sabato 15 marzo 2014

Come Padroneggiare l'Arte Giapponese della Spada

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Maneggiare una spada con una certa padronanza non è un’impresa semplice; ci vogliono anni di addestramento per utilizzare quest’arma nella maniera corretta e, anche in tal caso, è inevitabile compiere degli errori. Poniti degli obiettivi a breve termine, tenendo sempre in mente lo scopo finale del tuo addestramento per motivarti. Sappi che la comprensione di certi principi di fisica e geometria può aiutare molto. Il post in questione è particolarmente tecnico e destinato a persone molto motivate.


Cerca un istruttore esperto di iaido, kendo o altre tecniche di spada tradizionali giapponesi e allenati con lui.


Considera i falsi miti per quello che sono. Ad esempio: le spade usate dai ninja erano dritte e corte rispetto alle katana curve dei samurai. Sebbene ogni spada sia differente, e quelle dei ninja avessero caratteristiche peculiari (così come avviene per molte scuole di combattimento), le spade giapponesi sono tutte Katana (Nihonto), forgiate secondo i canoni degli stili Koto (spade antiche), Shinto (spade nuove) o Shinsakuto (nuove spade rinnovate). In tempi recenti si è cominciato a credere che i ninja utilizzassero tecniche di spada segrete e spade speciali. È vero che avevano un loro modo particolare di combattere con la spada, ma bisogna tener conto che, al tempo, mantenere segrete le tecniche di combattimento era un dogma seguito da quasi tutte le scuole di spada giapponesi. Se vuoi imparare il Ninjutsu, rivolgiti a un istruttore qualificato della scuola Bujinkan.
    • C’è un detto: "la spada che salva la vita di un uomo uccide un altro uomo". La spada è uno "strumento di morte", indipendentemente da chi la brandisce. Per padroneggiare l’arte della spada dovrai imparare a considerare serenamente la morte, sia la tua che quella di un altro.
    • Non puoi muoverti alla velocità della luce soltanto perché sai usare una spada. Ciò non ti rende più veloce né ti dà qualche superpotere. La spada è un semplice "pezzo di metallo". L’abilità raggiunta dopo anni di addestramento sotto la guida di un maestro competente non implica il risveglio di una qualche energia a lungo sopita all’interno del tuo corpo. Nessuno, nemmeno un samurai, può travalicare le leggi della fisica e della geometria quando maneggia una spada.
    • Non puoi tagliare un tronco d’albero con un fendente e, molto probabilmente, rovineresti soltanto la spada provandoci. Quello che vedi nei film è soltanto finzione, oppure l’effetto è ottenuto tagliando il bambù, che può effettivamente essere reciso da una spada.


Studia tutte le otto direzioni. Esatto, quelle della bussola!
    • Mettiti in piedi guardando in avanti. Puoi determinare facilmente i quattro quadranti (immagina di essere rivolto verso nord, anche se non è effettivamente così): nord, sud, est, ovest. Ora pensa ai quattro sotto-quadranti, chiamati ottanti: nord-ovest, nord-est, sud-ovest, sud-est. Ne risulta un totale di otto direzioni. Puoi anche fare un semplice esercizio per impararle.
    • Metti davanti il piede destro e posiziona dietro quello sinistro, rivolto con la punta verso sinistra. I piedi non dovrebbero essere distanti l’uno dall’altro, ma nemmeno attaccati tra loro. Ora fai un passo in avanti col piede destro e porta il piede sinistro nella stessa posizione che occupava in precedenza. Questo è il primo passaggio: il nord.
    • Ora viene il difficile: la rotazione. Osserva la tua posizione e, col minor sforzo possibile, ruota verso il lato forte. Nella scherma, lo spostamento sul lato forte consiste semplicemente nel ruotare verso il lato che permette di agire con minor sforzo rispetto a quanto avviene per il lato opposto. Girarsi dall’altro lato significa spostarsi sul lato debole. Se tieni davanti il piede destro, ruota verso sinistra e viceversa.
    • Ora fai un passo in avanti col piede anteriore e rivolgiti nuovamente nella direzione iniziale. Questa tecnica è chiamata Zango. Queste sono due delle direzioni di movimento; allo stesso modo, spostati in tutte le altre otto. Effettua una rotazione sul lato forte e voltati nella direzione 3 al posto del nord. Esegui uno Zango. Le posizioni 5, 6, 7 e 8 sono leggermente diverse. Dalla posizione 4 voltati di 45° sul lato forte ruotando il piede posteriore (nel nostro caso, verso la tua destra) fino a trovarti rivolto verso la direzione 5. Esegui uno Zango e fai la stessa cosa dalla posizione 7 alla 8. Una volta raggiunta la posizione 8 dovresti facilmente riuscire a riportarti nella posizione 1. Fai questo esercizio altre mille volte. Se vuoi cimentarti in qualcosa che sia un po’ più interessante, prova a indietreggiare invece che avanzare; poi combina le due cose. Questo è l’Hachi Kata (il Metodo delle otto direzioni), chiamato anche Hachi Do (le Otto direzioni).


Impara a pronunciare la lingua giapponese. Durante l’addestramento incontrerai spesso termini giapponesi. Si tratta di una lingua semplice dal punto di vista fonetico. Chiedi a un madrelingua di insegnarti la pronuncia o guarda qualche anime sottotitolato.


Iscriviti a un Dojo. Non importa quanto impegno ci metti, non riuscirai mai a imparare da solo o guardando solamente dei video. Dedicati a uno stile precedente al XVII secolo. Stai lontano dal Kendo, se possibile: si tratta di uno sport e non eseguiresti mai dei fendenti veri e propri (se non trovi altro, il Kendo va comunque bene).


Stai in piedi e assumi una posizione marziale (una posizione naturale, tenendo le spalle in linea con le anche e la schiena dritta); i piedi dovrebbero essere tenuti alla larghezza delle spalle.
    • Prendi la spada (ancora nel fodero) con la mano sinistra, rivolgendo la lama verso l’alto, e tienila per la parte superiore del saya (il fodero). Premila contro il fianco come se fosse nel tuo Obi (cintura).
    • Afferra (con un movimento deciso ma composto) il Nakago (l’elsa) appena sotto lo Tsuba (la guardia) ed estrai l’arma come se stessi usando il Nakagojiri (l’estremità dell’elsa) per colpire lo stomaco di un ipotetico avversario.
    • ORA FERMATI. Immaginati in armatura da samurai. Che movimento faresti per non tagliarti le dita e/o il braccio?
    • Fai un passo indietro col piede sinistro mentre estrai la spada e falle compiere un movimento ad arco. Punta l’estremità della lama contro il petto di un ipotetico avversario della tua stessa altezza.
    • Metti il fodero da parte e poggia la mano sinistra sul nakojiri tenendola sull’estremità dell’arma.
    • Se vuoi fare le cose per bene, ruota la lama a sinistra (Ura) di qualche grado. Congratulazioni, hai appena assunto una posizione di guardia centrale con piede destro avanzato!


Impara le Sei Vie.
    • Mettiti in posizione di guardia centrale con il piede destro avanzato. Ora solleva la spada in modo che la lama punti a 45° dietro di te (puntando verso l’alto sarebbe a 90°, puntando direttamente all’indietro si troverebbe a 0°). Questa è la posizione alta con piede destro avanzato.
    • Rimani in questa posizione e abbassa la lama finché non forma un angolo di 45° puntando verso il basso; non devi spostare le spalle dal centro della tua figura. Questa è la posizione bassa con piede destro avanzato.
    • Fai un passo col piede sinistro in modo che quest’ultimo diventi il piede avanzato e il destro punti verso destra. Non muovere la spada durante il procedimento. Questa è la posizione alta con piede sinistro avanzato.
    • Sposta la spada a lato della testa, puntata a circa 75°. Non tenerla troppo vicino alla testa dato che, in teoria, indosseresti un elmo in battaglia. Questa è la posizione mediana con piede sinistro avanzato.
    • Mettiti in posizione di combattimento tenendo sempre dietro il piede destro e il sinistro avanti; muovi l’impugnatura della spada verso il centro del corpo mentre la lama è rivolta all’indietro. Questa è la posizione bassa con piede sinistro avanzato.
Prova a non considerarle come posizioni immutabili. Si tratta semplicemente di basi di partenza per i movimenti successivi. Allenati passando lentamente da una posizione all’altra. Muoviti lentamente ma in maniera fluida (la velocità verrà col tempo). Allenati con un compagno e ripeti i suoi movimenti in maniera simmetrica, poi asimmetrica. Sii “l’ombra dell’aquila” (in seguito sarà il tuo compagno a dover essere la tua ombra).


