mercoledì 18 ottobre 2017

Hachiwari

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L'hachiwari (鉢割 "spacca calotta"), noto anche come kabutowari (兜割 "spacca elmi"), era una sorta di stiletto a sezione triangolare e a lama smussata usato in Giappone nel periodo feudale.
Lungo circa 30-35cm (anche se alcune versioni più lunghe raggiungevano i 45cm), era incurvato ed presentava un uncino sul dorso, vicino alla base dell'impugnatura. In certi casi la fattura dell'hachiwari era così simile a quella di un tantō da essere considerato un vero e proprio coltello, piuttosto che un randello a lama smussata.

Uso

Riguardo al suo utilizzo, si ritiene fosse del tutto simile a quello del jitte: portato al fianco come fosse un pugnale, in combattimento veniva solitamente usato insieme alla spada, impugnata nella mano destra, tenendolo nella mano sinistra con lo scopo di parare i colpi dell'arma avversaria e tentare, se possibile, di spezzarne la lama con l'uncino. In alternativa poteva essere usato per sfondare l'elmo o, come appare più probabile, per penetrare di punta negli interstizi dell'armatura dell'avversario.
Sembrano infatti più leggenda che altro i racconti di samurai che siano riusciti a rompere il kabuto di una O-yoroi con un hachiwari: il kabuto era costituito da numerose lamine di metallo, per lo più ferro, ribattute e inchiodate, che avrebbero richiesto un'enorme pressione per essere spaccate. D'altro canto, sembrerebbe probabile riuscire a deformare l'elmo o a staccarne un pezzo agganciandolo con l'uncino e facendo leva.
Armi simili erano conosciute anche in Europa, dove erano chiamate daghe mano sinistra o rompispade. Tuttavia, anche se la funzione e il modo di usarle erano in pratica gli stessi, la loro forma era molto diversa da quella dell'hachiwari: esse erano grossi coltelli a doppio filo in cui una o anche tutte e due le lame erano "a pettine" così che, parando la lama avversaria, era possibile bloccarla tra i denti e, mediante una torsione, tentare di disarmare l'avversario o addirittura di spezzarne l'arma.
Sembra che Munisai Shinmen, padre di Musashi Miyamoto, fosse un maestro nell'uso del kabutowari al punto di ricevere i complimenti dello shôgun Ashikaga per la sua abilità.

L'hachiwari oggi

Al giorno d'oggi non si conoscono discipline di arti marziali specifiche per l'uso dell'hachiwari, tuttavia alcune scuole di Bujinkan ne prevedono l'insegnamento come estensione del jittejutsu. Per questo, è ancora possibile trovare hachiwari in alcuni piccoli negozi di armi giapponesi.





















































































































































martedì 17 ottobre 2017

Calcio basso

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Il calcio basso è conosciuto con il suo nome inglese: low kick; è una tecnica di gamba usata negli sport da combattimento, nelle arti marziali e nei sistemi di autodifesa. Il calcio basso consiste in un colpo di gamba che porta a contatto il dorso del piede o la tibia dell'esecutore con gli arti inferiori dell'avversario; secondo il regolamento sportivo, può essere portato all'esterno ed all'interno della gamba.
Nella lotta a contatto pieno (detto alla K.O. System) permette di ridurre la stabilità di un avversario per porlo temporaneamente in condizione di svantaggio.
In materia di colpi alle gambe, vari calci coesistono e possono essere utilizzati: circolare (roundhouse kick), semicircolare (semi-circular kick), "balansati": calcio con gamba retta (stick kick), calcio incrociato (crescent kick), calcio discendente (axe kick), diretti di tipo penetrante: calcio frontale (front kick) o calcio laterale (side kick), calcio circolare dall'interno (hook kick), calcio discendente (hammer kick), ecc.
Secondo il regolamento della kickboxing americana o giapponese, questo tipo di calcio può essere soltanto circolare o semicircolare.



lunedì 16 ottobre 2017

Assorbimento di colpo

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Nel pugilato e altri tipi di lotta, l'assorbimento di colpo è un'azione difensiva che consiste nell'accompagnare il colpo dell'avversario per attutire l'effetto del colpo stesso. Alcuni atleti usano questa modalità di difesa per sferrare contemporaneamente un contrattacco dopo avere provocato l'attacco dell'avversario. Assorbire un colpo è una cosa diversa dall'incassarlo.

domenica 15 ottobre 2017

Bodhi

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«Allora per sette giorni, libero da malessere del corpo, egli sedette contemplando la propria mente e i suoi occhi non ammiccavano mai, il saggio riflettendo che in quel sito aveva raggiunto il "Risveglio", realizzò il desiderio del suo cuore»
(Aśvaghoṣa. Buddhacarita, Le gesta del Buddha. XIV, 94)
Il termine sanscrito e pāli bodhi (devanāgarī बोधि) indica il 'risveglio' buddhista inteso in senso spirituale, tradotto in Occidente anche con il termine 'illuminazione'. Il termine bodhi indica quindi l'illuminazione spirituale nell'ambito della religione buddhista.

