lunedì 29 luglio 2019

L'arte marziale della Boxe




La maggior parte delle persone, anche chi si allena per fare i combattimenti, non crede che il pugilato sia un'arte marziale. La boxe è uno sport occidentale e nessuno ha mai posto in discussione questo, o almeno così la maggior parte della gente crede.
Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità quando si discute il valore pratico della boxe.
E' uno sport semplice da apprendere per un principiante, ma è la complessità che fa la perfezione, quasi impossibile da raggiungere. Si può spendere una vita per padroneggiarla.
Fin dall'inizio, ad un pugile novizio viene insegnato a combattere. Imparerà a lanciare colpi nitidi e diretti (assumendo la posizione di un combattente ortodosso). I fondamentali saranno sottolineati e praticati ripetutamente fino a diventare una seconda natura. E' durante questo periodo di apprendimento iniziale che i combattenti vengono istruiti ad avere e tenere una posizione corretta, coprendosi, facendo un buon gioco di gambe e tirando i pugni senza telegrafarli.
Questa formazione rafforza la necessità di equilibrio, coordinamento, controllo e precisione.
Confrontiamo questo approccio con le arti marziali più tradizionali.
Ai novizi di solito viene insegnato a stare in una posizione molto poco pratica, che li rende vulnerabili e indifesi in uno scenario reale. Viene loro insegnato a tirare i pugni con una posizione della mano bassa, e di solito viene introdotto un intricato sistema di parate che si basa su colpi specifici tirati al praticante al fine di rispondere con la difesa più appropriata. È raro che un'artista marziale alle prime armi riesca a colpire un bersaglio diverso dall'aria, i suoi movimenti appaiono goffi e meccanici.
I pugili, invece, imparano efficaci combinazioni di pugni e sviluppano i ganci, i jab, i diretti e le finte. Allo stesso tempo sono spronati anche all'apprendimento delle competenze sul come difendersi, quali scivolate, spostamenti e parate. E' abbastanza comune per un allenatore di boxe lanciare i "pugni contro" l'atleta mentre tiene le manopole per simulare un combattimento. Questo ricorda al lottatore di prestare attenzione alla difesa, anche nel bel mezzo di un attacco. Un pugile capisce subito l'importanza di far ritornare le mani nella posizione di guardia dopo aver lanciato un pugno o sarà dolorosamente neutralizzato. Per tutto il tempo un pugile si muove intorno al ring, migliorando il suo gioco di gambe e tempismo, oltre a migliorare la sua difesa in modo naturale e libero.
Nel pugilato, vi è una particolare attenzione sul condizionamento fisico che non è sottolineata nelle arti marziali più tradizionali. I pugili praticano esercizi per sviluppare forza, velocità e resistenza. Sviluppano la capacità di combattere più a lungo e con più cattiveria, e continuare a combattere, mentre affaticati assorbono i colpi dei loro avversari. L'importante è di essere in grado di "andare lontano" è sottolineato nella fase iniziale nella carriera di un pugile.
I pugili dedicano molto tempo alla loro formazione con uno sparring. Qui saranno messi insieme tutti i pezzi del puzzle. In un primo momento le sessioni sono condotte ad una velocità più bassa e con una forza più leggera nel contatto, fino a quando il nuovo arrivato si abitua al fatto che sta per essere colpito. Ci vuole una buona preparazione per ottenere come risultato il ricevere un pugno in faccia e ignorarlo, pur continuando a muoversi e cercando aperture per acquisire opprtunità di offesa. Ci vuole disciplina e pratica per mantenere la calma mentre si è sotto attacco. Il compianto Bruce Lee spesso diceva che "si impara a combattere cocombattendo".
Più sedute di sparring si fanno, il più vivaci possibile e più un combattente imparerà cosa funziona e cosa non funziona. Il suo stile si svilupperà naturalmente, in base alle proprie caratteristiche fisiche, uniche. Ad esempio, un combattente alto con le braccia lunghe di solito poreterà i suoi colpi dall'esterno tenendo i suoi attacchi fuori dalla portata di un colpo fortuito del suo avversario.
Un pugile più piccolo ma più veloce può imparare a scivolare ed entrare nelle difese interne del proprio avversario prima di lanciare una raffica di pugni. Mike Tyson, l'ex campione dei pesi massimi, ne è stato un ottimo esempio. Nonostante fosse relativamente breve la distanza di combattimento per gli standard dei pesi massimi, fu in grado di usare la sua velocità, gioco di gambe e il costante movimento della testa per farsi strada all'interno della portata di avversari più alti di lui. Una volta dentro, Iron Mike, tirava una serie di pugni devastanti al corpo e alla testa. Questo è un livello di abilità nel combattimento che pochi possono mai sperare di raggiungere. Attraverso l'allenamento con gli sparring, i pugili imparano anche l'abilità più importante di tutte per un combattente di successo... il relax. Ogni combattente inesperto ha la tendenza a irrigidirsi quando si trova in una situazione potenzialmente minacciosa. Non è raro vedere principianti ma anche combattenti più esperti essere così tesi da non essere efficaci. E' solo quando un combattente impara ad essere rilassato e fluido che diventa esperto.
La maggior parte delle arti marziali tradizionali non spendono abbastanza tempo effettivamente per preparare i praticanti al combattimento, i quali non impareranno mai a rilassarsi completamente e non si muoveranno mai con grazia e fluidità contro un avversario reale.
