sabato 7 giugno 2025

Apollo Creed contro i giganti del ring: avrebbe davvero battuto Tyson e Ali?

Nel cuore pulsante dell’universo cinematografico creato da Sylvester Stallone, Apollo Creed emerge come una figura leggendaria: elegante, carismatico, imbattibile. Ma se il pugile interpretato da Carl Weathers fosse realmente esistito, come se la sarebbe cavata contro i colossi della boxe mondiale, nomi reali come Muhammad Ali e Mike Tyson? La domanda, per quanto impossibile da verificare sul piano fisico, è intrigante dal punto di vista narrativo e simbolico. E sorprendentemente, all'interno della coerenza interna della saga di Rocky, la risposta è un sonoro .

Chi segue con attenzione la serie Rocky sa che l'universo narrativo non è una semplice fantasia sportiva, ma un racconto che si intreccia spesso con eventi reali della storia della boxe. In Creed III si scopre, ad esempio, che il mitico "Rumble in the Jungle" del 30 ottobre 1974, in cui Muhammad Ali sconfisse George Foreman, è effettivamente avvenuto anche nell’universo di Rocky. Non si tratta di un semplice omaggio: un biglietto dell'incontro viene mostrato sullo schermo, rendendo quell’evento storico canonico. E poiché Apollo Creed è il campione del mondo fino al 1976, si deduce logicamente che abbia vinto il titolo dopo quel match. Le ipotesi sono due: o Ali ha abbandonato il titolo, o Apollo Creed lo ha sconfitto. In entrambi i casi, il risultato è lo stesso: Apollo Creed ha ereditato o strappato la cintura al più grande pugile della storia.

Chi conosce il personaggio sa che Apollo Creed non è solo spettacolo. È velocità, intelligenza tattica, forza bruta e resistenza. Il commento di Rocky Balboa nel primo Creed è emblematico: “Era un pugile perfetto. Nessuno è meglio di lui”. Parole pesanti, soprattutto se pronunciate da un uomo che ha affrontato a viso aperto (e spesso battuto) una schiera di campioni leggendari.

Nel corso della saga, Apollo viene descritto come un atleta con una percentuale di KO del 97,9%. Una cifra quasi irreale — superiore persino a quelle di mostri sacri come George Foreman (89,4%), Sonny Liston (78,6%) e lo stesso Mike Tyson (75,9%). Questa statistica da sola basterebbe a collocarlo in un olimpo irraggiungibile, ma la narrazione non si ferma qui.

In Rocky Balboa (2006), Mason "The Line" Dixon è il campione mondiale dei pesi massimi, e viene indicato come colui che ha sconfitto un ormai anziano Mike Tyson. Ma è Rocky, all’età di 60 anni, a metterlo in seria difficoltà in un incontro d’esibizione. Se un Balboa sessantenne riesce quasi a battere Dixon, quanto più temibile sarebbe stato un Apollo Creed al massimo della forma? La conclusione, anche qui, è implicita: Apollo avrebbe distrutto Dixon — e quindi anche Tyson.

Va poi detto che, da un punto di vista narrativo, Apollo Creed non è un semplice pugile. È l’incarnazione del pugile ideale, progettato per essere la sintesi di tutto ciò che rende grande un atleta sul ring. È modellato esplicitamente su Muhammad Ali (il modo di muoversi, l’eloquio elegante, la teatralità), ma con caratteristiche fisiche che sfiorano il sovrumano: è più veloce, più potente, più carismatico. E soprattutto ha un cuore immenso. Un cuore che lo porta, nel secondo film della serie, ad allenare l’uomo che lo aveva sconfitto. E che, nel quarto, lo spinge a morire sul ring pur di difendere l’onore americano.

In Rocky IV, Apollo affronta Ivan Drago, un pugile che i commentatori del film descrivono come "un esperimento sovietico". Drago è letteralmente una macchina da guerra. Eppure, Creed ha il coraggio di affrontarlo senza alcun timore, danzando sul ring con la solita leggerezza. È una scelta narrativa, certo, ma anche una dichiarazione di forza psicologica: non esiste paura in Apollo Creed.

Naturalmente, il confronto con Ali o Tyson resta, per sua natura, un esperimento mentale. Nel mondo reale, la boxe è fatta di carne, sangue, nervi, sudore. Tyson era un mostro di potenza e aggressività, capace di demolire avversari in pochi secondi. Ali era un poeta del ring, una mente superiore capace di prevedere i colpi prima ancora che venissero sferzati.

Ma Apollo Creed non è limitato da muscoli e nervi. È un’idea. È il pugile che non esiste e proprio per questo non può perdere.

Se per “reale” intendiamo trasportare le sue abilità come rappresentate nel film nella dimensione del ring storico, allora sì. Perché Apollo Creed è stato creato per vincere. Per rappresentare l’ideale assoluto della boxe: potenza, bellezza, tecnica, intelligenza, cuore.

Ed è proprio questo che lo rende più grande persino dei più grandi.



Nessun commento:

Posta un commento