Esegui il tuo primo fendente. Inizia in posizione di guardia centrale col piede destro in avanti. Solleva la spada sopra la testa. Abbassa la spada portando l’impugnatura verso il centro del corpo. Questa tecnica prende il nome di Shomen’uchi (fendente alla testa). Un'altra tecnica da provare è il Yokomen’uchi, che consiste in un fendente verso il basso portato a lato della testa o al collo dell’avversario. Se pratichi l’Aikido, tutti questi termini dovrebbero suonarti familiari. Il fendente che hai appena effettuato è la tecnica basilare del Kenjutsu (l’arte della spada) giapponese, indipendentemente dalla scuola.


Effettua altri fendenti. Il Kenjutsu richiede una certa resistenza ed è indispensabile allenarsi per svilupparla. Esegui migliaia di volte il fendente che hai appena imparato in sessioni di 5, 10 o 50 colpi. La ripetizione costante ti porterà alla perfezione, ma ricorda: se fai degli errori, te li porterai dietro senza saperlo, quindi iscriviti a un dojo!


Esegui i fendenti partendo dalle sei posizioni illustrate in precedenza e alternando il piede avanzato. Puoi colpire facendo un avanzamento (compiendo, di fatto, un passo col piede anteriore ed è per questo motivo che i piedi devono essere vicini tra loro), un passo in avanti o stando semplicemente in piedi. Cerca di dirigere il colpo da sopra la testa, il che significa alzare l’arma sopra il capo per rispondere a un eventuale attacco improvviso da dietro (è il caso della posizione bassa con piede sinistro avanzato). L’istinto è di colpire di fronte a sé, portando la lama indietro, oltre l’orecchio; l’ideale è invece alzare la lama sopra la testa, il più in alto possibile, prima di sferrare il colpo.


Allenati spesso. Fai ogni giorno dieci sessioni di dieci fendenti ciascuna. Esegui tutti i fendenti che conosci (ricorda di colpire dall’alto in basso, non di lato né di punta). Col tempo risulterà tutto molto più facile e potrai passare a un bokken (spada di legno) più pesante, un suburito (bokken del peso di quasi 3 kg) o uno iaito (katana dalla lama smussata).


Cerca di assimilare tutte queste nozioni. Una volta fatto, sarai sulla buona strada per diventare un buon spadaccino. A questo punto, dovrai trovare una scuola di kenjutsu nelle vicinanze; se non c’è e sei abbastanza motivato, spostati. Ci sono buone scuole in tutta Italia ed è possibile rivolgersi alle scuole di arti marziali della tua zona per ricevere informazioni utili a riguardo (se non sanno indirizzarti direttamente, potrebbero conoscere qualcuno in grado di farlo).






Consigli

La pratica è fondamentale. Se frequenti una scuola, ripeti i suburi che ti vengono insegnati, oppure esegui i fendenti spiegati in questo post, scambiando il piede avanzato di volta in volta.






Avvertenze

  • "Studiare" un’arte marziale senza la guida appropriata e la supervisione di un istruttore esperto può risultare più dannoso che utile. Se fosse possibile imparare questa disciplina senza l'aiuto di un maestro, gli insegnanti non esisterebbero.
  • Mai far cozzare le lame tra loro. Le spade dei film sono smussate e possono essere spesse anche un centimetro. Far cozzare le lame di due spade le rovinerà entrambe. Per bloccare un colpo usa il mune (retro) della spada.
  • Non iniziare con un’arma dalla lama affilata. Il bokken rappresenta la scelta migliore ma, se proprio vuoi allenarti con un’arma in acciaio, opta per uno iaito (una katana dalla lama smussata); costa dai 75 ai 750 euro e puoi trovarne alcuni di buona qualità su ebay. Sono consigliabili le spade Bugei, che hanno una qualità migliore sia in termini di acciaio che di tecniche di forgiatura (un semplice iaito dovrebbe costare sui 450 euro).
  • Cerca di non colpirti da solo.
  • Non metterti a colpire oggetti a caso con la tua spada/bokken. Non impareresti nulla.
  • Informati sulle leggi locali in merito al possesso di una katana o alla possibilità di allenarsi con essa in un luogo pubblico. Cerca di non disturbare le altre persone.
  • La scherma e il kendo sono ottime scuole per imparare a combattere. Rivolgiti a una palestra dove vengono insegnate queste discipline per ricevere un addestramento adeguato.
  • Non portare in giro un’arma bianca a meno che tu non abbia un permesso (o tu non sia un militare o una guardia del corpo con licenza, ecc.).
  • MAI minacciare l’incolumità di qualcuno con un’arma!
  • La sicurezza prima di tutto! Indossa sempre l’attrezzatura protettiva prima di impugnare una spada.






Cose che ti Serviranno

  • Un bokken
  • Una stanza spaziosa dal soffitto alto o un’area all’aperto
  • Del tempo libero

venerdì 14 marzo 2014

Zen Nippon Kendō Renmei Iai

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Lo Zen Nippon Kendō Renmei Iai (全日本剣道連盟居合 zen nihon kendō renmei iai), o più comunemente solo Seitei Iai (制定 居合 seitei iai), è lo stile di iaidō ufficiale della All Japan Kendo Federation.
Nel 1969 l'AJKF codificò per la prima volta sette forme di iaidō scelte tra le maggiori scuole tradizionali koryū (古流 koryū) di kenjutsu, kendō, iaijutsu e iaidō, sintetizzandole in un unico kata. Nel 1976 ci fu una rivisitazione generale del kata ad opera della commissione tecnica, e nel 1980 furono aggiunte altre tre forme. Infine, il 2 dicembre 2000 furono aggiunte le ultime due forme che unite alle precedenti, formano le attuali dodici forme del kata seitei-iai.
Nel seitei quindi è evidente l'influenza predominante della Musō Jikiden Eishin-ryū, della Musō Shinden-ryū e della Hoki-ryū, motivi per cui il seitei si presta come ottimo strumento valutativo degli iaidōka ai fini sia dello studio dello iaidō che dei passaggi di grado.

 

Composizione del kata

Il seitei iai si divide in tre serie:
  • Seiza-no-bu
  1. Mae ( Di fronte)
  2. Ushiro (後ろ Dietro)
  3. Ukenagashi (受け流し Ricevere, parare e tagliare)

  • Iai-hiza-no-bu
  1. Tsuka-ate (柄当て Colpire con l'impugnatura)

  • Tachiai-no-bu
  1. Kesa-giri (袈裟切り Taglio diagonale)
  2. Morote-zuki (諸手突き Colpo a due mani)
  3. Sanpō-giri (三方切り Taglio in tre direzioni)
  4. Ganmen-ate (顔面当て Colpo al volto)
  5. Soete-zuki (添え手突き Affondo a mani unite)
  6. Shihō-giri (四方切り Taglio in quattro direzioni)
  7. Sō-giri (総切り Tagli completi)
  8. Nukiuchi (抜き打ち Estrazione improvvisa)



giovedì 13 marzo 2014

Ōdachi


Samurai wearing a nodachi (field sword).png

Una (ōdachi 大太刀), che significa "grande grossa spada", era un tipo di spada lunga giapponese. Il termine nodachi, o "spada da campo", che è riferita ad una differente tipo di spada, è a volte confusa, ed usata al posto ōdachi.
Il simbolo per ō () significa "grande" o "grosso". L'ideogramma per da () e chi () sono gli stessi di tachi (太刀, letteralmente. "grande spada"). Il chi è inoltre lo stesso ideogramma di katana () e il in nihontō (日本刀 "spada giapponese"), originariamente dalla lingua scritta cinese per coltello, dāo.
Per essere definita come ōdachi, la spada deve avere una lama lunga oltre 3 shaku (di poco sotto un metro di lunghezza). Indipendentemente dalle dimensioni, molte ōdachi hanno iscrizioni religiose sul tang. Tuttavia, come molti termini nell'arte delle spade giapponesi, non esiste una definizione esatta delle dimensioni di una ōdachi.



mercoledì 12 marzo 2014

Ryu



Ryū era storicamente un'istituzione di tipo feudale creata dai vari clan oppure dall'iniziato di un daimyō, allo scopo di insegnare le arti marziali ai samurai del proprio clan.
Ryū (il cui carattere kanji è ) viene tradotto con "scuola" o "stile" (da intendersi come una corrente di pensiero), basti infatti pensare a come moltissimi stili di karate o di altre arti marziali in genere, adottino il suffisso -ryu nel loro nome.
Come accade a molte parole giapponesi, queste hanno più possibili traduzioni, difatti ryu viene anche tradotto come lo "scorrere di un fiume". Questo concetto però, contrariamente a quanto sembra, non si discosta dalla traduzione di "scuola/stile", anzi queste due traduzioni vanno di pari passo, in quanto si intende che le conoscenze di un'arte marziale, all'interno di una scuola, si tramandano di generazione in generazione e scorrono fino ad arrivare ai giorni nostri.

martedì 11 marzo 2014

Guardia da combattimento: peso avanti, dietro o al centro?


