giovedì 15 marzo 2018

KEIKO: IL PROCESSO DI ADDESTRAMENTO



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"....Il corpo ha una sua agilità,  una sua fluidità,  una sua cedevolezza (Ju),  un suo equilibrio con delle leggi proprie che gli garantiscono un livello di armonia con la mente proprio perché il corpo è una realtà autonoma...." 

Siamo convinti che la società in cui abitiamo abbia raggiunto l’apice dello sviluppo tecnologico,  in cui almeno in teoria i progressi delle scienze avrebbero dovuto migliorare la vita dell’uomo e i suoi infiniti strumenti come ad esempio l’uso dei mass media avrebbero dovuto cambiare radicalmente le condizioni di vita assieme agli altri miracoli del progresso medico, industriale, civile, sanitario,  per facilitare anche i processi di comunicazione fra gli individui e i loro problemi di relazione nei confronti del mondo in cui interagiscono.
Le cose non sono andate così.
La maggior parte dei benefici scientifici purtroppo continuano ad essere usati per garantire i profitti dei monopoli capitalistici,  il che finisce per gravare sull’ambiente distruggendo gli equilibri del pianeta terra e producendo temperature elevate,  acque inquinate,  polmoni di importanza mondiale come le realtà naturali dell’Amazzonia che vengono deforestati e calpestati per ogni motivo di lucro.
Ne è un esempio il rifiuto di Gorge W.Bush di firmare il trattato di Kyotoper quanto concerne l’emergenza del problema ”surriscaldamento del pianeta” e il ”buco dell’ozono”.
Basta guardare il trionfo commerciale del mondo tecnologico:telefonini,  televisori con svariate funzioni,  programmi televisivi che mostrano i suoi personaggi artificiali protagonisti di un mondo senza interazione dove trionfa l’apparenza e la banalità e che ci vengono imposti con tutte le loro storie affinché i nostri pensieri siano controllati,  le nostre pulsioni vitali,  le nostre energie,  non canalizzate negli adeguati canali e le nostre percezioni distorte nei confronti dell’ambiente in cui viviamo.
Questi problemi si ripercuotono sul comportamento umano e anche durante i tempi di una  di un approccio di comunicazione fra gli individui,  perché da una parte abbiamo esigenze di relazione essendo confusi da modelli culturali che non rispecchiano la nostra tradizione e la nostra storia,  dall’altra sentiamo crescere delle forze che devono essere canalizzate in specifici canali,   che si scontrano contro quei modelli imposti:tutto questo genera il senso della paura fra i rapporti umani.
Federico Fellini parlava dell’importanza del lato”animale”,  di quell’insieme di istinti e pulsioni della nostra personalità che ci sorreggono nelle difficoltà che incontriamo durante la nostra vita e riteneva che quella parte irrazionale della nostra mente fosse l’impalcatura sopra cui camminasse la coscienza.
Il temperamento dell’uomo è sempre in relazione con la sua mente.
In giapponese shin significa ”mente” ma indica anche ”cuore”.
Secondo un’ipotesi i tratti dell’ideogramma shin rappresentano il cuore umano con i suoi quattro ventricoli.
Un’altra teoria vuole che shin indichi una barca di grandi dimensioni con il timone nella parte posteriore,  guidata controcorrente da un abile timoniere.
A me piace pensare che la barca sia la mente che si inoltra fra le luci e le ombre della vita,  lungo gli anfratti di un iter talvolta complesso,  talvolta banale,  che rappresenta il “do”: la ”via dell’uomo”,  e che il cuore,  il temperamento,  le pulsioni vitali siano gli strumenti indispensabili affinché il timoniere della mente ”shin” navighi negli oceani della realtà,  affrontando tutte le sue ombre e ricercando proprio nelle difficoltà che gli capitano nella vita(come pensava Fellini e da cui ne è scaturito il suo cinema)il proprio equilibrio interiore.
Nella costruzione di un cammino,  di una via ideale e materiale,  fisica e metafisica,  ciò che più conta non sono i risultati,  né la competizione o le vittorie o le sconfitte che ci capitano,  ma la ricerca in quanto viaggio:non è importante dove arriviamo o cosa raggiungiamo,  ma è essenziale il processo di crescita,  il processo di addestramento ”keiko” attraverso tutte le esperienze che abbiamo vissuto nel cammino che ci inoltra verso la retta via.
