Il Canone buddhista cinese
(cinese 大藏經,
Dàzàngjīng, coreano: 대장경,
Daejanggyeong,
Taejanggyŏng,
giapponese: Daizōkyō, lett. "Grande deposito delle
scritture") rappresenta la versione del Tripiṭaka
buddhista in cinese in tutte le sue recensioni storiche diffuse e
accettate in Cina, Giappone, Corea e Vietnam in epoche diverse. Da
questo Canone derivano anche i Canoni buddhisti manciù e tangut.
Origini e sviluppo
La versione più antica del Dàzàng
Jīng (letteralmente: "Grande deposito delle scritture"),
di cui rimane solo il catalogo delle opere che conteneva, risale al
515 ed era riprodotta su rotoli di carta e di seta. La prima edizione
a stampa risale invece al 972 (dinastia Song Settentrionali), quando
l'imperatore Tàizǔ (太祖,
conosciuto anche come Zhào Kuāngyìn, 趙匡胤
regno: 960-976, sotto il niánhào Kāibǎo 開寶)
decise di avviare l'incisione dell'intero Canone, fino a quel momento
raccolto, su blocchi di legno, opera eseguita presso la città di
Chingdu (provincia dello Sichuan). La prima incisione del Canone su
blocchi di legno terminò nel 983, sotto il regno di Tàizōng (太宗,
conosciuto anche come Zhào Kuāngyì 趙匡義,
regno: 976-997, sotto il niánhào Yōngxī 雍熙),
quando oltre 5000 manoscritti che contenevano 1076 testi furono
riprodotti su 130000 blocchi, l'insieme dei quali costituisce la
versione del Canone cinese denominata Kāibǎo (開寶).
Questa versione xilografica fu poi
portata in Corea dove, nel 1030, fu completata l'opera di una
edizione analoga sempre su blocchi di legno (Canone coreano),
edizione andata poi perduta a causa delle invasioni dei Mongoli nel
XIII secolo.
Dopo l'edizione Kāibǎo ne seguirono delle altre, sempre a
blocchi, denominate in base al luogo di realizzazione, spesso dei
monasteri:
- Chongnin, XI sec., monastero di Dongchan a Fuzhou nella provincia del Fujian.
- Pilu, XII sec., monastero di Kaiyuan a Fozhou nella provincia del Fujian.
- Sixi, XII sec., monastero di Yunajiue a Huzhou nella provincia del Zhejiang.
- Zifu, XIII sec., a Huzhou nella provincia dello Zhejiang.
- Jisha, XIV sec., Pingjiangfu nella provincia del Jiangsu.
- Puning, XIV sec., monastero di Puning a Hangzhou nella provincia del Zhejiang.
- Hongwu, XIV sec., a Nanchino, fu distrutta nel 1408.
- Yongle, XV sec., a Nanchino, denominata Edizione Ming meridionale.
- Yongle, XV sec., a Pechino, denominata Edizione Ming settentrionale.
- Wulin, XV sec., a Hangzhou nella provincia dello Zhejiang.
- Wanli, XVI sec., una riproduzione della Yonglo di Nanchino.
- Jiaxing, XVII sec., a Jiaxing nella provincia dello Zhejiang.
- Qing, XVIII sec., edizione della Corte imperiale cinese.
- Pinjia o Hardoon, 1914, a Shanghai, basata sulla edizione giapponese di Shukatsu.
Anche in Giappone si realizzarono
diverse edizioni complete del Canone cinese, prima su blocchi lignei
e poi a stampa:
- Tenkai (天海), tra il 1643 e il 1648.
- Tetsugen (鐵眼) tra il 1678 e il 1681
- Canone di Tokyo XIX sec.
L'ultima edizione, in 85 volumi di
stile occidentale è divenuta lo standard di riferimento nei paesi di
antica influenza cinese fu edita in Giappone (Tokyo, 1924-1929) e
contiene 2184 testi più 3136 supplementi (sebbene alcuni di questi
riguardino solo gli sviluppi nipponici). Inaugurata durante il
periodo Taishō, è detta comunemente Taishō Shinshū Daizōkyō
(大正新脩大蔵經 Canone
dell'Era Taishō).
La traduzione dei testi
Molti studiosi si sono preoccupati di
verificare l'attendibilità di queste traduzioni da una lingua, come
il sanscrito, che poneva
«una complessa
configurazione grammaticale di nomi in tre numeri e generi, verbi
in tre persone e numeri [...] Questo era estremamente difficile
per i Cinesi che dovevano rendere questi testi nella propria
lingua, usando caratteri invece di un sillabario»
|
(Lewis R.
Lancaster Buddhist Books and Texts:
Translation in Encyclopedia
of Religion, NY MacMillan, 1986)
|
«fu un'impresa formidabile»
|
(Lewis R.
Lancaster. Op.cit)
|
«ironicamente alcune di
queste versioni cinesi dei testi sono forse più vicine nel loro
contenuto al testo originario rispetto ai manoscritti sanscriti
dell'India e del Nepal che si conservano risalenti a un periodo
tardo della storia buddhista»
|
(Lewis R.
Lancaster. Op.cit)
|
Questo fu determinato dal fatto che i
Cinesi erano attenti all'ermeneutica del testo che doveva riportare
il cuore dell'insegnamento quindi lasciarono più traduzioni
dello stesso testo per poter consentire di leggerne le differenti
sfumature che potevano risultare illuminanti. Ciò a
differenza dei testi, ad esempio, del Canone tibetano che invece
«tenta di determinare
un'unica traduzione definitiva, suggerendo una stridente diversità
nella concezione della letteratura buddhista della sua traduzione»
|
(Natalie
Gummer. Buddhist Books and Texts:
Translation in Encyclopedia
of Religion. NY Mac Millan, 2005)
|
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