La violenza di strada non è un ring, e di certo non è un dojo. Non esistono tatami, arbitri o round cronometrati. Esiste solo l’imprevedibilità. E in quell’imprevedibilità, alcuni imparano a sopravvivere – non perché siano meglio addestrati, ma perché conoscono l’unica regola che davvero conta: non ci sono regole.
È questa la prima, fondamentale lezione che distingue i combattenti cresciuti sulla strada da chi ha trascorso anni in una palestra, imparando kata, tecniche codificate e movimenti ripetuti fino all’automatismo. Non si tratta di mettere in discussione il valore delle arti marziali tradizionali, ma di comprendere che, in un contesto reale, chi ha imparato a difendersi senza istruttori può avere un vantaggio letale: l’adattamento al caos.
Chi ha combattuto in strada sa che il pericolo non arriva sempre in modo prevedibile. Un avversario non seguirà uno schema. “Muoverà le braccia in modo disordinato, cercherà di ingannarti con falsi colpi, userà la propria faccia come esca per una testata improvvisa”, spiega un ex pugile dilettante cresciuto nei sobborghi romani. “Non sta cercando di vincere per punti. Vuole abbatterti subito.”
L’abilità non codificata dei combattenti di strada risiede nel riconoscere questi segnali pre-attacco. Non guardano le mani, ma gli occhi. Il minimo cambiamento nella pupilla – un’improvvisa dilatazione, una contrazione involontaria – può annunciare un pugno in arrivo prima ancora che il braccio si muova. È un istinto affinato da chi ha imparato a leggere il pericolo nel volto dell’altro, più che nelle sue intenzioni dichiarate.
Uno degli insegnamenti più controintuitivi ma spesso verificati nel contesto reale è che colpire per primo non è sempre vantaggioso. Il combattente esperto, se in posizione difensiva, è più stabile, meno esposto. L’attaccante, lanciandosi in avanti, si sbilancia. Chi sa attendere e mantenere la calma ha spesso la meglio, nonostante ciò contraddica la narrazione cinematografica del "colpo preventivo".
Ma non solo: i combattimenti veri sono brevi, estremamente faticosi e quasi sempre caotici. Durano in media pochi secondi, al massimo un minuto. Poi subentra la stanchezza, e si finisce spesso a terra – non come scelta tattica, ma per esaurimento.
Qui entrano in gioco due discipline che negli ultimi decenni hanno visto una rapida ascesa per un motivo semplice: funzionano nei contesti reali. Il Muay Thai, l’arte marziale thailandese basata su colpi di gomiti, ginocchia e clinch, è perfetta per chiudere rapidamente una rissa in piedi. Il Jiu Jitsu Brasiliano, invece, si rivela fondamentale quando inevitabilmente si finisce a terra.
“I combattimenti che durano più di 30 secondi spesso si trasformano in una lotta a terra, fatta di prese, leve articolari, strangolamenti”, spiega Carlo Messina, istruttore di BJJ e consulente per la sicurezza personale. “È qui che molti praticanti tradizionali si perdono: non hanno mai addestrato il corpo al contatto continuo, né lottato quando i muscoli bruciano e il respiro è corto.”
L’ideale, secondo gli esperti, è una formazione ibrida: sapere colpire per difendersi, ma anche saper sopravvivere a terra, dove i colpi non bastano più.
Tuttavia, nessuna tecnica vale contro un coltello. Nessuna. Le probabilità di uscire indenni da uno scontro disarmati contro una lama sono drammaticamente basse. “Tratta il braccio dell’assalitore come una vipera. Se ti avvicini, verrai morso”, afferma brutalmente Navarro, ex militare delle forze speciali. “I più esperti possono avere un vantaggio del 20 o 30%, ma è comunque un gioco di fortuna. Evita. Scappa. Trova un oggetto per frapporre distanza.”
E se l’aggressore ha una pistola? Il consiglio è ancora più netto. Non opporre resistenza. La sopravvivenza, in quel momento, passa attraverso la resa. Non è codardia, è calcolo razionale. Eroismo e testardaggine possono trasformare un furto in un omicidio.
Ciò che differenzia il combattente di strada dal praticante formale non è solo l’assenza di regole, ma una consapevolezza più cruda della realtà. Nessuna tecnica è infallibile, nessun corpo è invincibile. L’unica vera abilità è saper leggere l’ambiente, agire con lucidità e capire quando è il momento di fermarsi.
In un vicolo buio o in un parcheggio vuoto, non vince chi conosce più tecniche. Vince chi resta vivo. E questa, alla fine, è l’unica vittoria che conta.
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