Mentre l'arsenale generale di un pugile sembra piccolo rispetto ad altre arti marziali, è facile vedere che non si può scambiare la quantità per la qualità. Più a lungo ci vuole per decidere quale tecnica utilizzare, più lento sarà il tempo di risposta. Sembrerebbe quindi, da un punto di vista pratico, che un paio di mosse ben praticate permetterebbero ad un combattente di essere veloce ed efficace.
I pugili passano la maggior parte del loro tempo a ripassare i fondamentali e a praticarli in situazioni di combattimento reale. Essi sviluppano riflessi acuti e un istinto per il timing.
Questa capacità di reagire senza pensare si acquisisce solo con innumerevoli ore di allenamento, e non memorizzando ogni sorta di pre-mosse pianificate. Il naturale, free-style, il proprio modo di boxare porta il praticante allo sviluppo di abilità in combattimento che sono senza pari nella comunità delle arti marziali.
I pugili sono in grado di gestire se stessi, nella maggior parte delle situazioni di autodifesa. E' molto difficile fare i conti con un avversario che è in continuo movimento e lancia colpi multipli in rapida successione. Colpisce con precisione e potenza ed evita i pugni mentre si posiziona per colpire ancora. Un pugile ha la resistenza per continuare a combattere a un ritmo sostenuto per molto tempo contro la maggior parte degli atleti ben condizionati dalle tecniche che però si esauriscono troppo in fretta per riuscire a difendersi con successo.
Non è mia intenzione screditare qualsiasi altra arte marziale o i suoi praticanti, io sto semplicemente segnalando i punti di forza di un pugile ben allenato. La boxe ha molto da offrire ad una persona che cerca di imparare a difendersi, anche se non dovesse mai salire per competere su di un ring.
Ho praticato la boxe per oltre venti anni e le mie capacità sono leggermente sopra la media. Recentemente ho partecipato alle lezioni di una classe di una più tradizionale scuola di arti marziali. Quello che ho imparato è stata stupefacento. Ho imparato che si può ottenere la cintura nera senza essere in forma o in grado di combattere! Ho visto esperti tirare colpi che venivano telegrafati, sbilanciati e inefficaci. Mi è stato insegnato un sistema di parate che era così complicato che anche un bambino di dieci anni o un'arzilla vecchietta sarebbe stata in grado di darmi un pugno in faccia mentre cercavo di ricordare quale era la mossa giusta per bloccare il suo pugno. Mi è stato detto che prima o poi avrei imparato a "reagire" e la mia tecnica sarebbe stata efficace. Ora, conosco il valore di essere in grado di reagire senza pensarci, ma a quanto pare le mie reazioni, non erano corrette per il maestro.
Mi ha fatto sentire come se il mio stile fosse sbagliato e inutile, perché facevo cose che non erano negli schemi di movimento della sua arte, come la finta seguita da un colpo e da un diretto destro a seguire (a quanto pare questo è un fallo), così come la mia necessità di essere imprevedibile. Quando ho messo in discussione la logica di abbassare la guardia per bloccare un colpo basso, invece di assorbirlo con i gomiti, mi è stato detto che la mia tecnica non era abbastanza potente da ferire il mio avversario. Due cose mi sono venute in mente;
1: Mi sono chiesto se la cintura nera davanti a me abbia mai sferrato un gancio al gomito di qualcuno ... ahi! 2. Gli ho anche chiesto se la mano destra del mio avversario che avrebbe dovuto tirare il colpo successivo fosse abbastanza potente per abbattermi, e farmi cadere sul mio culo, specialmente considerando che seguendo le sue indicazioni non avevo avuto alcuna possibilità di difendermi contro di essa, ora che la mia mano era di guardia sopra le ginocchia.
Il culmine della mia lezione è venuto al termine della stessa quando mi è stato chiesto di confrontarmi con una delle cinture nere. Questo signore ha speso circa cinque minuti per spiegare alla classe perché sarei stato abbagliato e sconfitto dalla sua tecnica. A quanto pare stava cercando di spiegare come le tecniche della boxe fossero gravemente inferiori alla sua arte di combattimento.
Io in realtà ho fatto uno sforzo sincero per evitare una sessione di sparring con lui.
Non avevo davvero voglia di elevare il livello di testosterone facendomi coinvolgere in una prova di abilità e virilità. Mi ha convinto assicurandomi che ci sarebbe "andato piano con me". A quel punto ho deciso di muovermi con fluidità e vedere cosa sarebbe successo. Il mio avversario era più o meno della mia stazza, quindi nessun vantaggio di peso o altezza, per nessuno dei due.
Venne diretto verso di me con colpi ben pianificati e ben telegrafati. In realtà non ero molto abituato al suo modo di muoversi e alle sue combinazioni di colpi, sentivo solo un sacco di urla (che diavolo era tutto ciò, comunque?) Era a caccia della mia testa.
La fine di questo deplorevole spettacolo è sopraggiunta abbastanza velocemente, mi dispiace dirlo. Comunque, è andato giù come un sacco. Sono rimasto scioccato dall'accaduto, aveva ragione ... io veramente sono rimasto abbagliato! Sono subito tornato in me e lo aiutato a rimettersi in piedi.
L'ho ringraziato per la lezione e sono scappato fuori dalla sua palestra. Non credo che ci tornerò molto presto, anche se sono stato invitato a tornare ad allenarmi con loro.
Se dovessi dare un consiglio a questo maestro, o a qualsiasi altro aspirante combattente di quella palestra, sarebbe questo: Rivedi tutto quello che credi di sapere, scendi dak piedistallo, dove ti sei posizionato, rimetti tutto in discussione, e inizia ad allenarti seriamente.
Da dove vengo io le cinture quelle che importano veramente sono solo quelle che portano la scritta "CAMPIONE DEL MONDO", e te la devi guadagnare nel modo più duro.