Origine del termine e sua resa in altre lingue orientali

Il termine bodhi è derivato dalla radice verbale bud (accorgersi, apprendere, capire), corrispondente al verbo bodati, bodate (sanscrito; bujjhati in lingua pāli). Stessa etimologia ha la parola Buddha (il "risvegliato").
Tale termine possiede tre rispettive rese nelle altre lingue orientali:
  • in cinese ;
  • in giapponese satori o go;
  • in coreano o;
  • in vietnamita ngộ;
o anche
  • in cinese jué;
  • in giapponese kaku o gaku;
  • in coreano gak o kak;
  • in vietnamita giác;
  • in tibetano thugs su chud pa;
o anche
  • in cinese 菩提 pútí;
  • in giapponese bodai;
  • in coreano 보리 bori o pori;
  • in vietnamita bồ đề;
  • in tibetano byang chub.



Bodhi e la sua traduzione nelle lingue occidentali con i termini di "illuminazione" e "risveglio"

Nel XIX secolo, in particolare in ambienti intellettuali legati alla Società Teosofica, è invalso in Occidente l'uso di tradurre bodhi con "illuminazione" e così viene tradotto tuttora nelle principali lingue europee.
William K. Mahony ritiene questa traduzione pertinente:
«Coerentemente con il concetto diffuso in Asia meridionale e orientale, secondo il quale la verità finale viene appresa grazie a una "vista" straordinaria (per cui si parla, dal punto di vista religioso, "vista interiore" o "visione"), l'illuminazione è spesso descritta come un'esperienza nella quale si "vedono" le cose come sono realmente e non più come esse appaiono. Aver raggiunto l'illuminazione significa aver visto attraverso la fuorviante trama di illusione e ignoranza, e attraverso l'oscuro velo della comprensione abituale, la luce e la chiarezza della verità stessa. Il termine illuminazione solitamente traduce la parola sanscrita, pāli e pracritica bodhi che in senso generale significa "saggio, intelligente, pienamente conscio". Di conseguenza, bodhi sta anche a indicare una certa "luminosità" (altro tema visivo) della coscienza individuale.»
Robert M. Gimello ritiene invece che la traduzione con "illuminazione" del termine sanscrito bodhi possa condurre a dei fraintendimenti e che quindi il termine "risveglio" vada raccomandato al suo posto.

La dottrina della bodhi

La bodhi rappresenta in ambito buddhista la mèta del percorso religioso. Nel primo buddhismo questa mèta veniva indicata con il sostantivo maschile sanscrito mokṣa (liberazione) ripreso dalle prime Upaniṣad termine poi progressivamente sostituito con quello di bodhi per indicare un analogo significato, ovvero la liberazione dal saṃsāra, il ciclo delle rinascite.
Nel panorama delle differenti scuole buddhiste, e delle rispettive dottrine, l'ottenimento della bodhi acquisisce differenti contenuti e significati, così come sono differenti i percorsi da intraprendere per la sua realizzazione.