Nella posizione di guardia da combattimento dove si deve mettere il peso? Ci sono diverse scuole di pensiero. C’è chi pensa che il peso debba essere equi distribuito per permettere un miglior bilanciamento del corpo; c’è chi pensa che vada tenuto avanti per avere un allungo maggiore sui pugni e per aumentare la stabilità; ed infine c’è chi crede che sia ideale mantenerlo dietro per gestire meglio il lavoro di gambe.
Nel nostro sistema seguiamo questo terzo filone, perché il peso mantenuto sulla gamba avanti:

  • rende più facile “cadere sul colpo” e trovarsi proiettati in avanti già dalla prima tecnica portata. Questo potrebbe non essere un grave problema nel momento in cui il primo colpo va a segno e conclude il combattimento, ma se così non è e se di fronte c’è un avversario preparato, allora essere sbilanciati in avanti è molto pericoloso; 
  • ·        rende più lento l’utilizzo della gamba avanti stessa, perché è necessario portare il peso sulla gamba dietro, usando due tempi invece di uno. L’utilizzo della gamba dietro è comunque rapido anche nel caso del peso mantenuto in posizione arretrata.

  • ·        rende più lenti e difficoltosi gli spostamenti rapidi, per la necessità di riequilibrare il peso sulla gamba dietro per muoversi rapidamente. Inoltre in caso di trazione, cioè quando l’avversario ci tira a se, risulta più difficile non ritrovarsi sbilanciati in avanti.
  • non facilità il lavoro contro una tecnica di spazzata, perché l’unica cosa che si può fare è resistere accusando comunque l’impatto sulla gamba. In alternativa, per evitare l’impatto della gamba avversaria sulla nostra dobbiamo portare il peso sulla gamba dietro. 

Il peso sulla gamba dietro conferisce un grande dinamismo di movimento, un più efficace utilizzo della gamba anteriore e una protezione dei genitali (punto del corpo che deve essere assolutamente difeso).
Sicuramente la posizione di guardia col peso posteriore è meno “naturale”, almeno a primo impatto, ma opportunamente allenata può essere un’arma in più.

lunedì 10 marzo 2014

Il kung fu tradizionale e la difesa personale


Quando parlando con qualcuno viene fuori che faccio kung fu la frase che immancabilmente mi sento dire è: <>, dando per scontata la mia abilità nella difesa personale. Ma davvero chi pratica un’arte marziale come il kung fu (o il karate, il judo, l’aikido, etc.) è capace di difendersi in modo efficace?
Secondo me non è così ovvio. Praticare un’arte marziale significa apprendere delle tecniche e modalità di combattimento, ma non significa affatto allenarne l’applicabilità in una situazione di pericolo reale.
Quasi sempre, praticare kung fu significa apprendere uno o più stili, ossia imparare i principi e le forme che caratterizzano lo stile. Si eseguono esercizi nati come allenamento di tecniche da combattimento, la cui difficoltà aumenta man mano che cresce il livello del praticante, fino ad arrivare a livelli superiori dove le forme possono essere anche molto complesse. Tuttavia (almeno in Italia secondo la mia esperienza) l’applicazione delle tecniche nella simulazione di una situazione reale è spesso tralasciata o studiata in modo superficiale, ossia senza sperimentarle.
Tale approccio al kung fu è determinato da due fattori:

  1. forma mentis. L’idea che il kung fu tradizionale e il combattimento siano due settori separati; 
  2. il maestro. Se si cresce nella propria carriera marziale seguendo il filone cosiddetto tradizionale, “separato dal combattimento”, si insegnerà il kung fu relativo all’allenamento delle forme.

Il punto 2 dipende dal punto 1. Se non esiste il concetto di uno stile tradizionale che sia una forma di allenamento di tecniche utilizzabili nel campo della difesa personale, difficilmente si possono formare insegnanti di “kung fu applicato”.
Ma il kung fu tradizionale è applicabile realmente? In caso di pericolo potrei difendermi applicando le tecniche shaolin, o tang lang?
Dipende. Se cerco di applicare le tecniche così come sono eseguite in una forma probabilmente mi troverei in grossa difficoltà. Se invece ho studiato i principi di base che hanno portato, molti anni fa, alla creazione degli stili allora la musica cambia. Ci sono degli elementi comuni in tutti gli stili che si ritrovano anche in discipline come il wing chung, considerato la difesa personale per eccellenza. Esistono concetti come equilibrio, centro, angoli, che sono l’intersezione non solo di tutti gli stili di kung fu, ma di tutte le arti marziali. Nell’hung gar, ad esempio, esiste la tecnica di bong sao, come nel wing chung.
Ciò che cambia è il modo in cui si sfruttano e allenano tali concetti, ma qui si entra nel discorso dell’efficacia; allora ci si potrebbe chiedere quale arte marziale è più efficace nella difesa personale … e questa è un’altra storia …

domenica 9 marzo 2014

Bokken


Bokken (木剣, bok(u), "legno", e ken, "lama") è una riproduzione essenziale della spada giapponese di legno utilizzata nell'allenamento per la spada giapponese. Da non confondere con bokutō, che ha significato simile ma più precisamente indica la spada di legno. Ciò che distingue il termine corretto è l'utilizzo nel bokutō di particolari propri della spada, come la Tsuba e l' Habaki o la Saya (fodero o guaina), che nel bokken non ci sono. Il bokutō è infatti la riproduzione in legno della katana giapponese e ne conserva la forma, la bilanciatura e, nel caso di alcune scuole, anche il peso. Viene utilizzato nel kendo come spada per l'esecuzione dei dieci kata. Ogni scuola antica ha elaborato nel tempo una forma peculiare di bokken o bokutō adattata al proprio stile.



sabato 8 marzo 2014

La storia dello Shaolin

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Le prime notizie storiche relative alle arti marziali risalgono al periodo della dinastia Chou (11° - 3° secolo a.C.).
Confucio, il grande maestro del pensiero cinese, vissuto fra il sesto ed il quinto secolo avanti Cristo, invitava i giovani non solo a studiare il libri classici, ma a praticare le arti marziali.
Egli si riferiva in particolare al tiro con l’arco ed alle corse con i carri da guerra, ma in quell’epoca caratterizzata da continue lotte fra i feudatari esistevano numerose altre arti marziali come la scherma e delle forme di pugilato denominate Wu-i (che significa arte marziale) o Chi-chi (che vuol dire colpire con abilità).
Secondo lo storico Ssu Ma Chien, vissuto durante la dinastia Han, il Chi-chi era sviluppato in particolar modo nello stato di Ch’i, i cui abitanti erano abilissimi nella lotta corpo a corpo.
Dal quinto al terzo secolo avanti Cristo, dopo la sparizione dei feudi minori sopraffatti da quelli maggiori, la Cina era suddivisa in vari stati in continua lotta fra di loro; quest’epoca è denominata “degli Stati combattenti”, ed è caratterizzata dalla presenza degli Yu Hsieh o cavalieri erranti, militari di professione e quindi esperti di arti marziali che si mettevano a disposizione di chiunque era disposto a sostenere la spesa dei loro servizi.
Ssu Ma Chien nei suoi Documenti Storici descrive i cavalieri erranti cosi:

<<Le loro parole erano sempre sincere e degne di fiducia, le loro azioni sempre rapide e decise. Compivano ciò che avevano promesso e senza badare a se stessi si gettavano nei pericoli che minacciavano gli altri>>.