domenica 28 luglio 2019

Armi tradizionali


LE ARMI TRADIZIONALI DEL KUNG FU


Nel corso della storia cinese non sempre le classi sociali meno abbienti avevano a disposizione vere e proprie armi per difendersi dagli eserciti, dalle guardie private e dai briganti. Quindi spesso chi non le possedeva era costretto ad utilizzare i propri attrezzi da lavoro o di uso quotidiano come delle vere proprie armi da guerra.
La vita era molto pericolosa e i contadini, per esempio, dovevano organizzarsi non soltanto contro gli animali feroci che attaccavano le greggi, ma anche contro le bande di briganti che li derubavano ed ancora, dovettero imparare a difendersi anche dai sopprusi dei soldati imperiali.
I commercianti che viaggiavano da un villaggio all'altro dovevano necessariamente essere armati. Quindi noteremo come ogni ceto sociale, ogni etnia aveva proprie armi o utilizzava il proprio attrezzo da lavoro in caso di necessità (es. la zappa del contadino) ed ognuno sviluppava tecniche che gli permettesero di padroneggiarlo al meglio.
Il contadino quindi usava il forcone, la falce e i bastoni, anche quelli snodati usati per battere i cereali; il pescatore usava il remo e il boscaiolo l'ascia; il viandante il bastone al quale si appoggiava, mentre il mendicante la stampella e all'occorrenza li utilizzavano per difesa.
Al giorno d'oggi le armi utilizzate nell'addestramento al Kung Fu possono apparire obsolete e poco pratiche, recuperate come un retaggio storico delle arti marziali, esse costituiscono comunque uno straordinario mezzo didattico.
In realtà oggi le armi si continuano a studiare e ad amare perché ci attirano con quella particolare energia che le è propria, esse ci chiedono di dargli la vita, in cambio ci danno la loro anima attraverso quella vibrazione che non sfugge alla sensibilità del praticante odierno come a quelli che ci hanno preceduto in passato.
Eppoi sarebbe stupido per un'artista marziale avere a disposizione un'arma per difendersi e non saperla usare... come recita un proverbio samurai:
morire con la katana nel fodero, è morire da cani.
Inoltre vi è un significato molto più profondo nell'allenamento con le Armi, esso è celato nella ricerca dello scorrere, lungo i Canali o "Meridiani" del nostro corpo, dell'energia dell'arma fintanto che non si fonde con il nostro Qi per poi essere estrinsecata al di fuori al fine di sentire l'arma come una proiezione del corpo stesso, non più come un oggetto esterno da portare addosso.
Vi sono quattro Armi considerate le principali delle Arti Marziali cinesi: la spada, simbolo dello spirito del guerriero; la sciabola, simbolo della forza; il bastone, la madre di tutte le Armi; la lancia, la regina delle armi guerriere.
Nel Kung Fu attuale le armi si classificano secondo diverse categorie tra cui le più caratteristiche sono:
Armi Yang o armi proprie, cioè nate come tali (come l'alabarda, la lancia e la spada).
Armi Yin o armi improprie, cioè attrezzi da lavoro in seguito trasformati in armi.
Un'altra classificazione divide le armi in:
armi maschili, quelle che più si addicono all'uomo come ad esempio l'alabarda e le armi femminili, quelle che più si addicono alla donna come la Jian, Dan Bian e Shan.
Una classificazione oggettiva delle armi si ha tra armi lunghe o CHANG, armi corte o DUAN, armi da lancio, FEI, armi snodate, JIE, e armi doppie, SHUANG.



Armi lunghe (CHANG):
- Gun, il bastone;
- Kwun, il bastone conico del Sud;
- Hou Bang, il bastone della scimmia;
- Guan Dao, l'alabarda;
- Qiang, la lancia;
- San Cha, il forcone o Tridente;
- Chan, la pala;
- Ke, la lancia uncinata;
- Lok Dim B Kwun, il bastone lungo del Wing Chun;

Armi corte (DUAN):
- Dao, la sciabola;
- Jian, la spada;
- Po Dao (Tao Kim), la katana cinese;
- Duan Gun, il bastone corto;

Armi doppie (SHUANG):
- Shuang Dao, la sciabola doppia;
- Shuang Jian, la spada doppia;
- Shuang Gou, la doppia spada-tigre o uncinata;
- Fu (Ta Fu Tao), l'ascia doppia;
- Bi Shou, i pugnali;
- Bart Cham Dao, i coltelli a farfalla;
- Zhui, le mazze;

Armi snodate (JIE):
- Jiu Jie Bian, la catena a 9 sezioni;
- Shan, il ventaglio;
- Shuang Jie Gun, il bastone snodato;
- Bian, la frusta;
- San Jie Gun, il bastone snodato a 3 sezioni;
- Liu Xing, la meteora;

Armi da lancio (Fei):
- Biao, la punta da lancio (Dardo)
- Gong, l'arco;
- Xin, le stelle;



Jian Zi (dì èr shì zì)

L'energia delle armi:
Ogni arma possiede una propria Energia, un'anima che il praticante può avvertire non appena ne viene a contatto. E' necessario sintonizzarsi con questa energia, per imparare non a maneggiare ma a vivere l'arma.
Bastoni, spade, lance... dardi, forme, usi, materiali e storie diverse ma tutto legato dalla stessa energia, quella propria delle armi e di chi le padroneggia. Maneggiarle significa camminare nella storia e non solo.
Lo studio delle armi porta il praticante ad un livello fisico ma, e soprattutto, a livello energetico e spirituale, superiore. L'arma gli offre l'opportunità di correggere da subito le sue carenze: precisione, scarsa velocità, movimenti non coordinati, tecniche pesanti o poco fluide.
Lo studio delle armi è la chiave per risvegliare e perfezionare le qualità dell'artista marziale, il maneggio di una lancia insegna la precisione e il colpo d'occhio, la spada dritta a due tagli offre l'eleganza e la grazia nelle tecniche paragonabili ai movimenti di una fenice, la velocità e la coordinazione saranno date dall'addestramento nella spada curva usata singola e in coppia, la forza e la stabilità delle posizioni da una potente alabarda, così a salire in una spirale di riscoperta delle potenzialità del proprio corpo e delle sue caratteristiche.

La Spada
Nei tempi antichi era imperativo padroneggiare le armi con la massima efficacia poiché ne dipendeva la vita. I soldati semplici erano armati di spada curva DAO (Darndou) simile alla sciabola.
La leggenda vuole sia stata inventata dall'Imperatore Sui Ren Shi che la fece forgiare con l'oro mentre in seguito l'Imperatore Giallo, Huang Di (2698 a.C. - 2598 a.C.) la forgiò col bronzo. E' l'arma del Guerriero per eccellenza. Chiamata anche "Lama delle nuvole" è un'arma ottima e versatile a ogni distanza, grazie alla particolare forma a curva della lama, che permette di essere maneggiata seguendo tante e varie traiettorie, con colpi di punta e di taglio, sia in attacco che in parata. Si usa in genere con una mano sola, mentre con l'altro braccio si cerca di controbilanciare il movimento o si appoggia al suo "dorso" per attutire i colpi avversari.
Al contrario la spada dritta a 2 tagli JIAN (Kim) è sempre stata associata agli alti ufficiali. Rappresenta la maestria ed è considerata l'eleganza nelle arti marziali.
La lama di acciaio o ferro, molto spessa e resistente, permette assorbire gli attacchi. I due fili della lama sono poco taglienti, perché utilizzati per intercettare e parare le tecniche di arma avversarie, soltanto la parte finale della lama è effettivamente tagliente.

