Il termine «fascismo giapponese» (in
giapponese 日本ファシズム
Nihon fashizumu o 天皇制ファシズム
Ten'nosei fashizumu, «fascismo imperiale») è usato
da alcuni storici per definire il regime politico che governò
l'Impero giapponese a partire dall'inizio degli anni trenta del
Novecento sino al termine della seconda guerra mondiale, in analogia
con le dittature italiana e tedesca dello stesso periodo.
Fu un insieme sincretico di ideologie
di estrema destra di origine occidentale, autoritarismo
tradizionalista del periodo Meiji e capitalismo di Stato/statalismo
economico. Durante questo periodo il Giappone strinse alleanza con la
Germania nazista di Adolf Hitler e con l'Italia fascista governata da
Benito Mussolini. L'uso del termine è tuttavia oggetto di
controversie, tanto che molti autori negano che si possa parlare di
fascismo in riferimento al Giappone, preferendo definizioni come
militarismo giapponese o ultranazionalismo giapponese. Altri usano il
termine utilizzato dalla storiografia giapponese, ossia statismo
Showa (国家主義
Kokka shugi)
o nazionalismo Showa, dal nome postumo dell'imperatore Hirohito, che
regnò fino al 1989. Il regime terminò drammaticamente con la resa
del Giappone in seguito agli unici bombardamenti atomici della
storia.
Dibattito storiografico
Le differenze più evidenti tra la
forma di governo anteguerra giapponese rispetto ai suoi omologhi
italiano e tedesco sono:
- l'assenza di un dittatore carismatico che incarni il rapporto diretto tra popolo e potere;
- l'assenza di un partito unico sotto il controllo del dittatore;
- l'assenza di una presa di potere che segni con nettezza il passaggio dalla democrazia alla dittatura, come invece avvenne in Italia con la marcia su Roma e in Germania con l'incendio del Reichstag;
- l'assenza di una politica economica di stampo socialista revisionista.
Gli storici che sostengono si possa
parlare di fascismo anche per il Giappone ribattono in tal modo:
- la figura del dittatore in Giappone non era necessaria, sostituita da una parte dalla figura sacra dell'imperatore (anche se l'imperatore non era più il protagonista attivo della vita politica giapponese), dall'altra da una divisione del potere deresponsabilizzante e impersonale tra i diversi membri del governo e in particolare tra i funzionari della burocrazia. Alcuni storici anche giapponesi preferiscono parlare di «fascismo del sistema imperiale» o Tennosei-fashizumu;
- il partito unico non era necessario, stante il già notevole inquadramento della popolazione tramite associazioni civili e politiche legate in vario modo al governo. Inoltre quasi tutti i primi ministri giapponesi in questo periodo storico erano militari, che pertanto giuravano fedeltà fino alla morte all'imperatore;
- la presa di potere violenta non è avvenuta in quanto il passaggio da una debole democrazia al regime si è realizzato con gradualità, non essendoci in partenza una forte opposizione politica o sindacale da combattere e stroncare, com'era invece in Italia e Germania.
Da segnalare infine che gli storici che
sostengono sia legittimo parlare di fascismo anche per il Giappone
riservano particolare attenzione alla situazione economica del Paese,
per cui i legami tra strutture politiche autoritarie e un'economia
basata sugli interessi dei grandi monopoli industriali, specie quelli
militari, sarebbero pressoché uguali tra Italia, Germania e
Giappone.
Tuttavia è da notare che in Giappone
esistevano due partiti dichiaratamente fascisti e riconosciuti come
tali dal congresso fascista di Montreux, il Tōhōkai e il Kokumin
Domei, partiti assolutamente minoritari e guardati con sospetto dai
governanti giapponesi, tanto che nel 1943 il capo del Tōhōkai Seigō
Nakano fu arrestato con l'accusa di avere tramato un colpo di Stato
per rovesciare il regime di Hideki Tōjō e il partito venne sciolto.
Dopo l'occupazione del Giappone gli
Stati Uniti decisero per una democratizzazione controllata del Paese
e i principali gerarchi del periodo militarista furono deposti e
giudicati con l'eccezione dell'imperatore, che però venne privato di
ogni potere reale e del suo stato divino. Tōjō fu invece condannato
per crimini di guerra, crimini di aggressione e crimini contro
l'umanità e impiccato a Tokyo.
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