Nel 221 a.C. il principe Ch’in sconfisse gli altri stati combattenti e unificò la Cina assumendo il nome di Shih Huang Ti o Primo Augusto Imperatore.
Deposta geniale e crudele, Shih Huang Ti instaurò una politica di assolutismo e centralismo monarchico spazzando via ogni traccia di feudalesimo.
Fece costruire la Grande Muraglia, unificò i pesi, le misure, le monete e la scrittura, ma nello stesso tempo perseguitò gli intellettuali e ritenendo che la fedeltà alle tradizioni del passato potesse creare ostilità al suo sistema politico, fece bruciare tutti i libri, esclusi quelli di medicina, di agricoltura e di divinazione (I Ching).
Nel rogo andarono distrutti sicuramente anche i libri di arti marziali e questo spiega forse la scarsità di notizie sull’argomento giunte fino a noi.
Dopo la morte dell’imperatore scoppiò una rivolta contadina che porto al potere Liu Pang, fondatore della dinastia Han (206 a.C. – 220 d.C.).
Il regno di Han fu caratterizzato da prosperità, pace e sviluppo culturale.
In questo periodo si modellò in modo quasi definitivo la struttura politica, economica e culturale che l’impero conservò fino all’inizio del nostro secolo.
Durante la dinastia di Han il combattimento a mani nude era molto popolare e veniva chiamato Chi Ch’iao (abilitò e talento) o Shou Po (mano che colpisce a pugno).
Nel primo secolo dopo Cristo un famoso maestro di nome Kuo I ideò uno stile denominato Ch’ang Shou, ossia “lunga mano”, che alcuni considerano il diretto progenitore dello Shaolin.
In questo periodo visse anche il famoso medico taoista Hua To, che creò una serie di esercizi ginnici basati sugli atteggiamenti di cinque animali: la tigre, la scimmia, l’orso, il cervo e la gru.
Queste tecniche influenzarono sicuramente le ricerche dei maestri del kung fu, che si ispirarono spesso al modo di combattere degli animali.
Dopo una breve riunificazione per opera della dinastia Chin (280 – 316) varie tribù barbare si impadronirono della Cina settentrionale dando origine a numerosi Stati.
Nel sud invece si formò uno stato unitario che conservava tutte le tradizioni del passato.
Questo periodo è ricordato dagli storici come “Nord e sud” e fu caratterizzato da una forte decadenza politica e da un grande fervore religioso.
Il Buddismo si diffuse in tutta la Cina e ovunque furono eretti monasteri e templi.
In particolare, nella provincia di Honan, sulle pendici del monte Sung, verso la fine del quinto secolo venne costruito il monastero Shaolin Szu (giovane foresta).
Verso il 520 d.C. arrivò al tempio Shaolin il famoso monaco Bodhidarma, conosciuto anche con il nome cinese Ta Mo (o con quello giapponese Daruma), ventottesimo patriarca del Buddismo e fondatore della scuola Ch’an.
Secondo i principi di tale scuola la meditazione era la via per giungere alla meditazione; la parola Ch’an infatti deriva dal sanscrito Dhyrana che significa “meditazione”.
Il Buddismo Ch’an (zen in giapponese) ha notevolmente influenzato l’evolversi delle arti marziali sia cinesi che giapponesi, trasformandole in un mezzo di perfezionamento spirituale.
Basti pensare che lo Shaolin Ch’uan nacque e si sviluppò in un tempio Ch’an e che lo Zen divenne la religione-filosofia dei samurai giapponesi.
Bodhidarma insegnò una serie di esercizi fisici e di respirazione (probabilmente derivanti da tecniche yoga) destinati a ridar vigore ai monaci provati della lunghe meditazioni ed a facilitare il conseguimento dell’unità di spirito e corpo.
Successivamente tali esercizi furono descritti in due trattati:


  • I Chin Ching o Trattato sul movimento dei tendini;
  • Hsi Sui Ching o Trattato sul “lavaggio” del midollo osseo.


A Bodhidarma furono anche attribuiti una serie di esercizi denominati “Sho Pa Lo Han Shou” ossia “Le 18 mani (tecniche) dei discepoli di Buddha”.
Sembra che questi esercizi fossero delle vere e proprie tecniche di combattimento a mani nude e furono considerati il nucleo originante delle tecniche di Shaolin.
Differente è il pensiero degli storici moderni secondo i quali Bodhidarma non insegnò affatto forme di combattimento e alcuni di essi mettono addirittura in dubbio l’esistenza stessa del famoso monaco.
Sicuramente, però, durante il sesto secolo dopo Cristo i monaci del tempio Shaolin iniziarono a praticare, oltre alle tecniche di yoga, anche le arti marziali, tanto che nel secolo successivo avevano già acquisito la fama di invincibili.
Probabilmente i primi insegnanti furono dei guerrieri o dei maestri che si convertirono al buddismo e divennero monaci trovando nei confratelli che già praticavano le tecniche ginniche e lo yoga di Bodhidarma degli allievi predisposti ad apprendere nuovi esercizi.
Bisogna inoltre considerare che le tecniche di autodifesa erano senza dubbio indispensabili ai monaci che vivevano e viaggiavano in zone popolate dai briganti.
Grazie ai lunghi anni di intensi allenamenti ed al buddismo Ch’an i monaci del tempio Shaolin divennero formidabili combattenti acquisendo una superiorità non solo fisica ma anche spirituale e mentale.
La dinastia che seguì durò quasi 3 Secoli, portò la Cina ad un livello di benessere e splendore mai raggiunti prima, è in questa epoca d'oro che le Arti Marziali raggiunsero un Livello tecnico altissimo e divennero Popolari, ma un'altra ragione della loro popolarità fu ,che aiutarono l'Imperatore a sconfiggere il suo Nemico, e come ricompensa non vollero nulla. Nel 1279 circa dopo numerose battaglie i Mongoli invasero la Cina e inizio la dinastia Yùan (in quel periodo ci fù il viaggio di Marco Polo). Nel 1351 Scoppio la Rivolta dei Turbanti Rossi , i Mongoli vennero scacciati.
Durante la dinastia Ming, un Maestro di nome Pai Chin Tou creò il Mei Hua Ch'ùan "Box del fiore di prugno" il Mei Hua Ch'ùan è molto dinamico, l'azione non e mai interrotta, il corpo gira continuamente e tutte le tecniche sono circolari per sfruttare al massimo la forza centrifuga. In quel tempo un altro Maestro il cui nome e rimasto sconosciuto, mise appunto un altro Sistema chiamato Pa Chi Ch'ùan, trattasi di un Sistema estremamente potente, dove predominano gli attacchi rettilinei e diretti.(Il progenitore del Wing Chun). Nel 16° secolo un monaco convinse Pai e quest' ultimo Maestro ad entrare nel Tempio, laddove misero appunto le 5 forme degli animali. (Nello stesso secolo il sistema di shaolin, venne esportato ad Okinawa, dando origine al Karate un altro Monaco di shaolin, venne mandato nel 1659 in Giappone per addestrare i giapponesi contro i Manciù, ma poi il Giappone non inizio mai la battaglia, ma lo pregarono di restare e insegnare a loro le tecniche di shaolin, e fu il progenitore del Ju Jitsu).
Il tempio di Shaolin fu distrutto e ricostruito varie volte, con la perdita di preziosi scritti e Maestri, storicamente sappiamo che una delle distruzioni fu ordinata dall'Imperatore Yung Cheng che regnò dal 1723 al 1736. I maestri si dispersero in tutta la Cina dando origine a numerose scuole "Segrete", (segrete; perché l'Imperatore li definiva nemici dell'Impero, quindi li perseguitava accanitamente) e non si potevano nemmeno chiamare più Shaolin e quindi assunsero altri nomi, e gli allievi dovevano essere persone fidate per partecipare ai corsi e talvolta dovevano superare severissime prove. Da questo periodo in poi si perse l'enorme esperienza di tutti i migliori Maestri riuniti in un solo luogo; gli stili si differenziarono sempre di più e molti erano limitati alle esperienze tecniche di una sola persona. Molti altri maestri varcarono la Cina, andando ad esempio: in Giappone, Corea, Vietnam, ecc. creando molti altri stili come Judo, Aikido, Tae Kwon Do, Vietvo dao, ecc..
La Maestra Ng Mui, che conosceva il Kung fu Shaolin, trovava che in esso ci fosse solo forza bruta adatta certamente ad un Uomo, ma non per una Donna, che caratteristicamente è diversa da esso.
Cercò di elaborare un nuovo sistema più adatto alle peculiarità femminili; ispirata forse da un combattimento tra due animali con caratteristiche molto differenti , creò uno stile molto più morbido, agile ,veloce, che sfruttava la forza bruta del suo avversario contro di lui.
Creo tre nuove forme e ridusse i movimenti all'essenzialità. (Ng Mui e stata la creatrice del sistema Wing Chun)
Kung Fu è un termine cinese che significa “Duro Lavoro” o " Incredibile Abilità".
Indica un’abilità eccezionale raggiunta in seguito ad un lavoro duro, meticoloso e raffinato in una attività spesso di tipo manuale o fisico. In occidente viene usato comunemente per indicare le arti marziali cinesi ed è seguita o anticipata da altri nomi che descrivono il sistema in cui si è sviluppata l'abilita, ad esempio :Shaolin, Wing Chun, Hung Gar, Tang Lang, Pa Kua, ecc.. 
Anche se la parola più indicata per descrivere l'arte marziale cinese è “WuShu” che significa letteralmente arti marziali ed è un’eredità culturale del popolo cinese che unisce indissolubilmente in se gli aspetti del combattimento, dello sport, della conservazione della salute e della concezione filosofica del mondo, tipica della tradizione storica e culturale cinese.

venerdì 7 marzo 2014

Ma chi diavolo è questo tizio ricercato?