La Lancia
Le lance comprendono armi anche differenti in struttura, forma, altezza, lunghezza e peso.
Sono molteplici le punte specializzate per queste armi. Nell'arsenale cinese si trova la testa dell'arma contornata da lame che servono a proteggere la punta centrale, che a sua volta vengono utilizzate per parare o attaccare l'avversario.
Le più comuni sono composte da un'unica punta, che può però avere misure differenti.
L'asta è quasi sempre a forma di cono che si stringe verso la punta per dare elasticità all'arma mentre è più robusta nella parte opposta per avere una presa più salda quando la si usa.
I fiocchi colorati e le parti metalliche che suonano tra la punta e il legno servono sia per la coreografia dei movimenti e per ritmare le tecniche, sia per disturbare l'avversario durante il combattimento e nascondere la punta o per non far scolare la fuoriuscita di sangue dell'avversario colpito.

L'Alabarda
Il Generale Guan Kong, il "Dio della Guerra" avrebbe dato il suo immenso contributo e il proprio nome a un'altra delle armi principe della storia del Kung Fu: l'Alabarda Guan Dao.
Derivata dalla lancia nella forma è stata aggiunta di una o più lame all'estremità, anche queste diverse in modelli e fatture, e per controbilanciare il forte peso della lama è stato aggiunto un anello, o una punta in ferro o acciaio, in fondo al bastone. Quest'arma è capace di combinare le tecniche di taglio e gli agganci, alle stoccate, in movimenti diretti e circolari, rendendola un'arma versatile contro altre e, soprattutto, contro i cavalieri. La difficoltà principale di quest'arma risiede nell'esecuzione di tecniche che permettano agevoli e veloci cambi di direzioni. Per questo motivo l'allenamento si faceva con armi sempre più pesanti. Si dice infatti che il Generale Guan Kong si addestrasse con un'alabarda di 30 Kg di peso.
Questo non deve stupire, ma far riflettere. Sono questi personaggi che hanno fatto la storia delle Arti Marziali ed è a questi personaggi che si deve il rispetto di una tradizione millenaria che ancora oggi si fa sentire viva nella mente e nel cuore di chi la pratica.
Al pari del Generale Guan Kong altri rimasero famosi per le loro gesta, come il Generale Yue Fei (maestro di Xing Yi) eroe popolare e formidabile combattente, famoso per la sua lancia lunga 6 metri che usava prevalentemente a cavallo o come il Maestro Chan Heung (fondatore del Choy Li Fut) esperto della "Alabarda dei 9 denti del Drago".

sabato 27 luglio 2019

Filosofia karate Okinawa


Okinawa ha una ricca tradizione aneddotica e ai maestri di karate piace raccontare la storia del povero pescatore, le cui reliquie si trovano oggi in un villaggio a sud di Naha.
Questo poveretto aveva chiesto dei soldi in prestito ad un samurai, nel periodo dell’occupazione giapponese. Quando arrivò il giorno di pagare il debito, il pescatore non aveva nulla da dare e il samurai infuriato, sguainò la sua spada affilata. Mentre stava per colpirlo, il pover’uomo gridò: “prima di uccidermi, lasciami dire che ho appena iniziato lo studio dell’arte della mano nuda, e la prima cosa che mi hanno insegnato è stata: non colpire quando sei pieno di rabbia”.
Il samurai rimase così sorpreso da questa frase, che lasciò andare il pescatore.
Era notte quando arrivò a casa e, prima d’entrare, vide una striscia di luce filtrare da sotto la porta della sua camera da letto. In punta di piedi si avvicinò alla stanza e fece capolino dalla porta, da lì vide la moglie nel letto e accanto a lei, con suo orrore, scorse un’altro samurai.
Sguainata la spada, stava preparandosi ad attaccare l’intruso, quando si ricordò di ciò che gli aveva detto il pescatore: “non attaccare quando sei infuriato”. S’allontanò dalla stanza e quindi annunciò ad alta voce il suo ritorno.
Sua moglie gli venne allora incontro per salutarlo, seguita dalla madre di lui, vestita con abiti maschili. Spiegò che si era vestita da uomo per spaventare gli eventuali intrusi.
L’anno seguente, il pescatore tornò dal samurai per restituirgli il denaro che gli doveva.
“Tieniti i soldi,” disse il samurai “sono io ad essere in debito con te, e non viceversa.”
La disciplina acquisita con un allenamento costante porta il karateka ad uno stato di calma imperturbabile.

