Lo Shugendō (修験道
letteralmente "la
via del potere spirituale mediante l’ascesi")
è una forma di pratica religiosa che ha avuto origine durante il
periodo Heian in Giappone. Si ritiene che lo Shugendō sia frutto
dell'incontro tra gli antichi riti sciamanici shintoisti con le
dottrine e i rituali del buddhismo esoterico, in cui è anche
possibile ritrovare una componente taoista. I praticanti dello
Shugendō, conosciuti come yamabushi (山伏),
compiono pellegrinaggi da una vetta all’altra in sacre regioni
montane.
Origini
L'origine dello Shugendō è incerta,
ma pare che questa tradizione ascetica tragga origine dall’antico
culto giapponese della montagna, luogo considerato sacro in quanto
dimora di divinità agresti e di spiriti ancestrali. Era infatti
credenza comune che gli eremiti e gli asceti acquisissero parte del
potere sovrannaturale, attraverso rigorose pratiche di meditazione
condotte in luoghi selvaggi.
Tra i precursori di queste pratiche
meditative rientrano gli hijiri (聖),
eremiti che praticavano l'ascesi in regioni montane, gli sciamani,
figure capaci di mettersi in contatto con il mondo dei morti
attraverso tecniche estatiche, e in generale tutti coloro che si
ritiravano in solitudine in luoghi remoti per una ricerca del sacro.
Durante il periodo Heian, era comune
che gli asceti si ritirassero in solitudine in zone di montagna.
Tuttavia a partire dal X secolo, influenzati dallo spirito di
compassione buddhista, gli yamabushi iniziarono ad
organizzarsi in piccoli gruppi, e nei secoli successivi nacquero le
prime comunità, ognuna delle quali aveva un proprio corpus di
pratiche religiose e meditative.
Lo Shugendō non ha un fondatore, anche
se una serie di leggende attribuiscono le origini di questa pratica
religiosa alla figura semi-mitica dell’asceta En-no-gyōja
(役行者),
attivo nell'area di Nara fra il VII e l’VIII secolo. Nonostante sia
citato in numerosi racconti, le informazioni storiche sul suo conto
restano poco chiare. I testi letterari che ne fanno menzione sono
vari e le informazioni riportate non sono fra loro coerenti. Prodotti
in diverse epoche, probabilmente risentono delle diverse
interpretazioni e dei cambiamenti storici e religiosi che hanno
accompagnato lo Shugendō. Alcuni testi antichi dell'VIII secolo,
come il Shoku Nihongi (続日本紀)
e il Nihon Ryoiki (日本霊異
記),
descrivono En-no-gyōja come un asceta dai poteri miracolosi che
incarna al contempo gli aspetti mistici del taoismo e le pratiche
ascetiche buddhiste; nel En no Gyōja honji (役行者本記),
testo del XIV secolo, l'asceta viene invece presentato come un grande
maestro del buddhismo esoterico e la sua figura risente di una forte
divinizzazione.
Considerato infine che gli insegnamenti
erano tramandati oralmente da maestro a discepolo, in un contesto di
assoluta segretezza, resta difficile ricostruire le origini storiche
e le pratiche ascetiche dei primi eremiti. Le informazioni finora
disponibili, provenienti da frammenti contenuti negli engi
(縁起),
antichi testi che riportavano avvenimenti storici e riti di templi
famosi, riguardano solo alcune comunità di yamabushi.
Sviluppo
L'evoluzione dello Shugendō fu
strettamente legata all'assimilazione delle credenze religiose
autoctone giapponesi agli insegnamenti buddhisti, resa possibile
dalla presenza di praticanti seguaci sia dello Shingon che del
Tendai, che permisero di incorporare nei rituali dello Shugendō
alcuni elementi propri del Mikkyō. Con il termine Mikkyō
ci si riferisce all'insieme degli insegnamenti del buddhismo
esoterico introdotto in Giappone dalla Cina agli inizi del IX secolo.
Già durante il periodo Nara, anche tra i praticanti del Mikkyō
le aree di montagna erano viste come dei luoghi di meditazione: a ciò
si può ricondurre una prima interazione tra le diverse tradizioni
religiose.