Questi principi semplici ma efficaci divengono in aikido le forme di sensibilizzazione che non fanno fuggire l’uomo davanti alle sue difficoltà,  ma esse lo pongono davanti ai suoi miglioramenti con più autoconsapevolezza e coscienza del proprio sé.
Credo che l’aikido sia una delle più grandi forme di avvicinamento all’essenza dei rapporti umani,  alla comunicazione,  alla sensibilizzazione che siano mai stati creati,  al pari della musica,  della cultura,  del teatro,  di tutto ciò che ha incanalato positivamente e mai in modo mai distruttivo l’intelligenza umana verso i rapporti umani e il loro sviluppo.
Il suo fondatore Ueshiba era interessato alla costruzione di un linguaggio di pace e amore fra gli uomini,  che potesse canalizzare gli elementi più distruttivi della personalità in un’energia edificante che scaricasse tutta l’aggressività e gli istinti dannosi nelle sue forme,  nelle sue tecniche,  che diventassero forze di energia vitale.
L’aikido ha spinto nella sua evoluzione l’uomo a interagire con la sua personalità e con la sua comunità,  garantendo in un equilibrio continuo di crescita i suoi livelli di relazione fra mente e corpo:”L’uomo non cambia il mondo,  la sua rivoluzione si edifica nel cambiamento del suo rapporto col mondo,  l’uomo diventa il mondo”.
Cambiare significa crescere,  migliorare,  valorizzare con più accuratezza gli equilibri e i disequilibri della propria personalità,  significa predisporsi al cambiamento.
Nella mia esperienza di aikido in questi due anni e mezzo ho appreso un principio fondamentale del comportamento umano:quando comunichiamo e interagiamo nella vita col prossimo il ruolo che assumiamo è essenziale durante i livelli della comunicazione:gli altri non si aprono se noi non ci apriamo e rimaniamo nascosti nell’illusorietà delle nostre maschere,  ma se noi ci apriamo,  se riusciamo ad essere socievoli e vincere le nostre paure,  l’altro cambierà,  perderà le sue strutture difensive,  le sue maschere e potrà percorrere con noi un tratto di strada,  una via ”do”.
La rivoluzione dell’aikido così come tutte le fasi di crescita della vita inizia in noi stessi e la nostra percezione del mondo quando comunichiamo assume un valore
prioritario:se affrontiamo le nostre ombre e incertezze,  l’altro come uno specchio che riflette un’immagine farà lo stesso e tutto ciò riguarda lo svolgimento delle tecniche in allenamento,   così come i livelli di comunicazione della vita. L’interazione in aikido nasce dalla consapevolezza di percorrere assieme le strade della realtà,  non di fuggirle e di realizzare in esse dei livelli di armonia e di comunicazione.
Nel linguaggio dell’aikido la competizione lascia il posto alla relazione.
Poniamo ora l’idea di Ueshiba al centro di un’analisi prescindendo anche dal lato marziale dell’aikido,  anche se sarebbe per me facile parlarne perché l’aikido in questi due anni e mezzo ha dato un cambiamento positivo e radicale alla mia vita e sta tirando sempre più fuori dalla mia personalità un senso di relazione che mi spinge a confrontarmi con la realtà e non a fuggire davanti alle mie responsabilità.
Un vero talento delle arti marziali e dell’aikido con cui mi alleno una volta mi ha detto:”Se tutti facessero come te il mondo cambierebbe!”.
Non guardiamo neanche i risultati che l’aikido porta in noi stessi anche se sono positivi:agilità mentale,  armonia colle forze vitali,  relazione fra mente e corpo,  sviluppo della percezione.
Pensiamo all’esperienza del ”viaggio aikido” e a ciò che ci succede mentre stiamo cambiando e crescendo,  tutto ciò che mi circonda ora nella stesura di questo articolo dove non cerco di piacere,  ma solo tentando  di esprimermi.
Il linguaggio d’amore di Ueshiba porta alla riscoperta di forme di energie che gravitano nel nostro mondo interiore e l’aikido è uno strumento che ci mette in sintonia con le forze e con le leggi che regolano i processi di vita del pianeta in cui viviamo e con cui poco interagiamo.