venerdì 26 luglio 2019

Che cos'è il Kuk Sool Won? La storia antica

Non è il nome di un nuovo stile e nemmeno di uno sport o di un semplice metodo di autodifesa.
Il "Kuk Sool Woon TM" è un sistema di arti Marziali completo che si dedica a coltivare mente, corpo, spirito e a preservare le arti Marziali tradizionali della Corea.
Il sistema si basa su tecniche utilizzate nei tre grandi gruppi di Arti Marziali nei quali è possibile dividere, secondo criteri storici, i praticanti coreani nel corso di più di 5000 anni di storia:
SA DO MOO SOOL (ARTI TRIBALI)
BOL KIO MOO SOOL (ARTI BUDDISTE)
KOONG JOONG MOO SOOL (ARTI DELLA CORTE REALE).
Per comprenderlo meglio, possiamo tradurre il significato esatto del suo nome: "Kuk" letteralmente si traduce come "nazione", "stato" o "paese" (riferito in nodo specifico alla Corea).
"Sool" si riferisce o significa "tecnica" nella sua accezione più profonda, il significato di "tecnica" comprende quello mentale, spirituale, culturale e l'eredità filosofica delle Arti Marziali coreane. "Won" si può tradurre come "istituzione" o "associazione".
Quindi "Kuk Sool Won" significa "Associazione delle Arti Marziali Coreane".
"Kuk Sool" si basa sullo sviluppo e sull'utilizzo del "Ki" (energia interna), per cui è considerato un sistema di arti marziali interne. Contiene tutte le sfaccettature delle Arti Marziali: combina tecniche di gamba, mano, proiezioni, cadute, tecniche li rottura, manipolazione di articolazioni, attacco a punti di pressione, tecniche di condizionamento del corpo, ma anche sviluppo mentale e allenamento con armi tradizionali, all'interno di uno stile bello e dinamico fondato sulla velocità e sulla fluidità. La pratica delle forme ("Hyung") è uno dei pilastri del KSW e il suo obiettivo è coordinare il corpo con le distinte tecniche marziali sia di mano che di gamba, oltre a potenziare la concentrazione mentale, lo sviluppo fisico e l'equilibrio. Un altro pilastro fondamentale è dato dalle tecniche di manipolazione delle articolazioni e, al terzo posto, dall'utilizzo delle armi tradizionali coreane. Le radici del "Kuk Sool" si estendono alle origini più profonde e lontane della storia del popolo coreano.
Le radici e i principi del "Kuk Sool Won" hanno origine all'inizio delle Arti Marziali in Corea con il "Sado Mu Sool", che significa "Arti Marziali familiari" o "tribali". La leggenda narra che, nell'anno 2330 a.C. Dan Koon Wang Kum, il primo governatore delle terre unificate che più tardi saranno chiamate "Corea", unì molte delle tribù che erano rette da un solo monarca in un regno chiamato "Ko Chosun" (Antica Corea). Bisogna considerare che migliaia di anni fa parte delle attuali Cina, Mongolia e Corea del nord erano zone di influenza diretta, popolate dai futuri abitanti della penisola (coreani).
Lentamente, le tribù emigrarono verso quella che oggi conosciamo come Corea, alla ricerca di un buon clima, terre fertili, abbondanti zone di pesca e di un'ottima cacciagione fornita dalle basse montagne della Corea. Molte e differenti tribù popolarono la piccola penisola, tanto che divenne necessario per ogni tribù mantenere guerrieri ben allenati per proteggere la propria gente.
Ogni capo tribù proteggeva il suo villaggio (una cosa simile al successivo sistema feudale giapponese ed europeo). Ai tempi di Ko Chosun, questo ebbe il suo esercito privato che utilizzava tecniche particolari. Anche durante il Regno di Koryo (918-1393 d.C.) certi guerrieri istruiti in modo particolare e chiamati "DOO REI", utilizzarono le proprie tecniche marziali per proteggere e sconfiggere gli avversari.
Il "BOLKIO MOO SOOL" o "Arti Marziali Buddiste" rappresenta la seconda influenza, in ordine di importanza, del "Kuk Sool Won". Furono viste per la prima volta durante il Regno di Koguryo (uno dei tre Regni dell'era dei Tre Re) intorno al 347 d.C..
Ben presto, il "Bulkyo Mu Sool" entra nel regno di Baeckje e Silla, gli altri due re. Si cominciarono a sviluppare tecniche per promuovere una salute migliore contro la vita sedentaria, basata sulla meditazione dei monaci buddisti.
Dal momento che i monaci coreani dedicarono la maggiore quantità di tempo e di ore alla veglia per la meditazione zen, seduti su freddi pavimenti di legno, con una certa facilità sorgevano e si sviluppavano problemi digestivi e circolatori. Per risolvere questi malesseri, i monaci promossero tecniche di respirazione interna e si concentrarono sullo sviluppo dell'energia interna o "ki" per compensare i propri organi interni. Accanto allo sviluppo dell'energia interna (NAE GONG), svilupparono tecniche di difesa con il palo o il bastone, utilizzate per la protezione dei pacifici monaci durante i loro viaggi tra le città della Corea. Bisogna considerare che la religione buddista "proibisce di combattere" e, chiaramente, di "togliere la vita". Tuttavia, i monaci coreani furono gli unici che "raccolsero le armi" per difendere la loro terra (Corea) contro gli invasori (Cina, Giappone, ecc...). Molte delle tecniche di palo o bastone che si vedono nel moderno allenamento di "Kuk Sool Won" affondano le loro radici negli insegnamenti dei monaci.
Infine, la terza maggior influenza del "Kuk Sool Won TM" è il "Koong Joong Mu Sool" o "Arti Marziali della Corte Reale". Questa parte delle Arti Marziali coreane ebbe inizio durante l'Era dei Tre Regni (dal 18 a.C. al 918 d.C.), quando lo splendore e la forza dei re e in particolare la loro ansia di conquistare più territori resero quest'epoca particolarmente curiosa dal punto di vista storico. I "SUN BI", nome che ricevevano i guerrieri di élite a Koguryo, erano guerrieri militari istruiti nelle tecniche di arco, spada, equitazione, ecc...Tuttavia, si caratterizzavano in modo particolare, stando ai resti e ai fossili ritrovati, per il fatto di sconfiggere i loro nemici mediante tecniche di lancio di coltelli e/o pietre (TUK SOOL).
Tra le tecniche di armi del "Kuk Sool Won", molte provengono dalla Arti Marziali della Corte Reale. Ci sono 24 differenti armi tradizionali nel "Kuk Sool Won", molte di queste derivano direttamente dal "Koong Joong Mu Sool".