La realizzazione della bodhi nel Buddhismo dei Nikāya

La realizzazione della bodhi nel Buddhismo Theravāda

Nel Buddhismo Theravāda la bodhi viene conseguita da coloro che avendo udito e compreso profondamente la dottrina delle Quattro nobili verità si siano contestualmente incamminati lungo l'Ottuplice sentiero realizzando quindi lo stato di arahant (pāli; sanscrito araht).
Questa "illuminazione", propria degli sāvaka (pāli; sanscrito śrāvaka; 'uditori') è identica, sempre per la scuola Theravāda, anche per i pacekkabuddha (pāli; sanscrito pratyekabuddha; 'buddha solitari') e gli stessi buddha.
Non c'è quindi differenza nella qualità della bodhi tra sāvaka, pacekkabuddha e buddha; la differenza tra questi è piuttosto nel fatto che solo i buddha sono in grado di insegnare la 'dottrina', il Dhamma (pāli; sanscrito Dharma) al termine del loro percorso di bodhisatta (pāli; sanscrito bodhisattva) avendo realizzato lo stato di buddha perfetti (pāli sammāsambuddha; sanscrito samyaksaṃbuddha).
Per mezzo della realizzazione della bodhi, gli sāvaka, i pacekkabuddha e i buddha entrano nel nibbāna (pāli; sanscrito nirvāṇa) e, dopo la loro morte, nel parinibbāna (pāli; sanscrito parinirvāṇa).
La realizzazione della bodhi, e conseguentemente dello stato di arahant e l'ingresso nel nibbāna, avviene quando vengono estinte in modo definitivo tutte le passioni (pāli kilesa; sanscrito kleśa) e gli attaccamenti (pāli taṇhā; sanscrito tṛṣṇā) e le loro cause. La mente è così liberata dalle tre impurità (pāli asava; sanscrito āsrava): quella dei sensi, del divenire e dell'ignoranza, causa delle infinite rinascite nel samsāra (pāli; sanscrito saṃsāra). L'arahant così liberato non rinascerà più in quanto le sue azioni non hanno più frutto karmico.


La realizzazione della bodhi nel Buddhismo Mahāyāna e nel Mahāyāna Vajrayāna

Nel Buddhismo Mahāyāna e nel Buddhismo Mahāyāna Vajrayāna, la bodhi conseguita nelle scuole del Buddhismo dei Nikāya e nel Buddhismo Theravāda è considerata incompleta e quindi non corrisponde alla bodhi più profonda (l'anuttarā-samyak-saṃbodhi).
Tale considerazione si fonda sul fatto che tali scuole non accolgono come canonici i sutra mahāyāna rifiutando le dottrine lì riportate.
D'altro canto questi sutra mahāyāna, in particolar modo i Prajñāpāramitā sūtra e il Sutra del Loto, non pongono al centro dell'insegnamento del Buddha Śākyamuni la dottrina delle Quattro nobili verità, considerata una dottrina hīnayāna (del "Veicolo inferiore" contrapposto alle dottrine Mahāyāna ovvero del "Grande Veicolo").
Per le scuole del Buddhismo dei Nikāya e nel Buddhismo Theravāda invece la dottrina delle Quattro nobili verità è centrale per la realizzazione della bodhi risultando invece le dottrine mahāyāna come non 'autentiche' (mai insegnate dal Buddha Śākyamuni) e, in ultima analisi, non utili per la realizzazione del "risveglio".
Secondo i buddhisti mahāyāna invece solo la comprensione delle dottrine mahāyāna, con particolare riguardo a quella della vacuità (sanscrito śunyātā, assenza di sostanzialità inerente ain tutti i fenomeni) unitamente a quella dell'anatman (assenza di sostanzialità inerente nel percettore dei fenomeni), può portare alla realizzazione della "saggezza onnicomprensiva" (sarvajñatā) e quindi alla bodhi. Per realizzare il "risveglio" non è sufficiente quindi, per i mahāyāna, estinguere la passioni, gli attaccamenti e le loro cause, che anzi nel quadro di queste dottrine radicalmente olistiche sono identiche alla "illuminazione", ma occorre piuttosto 'comprendere' la natura della realtà e la causa dei fenomeni. Per questa ragione il Buddha Śākyamuni, invitato ad esporre nel II capitolo del Sutra del Loto la verità profonda che conduce alla bodhi, la esprime con la dottrina del tathātā (sanscrito; la "talità" ovvero "come le cose sono") e non con la dottrina delle Quattro nobili verità.
Nel Buddhismo Mahāyāna la bodhi completa si raggiunge quindi entrando nel veicolo dei bodhisattva (bodhisattvayana) praticando le pāramitā e percorrendo le dieci terre dei bodhisattva (sanscrito daśabhūmi) fino al "risveglio" finale. A questo percorso progressivo si aggiunge un altro percorso che si fonda sulla "illuminazione improvvisa" (in lingua cinese 頓教 dùnjiào) tipica ad esempio della scuola buddhista cinese Chán e del suo corrispettivo giapponese, il Buddhismo Zen.
A questo quadro di dottrine e pratiche fondate sulle pāramitā, il Buddhismo Mahāyāna Vajrayāna aggiunge e predilige degli insegnamenti "esoterici" denominati tantra aventi lo scopo di realizzare "in questo corpo e in questa vita" il profondo "risveglio" spirituale.

