Giappone.
A partire dal XII secolo, il principe Saburo Yoshimitsu Minamoto avrebbe chiamato la scuola Daito-ryu, od anche Aiki-jutsu. Attraverso i Takeda, ramo cadetto dei Minamoto, l'arte marziale si era trasmessa fino a quei tempi, conosciuta in epoca tarda anche come Aiki In Yo Ho, metodo Yin e Yang dell'Aiki.
Dal 1873, sotto la guida di Sasakibara Kenkichi, Takeda Sokaku, oltre ad immergersi nello studio del Jikishinkage ryu, incontrò molti dei più grandi maestri di spada dell'epoca, membri del Kobusho (la scuola ufficiale di arti marziali dello shogunato Tokugawa).
Padroneggiò un gran numero di tecniche e di armi, inclusi spada (Katana), bastone (Bō), bastone corto (Hankyu), armi da lancio (Shuriken) e lancia (Yari) in stile Hozoin-ryu.
Intraprese poi il suo Musha-shugyo, pellegrinaggio teso al miglioramento dell'arte marziale attraverso il confronto e lo scontro con altre scuole ed altri maestri, visitando numerosi Dojo, e mettendo alla prova e perfezionando le sue conoscenze marziali dovunque si recasse. Seguendo anche in questo il cammino di famiglia (suo padre Soyoshi era sacerdote presso un tempio), approfondì il suo retroterra spirituale attraverso costanti visite dedicate alla preghiera, alla devozione e alle pratiche ascetiche in santuari come l'Udomyojin in Kyushu, il Monte Futara in Nikkō, ed il Monte Haguro nella provincia di Dewa. Nel frattempo le sue conoscenze di spada erano divenute ineguagliate, e veniva temuto come "il piccolo Tengu di Aizu" (i tengu sono dei demoni dal lungo naso, rinomati anche per le loro abilità nelle arti marziali).
Nel 1875, dopo un infruttuoso tentativo di partecipare alla ribellione lanciata da Saigō Takamori in Satsuma contro le forze del nuovo regime Meiji, repressa prima che lui potesse varcare le linee, ritornò ad Osaka passando 10 anni come ospite nel dojo Kyoshin Meichi-ryu del maestro di spada Momonoi Shunzo.
Fu attraverso Chikamasa Saigo Tanomo, ex Consigliere Capo del dominio di Aizu (hittōgarō 筆頭家老), poi divenuto prete Shinto col nome di Hoshina Chikanori, che apprese l'Oshikiuchi.
Sokaku ricevette l'insegnamento nelle arti dell'Oshikuchi da Chikanori durante il suo apprendistato come sacerdote, che non ebbe però seguito, e ritornò più volte da allora a far visita al suo mentore. Sotto la guida di Chikanori, si dice che abbia perfezionato "miracolose" capacità di comprensione dei pensieri altrui, e che abbia afferrato ogni aspetto profondo dello Oshikiuchi. Si dice sia stato Chikanori, al termine di un turbolento periodo della vita di Takeda Sokaku, a dargli l'ordine di deporre la spada e tornare allo studio del Daito-ryu, cosa che avvenne nel 1889, all'età di 40 anni, sotto la guida di Tozaemon Takeda, monaco presso il tempio di Reizan.
Il 12 maggio del 1898 Chikanori presentò a Takeda un singolare poema, trascrivendolo nel registro delle iscrizioni di Sokaku. Un'interpretazione delle parole di Chikanori è che stia paragonando il flusso di un fiume al flusso del tempo. Con l'inizio del periodo Meiji aveva avuto termine infatti l'età della spada, e qualunque fosse stato il grado di conoscenza di un uomo d'arme, egli non avrebbe più potuto lasciare alcun segno né raggiungere alcuna meta. Di conseguenza, era il momento di cercare e costruire la propria via attraverso il Jujutsu.