giovedì 25 luglio 2019

Iconografia Buddhista

La funzione principale delle molteplici rappresentazioni esistenti del Buddha, è quella di trasmettere il suo insegnamento. Bisogna tenere conto del fatto che il culto del Buddha non nacque attorno ad una divinità, ma ad un uomo che prima di ogni altro raggiunse l'illuminazione, e cioè la perfetta conoscenza della natura e della vita. Quindi, le raffigurazioni del Buddha hanno lo scopo principale di diffondere e di descrivere i mezzi e gli strumenti indispensabili al raggiungimento della Buddhità, e non quello di mezzi destinati all'adorazione della divinità. In particolare tra i popoli in cui non era molto diffuso l'alfabetismo, la carica simbolica delle rappresentazioni del Buddha svolgevano, e svolgono, un importante ruolo nella diffusione della dottrina.
Naturalmente, data la grande diffusione geografica di questa dottrina, le immagini del Buddha hanno assunto, col passare del tempo, peculiari differenze da paese a paese.
Vi sono però alcune caratteristiche che tendono a presentarsi nella maggior parte delle raffigurazioni sparse per il mondo:
1. Dita dei piedi e delle mani della stessa lunghezza.
2. Lobi delle orecchie allungati e spesso ingioiellati
3. Spalle larghe
4. Naso lungo e aquilino
5. Una protuberanza nella sommità del capo rappresentante una grande mente e nello stesso tempo la capacità dello spirito di separarsi dal corpo.
Tenendo in considerazione l'aspetto puramente artistico delle raffigurazioni del Buddha, possiamo notare come gli esecutori spesso non abbiano ricercato l'originalità della creazione ma la cura dei dettagli e la ricchezza dei materiali.
Prendiamo, per fare un esempio, le rappresentazioni Buddhiste dell'Asia Sud - Orientale, ed in particolare la produzione delle statuette in legno destinate alla casa. Situate in alcune stanze dedicate alla meditazione, oppure poste in un punto centrale dell'abitazione in modo da ricordare continuamente gli insegnamenti del Buddha ai componenti della famiglia, esse sono concepite in alcuni dei legni più pregiati di quelle zone. L'ebano, un legno di colore nero particolarmente duro e difficile da lavorare che se ben utilizzato regala prodotti finiti dalle superfici lisce e ricche di particolari.
Lo Yemane, un legno di media durezza anticamente utilizzato per costruire i troni dei sovrani. O il Padauk, un legno particolarmente duro con il quale si possono realizzare manufatti di rara bellezza.
Le posture del Buddha nelle sue raffigurazioni vengono dette Mudra ed in esse assume una particolare importanza la posizione delle mani.
Le mani sollevate con i palmi rivolti verso l'esterno e le dita distese in un gesto di protezione e di benevolenza, rappresentano l'allontanamento della paura.
Una mano sollevata con il palmo rivolto verso l'esterno e l'indice e il pollice formanti un cerchio, simboleggiano l'insegnamento.
In alcuni casi, una delle mani forma un cerchio simboleggiante la "Ruota della Legge" e l'altra viene raffigurata come nell'atto di far funzionare la ruota. Ci troviamo allora di fronte alla rappresentazione dell'inizio dell'insegnamento della dottrina Buddhista (il Primo Sermone del Buddha).
Le mani alzate che insieme formano un cerchio, rappresentano la meditazione e il perfetto equilibrio tra pensiero e serenità.
La mano destra che tocca il suolo appoggiando per intero la palma, rappresenta il Buddha che chiama la Terra a testimoniare la verità della sua Illuminazione. Questo Mudra è molto diffuso nelle raffigurazioni Buddhiste dell'Asia Sud - Orientale ed è un simbolo di fede incrollabile. Questo tipo di rappresentazione è presente anche in alcuni dipinti murari: in essi il Buddha viene attaccato da Mara, il Male. Toccando la terra il Buddha richiama una gigantesca ondata che spazza via l'esercito di Mara. Famoso è anche il dialogo che si svolse tra Buddha e il Male. Quest'ultimo infatti gli chiese insinuante:
"Chi potrebbe mai testimoniare la tua Illuminazione?", e il Buddha gli rispose toccando il suolo: "La terra!"
Le mani rivolte verso il basso con le palme verso l'esterno, rappresentano il Buddha nell'atto di donare la sua dottrina al mondo. In alcuni casi la dottrina viene rappresentata sotto forma di un frutto medicinale che il Buddha porge agli uomini.
Naturalmente, a determinare il significato delle rappresentazioni non è soltanto la posizione delle mani, basti pensare a quando il Buddha viene raffigurato sdraiato a simboleggiare il momento della sua morte, il raggiungimento della pace assoluta e il passaggio al Nirvana.
Nel Buddhismo Thailandese, le differenti raffigurazioni del Buddha assumono un aspetto particolarmente interessante, in questo paese esiste infatti una particolare postura del Buddha per ogni giorno della settimana, ognuna simboleggiante un momento importante nella vita dell'Illuminato.

mercoledì 24 luglio 2019

COME CAPIRE IL KATA


Le tre categorie del kata
Uno dei problemi relativi alla pratica del kata ha origine nell’ambiguità stessa del loro significato. Per approfondire il lavoro sui kata sarà bene distinguere le tre categorie di kata, che generalmente sono tra loro confuse:
rintô-gata (kata da combattimento), hyôen-gata (kata di presentazione) e rentan-gata (kata energetico o di rafforzamento fisico).

I rintô-gata sono i kata originali.
Un tempo essi costituivano il contenuto stesso dell’insegnamento nella trasmissione esoterica. Le altre due categorie di kata sono state elaborate per facilitare l’accesso ai kata originali, cioè per conseguire le qualità necessarie all’esecuzione dei rintô-gata. Quasi tutti i kata che conosciamo oggi fanno parte di queste due categorie mentre i rintô-gata, essendo parte degli antichi metodi esoterici di trasmissione della conoscenza, sono stati praticamente dimenticati.
Può darsi che voi possiate affermare di conoscere dei kata i cui bunkaï (applicazioni) sono chiari, ma non è questa la qualità che definisce il rintô-gata.
Mi spiegherò in modo più concreto.
Il kata Sanchin, per esempio, è un tipico rentan-gata. Come i kata Naïfanchi (Tekki) o Sêsan (Hangetsu). Ciononostante la maggioranza dei kata possiedono, in proporzioni variabili, elementi di hyôen-gata e rentan-gata.
In questa classificazione i rentan-gata, che sono dei kata energetici nel senso più ampio del termine, contengono certe serie di esercizi formalizzati di qi gong. Le tecniche di combattimento sono caratterizzate da una mobilità complessa; gli hyôen-gata presentano in maniera semplificata, e pertanto parziale, i movimenti accentuando le posizioni tipiche per renderle più accessibili e conferendo loro, talvolta, un aspetto cerimoniale. Questo aspetto è accentuato nei kata che si eseguono per dimostrazione; si tratta dei kata che frequentemente vediamo nelle competizioni sportive di karaté.
Nei kata moderni le tre categorie sono più o meno mischiate, e non si trovano elementi dei rintô-gata se non sullo sfondo dei kata stessi.
Spesso si dice che "si fa o non si fa il bunkaï" di un kata. Ma la maggioranza dei bunkaï sono delle serie di tecniche ben coordinate in relazione all’esercizio. Le forme più reali delle tecniche di combattimento non sono esposte che nei rintô-gata (kata da combattimento) che sono molto più morbide e dinamiche che i kata delle altre categorie, poiché essi si fondano sulla forma di un combattimento reale.
Pur girando e rigirando la maggioranza dei gesti dei rentan-gata e dei hyôen-gata, è difficile far emergere una tecnica veramente soddisfacente dal punto di vista della cadenza, della velocità e della posizione del corpo in combattimento. Sottolineo "una tecnica soddisfacente" perché se il nostro compagno è d’accordo possiamo giustificare qualunque tecnica. È sufficiente osservare la quantità di tecniche aberranti che originano dai kata come applicazioni o bunkaï . Il bunkaï non è altro che un esercizio intermedio per la realtà del combattimento. Chi conosce bene i bunkaï non è automaticamente in grado di combattere in modo efficace. Basta guardare attentamente come si praticano generalmente i kata.
Per esempio, il bunkaï del kata Sêpai è molto chiaro e ciascun gesto può costituire un riferimento tecnico interessante, ma voi sapete bene che voi non fate mai un combattimento che sia conforme a un kata. Si tratta di sequenze gestuali interessanti per esercitarsi, ma non di un rintô-gata.
Quest’ultimo è infatti un reale riferimento per il combattimento, dove ogni tecnica prevede la possibilità di cambiamenti in relazione con le reali reazioni dell’avversario. Penso che gli esempi seguenti ci aiuteranno a capire meglio la natura dei rintô-gata e come essi manchino al karaté di oggi.
     