sabato 14 ottobre 2017

Il viaggio in Occidente

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Il viaggio in Occidente (in cinese 西遊記, 西游记, Xīyóu Jì, Hsiyu-chi, letteralmente "Racconto del viaggio in occidente") è un classico della letteratura cinese, appartenente al gruppo dei quattro grandi romanzi classici. Fu pubblicato anonimo nel 1590 circa. Sebbene non sia pervenuta alcuna prova materiale relativa all'identità dello scrittore, lo si attribuisce tradizionalmente all'erudito Wú Chéng'ēn.
Il romanzo racconta, in versione mitizzata, il viaggio di un monaco buddhista, ispirato al personaggio storico Xuánzàng. Costituisce una riflessione su quanto il buddhismo cinese avesse unito, fondendo aspetti del Taoismo e del Confucianesimo in Cina. Rappresenta, inoltre, un vero e proprio percorso di purificazione dei vari personaggi, che alla fine del viaggio giungeranno all'illuminazione.

Trama

Il monaco Sanzang (ispirato al personaggio storico Xuanzang) viene inviato dal Bodhisattva Guanyin in India per ottenere le copie di determinati importanti testi canonici buddhisti, non disponibili in Cina. È accompagnato nel suo viaggio da tre discepoli — il re scimmia Sun Wukong, il maiale Zhu Wuneng (chiamato dal monaco "Zhu Bajie", cioè "maiale soggetto alle otto proibizioni"), e il demone fluviale Sha Wujing, che decidono di proteggerlo dalle insidie del viaggio e aiutarlo nell'impresa di ottenere il perdono dei peccati commessi. Il cavallo del protagonista, invece, è in realtà un principe drago, figlio del Re Drago del Mare del Sud. Insieme, combattono i mostri ed i demoni che incontrano lungo il cammino, compreso il Baigujing, che uccide intere famiglie succhiando l'anima e la vita, e il Demone del Ratto, che seduce e uccide i monaci con i suoi artigli.

Storia di Sun Wukong

I primi capitoli del romanzo sono tutti dedicati alla storia di Sun Wukong e diverse edizioni si limitano a questa parte.
Da una roccia, frutto della terra ingravidata dal vento, nasce lo scimmiotto di pietra Sun Wukong che si distingue per il suo coraggio portando il popolo delle scimmie nella Caverna del Sipario d'Acqua della Montagna dei Fiori e dei Frutti, diventandone così il re. Preoccupato dalla possibilità che la sua conquistata felicità un giorno possa finire, viaggia a lungo fino ad arrivare presso l'abitazione di un Saggio, il Patriarca Subhodi, che gli insegna la Via (Tao), e in particolare come diventare un Immortale e come difendersi dalle Tre Calamità, il che lo rende un guerriero potentissimo, capace di 72 trasformazioni e di volare su una nuvola; quando il Saggio si renderà conto che il giovane scimmiotto non ha appreso l'essenza della Via ma solo i suoi poteri, lo caccerà e gli proibirà di dichiararsi suo discepolo, e in effetti Sun Wukong non farà mai più il suo nome.
Tornato nella sua Montagna dei Fiori e dei Frutti, si impegna a portare il suo regno alla supremazia, conquistando e sottomettendo tutte le altre specie e pretendendo in dono dai quattro Dragoni Re dei Mari un bastone che si allunga e rimpicciolisce a piacimento (originariamente una delle colonne che tenevano l'oceano al suo posto), un elmo di fenice, un'armatura d'oro e degli stivali magici.
L'Imperatore di Giada, infastidito dalla sua arroganza, lo chiama a palazzo per tenerlo sotto controllo, e gli assegna l'incarico di Custode dei Cavalli Celesti (弼馬溫, Bìmǎwēn), ma lo scimmiotto superbo trova l'incarico troppo umile, così torna alla sua montagna; allora l'Imperatore di Giada manda contro di lui il Re Li e suo figlio Nezha, che tuttavia non riescono a sconfiggerlo, così egli decide di concedere al Re delle Scimmie il titolo di Grande Saggio Pari del Cielo come da lui richiesto e richiamarlo in Cielo.
Qui però lo scimmiotto dà ancora prova di sé e dopo essersi cibato delle Pesche dell'Immortalità si introduce in una festa a cui non era stato invitato e mangia e beve tutti gli alimenti degli dei che può, ruba le pillole di Lao Zi, poi fugge di nuovo alla sua montagna. Questa volta l'Imperatore infuriato manda contro di lui suo nipote Erlang, che, dopo una estenuante battaglia a cui partecipano anche molte altre divinità tra cui la Bodhisattva Guanyin e Lao Zi, riesce a sconfiggerlo e consegnarlo al Cielo, dove viene subito condannato a morte.
Il problema ovviamente è che lo scimmiotto è un Immortale, e il suo corpo è indistruttibile essendosi cibato delle pesche sacre, perciò nonostante venga trafitto da spade, battuto con martelli, colpito da fulmini e sottoposto a innumerevoli torture, non riporta neanche un graffio: allora viene rinchiuso in una fornace nella speranza che il suo corpo fonda, ma dopo diversi giorni, quando la fornace viene aperta, egli è ancora vivo, e i suoi occhi sono ora del colore del fuoco con pupille dorate, ed hanno acquisito il potere di vedere attraverso ogni inganno.
In cerca di vendetta, Sun Wukong mette a ferro e fuoco il Cielo, combattendo alla pari con più di centomila soldati imperiali, e l'Imperatore terrorizzato manda a chiamare il Tathāgata Buddha, che sfida il Re delle Scimmie a saltare fuori dalla sua mano, ma nel momento in cui lo fa la mano diventa sempre più grande finché quando Sun Wukong crede di essere arrivato al confine dell'universo in realtà non ha raggiunto che le dita della mano. Il Buddha allora lo punisce per la sua arroganza seppellendolo sotto la Montagna dei Cinque Elementi.

