Nel vasto panorama delle arti marziali praticate globalmente — si stima ne esistano oltre 150 — la questione di quali siano effettivamente efficaci e quali, invece, rappresentino più una forma di esercizio o una posa estetica, rimane centrale. Se c’è un consenso quasi unanime tra praticanti, allenatori e osservatori esperti è che la vera efficacia non si misura nel numero di mosse o nella tradizione, ma nella capacità dimostrata in contesti di combattimento reale o sportivo regolamentato. E proprio qui emergono le evidenze più chiare che alcune discipline sono semplicemente sopravvalutate, soprattutto nelle loro versioni “commerciali” o amatoriali, spesso denominate con disprezzo “Strip Mall Ninja Academy”.
Le arti marziali praticate in questi centri – tipicamente scuole dalle vetrine lucide nei centri commerciali, con programmi promozionali accattivanti ma poco rigorosi – spesso promettono abilità da guerriero in poche settimane di corso. Qui l’illusione più comune è la presunzione di poter apprendere una tecnica mortale o un “superpotere” marziale, senza il rigore e la disciplina necessarie.
Le ragioni per cui molte di queste discipline sono sopravvalutate sono molteplici, ma si concentrano su due aspetti fondamentali: la mancanza di applicabilità reale e l’assenza di un confronto agonistico serio.
Un criterio imprescindibile per valutare una disciplina è la sua verifica in condizioni competitive ufficiali. In questo senso, le arti marziali miste (MMA), come praticate in contesti regolamentati quali UFC, Bellator e altre leghe professionali, si distinguono nettamente. Il loro regolamento unificato, che vieta chiaramente comportamenti antisportivi e tecniche pericolose, garantisce un confronto diretto e verificabile tra stili diversi.
Ne consegue che solo le tecniche e le strategie efficaci emergono, mentre ciò che è estetico o tradizionale ma inefficace viene scartato. Per questo motivo, è opinione diffusa tra i professionisti del settore che le MMA rappresentino la “prova del nove” dell’efficacia marziale.
D’altra parte, le scuole “Strip Mall Ninja” offrono spesso una versione edulcorata e spettacolare, che privilegia la forma e la tradizione estetica rispetto alla sostanza. Non è raro assistere a lezioni dove si praticano kata elaborati, acrobazie o sequenze coreografiche che, pur affascinanti, hanno scarsa attinenza con il combattimento reale. In assenza di sparring serio e regole standardizzate, non c’è modo di valutare la reale efficacia di queste tecniche.
Inoltre, la tendenza a promuovere “armi segrete” o colpi “magici” riflette più una strategia di marketing che un dato oggettivo. Contrariamente a ciò, in MMA e in discipline competitive serie, il potere, la tecnica e la resistenza si dimostrano nei fatti, non nelle promesse.
Altra disciplina che, pur essendo estremamente rispettata per la sua valenza sportiva e culturale, può risultare sopravvalutata in contesti non agonistici è il tiro a segno, o l’uso di armi da fuoco per autodifesa. Se la padronanza di un’arma da fuoco rappresenta una capacità cruciale in contesti di sicurezza reale, il suo apprendimento superficiale e la mancata comprensione della tattica e della legge ne riducono drasticamente l’efficacia pratica. Non è infatti sufficiente possedere un’arma: è imprescindibile un addestramento serio e continuo, e una profonda consapevolezza dei limiti legali e morali.
Alla luce di tutto ciò, le parole dei grandi allenatori e campioni non lasciano dubbi: il potenziale marziale è un mix di talento innato, disciplina e allenamento rigoroso, ma soprattutto deve passare il vaglio del confronto serio. È dunque un invito a diffidare delle scorciatoie, delle scuole che vendono sogni facili e della superficialità.
Il vero combattente, così come il praticante serio, sa che l’arte marziale non è un prodotto di consumo da scaffale, ma un percorso lungo, spesso duro, e che la vera efficacia si misura solo nell’incontro con l’avversario, regolamentato o reale che sia.
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