Tipicamente italiano: c´è sempre qualcun altro che fa una cosa che non va fatta, e ovviamente noi ce ne guardiamo bene dal farla. Anzi: la qualità del nostro operato consiste proprio nel riconoscere che qualcuno la fa e nel differenziarci, nel <>. <>. <> <>
E noi? Per esempio, noi tutti artisti marziali, letteralmente odiamo coloro che usano la forza. Eh no, non sia mai: noi tutti <>. Interviste qua e domande là, un giro su e uno giù e non ho mai incontrato nessuno che non mi dicesse che bisogna usare non la propria forza, ma quella altrui. Quello che mi incuriosisce non è però tanto questo, quanto più la silenziosa e spesso subdola vena polemica che soggiace a questa posizione: sembra che ci sia, da qualche parte, qualcuno che ha una volta affermato una cosa del tipo <>, per cui ogni volta che si parla di gestione delle forze tutti sembrano sottintendere <>.
Kung Fu: liberati della tua forza! Wing Chun: se la strada è occupata cedi! Judo: l’arte della cedevolezza! Aikido: morbidezza e vuoto! Taijiquan: la boxe suprema dell’energia! Jeet Kune Do: be water my friend!
I primi chiamati in causa potrebbero forse essere gli sport da combattimento. Come se dicessimo: <>. A parte che ci sarebbe un gran bel discorso da fare con alcuni straordinari atleti così tecnici che più che bruti o brutali al massimo saranno letali, non possono essere loro i nostri referenti: è evidente che negli sport da combattimento la forza è un parametro ben considerato. Ci sono le categorie di peso, e quindi di massa, e quindi F = ma, che non è l’acronimo di un nuovo stile o sistema coniato dall’illuminato di turno ma la definizione newtoniana di forza = massa x accelerazione. Le arti marziali si muovono invece nel mondo della difesa personale da strada e quindi devono consentire ad un mingherlino di difendersi contro un omone, per cui bisogna usare la forza dell’avversario che in quest’ultimo caso sarebbe parecchia.
Bene, io sto cercando da un sacco di tempo questo tizio che avrebbe insinuato anche solo lontanamente che bisogna usare la forza. Niente: trovo solo suoi detrattori e critici. Ogni volta mi ficco in situazioni del genere: <>. E puntuale arriva il seguito, molto spesso detto con la stessa enfasi con cui sono scritte le clausole scomode di alcuni contratti, così minuscole per potersi lasciar ignorare e quindi libere di incastrarti: <>. Io puntualmente esco da queste chiacchierate/allenamenti con la curiosità di capire chi sia stato quell’imbecille che ha scatenato un putiferio tale per cui chiunque rabbrividisca a sentir parlare di uso della propria forza, ma niente: non si trova. Wanted: dead or alive.
Questo accade in un argomento un po’ astratto come possono essere le teorie sull’uso della forza e dell’energia. Figurarsi se si comincia a parlare di federazioni, esami, scuole, maestri cinesi, maestri italiani. Esattamente come tutti usano la forza dell’avversario e ne parlano come se fossero solo loro a farlo, tutti sono stati campioni mondiali della stessa cosa. Tutti si sono allenati a casa di un cinese e ne han condiviso intimamente le mura domestiche. Tutti con le solite <>, critici verso la qualità media degli altri.
<>. Già, solo che troviamo matematicamente x1, x2, x3, x4, x5…xn. Tutti sono gli unici! Che tutti siano unici ci sta alla grande, ma per nulla nel senso in cui questo viene qui inteso. Si, è tipicamente italiano: incontrate una persona sul treno e cominciate a chiacchierare. Si va ben presto su una delle poche cose che accomunano due sconosciuti: l’abitare nello stesso paese. E via: <>. Proprio come quel tizio che professava fermamente l’uso della forza bruta, questi farabutti sanno a quanto pare nascondersi benissimo: mai che in un treno si incontri uno di loro.
Questa è la cultura generale che c’è in Italia! Mica io, che posso dire questa mia opinione proprio perché forte dei mezzi e delle conoscenze che ho. Il livello medio è basso, ma sicuramente per colpa di qualcun altro.
Conoscete uno stile che non protegge la linea centrale? Un sistema che non sfrutti colpi in zone proibite e rischiose? Un sistema che si definisca lento? No. E perché allora tutti parlano di sé come se ci fosse qualcuno che abbia una volta insinuato che si debba essere diversi da così? Queste dinamiche psicologiche sono dappertutto e sono brave a non farsi riconoscere. Sono infatti abbastanza sicuro che molti di voi lettori di questo mio post, abbiano una silenziosa sensazione che se esiste qualcuno del genere, sicuramente non sto parlando di loro.  



giovedì 6 marzo 2014

L'angolazione del polso nel pugno del Wing Chun Kung Fu



Il pugno del Wing Chun e degli stili di Kung Fu affini è molto particolare.
Prima di tutto facciamo un rapido riassunto sulle caratteristiche principali della tecnica in modo da poterci poi soffermare sull'angolazione del polso.
A differenza del pugno "classico" che troviamo comunemente nelle arti marziali, questo pugno mantiene il polso in posizione verticale e percorre la Linea Centrale (più precisamente la proiezione della LC), quindi parte dallo sterno e percorre una linea dritta fino a raggiungere il bersaglio, quando lo raggiunge il braccio è steso, il pugno è verticale, il gomito è verso il basso e il punto di impatto è sulle ultime tre nocche.
Questo è il pugno eseguito tecnicamente come da "forma" e il bersaglio è circa all'altezza della nostra spalla. Ma nella realtà il bersaglio non è sempre a quell'altezza e può cambiare continuamente, quindi l'angolazione del polso rimane invariata? No.
In base all'altezza del bersaglio, durante l'esecuzione del pugno, il polso ruota

Prendendo come riferimento la nostra spalla e colpendo sempre la linea centrale dell'avversario, se andremo verso l'alto il polso ruoterà portando il pollice verso l'esterno, il punto di impatto sarà prevalentemente sulle ultime due nocche. Se invece il nostro bersaglio sarà al di sotto della spalla, il polso ruoterà portando il pollice verso l'interno e il punto d'impatto sarà prevalentemente sulle due nocche centrali.
Quanto più è distante il bersaglio dalla spalla, tanto più ruota il polso.
La linea di forza varia in base all'altezza e all'angolazione.
Il pugno perfettamente centrale sfrutta sia la linea di forza della spalla/fianco e sia quella del torace. Quando il bersaglio è alto si tende ad abbandonare la linea di forza spalla/fianco e si sfrutta maggiormente quella del torace, viceversa quando il bersaglio è basso si tende ad abbandonare la linea di forza del torace e si sfrutta maggiormente quella della spalla/fianco spesso accennando una rotazione del busto.
In effetti diventa ovvio capire il motivo per il quale nel pugno "classico" mantenendo il polso in posizione orizzontale si è costretti a fare affidamento sulla linea di forza della spalla/fianco e si è obbligati a fruttare la rotazione del busto annullando totalmente il lavoro del torace.
Un'ultima nota: il polso inizia a ruotare poco prima dell'impatto e continua a farlo durante, imprimendo anche l'energia della rotazione sul punto di impatto.

mercoledì 5 marzo 2014

Il Wing Chun e il combattimento. Ti prepara?