Il Viaggio ad Ovest

Dopo 500 anni la Bodhisattva Guanyin viene incaricata dal Buddha di cercare un uomo pio in grado di affrontare il pericoloso viaggio verso Ovest per portare nell'impero cinese sotto la dinastia Tang i sutra, in modo da diffondere in esso il vero insegnamento del Buddha, e lungo il cammino questa pensa di concedere a Sun Wukong la libertà in cambio della promessa di diventare un discepolo del prescelto. Quando il monaco Chen Xuanzang, detto Sanzang (o Tripitaka, "tre ceste", dal nome del sutra che porterà al ritorno) e Tangseng (fratello dei Tang) giunge in prossimità della Montagna dei Cinque Elementi la scimmia ormai millenaria gli spiega la situazione e lo implora di liberarlo; il monaco accetta, gli dà il nomignolo Xingzhe (行者) e da quel momento diventa il suo maestro.
Non che Sun Wukong sia un buon discepolo; alla prima ramanzina abbandona il monaco, e la Bodhisattva Guanyin, giunta in suo soccorso, dona a questi un diadema magico. Quando il Grande Saggio Pari del Cielo ritorna il monaco gli fa indossare il diadema con un trucco e poi con una magia insegnatagli dalla Bodhisattva lo stringe attorno al suo cranio provocandogli un immenso dolore; quando smette Sun Wukong si rende conto di non poterlo togliere e cerca di uccidere di botte il suo maestro, ma questo ricomincia a recitare la formula magica.
Da questo momento in poi Sun Wukong obbedirà senza discutere al monaco, e lo proteggerà durante tutto il viaggio, durante il quale incontrerà i nuovi compagni di avventura, precedentemente anch'essi discepoli del monaco: il maiale antropomorfo Zhu Wuneng e il demone fluviale Sha Wujing, condannati anch'essi, alcuni anni prima, durante l'annuale banchetto di pesche sacre (Zhu Wuneng si ubriacò e cercò di sedurre una bella fanciulla, Sha Wujing ruppe un vaso per sfogare un impeto di rabbia), mentre il cavallo del monaco è in realtà la trasformazione di un drago, figlio del re drago dei mari del sud, condannato dal padre per aver distrutto la sua grande perla sacra ma salvato da Guanyin. Insieme attraverseranno moltissimi scenari, tra cui larghi fiumi impassabili, montagne fiammeggianti, delle grotte abitate da malvagie volpi a nove code, un regno con una popolazione interamente femminile e una tana di seducenti spiriti di ragno, e lotteranno contro gli innumerevoli banditi, demoni e creature mitologiche che incontreranno. Tra questi sono compresi Niu Mowang, un Re Demone Toro precedentemente amico dello scimmiotto, il Baigujing, che uccide intere famiglie succhiando l'anima e la vita, ed il Demone del Ratto, che seduce e uccide i monaci con i suoi artigli.
Lo scimmiotto protagonista imparerà da allora a comportarsi meglio e infine, dopo 14 anni di pellegrinaggio, arriveranno al confine con l'India e porteranno a termine la loro impresa ricevendo i testi sacri dal Buddha che vive sul picco della collina Griddhraj Parvat. Il gruppo raggiungerà l'illuminazione: Sun Wukong e Sanzang diventeranno dei buddha a loro volta, Sha Wujing un arhat, Zhu Wuneng ironicamente il consumatore delle offerte in eccesso sugli altari e infine il cavallo-drago un nāga.


