mercoledì 14 marzo 2018

Jack Dempsey, il guerriero occidentale dei tempi moderni

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La storia delle arti marziali orientali è costellata di figure di grandi guerrieri esperti nel combattimento con le armi o a mani nude: le loro gesta sono parzialmente documentate e, in alcuni casi, le avventure di cui si sono resi protagonisti sono ormai entrate nella leggenda.
Anche in Occidente però grandi combattenti hanno reso famose le loro discipline di lotta creando dei veri e propri “sistemi nel sistema”; è questo il caso dei leggendari campioni di pugilato del passato che, nel vecchio continente come negli Stati Uniti, hanno elaborato tecniche e tattiche che, pur rientrando nell’ottica generale della disciplina pugilistica, hanno portato innovazioni poi diventate dei classici in materia di combattimento a mani nude.
In alcuni casi poi, gli studi fatti al fine di migliorare una performance “agonistica” hanno apportato miglioramenti anche in ambito self defence o combattimento reale.
Uno dei più grandi guerrieri a mani nude dei tempi moderni è stato un pugile americano di nome Jack Dempsey, detto “Manassa Mauler” (il massacratore di Manassa, la sua città natale in Colorado); egli fu il primo campione di boxe dei tempi moderni che formalmente studiò ed applicò i principi fondamentali della “Nobile Arte” al combattimento da strada, documentandoli con testi scritti precisi e dettagliati.
Dempsey, grazie alla destrezza acquisita con i suoi studi ed ai suoi originali metodi di allenamento, dominò la categoria dei pesi massimi nei primi anni del 1900 (fu campione mondiale dal 1919 al 1926) in un epoca quindi in cui i combattimenti sul ring erano vinti più con la forza fisica e con la resistenza che con fini azioni tecniche.
Rimase famoso, nella storia del ring, l’incontro che Dempsey disputò a Toledo nel 1919, in cui vinse il titolo mondiale contro il campione Jess Willard detto “il gigante” poiché alto oltre due metri e pesante Kg 110. Dempsey di fronte a Willard era di dimensioni irrisorie. Tutto deponeva a suo sfavore.
In quella occasione, Dempsey utilizzò i principi del falling step e del double shift, due delle tecniche da lui formalizzate ed applicate “sul campo” con successo, dimostrandone la straordinaria efficacia. Egli fu aggressivo, ma controllato, incassò ed evitò con destrezza con una alzata di spalle i colpi di Willard, scagliando i suoi pugni in maniera esplosiva, sfruttando in pieno l’intero peso del suo corpo in movimento. Ogni sua azione era organizzata in improvvise e devastanti combinazioni di colpi.
In un solo round Dempsey atterrò Willard ben sette volte. Jack fu così potente e preciso che alla fine dell’incontro Willard si ritrovò con il naso, la mascella e le costole rotte, oltre ad aver perso due denti sul tappeto. Il campione in carica (aveva strappato il titolo al grande Jack Johnson, uno dei più forti pugili di colore di tutti i tempi) superò il primo round solo perché salvato dalla campanella, sopravvisse all’attacco micidiale di Demspey per ancora due round, ma al quarto assalto il suo angolo chiese l’interruzione dell’incontro prima che subisse una punizione eccessiva.
Dempsey, nonostante fosse inferiore di peso ed altezza rispetto al suo avversario, sul ring di Toledo dimostrò di essere realmente uno dei più grandi campioni di boxe di tutti i tempi e soprattutto mostrò l’efficacia dei suoi principi tecnici.
Per noi appassionati di arti marziali gli studi compiuti da un grande del passato come Jack Dempsey non possono che rivelarsi come una miniera di informazioni pratiche di altissimo valore; due in particolare sono le tecniche fondamentali su cui vogliamo soffermarci in questo ed in una serie di prossimi articoli: il falling step o passo a caduta ed il double shift o doppio cambio (di guardia).
Entrambi questi spostamenti sono azioni aggressive che tendono ad imprimere il massimo della potenza ai colpi scagliati contro l’avversario con il solo fine di ottenere un rapido fuori combattimento.
Infatti, lo stesso Dempsey vedeva l’arte del fist fighting o bare knuckles fighting (combattimento a pugni nudi, cioè senza l’utilizzo di guantoni da boxe) in primis come un superbo sistema di auto difesa e solo in seconda istanza lo considerava un’attività sportiva; egli soleva ripetere (e scrisse a più riprese) che il sistema di combattimento da strada deve differire da quello sportivo soprattutto per l’obiettivo da raggiungere (e di conseguenza il praticante dovrà adattare a tale fine metodi di allenamento e impostazione tecnica): in strada esiste solo il ko, non c’è arbitro, categoria di peso e giudici a sentenziare che vince e chi perde, la sola regola è “mettilo a dormire il più velocemente possibile!”.
Ma come mettere fuori combattimento un avversario più pesante di noi, aggressivo ed intenzionato a farci del male? La risposta secondo Jack Dempsey sta in tecniche d’attacco potenti (con un abile sfruttamento dell’intera massa corporea in movimento per ottenere la massima potenza in ogni colpo) portate in combinazione, in una difesa aggressiva (per ottenere la quale è necessario anche sviluppare la tecnica di resistenza ai colpi ricevuti), e nella applicazione del falling step e del double shift che, se padroneggiati alla perfezione, sono in grado di farci ottenere tutto ciò.
Nell’ambito degli studi condotti da chi approfondisce tematiche relative al combattimento marziale partendo dalla pratica delle tradizioni guerresche, emergono molti punti d’incontro tra le teorie esposte da Dempsey e quanto tramandato dai maestri: nell’ottica di una pratica il più possibile realistica e fondata su principi di combattimento testati sul campo e ben documentati, le indicazioni del Manassa Mauler in tema di boxe a pugni nudi orientata alla difesa strada rappresentano un patrimonio inestimabile di conoscenze degne di essere approfondite ed applicate, al pari delle tecniche tramandati dai maestri dell’estremo oriente.

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1 commento:

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