il combattimento nel wing chun


Iniziamo dalla risposta breve: NO
A volte sembra scontato e si da perfino per sottinteso, ma in sostanza... è la sostanza!
Se tu vai a praticare Wing Chun in tre palestre diverse troverai tre stili completamente diversi.
La prima domanda non è "cosa vuoi praticare?" ma "per quale motivo vuoi praticare?".
Il Wing Chun, come ogni arte marziale, è un mezzo, non l'obiettivo, e come ogni mezzo può essere utilizzato in modi differenti.
L'errore più comune è identificare un'arte marziale con i suoi esercizi. Wing Chun uguale Chi Sao e Lat Sao. Karate uguale kata. Kali Escrima uguale hubad lubad. Questo errore ci porta a credere che scegliendo due diversi insegnanti in due diverse palestre di Wing Chun praticheremo la stessa disciplina.
"Ah... anche io faccio Wing Chun!! vado li... facciamo le stesse cose" decisamente NO.
"Io corro, corri anche tu? facciamo la stessa cosa!" decisamente NO, io sono un centometrista tu fai maratona... la corsa è un mezzo, il fine è un altro.
Quindi per non cascare in questo errore che sembra banale ma che vi cambia la vita (sul serio), la prima cosa da capire è per quale motivo stiamo praticando e cercare un insegnante che abbia per davvero lo stesso obiettivo. In base a come mi alleno arriverò a diversi risultati e le differenze saranno abissali.
Le arti marziali, non gli sport da combattimento, sono uno studio sul proprio corpo, sulle proprie reazioni, sulla gestione motoria. Ti insegnano a muoverti correttamente seguendo determinati schemi, ad avere una buona struttura, a reagire in un determinato modo agli stimoli esterni. Ti permettono di acquisire la consapevolezza del tuo corpo e della tua mente. Ma questo è solo l'inizio.
Una volta che padroneggi decentemente l'arte marziale che studi, possiamo dire che sei "cintura nera" e quindi che hai finito... ti piacerebbe... vuol dire solamente che hai appena cominciato, che hai lontanamente iniziato a capire di cosa stai parlando. E il giorno in cui i tuoi movimenti saranno perfetti, la tua struttura sarà impeccabile, sarai preciso al millimetro, nemmeno allora sarai pronto, perché l'arte marziale non ti prepara a questo, parallelamente bisogna portare avanti una serie di studi sulle strategie di combattimento e difesa personale e sugli approcci psicologici.
Questo è il motivo per il quale gli sport da combattimento danno un'importanza decisamente minore alla perfezione della tecnica a vantaggio della preparazione fisica e delle strategie "preconfezionate". Perché a livello pratico hanno buone probabilità di riuscita.
E questo è anche il motivo per il quale recentemente sono nati moltissimi nuovi sistemi (il termine sistema calza a pennello perché non sono arti marziali), e cioè in risposta alla richiesta di noi occidentali che dopo aver studiato arti marziali per anni, convinti di arrivare dove volevamo, ad un certo punto ci siamo chiesti "perché non funziona?".
Lo so, ve la siete fatta questa domanda. Poi è arrivata la depressione.
Tradizionalmente chi studiava Wing Chun poi si andava a menare nei combattimenti clandestini e elaborava le sue strategie. Ecco perché il suo studio si limitava a Chi Sao, Lat Sao, forme e qualche altro esercizio, perché poi c'era la prova sul campo.
Oggi la maggior parte dei praticanti, la prova sul campo non la fa, ma il programma di studio tradizionale è lo stesso e non è sufficiente, e quindi sono nati dei sistemi che sembrano rivoluzionari ma che altro non sono che l'espressione delle stesse arti marziali studiate, applicate a differenti strategie di combattimento e autodifesa, al quale poi diamo un nome. Questi sistemi sono validi, ma spesso sono carenti di tecnica, struttura, principi e tutte le altre buone caratteristiche che hanno le arti marziali.
Quindi è per questo che credo sia fondamentale oggi studiare il Wing Chun (o qualsiasi altra arte marziale) e parallelamente portare avanti anche uno studio sulle strategie di difesa personale, di combattimento e di approccio psicologico, perché diversamente rischiamo di non raggiungere i nostri obiettivi.

martedì 4 marzo 2014

Consigli per imparare il Wing Chun







Imparare il Wing Chun, come per ogni Arte Marziale, è una cosa impegnativa che richiede molta determinazione.
Eccovi alcuni consigli per tracciare il vostro percorso di apprendimento.

1) Praticare arti marziali tutti i giorni e per più tempo possibile.

Come spesso accade, le cose date per scontato sono quelle più ignorate, eppure sono importanti. Non si impara il Wing Chun se non lo si allena, non basta l'atto formale di iscriversi ad un corso.
Si sa che il lavoro, la famiglia e i doveri ci portano via tutto il tempo a nostra disposizione e anzi non basta mai, ma se il nostro obiettivo è quello di imparare le arti marziali, purtroppo in qualche modo dovremo trovarne.
Se non riuscite tutti i giorni, dedicate alla pratica tutto il tempo che potete, bisogna allenarsi e allenarsi.

2) Alternare periodi di full immersion con periodi di basso regime.

Spesso può risultare più producente alternare dei periodi in cui ci alleniamo in modo impegnativo, con altri in cui facciamo un allenamento di mantenimento. Non mi riferisco al fisico, ma ad allenamenti tecnico/pratici.
Mantenere un regime alto per troppo tempo potrebbe creare dello stress con il rischio di effetti negativi sulla pratica.
Quindi come sempre è l'equilibrio delle cose ad avere la meglio.

3) Cambiare esercizi e argomenti di studio.

Non è bene fossilizzarsi sugli stessi esercizi e allenarsi sempre nello stesso modo, anzi è bene periodicamente cambiare "argomento".
Per esempio potremmo concentrarci per un mese sul Chi Sao per poi passare al Lat Sao nel periodo successivo. Oppure dedicare un tot di tempo alle tecniche di gambe e successivamente allenare quelle di braccia.
Il vostro programma dovrebbe prevedere una base di allenamento fisso che vi permette di ripassare i fondamentali,e una variabile che cambia in base a come siete predisposti.
Inoltre sarebbe bene allenare l'argomento scelto con esercizi sempre differenti.

4) Ripassare le forme ogni 8 ore.

Gli schemi di movimento del Wing Chun (principi e tecniche), devono essere interiorizzati per venire fuori nel momento del bisogno, non basta conoscerli in modo razionale, bisogna renderli istintivi. Solita differenza tra teoria e pratica.
Un movimento dovrebbe essere ripetuto almeno una volta ogni otto ore per far sì che rimanga sempre "caldo" e "attivo" nel nostro istinto.
La Siu Nim Tao (prima forma) ci dà un elenco di tecniche e principi base, almeno questa è da eseguire con questa frequenza. Le altre due forme a mani nude, se non è possibile ogni otto ore, vanno ripassate comunque giornalmente.

5) E' inutile perdersi in tecnicismi: il Wing Chun è efficacia.

Spesso i marzialisti, sopratutto chi pratica Wing Chun, si perdono nei tecnicismi. Essere bravi e tecnici non vuol dire fossilizzarsi sulla tecnica. Praticare arti marziali non è precisione millimetrica, ma concretizzazione dell'unione di mente e corpo. Essere tecnici è importante ai fini della pratica, non oltre.
Eseguire alla perfezione la sequenza di una sezione di Chi Sao non è praticare arti marziali, ma acquisire maestria nell'eseguire quella sequenza. L'esercizio, in questo caso la sezione, invece di essere lo strumento per allenarsi diventa l'obiettivo per cui vi allenate e questo è totalmente sbagliato.
Sarete bravissimi ad eseguire quella sezione ma in caso di necessità il Wing Chun non ci sarà.

6) Allenare il Chi Sao nel giusto modo e nella giusta misura.
Il Wing Chun è Chi Sao ma il Wing Chun non è Chi Sao...
Il Chi Sao è l'essenza del Wing Chun... i principi, le strategie, le tecniche, l'energia, il vostro corpo, la vostra mente. Tutto si fonde in un unica essenza che si sprigiona nel Chi Sao.
Ma fare Chi Sao non è fare Wing Chun. L'esercizio del Chi Sao è una componente del Wing Chun, ma non basta ad allenarsi correttamente, anzi: il troppo stroppia.
Molti praticanti basano quasi tutto il loro allenamento sulla pratica del Chi Sao. Il risultato è che diventano completamente inadeguati alla reltà del combattimento. Fatevi due conti.

7) Attenzione anche a timing, distance e test/sparring.

Nell'allenamento di un praticante di arti marziali non c'è solo la parte tecnica relativa alla propria disciplina, questo vale anche per il Wing Chun.
Il fatto che nelle forme, nel Chi Sao e nel Lat Sao, non ci siano esercizi per il tempismo, la gestione della distanza e l'allenamento pratico attacca/difendi, non vuol dire che non si debbano allenare.
Ogni disciplina marziale necessita di pratica incentrata su timing, distance e test/sparring.
Riflessi ed esperienza si fanno o così o combattendo per strada. A voi la scelta.

8) Il Wing Chun non è tutto, bisogna avere una visione a 360°.

Ok ci piace il Wing Chun, ma è bene guardare oltre, essere un po' curiosi. Dedicarsi ad una disciplina marziale non vuol dire tifare una squadra e mettersi contro un'altra. Sarebbe bene buttare un occhio a cosa si fa nelle altre discipline per avere sempre una visione ampia delle arti marziali. Provare anche qualcos'altro se il nostro insegnante non si preoccupa di darci un'infarinatura di più elementi.
Potrebbe essere interessante ed opportuno esercitarsi con armi bianche, provare del combattimento a terra, allenarsi con qualcuno che pratica diversamente da noi. Nella storia dell'umanità è stato provato più volte che il confronto ci fa crescere.

9) Essere critici ma non disfattisti: trovate un buon Maestro.