Fortuna letteraria

Il Viaggio in Occidente ha riscosso una grande fortuna letteraria nella letteratura cinese e nella cultura dell'Asia. Un personaggio del romanzo, uno degli assistenti soprannaturali del monaco, il re scimmia Sun Wukong (孙悟空), è diventato uno dei personaggi più famosi e più cari della letteratura cinese. La ragione di una popolarità così duratura viene dal fatto che esso è portatore di messaggi su livelli multipli: è una storia di avventura, con parecchi passaggi al comico, e anche una metafora in cui il gruppo dei pellegrini che viaggiano verso l'India corrisponde a un viaggiare simbolico verso il chiarimento, un viaggio interiore verso un livello di educazione più elevato.
Il romanzo è stato fonte d'ispirazione per numerose opere, come i celeberrimi manga Dragon Ball e Saiyuki, gli anime The Monkey e Starzinger, la serie televisiva Saiyuki, e i film La principessa dal ventaglio di ferro, Le 13 fatiche di Ercolino, Doraemon: Nobita no parallel Saiyūki, Il regno proibito, e Journey to the West: Conquering the Demons, oltre a venire spesso parodiato in innumerevoli altri fumetti, cartoni, e videogiochi (tra questi ultimi, il più noto è SonSon).
Lo scimmiotto, fumetto sceneggiato da Silverio Pisu e disegnato da Milo Manara, è una versione molto libera della prima parte della storia, che si conclude con l'imprigionamento del Re delle Scimmie sotto la Montagna dei Cinque Elementi.


venerdì 13 ottobre 2017

Lokapāla

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I Guardiani dei punti cardinali o Lokapāla (लोकपाल, letteralmente "guardiani del mondo"), sono le divinità induiste dei punti cardinali, e corrispondono nel buddhismo ai Quattro Re Celesti (四天王, Sì Tiānwáng), conosciuti in coreano come Sacheonwang (사천왕), in giapponese Shitennō (四天王), e in tibetano come rgyal.chen bzhi.
Essi sono:
Nome
Nome buddhista
Direzione
Mantra
Arma
Consorte
Pianeta
Kubera
Vaiśravaṇa
Nord
Oṃ Shaṃ Kuberāya Namaḥ
Gadā
Kuberajāyā
Luna
Yama
Virūḍhaka
Sud
Oṃ Maṃ Yamāya Namaḥ
Daṇḍa
Varahajāyā
Giove
Indra
Dhṛtarāṣṭra
Est
Oṃ Laṃ Indrāya Namaḥ
Vajra
Śacī
Sole
Varuṇa
Virūpākṣa
Ovest
Oṃ Vaṃ Varuṇāya Namaḥ
Pāśa
Varuṇajāyā
Venere
Ad essi, ma solo nell'induismo, si aggiungono gli altri Re della Rosa dei venti (sanscrito अष्ट-दिक्पाल, Aṣṭa-Dikpāla):
Nome
Direzione
Mantra
Arma
Consorte
Pianeta
Īśāna
Nord-Est
Oṃ Haṃ Īśānāya Namaḥ
Triśūla
Īśānajāyā
Rāhu
Agni
Sud-Est
Oṃ Raṃ Agnaye Namaḥ
Śakti
Svāhā
Marte
Vāyu
Nord-Ovest
Oṃ Yaṃ Vayuve Namaḥ
Aṅkuśa
Vayujāyā
Saturno
Nirṛti (anche Rakṣasa)
Sud-Ovest
Oṃ Kṣaṃ Rakṣasāya Namaḥ
Khaḍga
Khaḍgī
Mercurio
Brahma
Zenit
Oṃ Hriṃ Brahmaṇe Namaḥ
Cakra
Sarasvatī
Ketu
Ananta
Nadir
Oṃ Aṃ Anantāya Namaḥ
Padma
Lakshmi
Lagna

giovedì 12 ottobre 2017

Ashina Morishige

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Ashina Morishige (蘆名 盛隆; 1575 – 8 novembre 1631) è stato un daimyō giapponese del periodo Sengoku, appartenente al clan Ashina.
Morishige era il secondo figlio di Satake Yoshishige ed era conosciuto anche come 'Yoshihiro'. Nel 1587 sposò la figlia di Ashina Moritaka. La sua successione come daimyō degli Ashina dopo l'assassinio di Moritaka creò conflitti all'interno del clan e una serie di servitori si avvicinò ai Date, che si erano offerti per fornire un erede. Così gli Ashina e i Satake si allearono contro il clan Date e si scontrarono contro quest'ultimi nella battaglia di Hitadori nel 1585. Il fallimento di quella campagna e problemi interni al clan consentirono a Date Masamune di mettere fine agli Ashina. Date Masamune sconfisse Morishige nella battaglia di Suriagehara e successivamente catturò Kurokawa (1589). A Morishige fu permesso di andare in ritiro nella provincia di Hitachi dal clan Satake.