L’armonia è un principio che ci mette in contatto con gli altri e quindi con le nostre dimensioni interiori.
L’aikido nel suo movimento diventa una rivoluzione del comportamento e origine di una crescita positiva e costruttiva delle relazioni umane.
Mettiamo questa espressione di crescita dell’aikido a contatto con la televisione e con tutto ciò che nel mondo viene scambiato per”comunicazione”.
Gli sviluppi dell’era tecnologica hanno creato un mondo di profitti e consumi dove l’uomo finisce per avere paure della propria immagine e ad avere paura delle proprie paure.
Le suggestioni tecnologiche come quelle televisive incidono sul comportamento sociale e aumentano il livello di inadeguatezza dell’individuo.
Non è un caso che all’interno dei dipartimenti sanitari e delle strutture scientifiche,  che la psicoterapia,  la neurologia e le altre scienze mediche trovino una connessione con l’aikido e con ciò che rappresenta la terapia del proprio sé verso il controllo di una mondo che sfugge ad ogni tipo di controllo.
Mi viene in mente che nel nostro dojo ,  venne una volta ad allenarsi un ragazzo che aveva da poco subito un incidente automobilistico.
Dopo l’incidente era stato operato e nella sua mente il trauma dell’accaduto aveva portato alla comparsa di attacchi di panico e altri disturbi ansiogeni.
Il suo medico gli disse: ”O cominci una terapia farmacologia o prova l’akido”.
Fu in quell’istante che mi resi conto come le scienze moderne si stessero orientando verso altri percorsi,  convergendo verso altre strade di ricerca e rivelazione del comportamento sociale.
Il progresso tecnologico e l’evoluzione scientifica hanno capito che non possono ruotare attorno ai loro limiti,  ma che devono allargare le proprie esperienze a ciò che accade lungo la via della vita.
L’aikido è uno strumento rivelatore che come pratica entra in contatto con i cambiamenti e la crescita della mente e corpo e come linguaggio filosofico si rende partecipe coll’interazione scientifica di garantire i cambiamenti dell’uomo: ”Sviluppandone il processo di comunicazione che è il fulcro gravitazionale attorno a cui ruota la vita con tutte le sue leggi e le sue esperienze”.
E fra le esperienze di crescita umana non compare solo il cambiamento della mente,  ma anche la crescita della consapevolezza corporea.
Esercizi di rilassamento,  di riscaldamento abbinati alle tecniche di respirazione (kokkiu) sviluppano una nuova vita del corpo.
Questi esercizi che i praticanti di aikido svolgono nella fase iniziale dell’allenamento sono molto simili con quelli che gli anziani svolgono nei centri di fisiatria,  per sensibilizzare il corpo dalle artrosi o dagli acciacchi della vecchiaia: questo è l’incrocio fra medicina e aikido e fra come linguaggi differenti portino alle stesse terapie convergendo sui medesimi principi di creatività e simbiosi culturale.
Il maestro Luigi Branno mi spiegò una volta mi spiegò il concetto di  “coscienza corporea”.
Il corpo ha una sua agilità,  una sua fluidità,  una sua cedevolezza (Ju),  un suo equilibrio con delle leggi proprie che gli garantiscono un livello di armonia con la mente proprio perché il corpo è una realtà autonoma,  il corpo è un’entità pensante,  è un temperamento dinamico che si armonizza nella relazione con la mente,  proprio grazie ai principi che ne garantiscono l’autonomia e l’indipendenza dalla mente.
Il corpo è mente.
La mente è corpo.
E come entità pensante il corpo diventa una terapia per la mente.
In aikido la respirazione si trasforma in una sorgente di energia per il temperamento e il carattere e durante le tecniche respiratorie l’agilità delle mani e delle braccia portano il corpo verso un equilibrio interiore sempre cosciente,  le disarticolazioni dell’organismo durante le forme marziali incidono sull’umore,  sul comportamento,  sulle relazioni col proprio sé forgiandolo con una nuova consapevolezza.
Keiko:il processo di addestramento,  nasce anche dalla consapevolezza che il corpo pensa.

