Accusato di triplice omicidio, passò
vent'anni in carcere per un crimine mai commesso
Il mondo della boxe piange Rubin
Carter. L'ex campione di pugilato, l'Hurricane che non si arrese
nemmeno davanti a due ergastoli per un triplice omicidio che non
aveva mai commesso, è morto all'età di 76 anni.
Alto 1 metro e 73, Carter era
mediamente più basso di un peso medio, ma combatté dal 1961 al 1966
in questa categoria. Dopo aver battuto avversari come Florentino
Fernandez, Holley Mims, Gomeo Brennan e George Benton, lo stile
aggressivo e la potenza dei pugni, che gli fruttarono otto knockout e
undici knockout tecnici, catturarono l'attenzione del pubblico
facendolo diventare un vero proprio beniamino. Fu proprio in questi
primi anni che gli venne affibbiato il soprannome "Hurricane".
Uragano, appunto. Ma Carter divenne celebre anche fuori dai ring, per
un caso di malagiustizia che divise l'America.
Nel 1966 fu accusato di un triplice
omicidio in seguito ad una sparatoria in un locale del New Jersey,
che gli costò una condanna a due ergastoli. Gran parte dell'opinione
pubblica si schierò dalla parte di Carter, sostenendo che l'accusa
era motivata esclusivamente da motivi razziali. In breve il pugile
divenne un simbolo della lotta alle discriminazioni razziali. Nel
1985, venne scarcerato e nel 1988 caddero ufficialmente tutte le
accuse contro di lui.
Alla sua vicenda Bob Dylan dedicò nel
1975 la celebre canzone Hurricane, scritta proprio per
perorare l'innocenza del pugile. Nel 1999, poi, uscì nelle sale
cinematografiche di tutto il mondo Hurricane - Il grido
dell'innocenza con Denzel Washington nel ruolo di protagonista.
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