Praticare seguendo dogmi è come lanciarsi da un ponte perché ci dicono di farlo, e quindi il mio consiglio è quello di essere sempre critici e di usare la testa.
Se le cose sono troppo strane è totalmente inefficaci è inutile sbatterci la testa contro, perché se non funzionano in palestra non funzioneranno mai per strada.
Però fate attenzione, se una cosa non riuscite a farla non vuol dire che sia sbagliata, ed essere critici non vuol dire fare i disfattisti.
Come sempre è l'equilibrio delle cose ad avere la meglio. Provateci, allenatevi e poi con calma siate critici. Magari una cosa non è adatta solo per voi.
Cercate e trovate un buon Maestro e dei buoni compagni con cui andate d'accordo e portategli rispetto, qualcuno che vi passi la sua esperienza, che vi insegni il suo Wing Chun e non un programma fatto da altri e seguito alla cieca.

10) La mente governa sul corpo.

Infine ricordatevi sempre che è la mente a governare sul corpo e il corpo è uno strumento per placare la mente. Trovate nelle arti marziali la vostra forma di meditazione e vuotate la mente quando vi allenate. Concentratevi, non pensate ad altro.
Se non potete allenarvi durante il giorno, pensate al Wing Chun, agli esercizi, alle forme. Cercate di immaginare le sensazioni di quando vi allenate, di riprodurre nella vostra mente i movimenti, immaginate di farli per davvero. Ragionate sulle tecniche, sui principi, sulle strategie.
Quando vi allenate mentre eseguite le tecniche, immaginate di applicarle in contesti reali, comunicate alla vostra mente che quei movimenti sono da collegare alla realtà e non sono movimenti fini a se stessi.
Il corpo è il vostro strumento per arrivare alla mente, ma è nella mente che risiede l'istinto. E' li che dovete infilare il Wing Chun.

Ci sarebbero tantissime altre cose da dire, ma queste credo siano le più importanti, poi ognuno deve tracciare il proprio percorso diversamente dagli altri, perché è suo il percorso. Spero vi siano utili.

lunedì 3 marzo 2014

La differenza tra il Wing Chun e il Wing Tsun


il Wing Chun o il Wing Tsun? alleniamoci a Torino


Prima di tutto parliamo di traduzione o meglio di traslitterazione.

Come tutti noi sappiamo il Kung Fu è cinese e la Cina è grande, se andate in Calabria e in Piemonte sentite parlare due lingue diverse, figuriamoci cosa accade in Cina.
I cinesi utilizzano gli Ideogrammi (da Wikipedia): "Wing Chun Kuen (永春拳, Pugilato dell'Eterna Primavera)"
Vengono utilizzati anche altri ideogrammi.
Il primo problema quindi è la traslitterazione degli ideogrammi in caratteri occidentali.
Ma allora perché si parla di lignaggio e perchè chi pratica Wing Chun si muove diversamente da chi pratica ad esempio Wing Tsun o Wing Tjun o Wing Tzun o Ving Tchun ?
In realtà è abbastanza semplice.

Le federazioni.

Per farla breve e semplificando esistono alcuni canali principali, o meglio più diffusi, e da questi svariate derivazioni.
Fino a pochi anni fa normalmente chi praticava "wing chun" era legato ad un canale più "tradizionale" (questo termine è da prendere molto alla leggera perché di tradizionale oggi come oggi c'è ben poco). Ad esempio chi segue il filone di Wong Shun Leung o di William Cheung solitamente si identifica così.
Chi invece segue il filone di Leung Ting (il ramo principale è nell'EWTO) normalmente si identifica con il "wing tsun" e solitamente segue un programma rielaborato e più "occidentalizzato".
Le forme sono sempre le stesse ma vengono eseguite in modo molto diverso, visivamente i primi si muovono passando da una postura all'altra rapidamente e facendo delle pause sulla postura (alcuni lo definiscono "scattoso"). I secondi normalmente seguono un flusso unico più morbido muovendosi più lentamente tra le posture e soffermandocisi di meno.
Il modo di fare le forme ovviamente influisce su tutto il metodo e tutto il loro WX.
Il tutto comunque pretende di arrivare da Ip Man.

Oggi le cose sono un po' cambiate.

Dai canali principali, per mille motivi diversi (opinioni diverse, motivi commerciali, ecc), sono nate altre ramificazioni. Alcuni hanno praticato da entrambi i canali principali, altri hanno subito influenze di altre Arti Marziali (Kali Escrima, Tai Chi, Boxe, Jeet Kune Do, Brazilian Jiu Jitsu, ecc), altri ancora per disperazione sono fuggiti da alcune federazioni più interessate a vendere un prodotto che non ad insegnare il WX, ed infine alcuni hanno tentato disperatamente di risalire ad uno stile più antico con risultati a mio parere palesemente ridicoli, o tentando di cambiare prodotto di vendita.
Generalizzando di solito chi nel proprio nome utilizza la "T" (Tzun, Tjun, Tchun, ecc) deriva in buona parte dal ramo di Leung Ting, chi invece continua ad utilizzare la "C" può derivare da qualsiasi cosa.
Wing Chun Kuen (kuen vuol dire "pugno") è il modo più diffuso di indicare questo stile di Kung Fu ed io ho scelto di utilizzare questo nome per non voler fare riferimento a nessun ramo.
A mio parere ogni lignaggio è interessante e ci sono molti spunti, ma sono gruppi con una mentalità troppo chiusa per i miei gusti e spesso non guardano al di la delle loro convinzioni.
Io sono dell'idea che c'è da imparare da chiunque e quindi seguo ogni canale ascoltando, confrontando e cercando di capire perché uno la pensa in un modo e uno di un altro.
Dalle diverse opinioni nasce l'evoluzione, il tradizionale è importante per studiare e capire, ma è dell'attuale che ci vestiamo tutti i giorni.

domenica 2 marzo 2014

È morto Rubin Carter, l'Hurricane della boxe

Risultati immagini per È morto Rubin Carter, l'Hurricane della boxe


Accusato di triplice omicidio, passò vent'anni in carcere per un crimine mai commesso

Il mondo della boxe piange Rubin Carter. L'ex campione di pugilato, l'Hurricane che non si arrese nemmeno davanti a due ergastoli per un triplice omicidio che non aveva mai commesso, è morto all'età di 76 anni.
Alto 1 metro e 73, Carter era mediamente più basso di un peso medio, ma combatté dal 1961 al 1966 in questa categoria. Dopo aver battuto avversari come Florentino Fernandez, Holley Mims, Gomeo Brennan e George Benton, lo stile aggressivo e la potenza dei pugni, che gli fruttarono otto knockout e undici knockout tecnici, catturarono l'attenzione del pubblico facendolo diventare un vero proprio beniamino. Fu proprio in questi primi anni che gli venne affibbiato il soprannome "Hurricane". Uragano, appunto. Ma Carter divenne celebre anche fuori dai ring, per un caso di malagiustizia che divise l'America.
Nel 1966 fu accusato di un triplice omicidio in seguito ad una sparatoria in un locale del New Jersey, che gli costò una condanna a due ergastoli. Gran parte dell'opinione pubblica si schierò dalla parte di Carter, sostenendo che l'accusa era motivata esclusivamente da motivi razziali. In breve il pugile divenne un simbolo della lotta alle discriminazioni razziali. Nel 1985, venne scarcerato e nel 1988 caddero ufficialmente tutte le accuse contro di lui.
Alla sua vicenda Bob Dylan dedicò nel 1975 la celebre canzone Hurricane, scritta proprio per perorare l'innocenza del pugile. Nel 1999, poi, uscì nelle sale cinematografiche di tutto il mondo Hurricane - Il grido dell'innocenza con Denzel Washington nel ruolo di protagonista.




sabato 1 marzo 2014

Taijiquan stile Chen




Il pugilato del sommo polo stile Chen è considerato lo stile più antico di quest'arte marziale.