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mercoledì 14 marzo 2018

Jack Dempsey, il guerriero occidentale dei tempi moderni

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La storia delle arti marziali orientali è costellata di figure di grandi guerrieri esperti nel combattimento con le armi o a mani nude: le loro gesta sono parzialmente documentate e, in alcuni casi, le avventure di cui si sono resi protagonisti sono ormai entrate nella leggenda.
Anche in Occidente però grandi combattenti hanno reso famose le loro discipline di lotta creando dei veri e propri “sistemi nel sistema”; è questo il caso dei leggendari campioni di pugilato del passato che, nel vecchio continente come negli Stati Uniti, hanno elaborato tecniche e tattiche che, pur rientrando nell’ottica generale della disciplina pugilistica, hanno portato innovazioni poi diventate dei classici in materia di combattimento a mani nude.
In alcuni casi poi, gli studi fatti al fine di migliorare una performance “agonistica” hanno apportato miglioramenti anche in ambito self defence o combattimento reale.
Uno dei più grandi guerrieri a mani nude dei tempi moderni è stato un pugile americano di nome Jack Dempsey, detto “Manassa Mauler” (il massacratore di Manassa, la sua città natale in Colorado); egli fu il primo campione di boxe dei tempi moderni che formalmente studiò ed applicò i principi fondamentali della “Nobile Arte” al combattimento da strada, documentandoli con testi scritti precisi e dettagliati.
Dempsey, grazie alla destrezza acquisita con i suoi studi ed ai suoi originali metodi di allenamento, dominò la categoria dei pesi massimi nei primi anni del 1900 (fu campione mondiale dal 1919 al 1926) in un epoca quindi in cui i combattimenti sul ring erano vinti più con la forza fisica e con la resistenza che con fini azioni tecniche.
Rimase famoso, nella storia del ring, l’incontro che Dempsey disputò a Toledo nel 1919, in cui vinse il titolo mondiale contro il campione Jess Willard detto “il gigante” poiché alto oltre due metri e pesante Kg 110. Dempsey di fronte a Willard era di dimensioni irrisorie. Tutto deponeva a suo sfavore.
In quella occasione, Dempsey utilizzò i principi del falling step e del double shift, due delle tecniche da lui formalizzate ed applicate “sul campo” con successo, dimostrandone la straordinaria efficacia. Egli fu aggressivo, ma controllato, incassò ed evitò con destrezza con una alzata di spalle i colpi di Willard, scagliando i suoi pugni in maniera esplosiva, sfruttando in pieno l’intero peso del suo corpo in movimento. Ogni sua azione era organizzata in improvvise e devastanti combinazioni di colpi.
In un solo round Dempsey atterrò Willard ben sette volte. Jack fu così potente e preciso che alla fine dell’incontro Willard si ritrovò con il naso, la mascella e le costole rotte, oltre ad aver perso due denti sul tappeto. Il campione in carica (aveva strappato il titolo al grande Jack Johnson, uno dei più forti pugili di colore di tutti i tempi) superò il primo round solo perché salvato dalla campanella, sopravvisse all’attacco micidiale di Demspey per ancora due round, ma al quarto assalto il suo angolo chiese l’interruzione dell’incontro prima che subisse una punizione eccessiva.
Dempsey, nonostante fosse inferiore di peso ed altezza rispetto al suo avversario, sul ring di Toledo dimostrò di essere realmente uno dei più grandi campioni di boxe di tutti i tempi e soprattutto mostrò l’efficacia dei suoi principi tecnici.
Per noi appassionati di arti marziali gli studi compiuti da un grande del passato come Jack Dempsey non possono che rivelarsi come una miniera di informazioni pratiche di altissimo valore; due in particolare sono le tecniche fondamentali su cui vogliamo soffermarci in questo ed in una serie di prossimi articoli: il falling step o passo a caduta ed il double shift o doppio cambio (di guardia).
Entrambi questi spostamenti sono azioni aggressive che tendono ad imprimere il massimo della potenza ai colpi scagliati contro l’avversario con il solo fine di ottenere un rapido fuori combattimento.
Infatti, lo stesso Dempsey vedeva l’arte del fist fighting o bare knuckles fighting (combattimento a pugni nudi, cioè senza l’utilizzo di guantoni da boxe) in primis come un superbo sistema di auto difesa e solo in seconda istanza lo considerava un’attività sportiva; egli soleva ripetere (e scrisse a più riprese) che il sistema di combattimento da strada deve differire da quello sportivo soprattutto per l’obiettivo da raggiungere (e di conseguenza il praticante dovrà adattare a tale fine metodi di allenamento e impostazione tecnica): in strada esiste solo il ko, non c’è arbitro, categoria di peso e giudici a sentenziare che vince e chi perde, la sola regola è “mettilo a dormire il più velocemente possibile!”.
Ma come mettere fuori combattimento un avversario più pesante di noi, aggressivo ed intenzionato a farci del male? La risposta secondo Jack Dempsey sta in tecniche d’attacco potenti (con un abile sfruttamento dell’intera massa corporea in movimento per ottenere la massima potenza in ogni colpo) portate in combinazione, in una difesa aggressiva (per ottenere la quale è necessario anche sviluppare la tecnica di resistenza ai colpi ricevuti), e nella applicazione del falling step e del double shift che, se padroneggiati alla perfezione, sono in grado di farci ottenere tutto ciò.
Nell’ambito degli studi condotti da chi approfondisce tematiche relative al combattimento marziale partendo dalla pratica delle tradizioni guerresche, emergono molti punti d’incontro tra le teorie esposte da Dempsey e quanto tramandato dai maestri: nell’ottica di una pratica il più possibile realistica e fondata su principi di combattimento testati sul campo e ben documentati, le indicazioni del Manassa Mauler in tema di boxe a pugni nudi orientata alla difesa strada rappresentano un patrimonio inestimabile di conoscenze degne di essere approfondite ed applicate, al pari delle tecniche tramandati dai maestri dell’estremo oriente.