Verso la fine del XII secolo, su
montagne sacre già note, i seguaci dello Shugendō cominciarono ad
organizzarsi spontaneamente in gruppi, dando così origine ad un
movimento religioso più strutturato. Questi gruppi prevedevano la
presenza di un maestro, attorno al quale si riunivano diversi
discepoli che, attraverso un percorso iniziatico, entravano a
conoscenza delle regole e delle pratiche ascetiche professate da quel
particolare gruppo.
Il consolidamento della dottrina dello
Shugendō e il suo incontro con quella buddhista indusse gli
yamabushi a non cercare la propria salvezza individuale solo
attraverso pellegrinaggi solitari, ma a volgere le loro conoscenze e
pratiche rituali al servizio della gente, soprattutto per la salvezza
dei contadini poveri. Le pratiche ascetiche degli yamabushi si
diffusero così tra i villaggi giapponesi, e i loro poteri spirituali
divennero particolarmente richiesti per l’allontanamento di
influenze maligne, per la predizione del futuro e per la cura delle
malattie. Vennero resi accessibili altri luoghi sacri, e la
popolarità dello Shugendō divenne sempre maggiore.
Fin dalle sue origine lo Shugendō è
sempre stato suddiviso in centri di culto minori distribuiti nei
diversi templi locali, indipendenti e dotati di proprie tradizioni
rituali. Le comunità più antiche e famose, tuttora esistenti, si
trovano sulle montagne di Yoshino, Kumano, Fuji e Haguro.
Tuttavia in seguito alla sempre
maggiore influenza del buddhismo esoterico, lo Shugendō diede avvio
a un processo di divisione e ordinamento dei suoi rituali e delle sue
istituzioni. Si possono distinguere due scuole principali dello
Shugendō, formatesi già nel primo periodo Kamakura: la Honzanha
(本山派),
incentrata sulle montagne sacre di Kumano, associata al Tendai; la
Tōzanha (東山派),
sulle vette dell’area del monte Kinpu, associata allo Shingon.
Fino a quel momento le dottrine e i
riti degli yamabushi erano rigorosamente segreti e venivano
trasmessi oralmente da maestro a discepolo, a seconda del suo grado
di iniziazione. Tuttavia a partire dal XVI secolo, influenzato dalla
tradizione esoterica, lo Shugendō perse parte del suo rigore
ascetico, abbandonando la sua immagine di credo inaccessibile e
permettendo così una maggiore diffusione delle sue dottrine.
Durante il periodo Tokugawa gli
yamabushi svolgevano un ruolo sempre più attivo nei villaggi,
mettendosi al servizio della comunità: ricoprivano le funzioni di
esorcisti e di guaritori, predicavano e officiavano i riti
comunitari.
La fusione tra diverse pratiche
religiose all'interno dello Shugendō rimase tale fino all'inizio del
periodo Meiji, quando nel 1868 il nuovo governo, nel tentativo di
ripristinare il culto autoctono shintoista come religione di Stato,
ordinò una separazione degli elementi propriamente shintoisti da
quelli buddhisti e, di conseguenza, bandì lo Shugendō. Solo al
termine della Seconda guerra mondiale lo Shugendō riconquistò il
suo stato di culto indipendente e riprese un ruolo attivo nella vita
religiosa giapponese.
Ciò nonostante molti studiosi
sottolineano come lo Shugendō moderno mantenga solo una minima
somiglianza con la sua forma antica. La sua fase di massimo splendore
fu durante il periodo Heian e Kamakura, quando i pellegrinaggi presso
i monti sacri erano frequenti; a partire dal periodo Edo, lo Shugendō
raggiunse una posizione di stallo e non mostrò grandi segni di
crescita. È comunque certo che lo Shugendō contribuì fortemente
allo sviluppo di diversi riti, ancora oggi praticati presso varie
scuole e luoghi di culto.
Ruolo della montagna
Una delle caratteristiche peculiari
dello Shugendō è la relazione instaurata tra uomo, divinità e
natura, quest'ultima rappresentata dallo spazio sacro della montagna.
Lo Shugendō può essere definito come una tradizione ascetica che ha
fatto della montagna il fulcro della propria visione religiosa. La
montagna viene solitamente chiamata con il termine di shide no
yama (死出の山
letteralmente "il
monte che conduce all’altro mondo").