martedì 10 ottobre 2017

Schweizerdolch

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Lo Schweizerdolch ("Pugnale svizzero" in lingua italiana) è un'arma bianca manesca del tipo pugnale in uso ai mercenari svizzeri nel Tardo Medioevo e Rinascimento. Evoluzione del baselardo, era caratterizzata dall'elsa con pomolo e guardia costituiti da due placche metalliche a crescente, fronteggiantesi rispetto al manico. Funse da modello per lo sviluppo dei pugnali d'ordinanza in uso alle forze della Germania nazista: SA, SS e NSKK.

lunedì 9 ottobre 2017

Tsurugi

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Lo Tsurugi, anche Ken, (in Lingua giapponese) è il vocabolo giapponese che identifica la spada a lama diritta, affilata su ambo i lati, derivata dal modello del jian cinese. Nella cultura giapponese, il nome Tsurugi viene spesso associato a figure leggendarie di eroi cinesi noti per l'uso di armi dalla lama eccezionalmente lunga o pesante. In Occidente, il vocabolo ken è passato ad indicare le forme di spada in uso ai monaci-guerrieri buddisti (Sōhei), contrapposte alla katana ricurva dei samurai.

Storia

I primi rudimenti della siderurgia, costituenti il segreto della lavorazione di spade in ferro, passò dalla Cina al Giappone tra il I ed il III secolo (fine della Dinastia Han), ed almeno sino al VI secolo spade e fabbri sinici continuarono ad essere importati nel Sol Levante.

Costruzione

Kusanagi-no-Tsurugi

Il nome corrente (diversi appellativi sono stati utilizzati in passato) per una delle tre spade che compongono i tre sacri tesori di Shinto è "Kusanagi-no-Tsurugi."

domenica 8 ottobre 2017

Uchigatana

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L'Uchigatana (打刀) è un tipo di spada giapponese forgiata tradizionalmente (nihonto) ed utilizzata dalla classe dei samurai nel Giappone feudale. L'uchigatana viene considerata un'evoluzione del tachi e precorritrice della katana.

Storia

Dal Periodo Heian al Periodo Muromachi, la spada principalmente usata sul campo di battaglia era il tachi: la sua lama lunga ed affilata la rendeva l'arma ideale nel combattimento a cavallo. Durante il quindicesimo secolo, l'uchigatana cominciò ad essere sempre più usata e dal periodo Muromachi (dal 1336 al 1573) rivaleggiò alla pari con il tachi come spada scelta dai samurai.
La parola uchigatana può essere trovata in diverse opere letterarie sin dal Periodo Kamakura, e deriva dall'unione della parola uchi che significa "colpire" con gatana (katana) che significa "spada", il significato può essere quindi inteso come "spada con cui colpire". L'uchigatana era originariamente usata da combattenti di basso rango, come gli ashigaru.
La maggior parte delle uchigatana costruite durante il primo periodo Kamakura non erano di altissima fattura, e poiché erano considerate un bene di largo consumo, nessun esemplare di questo periodo è stato conservato ai giorni nostri. Fu non prima del periodo Muromachi, quando i samurai cominciarono ad usare le uchigatana al posto delle più lunghe tachi, che ne furono costruite di miglior qualità. Durante il Periodo Momoyama, il tachi fu praticamente del tutto abbandonato e l'usanza di portare un paio di uchigatana insieme (una lunga ed una corta), chiamata daisho, divenne uno dei simboli di riconoscimento più caratteristici per la classe dei samurai.