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martedì 13 marzo 2018

La scienza del disarmo delle armi a canna lunga



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Dall’introduzione del fucile, i criminali ed i soldati hanno ucciso, ferito, puntato, intimorito, rapito, scortato o controllato la gente, con la loro canna minacciosa. Questo studio analizza come resistere alla minaccia del fucile, identificando scientificamente le possibili posizioni di confronto e risolvendole di seguito. Le armi che definiamo a canna lunga saranno la carabina, il fucile, la semi automatica e l’automatica.

Il confronto

Come succede ? Catturano i soldati, le guardie e i poliziotti; rubano, sequestrano e tengono in ostaggio i cittadini, sia in mezzo ad un terreno rurale che urbano. Tutti i fattori di ognuna delle situazioni devono essere soppesati accuratamente nell’azione che intraprendiamo.

I problemi fisici

Problema Fisico          1)  Valutazione del nemico                          
                                    2)  Distanza
3)      Posizione
4)      Metodo con cui porta l’arma

PF1) Valutazione del Nemico

Dobbiamo valutare la qualità e la quantità del nemico. Quale stazza, mentalità, stato fisico ed abilità ha la persona che impugna l’arma ? I suoi compagni sono vicini ? nel peggiore dei casi dovremo entrare in azione.

PF2) Distanza

Il nemico ci minaccerà da tre distanze differenti.

Disatnza 1) Contatto
Quando il foro d’uscita della canna è in contatto con il nostro corpo. Tutti quelli che impugnano un’arma, che siano allenati o meno, toccano spesso con la canna l’aggredito. Può darsi che il soggetto abbia fretta e ci spinga con l’arma. Potrebbe essere furioso e toccarci con la canna a mò di intimidazione. Potrebbe essere estremamente sicuro di sé. Benchè sembri una strategia sbagliata, succede con una certa regolarità.

Distanza 2) Attacco
Quando il soggetto tiene l’arma ad una distanza nella quale abbiamo l’opportunità di saltargli addosso per sottrargliela.

Distanza 3) Lontananza
Quando ci puntano il fucile contro da una distanza in cui non è possibile saltare addosso all’aggressore, fino, letteralmente, ad una distanza da franco tiratore. Qui l’unica cosa che possiamo fare è utilizzare la psicologia per salvarci.

PF3) Posizione

Il nemico presenterà il suo fucile in quattro posizioni basilari, con tre variazioni in ognuna di esse.

Posizione         1) Davanti a noi
                        2) e 3) Ad uno dei lati (destro o sinistro)
4) Dietro di noi

Variazione       A) Al di sopra di noi
                        B) Alla nostra altezza
                        C) Sotto di noi

PF4) Metodo con cui porta l’arma

Come tiene l’arma il nemico =? La impugna solo con le mani ? O peggio, la tiene assicurata ad un cinturino ‘ L’avversario terrà l’arma in tre modi basilari:
Con le mani
Con il cinturino
Con un arnese di sicurezza
Con le mani
I criminali normalmente usano armi “civili” come fucili da caccia ed altre, spesso rubate. I criminali civili portano le armi in modo da poterle estrarre rapidamente.