Da sempre la tradizione giapponese ritiene questo spazio selvatico e
inesplorato il luogo in cui dimorano le divinità, gli spiriti dei
morti e dei mostri, una zona di confine tra i due mondi, quello
terreno e quello ultraterreno. Mettendosi in cammino l'asceta lascia
alle sue spalle il mondo degli uomini, giudicato corrotto e confuso,
e compie un itinerario mistico di ascesa fisica della montagna, che
simboleggia una progressione spirituale verso la conoscenza ultima.
Il viaggio dello yamabushi
diventa una conversione, una morte cui segue una rinascita, ed è
scandito in dieci fasi, dette i Dieci Regni dell'esistenza
jikkaishugyō (十界修行),
una dottrina di origine buddhista. Alle diverse fasi vengono
associati diversi stati di esistenza. Partendo dal basso si
attraversano in successione: gli stati infernali, il Regno degli
spiriti famelici, il Regno degli animali, il Regno degli ashura
(demoni), il Regno degli uomini, il Regno delle divinità, il mondo
degli shōmon (coloro che hanno raggiunto l’illuminazione
ascoltando direttamente le parole di Buddha), il mondo degli engaku
(coloro che hanno raggiunto l’illuminazione con le proprie forze),
il Regno dei bodhisattva, e infine il nirvāna.
Il termine Yama non definisce
solo uno spazio fisico, ma diventa anche un simbolo di salvezza, in
quanto il raggiungimento della cima coincide con l’ottenimento
dell’illuminazione da parte dell’asceta che si è liberato dal
mondo materiale e ha acquisito nuova coscienza e saggezza. È
tuttavia compito dell'asceta rivelare la sacralità della montagna e
trarne il potere spirituale: durante il periodo della sua iniziazione
lo yamabushi si ritira in solitudine e, solo dopo aver intuito
la sacralità di questo spazio, potrà uscire dalla montagna come
uomo rinato a nuova vita.
Nel corso del tempo all'interno del
Shugendō il concetto di sacralità della montagna subì
un'evoluzione: la montagna venne considerata la proiezione concreta e
terrena di un mandala, uno spazio sacro rappresentante
simbolicamente l’universo. Allo yamabushi venivano trasmessi
oralmente da un maestro alcuni insegnamenti iniziatici segreti che
gli consentivano di interpretare il mandala: a mano a mano che risale
le pendici della montagna, l’asceta compie pratiche meditative che
lo portano ad identificarsi con le diverse figure del mandala
e, ripercorrendo le dieci fasi della mente, può giungere alla
conoscenza ultima.
Le scarse informazioni che si conoscono
riguardo a questi insegnamenti segreti si devono ad alcuni testi
scritti posteriori al XII secolo, conservati in segreto nelle diverse
comunità di yamabushi. Per esempio nello Shozan engi
(諸山縁起)
di fine XII secolo viene affermato che i monti sacri di Yoshino e di
Kumano erano proiezioni terrene dei mandala dello Shingon,
rispettivamente il Taizōkai e il Kongōkai.
Monte Fuji e Shugendō
Il monte Fuji è forse una delle
montagne sacre più importanti e più rappresentative del Giappone.
Esso ha una sua tradizione mistica molto antica che precede la
nascita dello Shugendō, con cui è entrato in contatto durante il
periodo Heian. Da questo incontro ebbe avvio un processo di
organizzazione dei diversi centri allora presenti all'interno della
montagna, che diede origine a nuove pratiche ascetiche e meditative.
A partire dal X secolo erano aumentati
gli asceti che compivano pellegrinaggi su numerose cime sacre, nelle
quali venivano compiuti riti segreti e ardue pratiche ascetiche.
Interessi di questi asceti erano anche quelli di diffondere i propri
insegnamenti e fondare dei nuovi centri di culto. Nei testi antichi
compare la figura di Matsudai, descritto come un asceta buddhista che
scalò il monte Fuji e fondò i primi centri del Fuji Shugendō in
vari templi ubicati nella zona di Murayama, nella parte inferiore del
monte.
I centri dello Shugendō presso il
monte Fuji, ma anche in altre aree sacre, si occupavano della
costruzione di edifici monastici, dell'organizzazione interna delle
istituzioni ecclesiastiche, della definizione di un sistema organico
di riti, e della creazione di relazioni con i laici.