Storia

La sua origine mitologica è, in generale, più diffusa (ed affascinante) di quella storica. Si narra infatti che il taijiquan sia stato creato dall'immortale taoista Zhang Sanfeng, dopo che aveva osservato la lotta tra una gru ed un serpente: i movimenti sinuosi e circolari di quest'ultimo avrebbero fornito l'ispirazione per codificare le movenze del taijiquan.
Lo storico cinese Tang Hao ha condotto, verso la metà degli anni venti, degli studi approfonditi sull'origine del taijiquan. Tali ricerche lo hanno portato al villaggio della famiglia Chen, chiamato Chenjiagou (陈家沟), nella provincia dello Henan.
Si ritiene che il fondatore ufficiale sia stato Chen Wangting (陈王庭), vissuto tra il 1580 ed il 1660, appartenente alla IX generazione della famiglia Chen.
Chen Wangting era un funzionario dell'esercito imperiale, famoso per aver più volte sconfitto i gruppi di banditi che derubavano le carovane. Si racconta che il suo stile di combattimento fosse eccellente, e che molti funzionari imperiali lo volessero al proprio fianco come membro della scorta personale. Ritiratosi dalla carica pubblica, dopo la caduta della dinastia Ming, Chen Wangting dedicò il resto della propria vita al perfezionamento della sua abilità marziale, trasmettendone le tecniche ai suoi successori. Le sequenze marziali che elaborò comprendevano cinque forme (套路, Taolu) molto dinamiche e una forma di "lunga boxe". Nei secoli a venire, però, la maggior parte dei discendenti della famiglia Chen abbandonarono lo studio di tali sequenze. Esse erano infatti molto impegnative, e richiedevano una dedizione completa allo studio.
Durante la XIV generazione vissero due esponenti molto importanti della famiglia Chen: Chen Youben (陈有本) e Chen Changxing (陈長興). Il primo si trasferì nel vicino villaggio di Zhaobao e modificò i movimenti del taijiquan, diminuendo l'estensione delle posizioni. Nacque così lo stile di Zhaobao, chiamato anche xiao jia (小架); Chen Changxing (1770 - 1853), invece, raggruppò insieme i frammenti delle forme tradizionali, le quali erano state in gran parte dimenticate, e formò due sole sequenze. La prima era composta da movimenti lenti e fluidi, mentre la seconda comprendeva azioni più atletiche e dinamiche. Queste due sequenze furono chiamate "nuova intelaiatura" (新架, xinjia), in quanto costituiva una novità rispetto alle forme precedenti, che quindi furono identificate con "vecchia intelaiatura" (老架, laojia).
Il maestro più grande che viene ricordato in seno alla famiglia Chen è certamente Chen Fake (陈發科), vissuto dal 1887 al 1957. Insegnò a Pechino e da lì diffuse largamente lo stile Chen quando, come anche oggi, lo stile più diffuso era lo stile Yang. Durante la sua permanenza nella capitale, egli apportò alcune modifiche nel modo di eseguire la forma, rendendo i movimenti più circolari e ricchi di leve articolari (qinna). Quando infine fece ritorno a Chenjiagou, la sua esecuzione era talmente diversa da quella ideata da Chen Changxing che fu chiamata "nuova intelaiatura", prendendo quindi il nome delle sequenze ideate da Chen Changxing, le quali furono a loro volta identificate come "vecchia intelaiatura" (sostituendo perciò il nome dato alle sequenze originali del taijiquan). Ancora oggi, quindi, per "xinjia" si intende la forma di Chen Fake e per "laojia" quella di Chen Changxing.
Oggi i rappresentanti, appartenenti alla XIX generazione, sono Chen Zhenglei, Chen Xiaowang, Wangxian e Zhu Tiancai, noti anche come i 4 guerrieri custodi di Buddha.

Caratteristiche

Lo stile Chen tradizionale ha sicuramente mantenuto uno spirito marziale più evidente di quello che si può trovare negli stili da esso derivati.
In particolare esistono due caratteristiche peculiari: il chansi jin (缠丝劲) ed il fa jing (发劲).
Il chansi jin è un modo particolare di utilizzare la forza, attraverso movimenti a spirale. Si dice che la forza scorra nel corpo come un filo di seta che si avvolge o si dipana dal bozzolo.
In particolare il chansi jin opera con un effetto a frusta su qualsiasi energia diretta contro di essa, cioè modifica grazie alla circolarità la direzione di una spinta ricevuta dall'avversario. Per allenare questo principio sono stati codificati cinque esercizi da compiere in continuità per acquisire la capacità di agire secondo traiettorie circolari. Questi esercizi prendono anch'essi il nome di "chansi jin".
Il fa jing è una tecnica per emettere la forza interna (, jin) in modo esplosivo, attraverso la coordinazione del respiro con il movimento, che deve essere estremamente rilassato. Il chi, normalmente custodito nel Dan tian, attraverso la coordinazione dei movimenti scorre lungo l'arto fino a raggiungere l'estremità (mano, piede, spalla etc) e a fuoriuscire generando una forza molto superiore al solo vigore muscolare.


Filosofia

Benché le origini storiche del taijiquan possano affondare nella filosofia del Buddhismo (data la vicinanza geografica e stilistica con il tempio di Shaolin), con il tempo quest'arte ha attinto moltissimi aspetti dal Taoismo.
Il nome stesso, taijiquan, richiama il concetto di un principio supremo (太极, taiji) che può essere identificato con il Dao ().
Un simbolo chiave di quest'arte marziale è infatti il taijitu (太极图), famoso diagramma rappresentante un cerchio suddiviso in due forme, simili a pesci, una bianca e l'altra nera. Tali figure simboleggiano lo Yin e lo Yang, le due polarità opposte complementari della cosmogonia taoista.
Così tutti i movimenti del taijiquan seguono l'alternarsi degli opposti, e questo modo di agire costituisce anche la base del sistema marziale: non bisogna contrastare il "pieno" di un attacco, ma occorre cedere, utilizzando la forza dell'avversario a proprio vantaggio.
Il taijiquan attinge anche dalla sapienza della medicina tradizionale cinese, utilizzando i concetti di "energia vitale" (, qi) e di "meridiani".


Metodo di apprendimento

Gli strumenti tradizionali per apprendere il taijiquan stile Chen sono essenzialmente tre: gli esercizi di base, le forme (套路, taolu) e la spinta con le mani (推手, tuishou).
Le prime sono sequenze prestabilite di movimenti, con le quali il corpo si abitua a muoversi secondo i canoni di quest'arte marziale, oltre che a rafforzarsi. Si ricordano al riguardo i cinque "chansi jin".
Le seconde racchiudono i principi generali in una sequenza ordinata di azioni circolari che consentono all'allievo di prendere confidenza con il proprio corpo, la propria energia e il proprio equilibrio. Per questo l'apprendimento delle forme richiede molti anni di studio ed esercizio. Nello stile Chen si ricordano le due forme principali: Yi Lu (primo livello) ed Er Lu(secondo livello).
La spinta con le mani è un insieme di esercizi nati come sistema didattico propedeutico al combattimento vero e proprio. L'esecuzione di tali esercizi sviluppa molte qualità, prime fra tutte la morbidezza e la capacità di "cedere", cioè di utilizzare la forza dell'avversario a nostro vantaggio e senza opporre resistenza. I principi alla base di questa pratica sono: espandere, tirare, soffocare, schiacciare.
Come in molte arti marziali cinesi, anche nel taijiquan esistono anche forme con armi. Le armi tradizionali che vengono principalmente utilizzate sono la sciabola, la spada, l'alabarda o guandao, la lancia.
La pratica del taijiquan come arte marziale richiede in generale molti anni di studio.


Stili derivati

Un allievo di Chen Changxing era Yang Fukui (1799 - 1853), il cui nome pubblico era Luchan. Originario di Guangpingfu (provincia dello Hebei), studiò per circa venti anni a Chenjiagou.
Tornato al suo paese, il suo stile di combattimento suscitò la meraviglia delle persone, e la sua fama lo portò fino alla capitale per insegnare l'arte del taijiquan. Nel 1852 giunse a Pechino, invitato dal nobile Wu Yuxiang (1812 - 1892). Là si conquistò il soprannome di wudi, il "senza-rivali".
Wu Yuxiang, desideroso di apprendere il taijiquan approfonditamente, studiò nel villaggio di Zhaobao. Da tale esperienza è nato lo stile Wu di Wu Yuxiang.
Yang Luchan migliorò l'arte dopo aver trovato degli scritti originali di Zhang San Feng e creò una forma in base al Taijiquan che aveva appreso presso Chenjagou; così abbiamo lo stile Yang: movenze morbide, circolari, di più facile esecuzione rispetto allo stile Chen.
Uno dei figli di Yang Luchan, chiamato Yang Banhou, insegnò una piccola sequenza di movimenti a Wu Quanyou, il quale la trasmise al figlio Wu Jianquan. Da lui prese vita lo stile Wu
Sun Lutang, esperto di Bagua e Xingyi, fuse questi due stili con il taijiquan e diede vita allo stile Sun.









lunedì 3 febbraio 2014

RAPINA CAMPIONE DI ARTI MARZIALI: IN CARCERE COL VISO SFIGURATO

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CHIGAGO - Antonio Miranda non è stato per nulla fortunato. Il rapinatore ha tentato di rubare i beni preziosi di un uomo, in una strada buia di Chigago, puntandogli una pistola in testa mentre quello se ne stava seduto in macchina a fumare una sigaretta. Ma la vittima, ed ecco la sfortuna di Miranda, è un 33enne campione di  Ultimate Fighting, il campionato statunitense di arti marziali miste. Alla fine i ruoli si sono subito ribaltati e Miranda è finito in carcere, non prima, però, di fare un salto all'ospedale, per curare gli "effetti" di questa sua sfortunata rapina. Le foto che la polizia ha scattato del rapinatore dicono molto più di qualsiasi parola. Miranda è in libertà su cauzione, ha versato 350 mila dollari. .