Con il cinturino
Un’arma con cinturino legato ad una parte del corpo del nemico evidenzia un ostacolo per il disarmo. Il personale militare usa cinturini. L’idea basilare del cinturino è poter portare l’arma sia in posizione di riposo che di attacco. Poi si scoprì che poteva servire a migliorare la mira. Il cinturino è legato alla canna per poter strisciare a terra in silenzio ed in modo sicuro. Il cinturino permette le seguenti posizioni dell’arma:
di traverso sul petto
sotto l’ascella
sulla schiena
di traverso sull’ascella e sulla spalla a mò di clip. Nell’ultima decade, i giubbotti e l’equipaggiamento d’appoggio, come i “lanyards” (corde con gancio a clip), sono diventati molto popolari. Questo rappresenta un altro problema al momento del disarmo.

E’ il momento di attaccare  ?

Molte vittime sono scappate mentre venivano scortate per essere interrogate, mentre mangiavano, mentre erano in bagno o in camera da letto. Molti hanno sorpreso una guardia stanca o poco allenata. Molti hanno sperato che la guardia rimanesse sola. Molti sapevano che sarebbero morti tramite esecuzione e hanno deciso di morire lottando – ma hanno vinto e sono sopravvissuti !
Perciò dobbiamo sempre osservare dov’è il nemico, che aspetto ha, come porta l’arma ed identificare il modo con cui può utilizzarla, prima di risolvere fisicamente la peggiore di tutte le situazioni.

Soluzioni basilari per la sopravvivenza

Non importa in che posizione sia l’arma, né se la canna ci sta toccando o si trova a distanza di attacco. L’equazione per la sopravvivenza è :

La minaccia

Passo 1) Deviare la canna
Passo 2) Controllare l’arma e colpire il collo e/o la testa per stordire il nemico

Passo  3) Colpire il braccio e/o le braccia che sorreggono l’arma

Passo  4) Strappare l’arma o usarla come appiglio per lanciare l’arma legata.
               Continuare colpendo l’avversario.

Variazioni

Variazione 1)
Affrontare un’arma sciolta, senza cinturino.
Il miglior modo di ottenere questo disarmo è colpire le braccia che sorreggono l’arma per sottrargliela.

Variazione 2)
Affrontare un’arma legata al cinturino.
Questo esige la presa dell’arma e tirare con forza per poter portare al suolo il nemico. Colpite più volte, quanto è necessario.
Per ottenere un disarmo dovete sganciare il cinturino o liberare la clip che unisce l’uomo all’arma.
Per sganciare il cinturino, per prima cosa dovete aver ridotto significativamente il nemico, abbastanza per manovrare il suo corpo con sicurezza per procedere. Liberare la clip di un’arma richiede anche una notevole riduzione dell’avversario. Solo allora potrete accedere al sistema per liberarla, sganciandola o tagliando il cinturino –perciò avrete bisogno del vostro coltello o dell’arma affilata dell’avversario.
Vale la pena ricordare che se tirate l’arma, l’aiuterete ad attivare il sistema d’ingranaggio. Molti esperti suggeriscono di spingere l’arma per ritardare tale azione.

 

Note

Alcuni istruttori, non ben allenati, danno troppa enfasi a come forzare il fucile per applicare una leva, senza soffermarsi a spiegare che prima si deve colpire il nemico. E’ naturale pensare che un essere umano afferri con forza la propria preziosa arma, specialmente con il gomito e l’avambraccio. A meno che non lo si colpisca, risulterà molto difficile spostargli l’arma per facilitare le chiavi al braccio e al polso. Molti istruttori insegnano ai loro allievi a spostare la canna  con il palmo della mano verso l’alto. Spingendo con il palmo della mano permettiamo al nemico di alzare la canna e di mirare direttamente verso di noi. Se spingiamo verso il basso, riusciamo ad evitare tutto questo. Altri istruttori preferiscono passare ad una serie di nodi da marinaio e da “boy scout” con il cinturino, per legare l’avversario. Considerate le opzioni con accuratezza.

Dopo il disarmo

Colpire il nemico con due mani con l’arma se è necessario. Una volta strappata l’arma , non confidate troppo sul fatto che funzioni. Potrebbe essere scarica. Potrebbe essere una replica. Potrebbe essere rimasta danneggiata nella lotta e, con la gran varietà di armi a canna lunga che esiste, potreste non riuscire a farla funzionare. Inoltre il fuoco può richiamare l’attenzione sulla vostra azione ed attirare i suoi compagni. Potreste essere obbligati ad improvvisare un qualche modo per legare il nemico o persino ad ucciderlo, se la situazione lo giustifica. Una volta sicuri e se il tempo lo permette, perquisitelo e confiscategli tutte le armi e l’equipaggiamento d’appoggio. 


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