Lo Shugendō ebbe un ruolo importante nel diffondere le pratiche
ascetiche sul monte Fuji; promosse inoltre una serie di riti di
purificazione per coloro che non potevano compiere pellegrinaggi sul
monte.Honzanha
Lo Shugendō era praticato in diverse
zone sacre del Giappone, ma la forma che ebbe maggiore influenza nel
paese fu quella che si era sviluppata nella regione di Kumano,
nell'attuale prefettura di Wakayama. Kumano è formato dai tre monti
di Hongū (本宮),
Shingū (新宮)
e Nachi (那智),
e per questo viene spesso chiamato con il nome di Kumano Sanzan
(熊野三山
"le tre montagne di
Kumano").
I centri di culto sorti nella regione
di Kumano si espansero e, intorno al XIV secolo, il Kumano Shugendō
passò sotto il controllo del tempio buddista di Kyōto Shōgo-in,
associato al Tendai, prendendo così il nome di Honzanha.
La scuola Hozan considera l'asceta
En-no-Gyoja il fondatore della setta, e il monaco Zōyo colui che
diede nuovo impulso allo Shugendō.
Tōzanha
Durante il periodo Nara e Heian, tra le
aree di Yoshino e di Kinpu era presente un complesso di trentasei
templi e santuari, in cui gli yamabushi erano soliti recarsi
in pellegrinaggio. La maggior parte di questi templi erano associati
al buddhismo esoterico Shingon, e col tempo alcuni di questi templi
raggiunsero una certa notorietà, diventando dei punti di riferimento
per molti asceti. Questo permise allo Shugendō di entrare in
contatto con gli insegnamenti Shingon, portando a una sua evoluzione
e alla nascita della scuola Tōzan.
La scuola Tōzan, che raggiunse il suo
apice durante il periodo Tokugawa, considera il monaco Shōbō colui
che restaurò lo Shugendō con la fondazione del Daigo-ji nel IX
secolo.
Haguro Shugendō
In prossimità del monte sacro di
Haguro (羽黒山),
situato nella parte nord-orientale del Giappone, si sviluppò un
altro centro di culto dello Shugendō. In esso veniva praticata una
serie di rituali divisi in quattro fasi, uno per stagione, chiamati
mine (峰
"picco, cima di una
montagna"),
in riferimento a quei periodi dell'anno di attività religiosa in cui
vengono compiute pratiche di meditazione, pellegrinaggio e
isolamento. Essendo stati divisi in base alle stagioni, sono stati
chiamati fuyu no mine (冬峰
"picco d'inverno"),
haru no mine (春峰
"picco di
primavera"),
natsu no mine (夏峰
"picco d'estate")
e aki no mine (秋峰
"picco d'autunno").
Durante il periodo Meiji questi rituali vennero aboliti; solo dopo la
Seconda guerra mondiale venne ripristinato l'aki no mine,
anche se in una forma semplificata rispetto alla sua struttura
originaria.
Pratiche ascetiche
Ancora oggi le informazioni sui rituali e sulle pratiche ascetiche dello Shugendō sono scarse e imprecise, soprattutto a causa della loro trasmissione orale e della segretezza con cui le diverse comunità monastiche hanno conservato i loro culti. I rituali professati sono vari: possono includere pratiche divinatorie, esorcismi, formule magiche e preghiere, amuleti, e altro ancora. Solitamente il loro utilizzo è condizionato dalle necessità e dalle richieste della popolazione, confermando come lo Shugendō mantenga un forte legame con la gente comune, e sia stato soggetto a un continuo mutamento e rinnovamento nel corso della sua storia.
Dallo studio dei pochi documenti
scritti a noi pervenuti e dall’osservazione di diverse importanti
comunità di yamabushi si possono delineare una serie di
pratiche e rituali tipiche.
Pratiche nella montagna
Tra le pratiche più note ci sono
quelle che hanno come luogo di meditazione la montagna, conosciute
con il nome di nyūbu shugyō (入峰修行
"entrare nella
montagna").
Questa pratica può essere distinta in tre tipologie, che variano in
base alla difficoltà e alla capacità di concentrazione richiesta
all'asceta.
La prima è la più facile e
accessibile; consiste nel compiere un pellegrinaggio presso una
montagna sacra e lì officiare riti in onore di Buddha o di divinità
che si ritiene dimorino in quei luoghi, offrendo fiori, leggendo o
seppellendo sutra. Esempi di questa tipologia sono ancora oggi
praticati presso le montagne sacre di Kumano dalla scuola Hozan e sul
monte Haguro durante il natsu no mine.