Il rintô-gata : kata originale
Negli anni del dopoguerra, il defunto maestro Yasuji Kuroda, della scuola Kaïshin-ryû, ebbe un giorno l'occasione di combattere contro quattro yakuza armati di corte spade. Era una vera aggressione ed il Maestro Y. Kuroda affrontò e respinse i banditi utilizzando come arma un semplice ventaglio. Dopo questa esperienza disse:" Non c'è nessuna differenza tra il combattimento reale ed il kata che pratico quotidianamente. È questa la ragione per la quale questa esperienza non è stata né interessante né divertente." Il Maestro Kuroda parlando di kata, si riferiva in quel caso proprio al rintô -gata. Egli non intendeva parlare dell'applicazione di questa o quella tecnica contro un attacco definito, ma dell’azione spontanea che viene insegnata dal kata.
Conoscete questa dimensione del kata nel karaté? Personalmente non la conosco. Potreste dire: "Io, o piuttosto quel tal maestro, siamo in grado di combattere come un kata", ma credo che in questo caso staremmo parlando della stessa cosa.
Per renderci conto ancor meglio di ciò che è il combattimento, soprattutto quello con un coltello o una spada, mi servirò di un altro esempio.
Il Maestro K. Kurosaki è stato il primo karateka ad aver combattuto pubblicamente contro pugili praticanti la boxe tailandese ed ha contribuito alla creazione della kick-boxing. Sessantenne, il Maestro Kurosaki ha ancora oggi la reputazione di essere un combattente efficace e, senza dubbio, lo è avendo accettato di misurarsi in numerosi combattimenti senza regole. In una sua videocassetta intitolata "L'allenamento di un combattente demoniaco" egli commenta così un combattimento contro un avversario armato:
"Cosa bisogna fare se siete assalito da un avversario armato di coltello?
La risposta è semplice: o avete un'arma più lunga della sua oppure è molto meglio fuggire. Chi pretende di dimostrare come si combatte a mani nude contro un avversario armato, è un illuso che crede di poter combattere come nei fumetti; probabilmente non si rende conto di quanto è pericolosa una lama di coltello. Un cieco non ha paura di un serpente. Questo è perlomeno ciò che ho imparato con l'esperienza.."
Questi due esempi sono una chiara dimostrazione della differenza di livello esistente tra i due maestri. Noi possiamo soltanto supporre a quale livello fosse l'arte del maestro Y. Kuroda e l'esistenza nella sua scuola dell'arte della spada di un supporto tecnico formalizzato in un kata. Alcuni kata richiedono un estremo rigore e vengono trasmessi secondo un metodo selettivo. Studiando l'arte della spada di questa scuola mi sono reso conto personalmente di questa dimensione del kata, ma non riesco a trovare nulla di simile nei kata del karaté moderno. Se questa mia osservazione è dovuta solo ad una mancanza di conoscenza, vuole dire che prima o poi potrò imparare. Ma non credo affatto a questa eventualità, perché il karaté si è sviluppato anteponendo proprio ai rintô-gata i più accessibili rentan-gata e hyôen-gata. Così I rintô-gata restano confusi sullo sfondo dei kata fin dall'inizio del ventesimo secolo. Se un tempo il karaté era una pratica estremamente selettiva mentre oggi è accessibile a tutti, non è semplicemente perché è stata aperta la porta d'accesso, ma piuttosto perché sono intervenute delle modifiche qualitativamente importanti del contenuto e dei metodi di trasmissione.
Penso che un karateka che cerchi il vero valore del karaté debba ampliare la visione della sua ricerca fino alla dimensione del rintô-gata: kata di estremo rigore, che comporta in se il metodo più completo del karaté.
Daltronde è proprio a causa della difficoltà che questo rigore sottende che per permettere un'ampia diffusione del karaté sono stati creati i rentan-gata e i hyôen-gata.