Descrizione

Stampa giapponese su pezzo di legno del periodo Edo raffigurante un samurai con il tachi. La lama affilata del tachi è rivolta verso il basso all'opposto dell'uchigatana o della katana che avrebbero la lama rivolta verso l'alto.
La lunghezza dell'uchigatana durante il Cinquecento è compresa tra i 60 cm ed i 70 cm, con una robusta sugata (sagoma della lama), una accentuata saki-zori (curvatura), e poteva essere impugnata con una mano grazie al suo sottile kasane (spessore della lama misurato nel bordo posteriore) ed un corto nakago (parte grezza della lama nascosta dall'impugnatura) che la rendevano relativamente leggera.
Al contrario del tachi, l'uchigatana era agganciata alla cintura con il lato affilato della lama rivolto verso l'alto; questo ed il fatto che solitamente l'uchigatana fosse di dimensioni ridotte rappresentano le principali differenze tra le due armi.
Diversi furono i motivi che resero popolare l'uchigatana: era più comoda da indossare alla cintura e non dava l'impressione di usare un'arma ad asta come invece faceva il tachi; anche la maggior frequenza di battaglie combattute a piedi e la necessità di armi più veloci sul campo di battaglia, furono importanti fattori che decretarono il successo dell'uchigatana ed indicarono che i combattimenti del periodo erano cresciuti in intensità. Infine, dato che l'uchigatana era più corta del tachi, era possibile utilizzarla in un maggior numero di situazioni come ad esempio all'interno di edifici.

Utilizzi

Al contrario del tachi, con il quale l'atto di preparare il colpo ed attaccare con la spada erano due azioni separate, sfoderare l'uchigatana ed abbattere un nemico divenne una facile, rapida e soprattutto unica azione. Questa tecnica venne sviluppata nelle discipline del Battojutsu, dello Iaijutsu e dello Iaidō.

sabato 7 ottobre 2017

Combat Hapkido

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La Combat Hapkido è un'arte marziale coreana, che deriva esplicitamente dalla più conosciuta e diffusa Hapkido; essa, infatti, più che una nuova arte marziale è un nuovo modo di interpretare L'Hapkido.

Diffusione

Questo nuovo stile viene da molti annoverato come uno stile di nazionalità americana, perché il paese dove l'hapkido si è diffuso maggiormente sono gli Stati Uniti d'America, grazie anche alla presenza di una forte e ben organizzata minoranza coreana.
Proprio in tale paese la pratica dell'hapkido ha trovato nuovi impulsi tecnici e metodologici, data la realtà americana con la sua sensibilità verso le problematiche della difesa personale, a causa dei diffusi episodi di violenza da strada. Tali impulsi trovano piena applicazione nell'opera del maestro John Pellegrini, con la creazione del Combat Hapkido, e con la nascita dell'International Combat Hapkido Federation, fondata nel 1992, organizzazione della quale G. M. Pellegrini è il Presidente. Il maestro Pellegrini, IX dan Kido, uno dei pochissimi occidentali a poter vantare una simile qualifica, ha sottoposto l'intero bagaglio dell'hapkido ad un esame approfondito, alla luce della necessità di una moderna ed efficace difesa personale senza ignorare l'apporto delle tecniche tradizionali, riuscendo anzi ad ottenere il riconoscimento del Combat Hapkido da parte della Korea Kido Association e della World Kido Federation.

Tecniche

Lo scopo principale del Combat Hapkido è dunque "pura difesa personale", e ciò esclude ogni tentazione sportiva ed agonistica. Il fine di ogni tecnica è di avere il massimo controllo ed infliggere il massimo danno all'aggressore con il minimo dispendio di energia in ogni situazione possibile.
In sostanza il lavoro della Combat Hapkido ha alle spalle una ricerca scientifica che studia le più probabili tecniche, posizioni e atteggiamenti utili per la propria difesa personale puntando su leve articolari, difesa DA armi (quali coltello, bastone e contro la sempre più frequente "bottigliata in testa da bar"), difesa CON armi (quali coltello, bastone, nunchaku ecc..), proiezioni, calci, punti di pressione, pugni, gomitate e ginocchiate e studiando le più naturali reazioni di chi subisce e di chi effettua una tecnica cercando di insegnare all'allievo come muoversi di conseguenza. Naturalmente quando si parla di difesa personale si sottintende una situazione di pericolo "in strada", ciò vuol dire che molte delle reazioni fisiche e mentali dell'aggressore e della vittima sono imprevedibili, perciò oltre che di una preparazione fisica e tecnica un allievo di Combat Hapkido necessita, per poter mettere in pratica le tecniche apprese (in una situazione di pericolo "da strada" ovviamente), una grande preparazione mentale e psicologica.
Nonostante l'ingente numero di tecniche che formano la Combat Hapkido, questa arte marziale ha trovato la sua effettiva forma grazie alla eliminazione di molte tecniche e di altrettanti movimenti classici dell'Hapkido tradizionale, considerati dal maestro Pellegrini "inutili" in una situazione di pericolo reale.