A un livello più alto troviamo la
seconda tipologia. Anche qui è previsto il ritiro su una montagna
sacra, ma per un periodo di tempo più lungo. Durante questo periodo
l'asceta, guidato da un maestro, coltiva diverse pratiche ascetiche e
rituali, fino a ricevere il corpus degli insegnamenti segreti. In
seguito a questa trasmissione, il discepolo può ricevere dal maestro
lo shōkanjō (正灌頂),
uno dei riti di consacrazione più importanti dello Shugendō. Si
celebra così la rinascita del discepolo, che durante l'ascesi è
riuscito a passare attraverso i Dieci regni dell'esistenza e
raggiungere lo stato di bodhisattva. A questa seconda tipologia
appartiene l'aki no mine, praticato presso la scuola Tōzan,
Hozan e sul monte Haguro.
Vi era poi una terza tipologia che
consiste in shugyō più ardui, sia per quanto riguarda la
complessità delle pratiche, che la preparazione richiesta
all'asceta. Solitamente l'asceta compiva il suo periodo di
meditazione durante la stagione invernale. Fa parte di questa
tipologia il fuyumine, pratica ascetica che richiede forte
determinazione e concentrazione, in quanto prevede una serie di
digiuni e di sessioni di purificazione sotto cascate di acqua gelata.
Lo scopo principale di questa pratica meditativa era l'ottenimento di
poteri spirituali.
Nel Giappone contemporaneo le pratiche
del nyūbu si stanno via via riducendo e sono ormai quasi del
tutto scomparsi i rituali ascetici più estremi.
Lo Shugendō oggi
Sul finire della Seconda guerra
mondiale presso alcune importanti montagne sacre vennero riabilitati
rituali dello Shugendō in precedenza vietati. Molti dei nuovi centri
cambiarono i nomi assunti prima della Restaurazione Meiji e poterono
essere registrati come gruppi religiosi riconosciuti. Tra questi si
annoverano Shugenshū (修験宗),
chiamato precedentemente Honzan-ha, Hagurosan e Ōminesan
Shugenshū (大峰山修験宗)
(presso il monte Ōmine, Nara).
Molti studiosi sottolineano come
l'attuale Shugendō non sia che un’ombra di quello passato, sia per
il calo dei praticanti e dei pellegrini che si recano presso i monti
sacri, sia per la perdita e semplificazione di molti dei rituali.
Attualmente nei diversi centri dello Shugendō sono in via di
progressiva diminuzione gli insegnamenti segreti trasmessi ai
discepoli e le iniziazioni praticate durante il nyūbu.
Inoltre negli ultimi decenni si è assistito a un aumento della
partecipazione di laici che compiono pellegrinaggi per i motivi più
diversi.
Tuttavia ancora oggi sopravvivono
alcune pratiche ascetiche, anche se con qualche differenza rispetto a
quelle originali del periodo pre Meiji. Tra questi i più conosciuti
sono l’Ōmine shugyō (大峰修行)
e l’Aki no mine (秋峰),
che si svolgono entrambi durante il mese di agosto. Il primo è un
pellegrinaggio compiuto dagli yamabushi della Scuola Shōgoin
di Kyōto, con partenza dal monte Yoshino e arrivo sul monte Kumano
(passando attraverso il monte Ōmine). Questo tragitto è noto come
pellegrinaggio di Yoshino-Kumano, che si snoda lungo la penisola di
Kii e attraversa le settantacinque stazioni in cui, secondo le
leggende, si ritirò l'asceta En-no-Gyoja, che sottomise alla
sua volontà numerosi kami. Viaggiando attraverso questi
luoghi compì riti esoterici, acquisendo poteri sovrannaturali e
raggiungendo l'illuminazione.
Il secondo, l’aki no mine, viene praticato dagli
yamabushi dell’Haguro Shugendō e rappresenta il rituale più
importante di questa scuola. Consiste in un periodo di ritiro
ascetico e nella salita rituale del monte Haguro. Anticamente durava
75 giorni, ma col passare del tempo il periodo di ritiro venne
gradualmente ridotto andando verso una semplificazione e ha una
durata di 10 giorni.
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