Com'è possibile ritrovare i rintô-gata?
A mio parere esiste un solo modo per capire se un kata è un vero rintô-gata e come può essere ricostituito partendo dai kata modificati.
Prima di tutto è necessario studiare il maggior numero possibile di versioni di uno stesso kata. In questo modo è possibile fare dei dettagliati confronti sull'insieme delle strutture tecniche. Per esempio il kata Gojûshiho, attualmente insegnato negli stili Shôtôkan, Shitô-ryû e Shôrin-ryû, ha delle varianti in ciascuna scuola. Ho potuto censire una dozzina di Gojûshiho. È possibile contare il numero di sequenze tecniche che costituiscono il kata e per un confronto generale, isolare singole sequenze, la posizione degli avversari, la qualità dei loro attacchi, la loro strategia. Allo stesso modo possono essere isolate le vostre possibilità tecniche, la vostra strategia, l'attitudine del corpo e della mente, ecc.
Partendo da questi dati è possibile ricostruire la situazione ed effettuare un combattimento che si avvicini realmente a quella stessa situazione. È necessario individuare non solo le opportunità ma anche le difficoltà elaborando tecniche che permettano di superarle. Quando anche le difficoltà verranno superate in modo soddisfacente sarà possibile combattere nel modo più reale possibile. Successivamente sarà necessario trovare per ciascuna sequenza il modello tecnico che consenta di forgiare la qualità tecnica che deve essere impiegata in combattimento. Il metodo rigorosamente pragmatico qualifica il rintô-gata. Se un kata non propone una reale efficacia tecnica e non è in grado di formare la capacità di combattere, non può essere un rintô-gata. Altrimenti perché un adepto  d'altri tempi, che non aveva certo tempo da perdere, avrebbe investito se stesso così profondamente in questo esercizio? E perché questi adepti dovevano dissimulare la loro arte di fronte ad altri?
Poiché esisteva una ricchezza reale ed un solo kata poteva bastare.
Con questa prospettiva conduco attualmente le mie ricerche sul rintô-gata.

Come possiamo accedere ai rintô-gata ?
Come esempio analizzerò la prima sequenza del kata Gojûshiho. L'obiettivo tecnico di questa sequenza consiste nell'avvicinarsi il più possibile all'avversario per portare un colpo di ura-uchi.
In questa sequenza devono essere soddisfatte due esigenze fondamentali:
1 - Avanzare rapidamente senza subire un attacco dell'avversario, in altre parole avanzare rapidamente, protetti, senza esporsi agli attacchi dell'avversario.
2- Colpire con ura-uchi, senza presentare dei vuoti, cioè senza essere vulnerabili.
La sequenza dei gesti del kata deve fornire uno strumento per soddisfare convenientemente queste condizioni tecniche. Per questa ragione deve contenere un riferimento gestuale tecnicamente efficace ed un modello di movimento attraverso il quale sviluppare le qualità necessarie alla realizzazione di queste tecniche.                    La gestualità deve essere contemporaneamente realistica ed istruttiva. Solo soddisfacendo queste condizioni è possibile interiorizzare realmente la tecnica ripetendo il kata. Utilizzando questo criterio come strumento di analisi e valutazione, se esaminate tutti i kata che avete conosciuto fino ad ora riconoscerete una serie di movimenti nefasti: la cadenza del combattimento lontana dalla realtà, la vulnerabilità del viso scoperto di fronte ad un eventuale attacco, la rigidità del corpo e delle tecniche in contrasto con la necessità di essere mobili.
La ripetizione di un kata con questi difetti non consente di costruire un "corpo del Bûdo", cioé un corpo in grado di produrre tecniche efficaci, grazie ad una regolazione energetica ottimale quale risultato dell'attivazione delle zone vitali del corpo.
Ho studiato una dozzina di varianti del kata Gojûshiho; globalmente la struttura è identica ma i dettagli tecnici sono diversi tra una versione e l'altra. Partendo da questo studio, completandolo con alcune testimonianze orali, ho potuto confrontare ed analizzare le diverse versioni del kata, identificando per ciascuna sequenza, l'obiettivo tecnico e le condizioni essenziali per raggiungerlo.
Le varianti di un kata sono l'espressione di interpretazioni tecniche diverse e di deformazioni, che nel corso del tempo, hanno più o meno modificato la forma ed il contenuto strategico del kata stesso. Il valore di un kata è significativamente diverso tra una variante all'altra.
Comunque, è possibile dire che la versione del kata Gojûshiho di una certa scuola è giusto se vi permette di sviluppare la capacità di avanzare velocemente verso l'avversario senza scoprirvi e di realizzare un'efficace tecnica di ura-uchi. In tutti gli altri casi è inutile perdere tempo nell'esercitarsi. Il kata è uno strumento pratico, il suo valore dipende dalla sua capacità di fornire una risposta per raggiungere l'obiettivo tecnico originale.
Quale che sia l'etichetta di autenticità di un kata, se non riuscite a trovare gli elementi che consentono di formare le qualità necessarie per raggiungere gli obiettivi originali, quel kata ha delle lacune.  (...)

martedì 23 luglio 2019

Grandi onde


All’inizio dell’era Meiji viveva un famoso lottatore che si chiamava O-nami, Grandi Onde. O-nami era fortissimo e conosceva l’arte della lotta.
Quando gareggiava in privato, vinceva persino il suo maestro, ma in pubblico era così timido che riuscivano a batterlo anche i suoi allievi.
O-nami capì che doveva farsi aiutare da un maestro di Zen. In un piccolo tempio poco lontano soggiornava temporaneamente Haku-ju, un insegnante girovago. O-nami andò a trovarlo e gli spiegò il suo guaio.
“Tu ti chiami Grandi Onde,” gli disse l’insegnante “perciò stanotte rimani in questo tempio. Immaginati di essere quei marosi. Non sei più un lottatore che ha paura. Tu sei quelle ondate enormi che spazzano via tutto davanti a loro, distruggendo qualunque cosa incontrino. Fa così, e sarai il più grande lottatore del paese”.
L’insegnante lo lasciò solo. O-nami rimase in meditazione, cercando di immaginare se stesso come onde. Pensava alle cose più disparate. Poi, gradualmente, si soffermava sempre più spesso sulla sensazione delle onde.
Man mano che la notte avanzava le onde si facevano più grosse. Spazzarono via i fiori coi loro vasi. Prima dell’alba il tempio non era più che il continuo fluire e rifluire di un mare immenso.
Al mattino l’insegnante trovò O-nami assorto in meditazione, con un lieve sorriso sul volto. Gli batté sulla spalla. “Ora niente potrà più turbarti gli disse.”  “Tu sei quelle onde. Travolgerai tutto ciò che ti trovi davanti”.
Quel giorno stesso O-nami partecipò alle gare di lotta e vinse. E da allora, nessuno in Giappone riuscì più a batterlo.