La maturità e l'incontro con Morihei Ueshiba

Nel 1899 ricevette l'autorizzazione all'insegnamento, e poco tempo dopo decise di adottare ufficialmente l'antico nome di Daito-ryu. Da questo momento, Sokaku identificò sé stesso come un praticante sia di Daitō-Ryū Aikijūjutsu che di Onoha Itto-ryu, e viaggiò attraverso il Giappone insegnando ambedue le arti per essere riconosciuto come il rianimatore (chuko-no-so) del Daito-ryu.
Uno dei suoi allievi, Jitsuhide Zaibu, divenne capo della polizia dell'isola di Hokkaido, ed invitò il maestro a recarvisi per insegnare alle forze dell'ordine. In Hokkaido risiedeva in quel tempo anche Morihei Ueshiba (il futuro fondatore dell'Aikido), che aveva aderito al piano governativo di colonizzazione dell'arida e gelida isola del nord.
Ueshiba aveva iniziato la pratica delle arti marziali all'età di 15 anni nel 1898, seguendo gli insegnamenti della scuole del Tenshin Shinyo Ryu col Maestro Tokusaburo Tojawa, e poi, a partire dal 1902, della scuola del Yagyu Shinkage Ryu col Maestro Masakatsu Nakai. Le notizie del periodo successivo, relative alla sua permanenza nell'Esercito ed al suo temporaneo trasferimento a Tokyo, sono incerte. Fu dunque in Hokkaido, nella città di Kitami o forse a Shirataki, che si incontrarono per la prima volta Takeda Sokaku e Morihei Ueshiba.
Viene riportato un primo incontro risalente al 1911, ma dai registri della scuola Daito-Ryu in possesso di Tokimune Takeda risulta che Ueshiba ne divenne ufficialmente discepolo solo nel 1915, all'età di 32 anni.
In seguito Ueshiba ospitò spesso Tokaku nella sua casa di Shirataki per riceverne l'insegnamento. Era infatti costume di Takeda di non avere un Dojo fisso, ma di tenere un insegnamento itinerante, recandosi qua e là per corsi intensivi che duravano normalmente 10 giorni.
Quando alcuni anni dopo Ueshiba decise di abbandonare l'isola, lasciò la sua casa a Takeda, che continuò per molti anni a vivere in Hokkaido. Morihei Ueshiba ricevette nel 1922 da Takeda l'autorizzazione all'insegnamento del Daito-ryu, avendo ancora occasionali incontri con lui negli anni a seguire. Gli ultimi incontri tra i due personaggi sembrano risalire al 1931.
Takeda Sokaku non era fisicamente grosso – era alto non più di 150 centimetri – ma le sue tecniche di combattimento erano ritenute di un livello estremamente alto.
Tra i suoi studenti più conosciuti, oltre Morihei Ueshiba, vi fu anche Saigo Tsugumichi, il maestro di spada dello Hokushin Itto-Ryu Shimoe Idetaro, ad almeno altre trentamila persone: la firma con sigillo di ognuno di essi appare nel registro di iscrizione, ancora conservato ai nostri giorni. Il suo era un insegnamento di élite, riservato alle forze dell'ordine e ad alte personalità.
Takeda Sokaku si spense il 25 aprile del 1943, all'età di 83 anni, mentre era in viaggio per insegnare nella prefettura di Aomori.

lunedì 19 ottobre 2015

Arma non letale

Un raggio abbagliante, esempio di arma non letale




Un LRAD, un'arma sonica


L'arma non letale (in inglese less-lethal weapon ovvero lett.: arma meno letale) anche detta arma inabilitante è un particolare tipo di arma, atte a fermare o comunque bloccare persone, masse di persone, materiali o mezzi.



Caratteristiche

Spesso questo tipo di armi vengono usate per autodifesa o dalle forze di polizia per sedare proteste, rivolte e sommosse senza causare danni seri (almeno in teoria) ai bersagli. Questo tipo di armi colpiscono, puniscono e scoraggiano i bersagli, ma non dovrebbero uccidere. In teoria sono nate e sono state sviluppate per essere, a pari numero di utilizzi rispetto per esempio ad armi da fuoco, molto meno letali, ovvero causare in percentuale meno ferite fatali nei soggetti colpiti, in operazioni di polizia e anti-sommossa.
Nel tempo, continuando le sperimentazioni e l'utilizzo di nuovi materiali si sta comunque andando verso una teoria, e quindi poi una pratica, della non-letalità garantita.


Tipologie

Questa tipologia di arma può essere suddivisa in cinque aree, a seconda della tecnologia che queste impiegano: opto-elettrica, acustica, chimica-batteriologica, informatica e cinetica.



Area opto-elettronica

Rientrano in questa area ad esempio i fumogeni multispettrali, i laser a bassa energia, gli impulsi elettromagnetici.


Area acustica

Rientrano in questa area i generatori di ultrasuoni, ovvero suoni ad una frequenza molto alta possono causare disorientamento e vomito. Queste armi sono state usate anche per tentare di respingere attacchi di pirati contro imbarcazioni mercantili al largo delle coste della Somalia, ed il loro uso è servito ad evitare diversi attacchi (anche se a volte non è stato sufficiente).


Area chimica-batteriologica

Rientrano in questa categoria ad esempio gli agenti calmanti, biologici, le supercolle e gli antiaderenti, così come le schiume, supercaustici e le tecnologie di alterazione della combustione.






Area informatica

Rientrano in questa categoria i virus informatici, che sono un'arma che permette di danneggiare in modo temporaneo o non un sistema informatico nemico. Questo tipo di arma ha il vantaggio che chi la usa può avere un illimitato accesso a reti informatiche, avendo il vantaggio dell'anonimato.


Area cinetica

Rientrano in questa categoria tutte quelle armi basate sull'energia cinetica: ad esempio armi con proiettili di gomma (rubber bullet) o legno, cannoni ad acqua, granate spugnose.


Esempi

  • Armi ad aria compressa, utilizzate soprattutto in ambito sportivo
  • il Taser, pistola di stordimento che emette delle scariche elettriche
  • il Phaser, che dà sensazioni di calore, sfruttando le microonde
  • iI Multirole Acoustic Stabilized System, che combina un cannone sonoro ad un accecatore laser
  • il Long Range Acoustic Device, un cannone sonoro che sfrutta le onde acustiche
  • i beanbags (letteralmente sacchetti di fagioli), speciali cartucce con effetto contundente per fucile a canna liscia;
  • le Flashbang, granate stordenti
  • il gas lacrimogeno, che causa forte lacrimazione e bruciore
  • lo spray al peperoncino
  • il debilitatore, congegno che emette particolari suoni e luci capaci di disorientare un essere umano.















domenica 18 ottobre 2015

Torii Mototada

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Torii Mototada (鳥居 元忠; 1539 – 8 settembre 1600) è stato un samurai giapponese del periodo Sengoku e del seguente periodo Azuchi-Momoyama. Era agli ordini del condottiero Tokugawa Ieyasu, uno dei principali artefici della riunificazione del paese.
Torii morì nell'assedio di Fushimi, dove la sua guarnigione venne sopraffatta e distrutta dall'esercito di Ishida Mitsunari. Rifiutando di arrendersi contribuì al cambiamento della storia giapponese, lasciando a Tokugawa il tempo per scappare e vincere la battaglia di Sekigahara.

Biografia

Primi anni

Torii nacque ad Okazaki ed era figlio di Torii Tadayoshi. Quando era ragazzo, venne mandato ostaggio al clan Imagawa dove divenne un paggio di Tokugawa Ieyasu, a quel tempo chiamato Matsudaira Takechiyo. Dopo il ritorno dal clan Imagawa, Ieyasu unificò la Provincia di Mikawa, e Mototada era al suo servizio in qualità di capo militare.

Al servizio di Ieyasu

Nel 1572, Mototada succedette alla guida della famiglia Torii, dopo la morte del padre. Negli anni successivi combatté nella battaglia di Mikatagahara e nella successiva battaglia del castello Suwahara subì una ferita alle gambe che gli rese difficile camminare negli anni seguenti.
Mototada fu al fianco di Ieyasu nelle maggiori campagne militari. Con una forza di soli 2,000 uomini, che costituivano la retroguardia dell'armata, attaccò e sconfisse le forze del Tardo clan Hōjō composte di circa 10.000 uomini. Fu premiato da Ieyasu che gli offrì il castello Yamura nella Provincia di Kai. Nel 1585 si unì a Ōkubo Tadayo e Hiraiwa Chikayoshi nell'assedio al castello Ueda del clan Sanada.
Dopo che Ieyasu si spostò nella regione di Kantō, fece di Mototada un daimyo e gli affidò il feudo di Yahagi nella Provincia Shimōsa, che produceva 40.000 koku di riso all'anno.

Morte

Nell'agosto 1600, Torii venne informato da alcune spie che un esercito di 40.000 uomini guidati dagli alleati del clan Toyotomi stava travolgendo ogni ostacolo nella marcia verso il castello di Fushimi. Malgrado la guarnigione che difendeva il castello fosse in inferiorità numerica, la fuga sarebbe stata ancora possibile, ma Mototada in un estremo atto di lealtà al suo padrone Tokugawa Ieyasu decise di rimanere e combattere fino alla fine.
Nella sua ultima lettera scritta durante l'assedio ed indirizzata al figlio maggiore Tadamasa, Torii scrisse che la sua famiglia aveva servito i Tokugawa per generazioni e che il suo stesso fratello era stato ucciso in battaglia. Scrisse anche che era un onore morire in battaglia, prima di tutto perché questo avrebbe dato coraggio al resto dei soldati di Tokugawa. Chiese al figlio di crescere i fratelli minori e di farli entrare a loro volta al servizio del clan Tokugawa, di rimanere umili e di non desiderare compensi monetari o terrieri.
Torii guidò i difensori del castello combattendo fino all'ultimo. L'eroica resistenza tenne impegnate le truppe nemiche per 10 giorni e diede modo a Ieyasu di mettersi in salvo e riorganizzare le proprie forze. Quando la guarnigione fu sterminata e non fu più possibile combattere, commise seppuku, come da tradizione dei militari giapponesi.

Eventi che seguirono

Ieyasu riuscì nel giro di pochi giorni ad organizzare un grosso esercito e fu in grado di fronteggiare l'armata comandata da Ishida Mitsunari. Lo scontro avvenne il 21 ottobre di quello stesso anno nella celebre battaglia di Sekigahara, durante la quale le armate di Ieyasu trionfarono. Il successo pose fine alle guerre civili che avevano insanguinato il Giappone dal 1478 e permise a Ieyasu di assumere il controllo dell'intero paese. Negli anni successivi avrebbe consolidato il proprio potere arrivando a fondare nel 1603 lo shogunato Tokugawa, l'ultima dittatura militare del Giappone, che avrebbe dominato il paese fino al 1868. L'istituzione dello shogunato avrebbe dato il via ad un periodo di pace e di grande stabilità politica.
Il figlio di Mototada, Torii Tadamasa, ricevette nel 1602 da Ieyasu l'importante feudo di Iwakitaira, che produceva 100.000 koku di riso all'anno.